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    Predefinito 18 ottobre - S. Luca, evangelista

    Dal sito SANTI E BEATI:

    San Luca, Evangelista

    18 ottobre - Festa

    Antiochia di Siria - Roma (?) - Primo secolo dopo Cristo

    Luca, evangelista e autore degli Atti degli Apostoli, è chiamato "lo scrittore della mansuetudine del Cristo". Paolo lo chiama "caro medico", compagno dei suoi viaggi missionari, confortatore della sua prigionia. Il suo vangelo, che pone in luce l'universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri, offre testimonianze originali come il vangelo dell'infanzia, le parabole della misericordia e annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti. Nel libro degli Atti delinea la figura ideale della Chiesa, perseverante nell'insegnamento degli Apostoli, nella comunione di carità, nella frazione del pane e nelle preghiere. (Mess. Rom.)

    Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi

    Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino

    Emblema: Bue

    Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

    Martirologio tradizionale (18 ottobre): In Bitinia il natale del beato Luca Evangelista, il quale, dopo aver molto sofferto per il nome di Cristo, morì pieno di Spirito Santo. Le sue ossa furono in seguito portate a Costantinopoli, e di là trasferite a Padova.

    (9 maggio): A Costantinopoli la Traslazione dei santi Andrea Apostolo e Luca Evangelista dall'Acaia, e di san Timoteo, uno dei discepoli del beato Paolo Apostolo, da Efeso. I1 corpo di sant'Andrea, dopo molto tempo trasportato in Amalfi, ivi dal pio concorso dei fedeli è onorato, e dal suo sepolcro continuamente scaturisce un liquido, che sana le infermità.

    Ma che c’entra Teofilo? E chi lo conosce? Da sempre ci pare un po’ abusivo questo personaggio ignoto, che vediamo riverito e lodato all’inizio del vangelo di Luca e dei suoi Atti degli Apostoli. La risposta si trova nella formazione ellenistica dell’autore. Con la dedica fatta a Teofilo che doveva essere un cristiano eminente egli segue l’uso degli scrittori classici, che appunto erano soliti dedicare le loro opere a personaggi insigni.
    Luca, infatti, ha studiato, è medico, e tra gli evangelisti è l’unico non ebreo. Forse viene da Antiochia di Siria (oggi Antakya, in Turchia). Un convertito, un ex pagano, che Paolo di Tarso si associa nell’apostolato, chiamandolo "compagno di lavoro" (Filemone 24) e indicandolo nella Lettera ai Colossesi come "caro medico" (4,14). Il medico segue Paolo dappertutto, anche in prigionia: due volte. E la seconda, mentre in un duro carcere attende il supplizio, Paolo scrive a Timoteo che ormai tutti lo hanno abbandonato. Meno uno. "Solo Luca è con me" (2Timoteo 4,11). E questa è l’ultima notizia certa dell’evangelista.
    Luca scrive il suo vangelo per i cristiani venuti dal paganesimo. Non ha mai visto Gesù, e si basa sui testimoni diretti, tra cui probabilmente alcune donne, fra le prime che risposero all’annuncio. C’è un’ampia presenza femminile nel suo vangelo, cominciando naturalmente dalla Madre di Gesù: Luca è attento alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi silenzi. Di Gesù egli sottolinea l’invitta misericordia, e quella forza che uscendo da lui "sanava tutti": Gesù medico universale, chino su tutte le sofferenze. Gesù onnipotente e “mansueto” come lo credeva Dante nelle parole di Luca.
    Gli Atti degli Apostoli raccontano il primo espandersi della Chiesa cristiana fuori di Palestina, con i problemi e i traumi di questa universalizzazione. Nella seconda parte è dominante l’attività apostolica di Paolo, dall’Asia all’Europa; e qui Luca si mostra attraente narratore quando descrive il viaggio, la tempesta, il naufragio, le buone accoglienze e le persecuzioni, i tumulti e le dispute, gli arresti, dal porto di Cesarea Marittima fino a Roma e alle sue carceri.
    Secondo un’antica leggenda, Luca sarebbe stato anche pittore e, in particolare, autore di numerosi ritratti della Madonna. Altre leggende dicono che, dopo la morte di Paolo, egli sarebbe andato a predicare fuori Roma; e si parla di molti luoghi. Di troppi. In realtà, nulla sappiamo di lui dopo le parole di Paolo a Timoteo dal carcere. Ma il vangelo di Luca continua a essere annunciato insieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni in tutto il mondo. E con esso anche gli Atti degli Apostoli. Nella liturgia della Parola, durante la Messa e in tutte le lingue, Luca continua davvero a predicare; anche ai nostri giorni, incessantemente.

    Autore: Domenico Agasso






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    Predefinito Dai Discorsi di san Pier Damiani

    Sermo 53, in PL 144, 800‑806.

    Il mondo, cari fratelli, è passato dalle tenebre alla luce grazie al vangelo. Per questa ragione il popolo cristiano celebra la gloria degli evangelisti e questo discorso sarà dedicato a san Luca, uno di essi. Luca ha tracciato la storia evangelica e apostolica in un duplice stile, l'umano e il divino. Egli ha arricchito di numerosi frutti il campo della Chiesa, perché il popolo possa vivere e il gregge di Cristo trovi rigogliosi pascoli di salvezza. Quali sono la dignità e l'eccellenza di san Luca? Possiamo coglierle chiaramente da questo fatto: Marco fu istruito da Pietro. Come Matteo e Giovanni, egli scrisse un vangelo, dopo aver conosciuto sulla terra la storia del Redentore. Invece Luca è l'unico ad aver scritto un vangelo per cosi dire sceso dal cielo. Lo Spirito Santo, infatti, rivelò a Paolo questo vangelo, e, per sua mediazione, Cristo lo fece conoscere a Luca. Ecco perché Paolo afferma: Voi cercate una prova che Cristo parla in me (2 Cor 13, 3). Dal cielo, Cristo effuse su Paolo i misteri della sua storia, poi li travasò in Luca attraverso un canale d'oro, per cui l'oracolo divino, riferito da Isaia, si addice perfettamente a questo santo: A Sion e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di cose liete (Is 41, 27).

    Matteo conobbe il vangelo direttamente dalle labbra del Signore, durante la vita terrena di lui; Luca invece lo ricevette dal cielo. Non dipende dunque dal caso, ma dal magistero dello Spirito Santo se Matteo enumera quaranta generazioni in linea discendente, mentre Luca menziona settantasette generazioni in linea ascendente. La storia della nostra redenzione è cosi ripartita tra i due evangelisti, i quali hanno preso per sé la parte che gli andava bene. Matteo, descrivendo l'albero genealogico in discendenza mostra Cristo che viene dal cielo fino a noi, peccatori. Luca, risalendo dal mistero del battesimo fino al Padre, mostra Cristo che ci lava dalle brutture dei peccati e ci trae con sé nella gloria del cielo. Il primo sottolinea che Cristo scese in terra per misericordia, il secondo proclama che il Signore ci eleva alle realtà celesti. Matteo mostra il pastore che lascia nei pascoli del deserto le novantanove pecore, Luca insegna che Gesù si è caricato sulle spalle la pecora perduta. Il primo attesta che il medico è sceso accanto ai malati, il secondo dimostra che ci ha guariti e ricondotti con sé verso le gioie dei secoli incorruttibili. Matteo mostra il Figlio unigenito mandato a noi dal Padre, Luca insegna che il Figlio ha trasferito nella patria del cielo una folla di eletti.

    Il beato apostolo Paolo ha condensato in una frase le intenzioni dei due evangelisti, quando ha detto: Mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato. Dio ha condannato il peccato nella carne (Rm 8, 3). Nel sottolineare la missione del Figlio nella nostra condizione umana e peccatrice, l'Apostolo dimostra che Cristo ha assunto la nostra mortalità, ciò che apertamente dichiara Matteo quando enumera le quaranta generazioni partendo da Abramo. Quando Paolo soggiunge che il Figlio fu mandato per vincere il peccato nell'uomo carnale, indica l'abolizione dei peccati che Luca sicuramente esprime tracciando la genealogia delle settantasette generazioni. Paolo riassume le due formule in un versetto, dicendo che Gesù, nostro Signore e stato messo a morte per i nostri peccati ed e stato risuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4, 25). Cristo, infatti, è disceso per sottrarci al potere del peccato, ed è risuscitato per generare in noi un cuore puro mediante il fulgore della sua giustizia.

    La genealogia, sia in Matteo sia in Luca, fa. risaltare un contrasto significativo. Matteo la fa passare per Salomone, la cui madre commise adulterio con Davide. Luca, al contrario, la fa passare per Natan, il cui omonimo profeta fu lo strumento del Signore per far espiare a Davide il suo crimine. Dopo essere caduto, Davide fu infatti rialzato dalla misericordia divina. Matteo ci insegna così che il Figlio di Dio si è chinato umilmente fino a noi, mentre Luca ne proclama l'esaltazione al cielo in una gloria trionfale che ingloba anche noi umani. Cristo è sceso fino agli uomini che giacevano a terra, per elevarli vittoriosi con sé, fino alle stelle. Possiamo scorgere un segno del cielo persino nel nome del nostro evangelista, dato che in ebraico Luca significa "colui che si alza", tradotto in latino come "colui che innalza". Quanto perciò avrebbe scritto sul Salvatore era prefigurato dal suo nome, dal momento che il Redentore, levandosi dai morti, ci ha risuscitati ed elevati fino al cielo.

    Le genealogie di Matteo e di Luca non tralasciano che il nostro Redentore è vero re e vero sacerdote. Matteo descrive la sua genealogia regale, mentre Luca ne indica la dignità sacerdotale lungo tutto il percorso del suo libro. Nel raccontare le varie fasi della storia del Signore, Luca tratta più di una volta dell'ufficio sacerdotale e non si scosta mai da quanto riguarda il sacerdozio. Egli parla dell'ufficio assegnato al sacerdote, della sua famiglia, della sua classe, del sacrificio, del tempio, e tra i numerosi elementi che inserisce nella storia sacra, non perde di vista l'intenzione di parlare del sacerdozio. Notate l'inizio della sua narrazione; non dice forse: Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e aveva in moglie una discendente di Aronne (Lc 1, 5)? Poi Luca fa comparire Zaccaria che offre l'incenso davanti all'altare; un po' più in là, conduce la Vergine Maria da Elisabetta, presso la casa di questo sacerdote. Luca e i unico evangelista che ci riferisce i tre cantici che dovevano cantarsi nella liturgia della Chiesa: il primo è quello di Zaccaria, il secondo quello di Maria, il terzo quello di Simeone.

    Sempre interessato al tema del sacerdozio, Luca ci e riferisce la presentazione del Signore al tempio, quaranta giorni dopo la sua nascita, accompagnato dalla Madre. Poi ce lo mostra quando a dodici anni è seduto nel tempio in mezzo ai dottori. A tal proposito l'evangelista narra che i genitori di Gesu avevano l'abitudine di salire tutti gli anni a Gerusalemme a pregare per la festa di Pasqua. Ascoltate come termina il vangelo lucano: Essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24, 52‑53). San Luca è rappresentato con il simbolo del bue, secondo l'iconografia descritta in Ezechiele e nell'Apocalisse. Ora, nel tempio, l'offerta abituale era quella di un bue. Questo simbolo connota molto bene Luca, perché egli ara il terreno del nostro cuore con il vomere della sua lingua sacra e lo feconda gettandovi la semenza evangelica che porterà frutti di vita.

    Luca ci ha lasciato scritta la documentazione delle fatiche e degli atti degli Apostoli, a cui collaborò di persona. Egli ha scritto pure l'Evangelo, ricevuto dal cielo come un rotolo sigillato contenente un grande tesoro. Sicché la profezia di Isaia può essergli applicata alla perfezione: Per voi ogni visione sarà come la parola di un libro sigillato: si da a uno che sappia leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non posso. perché sigillato (Is 29, 11). Che libro è questo volume sigillato se non il santo vangelo? Esso è circondato da figure misteriose, che superano nettamente la comprensione della mente umana per lontananza di arcane profondità. Si deve certamente trattare del libro di cui parla Giovanni nell'Apocalisse: Vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno. sigillato con sette sigilli (Ap 5, 1). E quali sono i sigilli che chiudono il libro dei Vangeli? Si tratta dei sette misteri del Salvatore che costituiscono l'economia salvifica voluta da Dio: l'incarnazione, la natività, la passione, la risurrezione, l'ascensione al cielo, l'ultimo giudizio e infine il Regno. L'evangelo fu sigillato perché nessuno potesse aprirlo, tranne il Signore, come sta scritto: Ecco, ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide; egli dunque aprirà il libro i suoi sette sigilli (Ap 5, 5).

    Negli Atti degli Apostoli, Luca narra una semplice storia. Potremmo dire che egli allatta la tenera infanzia della Chiesa nascente. Notate che Luca è medico, per cui la storia che riferisce è precisamente un farmaco per le anime inferme. Il nostro scrittore racconta in modo molto lineare la vita della Chiesa primitiva e ci invita a seguire direttamente il medesimo percorso. Cerchiamo, perciò, secondo le nostre forze, di vivere come i primi cristiani, affinché la purezza, che scaturisce dalla fonte originaria, si mantenga intatta lungo tutto il percorso ecclesiale sino alla foce. Il vangelo di Luca è infatti uno dei quattro fiumi del paradiso, che irriga con l'abbondanza della sua dottrina l'intero orbe terrestre. Isaia parla delle acque di questo fiume, dicendo: Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua (Is 35, 6). Facciamo ritorno, dilettissimi, all'innocenza della Chiesa primitiva. Impariamo ad abbandonare i nostri beni, a bearci nella semplicità di una povertà regale. Non lasciamoci curvare a terra dal peso dei possedimenti terreni, giacché il Re del cielo ci invita alla gloria della Gerusalemme celeste.

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    Predefinito Omelia di san Gregorio Magno sul vangelo di Luca

    Homilia XVII, 3‑7 in Evangelium; in PL 76, 1139‑1142.

    Fratelli, voi dovete pregare per noi, i predicatori, perché la nostra opera sia feconda. Pregate che la nostra lingua non si intorpidisca, quando invece ha assunto il ministero della predicazione, e perché il fatto di aver taciuto non ci condanni presso il giusto giudice. Capita spesso che la lingua dei predicatori si inceppi sia a causa dei loro difetti personali sia per colpa dei fedeli. Il proprio peccato può rendere muto il predicatore, secondo la parola del salmista: All'empio dice Dio: "Perché vai ripetendo i miei decreti?" (Sal 49, 16). Ma la voce del predicatore può ugualmente spegnersi per colpa dei fedeli, come il Signore ha detto a Ezechiele: Ti farò aderire la lingua al palato e resterai muto: cosi non sarai più per loro uno che li rimprovera, perché sono una genia di ribelli (Ez 3, 26). Come se Dio chiaramente dicesse: "Ti tolgo la parola per predicare, poiché questo popolo mi esaspera con il suo agire; esso non è degno di venire esortato alla verità".Non è facile perciò sapere per colpa di chi il predicatore perda la possibilità di parlare. Sta di fatto che il silenzio del pastore a volte fa male a lui, ma al popolo nuoce sempre.

    Siamo mandati come agnelli tra lupi, perché un'innocenza consapevole ci preservi dal morso della malvagità. Chi assume il compito di predicare, non deve suscitare il male, ma sopportarlo, rimanendone magari ferito. La sua mansuetudine mitigherà il furore di chi lo attacca e guarirà le piaghe dei peccatori. Se talora, per zelo di bene, il predicatore infierisse contro certi fedeli, il suo sdegno nasca da amore, non da crudeltà. Cosi, mentre all'esterno fa valere la disciplina, nell'intimo amerà con affetto paterno quelli che sferza. Sono doveri che il superiore compie bene quando non ama sé stesso per tornaconto personale, non ha nessuna bramosia mondana e non si lascia assoggettare dall'ansia del possesso. Non portate borsa., né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada, ci dice il vangelo. Il predicatore deve avere tanta fiducia in Dio, da non angustiarsi per la gestione della vita presente, nella certezza assoluta che nulla verrà a mancargli. Altrimenti, l'assillo per le cose materiali lo lascerebbe meno libero di procurare agli altri i beni eterni.

    In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritome su di voi. La pace offerta dal predicatore rimane nella casa se vi è un figlio di pace; in caso contrario, ritorna al predicatore. Infatti o vi sarà qualcuno predestinato alla vita eterna che, ascoltando la parola divina, la mette in pratica; oppure nessuno avrà voluto ascoltarla. Il predicatore, comunque, non rimane mai senza frutto, perché il Signore ricompensa la fatica del suo lavoro, facendo tornare a lui la pace. Ecco poi che il Signore proibisce di portare borsa o bisaccia, mentre autorizza a vivere con i frutti ricavati dalla predicazione: Restate in quella casa. mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio e degno della sua mercede. Se in una casa la pace è stata accolta, è giusto che il predicatore vi rimanga mangiando e bevendo, perché così riceve un salario terreno in cambio dei beni della patria celeste da lui offerti a chi lo ha ospitato.

    Il Signore afferma che l'operaio é degno della sua mercede, intendendo che gli alimenti necessari alla vita sono parte della ricompensa per l'evangelizzazione. Iniziata già fin d'ora, questa ricompensa avrà compimento nel giorno eterno con la visione della verità. Notiamo qui che i nostri atti sono doppiamente retribuiti: sia nel pellegrinaggio terreno, sia nella patria celeste. La prima ricompensa sostiene nella fatica, la seconda ci colmerà alla risurrezione finale. La mercede che riceviamo nella vita presente deve spingerci a tendere con più energia verso la ricompensa futura. Il predicatore autentico non deve parlare per ricevere beni terreni; tuttavia, li accoglie per poter vivere e predicare. Chiunque annunziasse il vangelo per riceverne applausi e onori, comprometterebbe senza dubbio la sua ricompensa eterna. Al contrario, c'è il predicatore che si studia d'attirare l'attenzione con un dire elegante e piacevole, non per autoglorificazione ma allo scopo di far amare Dio; oppure egli accetta un compenso, perché la miseria non spenga la sua voce. Costoro non pongono nessun ostacolo alla ricompensa nella patria celeste, perché durante l'esodo terreno hanno unicamente percepito il necessario.

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    Predefinito Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno, papa

    Om. 17, 1-3; PL 76, 1139

    Il nostro Signore e Salvatore, fratelli carissimi, ci ammonisce ora con la parola, ora con i fatti. A dire il vero, anche le sue azioni hanno valore di comando, perché mentre silenziosamente compie qualcosa ci fa conoscere quello che dobbiamo fare. Ecco che egli manda a due a due i discepoli a predicare, perché sono due i precetti della carità: l'amore di Dio, cioè, e l'amore del prossimo.
    Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare per indicarci tacitamente che non deve assolutamente assumersi il compito di predicare chi non ha la carità verso gli altri.
    Giustamente poi è detto che «li inviò avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10, 1). Il Signore infatti segue i suoi predicatori, perché la predicazione giunge prima, e solo allora il Signore viene ad abitare nella nostra anima, quando lo hanno preceduto le parole dell'annunzio, attraverso le quali la verità è accolta nella mente. Per questo dice Isaia ai medesimi predicatori: «Preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio» (Is 40, 3). E il salmista dice loro: «Spianate la strada a chi sale sul tramonto» (Sal 67, 5 volg.). Il Signore salì «sul tramonto» che fu la sua morte.
    Effettivamente il Signore salì «sul tramonto» in quanto la sua morte gli servì come alto piedistallo per manifestare maggiormente la sua gloria mediante la risurrezione. Salì «sul tramonto» perché risorgendo calpestò la morte che aveva affrontato.
    Noi dunque spianiamo la strada a colui che sale «sul tramonto» quando predichiamo alle vostre menti la sua gloria; perché, venendo poi egli stesso, le illumini con la presenza del suo amore.
    Ascoltiamo quello che dice nell'inviare i predicatori: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe» (Mt 9, 37-38). Per una grande messe gli operai sono pochi. Di questa scarsità non possiamo parlare senza profonda tristezza, poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti, e tuttavia si trova assai di rado chi lavora nella messe del Signore. Ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta.
    Perciò riflettete attentamente, fratelli carissimi, sulla parola del Signore: «Pregate il padrone della messe, perché mandi operai per la sua messe». Pregate voi per noi, perché siamo in grado di operare per voi come si conviene; perché la lingua non resti inattiva dall'esortare, e il nostro silenzio non condanni, presso il giusto giudice, noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori.

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    Lanceloot Blondeel, S. Luca dipinge la Vergine, 1545, Groeninge Museum, Bruges

    Donatello, S. Luca, 1428-43, Vecchia Sacrestia, Chiesa di S. Lorenzo, Firenze

    Domenico Ghirlandaio, S. Luca, 1486-90, Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze

    El Greco, S. Luca, 1605-10, Cattedrale, Toledo

    El Greco, S. Luca dipinge la Vergine, prima del 1567, Benaki Museum, Atene

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    Guercino, S. Luca dipinge la Vergine, 1652-53, Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City

    Frans Hals, S. Luca, 1625 circa, Museum of Western European and Oriental Art, Odessa

    Fra Filippo Lippi, S. Luca, 1454 circa, Duomo, Prato

    Stefan Lochner, SS. Marco, Barbara e Luca, 1445-50, Wallraf-Richartz Museum, Colonia

    Nanni di Banco, S. Luca, 1408-15, Museo dell'Opera del Duomo, Firenze

    Jacopo Pontormo, S. Luca, 1525 circa, Cappella Capponi, Santa Felicità, Firenze

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    Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1435, Museum of Fine Arts, Boston

    Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, Hermitage, San Pietroburgo

    Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1450 circa, Alte Pinakothek, Monaco

    Rogier van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, Groeninge Museum, Bruges

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    da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste , trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1196-1199

    18 OTTOBRE

    SAN LUCA, EVANGELISTA

    La benignità del Salvatore.


    San Paolo, nell'epistola a Tito, ricorda per due volte che è "apparsa sulla terra la benignità e l'umanità di Dio Salvatore". Si direbbe che abbia ripetute spesso quelle parole al discepolo prediletto, san Luca, nelle conversazioni, nei viaggi, nella loro lunga intimità.

    Se è cosa difficile stabilire differenze e anche soltanto fare confronti tra i Santi e più ancora fra gli Evangelisti, si può tuttavia notare che il Vangelo di san Luca ci presenta prima di tutto un Salvatore buono e misericordioso. San Luca era uomo di talento, conosceva in modo mirabile il greco, descriveva e dipingeva con garbo scene e paesaggi e aveva un'anima squisita per bontà e dolcezza che dava al talento un'attrattiva straordinaria.

    Il medico.

    San Luca aveva fatto studi di medicina e san Paolo lo chiama "medico carissimo". Nelle narrazioni di guarigioni operate da Gesù rivela la sua qualità di medico sa dissimulare a perfezione quando qualcosa non giova alla buona fama dei medici, come nel caso dell'emorroissa, mentre gli altri evangelisti indugiano sulla incapacità della scienza umana quasi con compiacenza.

    Il ritrattista.

    L'abilità di narratore e di pittore gli ha fatto attribuire il ritratto della Vergine Maria, ma il ritratto più bello della Madre del Salvatore egli ce lo dà nel Vangelo e negli Atti e si pensa con ragione che egli abbia conosciuti i dettagli sull'infanzia del Signore da Maria stessa o dai suoi confidenti immediati.

    Si può dire ancora che egli fu un pittore eccellente del salvatore Gesù. Nel suo racconto, non solo evitò qualsiasi anche apparente severità per le persone, ma notò pure appena di passaggio le crudeltà delle quali il Salvatore fu vittima durante la Passione. Si fermò invece con compiacenza a descrivere a lungo i primi tempi della vita di Gesù, presentandolo sempre con la Madre e parlando spesso della sua preghiera, della sua misericordia per i peccatori, della sua pazienza verso i nemici. Egli ci ha dato i racconti della donna peccatrice, del buon Samaritano, del figlio prodigo, del buon ladrone, dei discepoli di Emmaus e in tutta la narrazione appare preoccupato ispirarci confidenza nella "benignità e umanità del nostra Salvatore" venuto per salvare "tutti gli uomini". Egli vuole persuaderci che tutte le miserie umane, fisiche e morali, possono essere guarite dal Salvatore del quale l'Apostolo, i primi discepoli e la Vergine stessa gli hanno parlato; vuole che intendiamo come rivolte a noi le parole di tenerezza di Gesù: "Dico a voi, che siete miei amici... Non temete, piccolo gregge... " e, leggendo si comprende che lo sguardo di Gesù durante la Passione non si ferma solo su Pietro, ma sopra ciascuno di noi.

    La mortificazione della croce.

    Tuttavia san Luca non pecca di omissione. Ci attira al Maestro, ma non esita a dirci che per seguirlo ed essere degni di Lui, bisogna prendere la croce, rinunciare totalmente a se stessi, abbandonare le proprie cose. Siccome questo non si fa senza sacrificio, egli ce lo dice con dolcezza, imitando la melodia gregoriana del Communio del Comune dei martiri, che si fa carezzevole, seducente, per portarci a prendere con Gesù la croce ogni giorno.

    Egli pure prese la sua croce e la Chiesa nell'Orazione della Messa lo loda "per aver portato sempre nel suo corpo la mortificazione della croce, per la gloria di Dio". Se la Chiesa usa il colore rosso dei martiri, per onorare colui che fra gli Apostoli e gli Evangelisti solo non versò il sangue per Cristo, bisogna che la sua mortificazione sia stata ben meritoria. Fu essa il suo martirio, martirio non di qualche giorno o di qualche ora, ma di tutta la vita, forse ignoto ai contemporanei, ma noto alla Chiesa che, guidata dallo Spirito Santo lo glorifica oggi nella Liturgia.

    L'insegnamento.

    Per noi c'è qui un insegnamento. Come san Luca, possiamo e dobbiamo essere martiri. Col battesimo ci siamo impegnati a preferire la morte al peccato mortale e avviene che noi dobbiamo scegliere tra la morte e il peccato. Bisogna allora scegliere senza esitazione, certi della ricompensa che seguirà alla scelta.

    Ma d'ordinario non possiamo scegliere tra morte e peccato, e la coscienza ci impone soltanto di rinunciare al nostro egoismo e ce lo impone tutti i giorni e, siccome tutti i giorni lo sforzo si rinnova, noi qualche volta cediamo, rinunciando all'amicizia o per lo meno all'intimità divina, conservando nel cuore un poco di amor proprio. Se vi rinunciassimo, ci assicureremmo la gloria che riceve san Luca nella sua eternità beata. La sua intercessione e il suo esempio possano aiutarci a camminare sulle sue orme e su quelle del salvatore e della Madre sua dei quali il Vangelo ci presenta una così seducente figura.

    VITA. - Luca nacque ad Antiochia da famiglia pagana e si convertì senza dubbio verso l'anno 40. Incontrandolo a Troade, san Paolo lo prese per compagno nel secondo viaggio a Filippi, nel 49. Più tardi Luca si unisce definitivamente all'Apostolo. Dopo la morte di san Paolo, Luca lascia Roma e da allora noi perdiamo le sue tracce e più nulla sappiamo di lui.

    Luca è tutto bontà e dolcezza e sfrutta il suo talento letterario, scrivendo il suo Vangelo verso il 60 con lo scopo di attirare i gentili verso la bellezza e la misericordia del Signore. Più tardi scrive gli Atti degli Apostoli. Muore, senza versare il sangue per Cristo, ma la Chiesa l'onora come martire, per la mortificazione e le sofferenze sopportate in vita per la causa del Vangelo.

    La mortificazione della croce.

    Sii benedetto, o Evangelista dei gentili, per aver posto fine alla lunga notte, che ci teneva prigionieri e soffocava i nostri cuori.. Confidente nella Madre di Dio, l'anima tua risente del profumo verginale di queste relazioni e lo riverbera negli scritti e in tutta la vita. Nell'opera grandiosa in cui l'Apostolo delle genti, troppo spesso abbandonato e tradito, ti trovò ugualmente fedele nel momento del naufragio (At 27) e della prigionia (2Tm 4,11) come nei giorni migliori furono tua parte la tenerezza discreta e la silenziosa devozione. Perciò a buon diritto la Chiesa applica a te le parole che Paolo diceva di se stesso: sempre siamo tribolati, esitanti, perseguitati, abbattuti, portando nel nostro corpo la morte di Gesù, questa morte che manifesta senza fine la vita del Signore nella nostra carne mortale (2Cor 4,8-11). Il figlio dell'uomo, che la tua penna ispirata ci fece amare nel suo Vangelo, tu lo riproduci nella sua santità in te stesso.

    Il pittore.

    Custodisci in noi il frutto dei tuoi molteplici insegnamenti. Se i pittori cristiani ti onorano, se è bene che imparino da te che l'ideale di ogni bellezza risiede nel Figlio e nella Madre sua, vi è tuttavia un'arte, che sorpassa quella delle linee e dei colori: quella che produce in noi la rassomiglianza divina. In questa noi vogliamo eccellere alla tua scuola, perché sappiamo di san Paolo, il tuo maestro, che la conformità di immagine con il Figlio di Dio è l'unico titolo alla predestinazione degli eletti (Rm 8,29).

    Il medico.

    Proteggi i medici fedeli, che si onorano di camminare suoi tuoi passi e si appoggiano, nel loro ministero di sacrificio e di carità, alla fiducia di cui tu godi presso l'autore della vita. Aiutali nelle cure rivolte a guarire e a sollevare le sofferenze e ispira il loro zelo quando il momento di una temibile morte si approssima.

    Purtroppo il mondo, nella sua senile debolezza, richiede la dedizione di chiunque sia in grado, con la preghiera e con l'azione di scongiurare la sua crisi. Quando il figlio dell'uomo ritornerà credete che troverà ancora la fede sulla terra? (Lc 18,8) così parla il Signore nel tuo Vangelo, ma aggiunge che bisogna pregare senza interruzione (ibidem), per la Chiesa dei tempi nostri e di tutti i tempi secondo la parabola della vedova importuna, che finisce per aver ragione del giudice iniquo, che ha in mano la sua causa. Dio non renderà giustizia ai suoi eletti, se continuamente lo supplicheranno? tollererà che siano oppressi senza fine? Io vi dico: li vendicherà con prontezza (ivi, 2-8).

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