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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, 941-946

    6 AGOSTO

    TRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE


    "O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli, concedici, nella tua bontà, di divenire coeredi della gloria e partecipi della medesima" (Colletta del giorno). Nobile formula, che riassume la preghiera della Chiesa e ci presenta il suo pensiero in questa festa di testimonianza e di speranza.

    Senso del mistero.

    Ma è bene osservare subito che la memoria della gloriosa Trasfigurazione è già stata fatta due volte nel Calendario liturgico: la seconda Domenica di Quaresima e il Sabato precedente. Che cosa significa ciò, se non che la solennità odierna ha come oggetto, più che il fatto storico già noto, il mistero permanente che vi si ricollega, e più che il favore personale che onorò Simon Pietro e i figli di Zebedeo, il compimento dell'augusto messaggio di cui essi furono allora incaricati per la Chiesa? Non parlate ad alcuno di questa visione, fino a quando il Figlio dell'uomo non sia risuscitato dai morti (Mt 17,9). La Chiesa, nata dal costato squarciato dell'Uomo-Dio sulla croce, non doveva incontrarsi con lui faccia a faccia quaggiù; e quando, risuscitato dai morti, avrebbe sigillato la sua alleanza con lei nello Spirito Santo, solo della fede doveva alimentarsi il suo amore. Ma, per la testimonianza che supplisce la visione, nulla doveva mancare alle sue legittime aspirazioni di conoscere.

    La scena evangelica.

    A motivo di ciò, appunto per lei, in un giorno della sua vita mortale, ponendo tregua alla comune legge di sofferenza e di oscurità che si era imposta per salvare il mondo, egli lasciò risplendere la gloria che colmava la sua anima beata. Il Re dei Giudei e dei Gentili (Inno dei Vespri) si rivelava sul monte dove il suo pacifico splendore eclissava per sempre i bagliori del Sinai; il Testamento dell'eterna alleanza si manifestava, non più con la promulgazione d'una legge di servitù incisa sulla pietra, ma con la manifestazione del Legislatore stesso, che veniva sotto le sembianze dello Sposo a regnare con la grazia e lo splendore sui cuori (Sal 44,5). La profezia e la legge, che prepararono le sue vie nei secoli dell'attesa, Elia e Mosè, partiti da punti diversi, si incontravano accanto a lui come fedeli corrieri al punto di arrivo; facendo omaggio della loro missione al comune Signore, scomparivano dinanzi a lui alla voce del Padre che diceva: Questi è il mio Figlio diletto! Tre testimoni, autorizzati più di tutti gli altri, assistevano a quella scena solenne: il discepolo della fede, quello dell'amore, e l'altro figlio di Zebedeo che doveva per primo sigillare con il sangue la fede e l'amore apostolico. Conforme all'ordine dato e alla convenienza, essi custodirono gelosamente il segreto, fino al giorno in cui colei che ne era interessata potesse per prima riceverne comunicazione dalle loro bocche predestinate.

    Data della festa.

    Fu proprio quel giorno eternamente prezioso per la Chiesa ? Parecchi lo affermano. Certo, era giusto che il suo ricordo fosse celebrato di preferenza nel mese dell'eterna Sapienza: Splendore della luce increata, specchio immacolato dell'infinita bontà (Verso alleluiatico; cfr. Sap 7,26).

    Oggi, i sette mesi trascorsi dall'Epifania manifestano pienamente il mistero il cui primo annuncio illuminò di così dolci raggi il Ciclo ai suoi inizi; per la virtù del settenario qui nuovamente rivelata, gli inizi della beata speranza [1] sono cresciuti al pari dell'Uomo-Dio e della Chiesa; e quest'ultima, stabilita nella pace del pieno sviluppo che l'offre allo Sposo (Ct 8,10), chiama tutti i suoi figli a crescere come lei mediante la contemplazione del Figlio di Dio fino alla misura dell'età perfetta di Cristo (Ef 4,13). Comprendiamo dunque perché vengano riprese in questo giorno, nella sacra Liturgia, formule e cantici della gloriosa Teofania. Sorgi, o Gerusalemme; sii illuminata; poiché è venuta la tua luce, e la gloria del Signore s'è levata su di te (I Responsorio di Mattutino; cfr. Is 60,1). Sul monte, infatti, insieme con il Signore viene glorificata la sua Sposa, che risplende anch'essa della luce di Dio (Capitolo di nona; cfr. Ap 21,11).

    Le vesti di Gesù.

    Mentre infatti "il suo volto risplendeva come il sole - dice di Gesù il Vangelo - le sue vesti divennero bianche come la neve" (Mt 17,2). Ora quelle vesti, d'un tale splendore di neve - osserva san Marco - che nessun tintore potrebbe farne di così bianche sulla terra (Mc 9,2), che altro sono se non i giusti, inseparabili dall'Uomo-Dio e suo regale ornamento, se non la tunica inconsutile, che è la Chiesa, e che Maria continua a tessere al suo Figliuolo con la più pura lana e con il più prezioso lino? Sicché, per quanto il Signore, attraversato il torrente della sofferenza, sia personalmente già entrato nella sua gloria, il mistero della Trasfigurazione non sarà completo se non allorché l'ultimo degli eletti, passato anch'egli attraverso la laboriosa preparazione della prova e gustata la morte, avrà raggiunto il capo nella sua resurrezione. O volto del Salvatore, estasi dei cieli, allora risplenderanno in te tutta la gloria, tutta la bellezza e tutto l'amore. Manifestando Dio nella diretta rassomiglianza del suo Figliuolo per natura, tu estenderai le compiacenze del Padre al riflesso del suo Verbo che costituisce i figli di adozione, e che vagheggia nello Spirito Santo fino alle estremità del manto che riempie il tempio (Is 6,1).

    Il mistero dell'adozione divina.

    Secondo la dottrina di san Tommaso, infatti (III, qu. 45, art. 4), l'adozione dei figli di Dio, che consiste in una conformità di immagine con il Figlio di Dio per natura (Rm 8,29-30), si opera in duplice modo: innanzitutto per la grazia di questa vita, ed è la conformità imperfetta; quindi per la gloria della patria, ed è la conformità perfetta, secondo le parole di san Giovanni: "Ora noi siamo figli di Dio; ma non si è manifestato ancora quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è" (1Gv 3,2).

    Le parole eterne: Tu sei il mio Figliuolo, OGGI io ti ho generato (Sal 2,7) hanno due echi nel tempo, nel Giordano e sul Tabor; e Dio, che non si ripete mai (Gb 33,14) non ha in ciò fatto eccezione alla regola di dire una sola volta quello che dice. Poiché, per quanto i termini usati nelle due circostanze siano identici, non tendono però allo stesso fine - dice sempre san Tommaso - ma a mostrare quel modo diverso in cui l'uomo partecipa alla rassomiglianza con la filiazione eterna. Nel battesimo del Signore, in cui fu dichiarato il mistero della prima rigenerazione, come nella sua Trasfigurazione che ci manifesta la seconda, apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce intesa, il Figlio nella sua umanità, lo Spirito Santo prima sotto forma di colomba e quindi nella nube risplendente; poiché se, nel battesimo, egli conferisce l'innocenza indicata dalla semplicità della colomba, nella resurrezione concederà agli eletti lo splendore della gloria e il ristoro di ogni male, che sono significati dalla nube luminosa (III, qu. 45, ad 1 et 2).

    Insegnamento dei padri.

    "Saliamo il monte - esclama sant'Ambrogio; - supplichiamo il Verbo di Dio di mostrarsi a noi nel suo splendore e nella sua magnificenza; che fortifichi se stesso e progredisca felicemente, e regni nelle anime nostre (Sal 44). Alla tua stregua infatti, o mistero profondo, il Verbo diminuisce o cresce in te. Se tu non raggiungi quella vetta più elevata dell'umano pensiero, non ti appare la Sapienza; il Verbo si mostra a te come in un corpo senza splendore e senza gloria" (Comm. su san Luca, l. vii, 12).

    Se la vocazione che si rivela per te in questo giorno è così santa e sublime (VII Responsorio di Mattutino; cfr. Tm 1,9-10), "adora la chiamata di Dio - riprende a sua volta Andrea da Creta (Discorso sulla Trasfigurazione): - non ignorare te stesso, non disdegnare un dono così sublime, non ti mostrare indegno della grazia, non essere tanto pusillanime nella tua vita da perdere questo celeste tesoro. Lascia la terra alla terra, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8,22); disprezzando tutto ciò che passa, tutto ciò che muore con il secolo e con la carne, segui fino al cielo senza mai separartene Cristo che per te compie il suo cammino in questo mondo. Aiutati con il timore e con il desiderio, per sfuggire alla caduta e conservare l'amore. Donati interamente; sii docile al Verbo nello Spirito Santo, per raggiungere quel fine beato e puro che è la tua deificazione, con il gaudio di indescrivibili beni. Con lo zelo delle virtù, con la contemplazione della verità, con la sapienza, arriva alla Sapienza principio di tutto e in cui sussistono tutte le cose" (Col 1,16-17).

    Storia della festa.

    Gli Orientali celebrano questa festa da lunghi secoli. La vediamo fin dagli inizi del secolo IV in Armenia, sotto il nome di "splendore della rosa", rosae coruscatio, sostituire una festa floreale in onore di Diana, e figura tra le cinque feste principali della Chiesa armena. I Greci la celebrano nella settima Domenica dopo Pentecoste, benché il loro Martirologio ne faccia menzione il 6 di agosto.

    In Occidente, viene celebrata soprattutto dal 1457, data in cui il Papa Callisto III promulgò un nuovo Ufficio e la rese obbligatoria in ringraziamento della vittoria riportata l'anno precedente dai cristiani sui Turchi, sotto le mura di Belgrado. Ma questa festa era già celebrata in parecchie chiese particolari. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ne aveva prescritto la celebrazione in tutte le chiese del suo Ordine quando Cluny ebbe preso possesso, nel secolo XII, del monte Thabor.

    La benedizione delle uve.

    Vige l'usanza, presso i Greci come presso i Latini, di benedire in questo giorno le uve nuove. Questa benedizione si compie durante il santo Sacrificio della Messa, al termine del Nobis quoque peccatoribus. I Liturgisti, insieme con Sicardo di Cremona, ci hanno spiegato la ragione di tale benedizione in un simile giorno: "Siccome la Trasfigurazione si riferisce allo stato che dev'essere quello dei fedeli dopo la resurrezione, si consacra il sangue del Signore con vino nuovo, se è possibile averne, onde significare quanto è detto nel Vangelo: Non berrò più di questo frutto della vite, fino a quando non ne beva del nuovo insieme con voi nel regno del Padre mio" (Mt 26,29).

    Terminiamo con la recita dell'Inno di Prudenzio, che la Chiesa canta nei Vespri ed al Mattutino di questo giorno:

    INNO

    O tu che cerchi Cristo, leva gli occhi in alto; ivi scorgerai il segno della sua eterna gloria.

    La luce che risplende manifesta Colui che non conosce termine, il Dio sublime, immenso, senza limiti, la cui durata precede quella del cielo e del caos.

    Egli è il Re delle genti, il Re del popolo giudaico, e fu promesso al patriarca Abramo e alla sua stirpe per tutti i secoli.

    I Profeti sono i suoi testimoni, e sotto la loro garanzia, testimone egli stesso, il Padre ci ordina di ascoltarlo e di credere in lui.

    Gesù, sia gloria a te che ti riveli agli umili, a te insieme con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

    ------------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    [1] San Leone: II Discorso sull'Epifania.

  3. #13
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    Predefinito Dalle Omelie di Origene sull’Esodo.

    Homélie XII, 3, in SC 16, 249-250.

    Nella Legge Mosè ha soltanto la faccia gloriosa (Cf Es 34,29); nei Vangeli, invece egli è interamente glorificato. Infatti, il racconto evangelico dice che c’erano con Gesù Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria. Non si riferisce che il volto del Patriarca fosse glorificato, ma che egli apparve tutto nella gloria, mentre parlava con Gesù.

    Si compie qui per lui la promessa che aveva ricevuto sul monte Sinai, quando gli era stato detto: Ve drai le mie spalle (Es 33,23). Mosè, di fatto, vide gli eventi a lui posteriori, vide i giorni estremi e ultimi, e gioì. Abramo desiderò di vedere il giorno del Signore, lo vide e se ne rallegrò (Gv 8,56); anche Mosè desiderò vedere il giorno del Signore, lo vide e ne gioì. Non poté non godere, perché questa volta non era solo il suo volto a brillare di gloria come quando era sceso dal monte; ora invece, totalmente glorificato, egli risaliva dal monte verso il cielo.

  4. #14
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    Predefinito Dall’Omelia di Giacomo di Saroug, “Sul velo del volto di Mosè”.

    In “Dieu vivant”, n. 12, pp. 61 ss.

    Strappa, o uomo, il velo dal tuo cuore e guarda Cristo impresso sulla faccia di Mosè. Consapevole, tu chiudi gli occhi della tua anima, ciò che t’impedisce di vedere il dilagare radioso della luce spirituale. Per te è notte; il sole è, sì, apparso all’orizzonte del Golgota, eppure ancora tu non lo vedi illuminare tutto il creato.
    Fino alla crocifissione, la terra era immersa nell’oscurità; la Legge, come una fiaccola, ardeva nelle tenebre, per cui anche l’universo aspirava alla luce della Legge come nella notte l’occhio cerca il lume della lampada. Quando però è spuntato il giorno, lampade e fiaccole diventano inutili, perché il sole illumina ogni cosa.
    Chi è schiavo della Legge assomiglia a un uomo che chiude la porta e accende il lume, senza rendersi conto che è già sorto il sole. Egli non apre l’uscio perché ha paura di scorgere la creazione investita dalla luce; teme di lasciarsi illuminare anche lui dal sole come tutto il resto, senza dover più ricorrere alla lampada. invece, proprio perché le finestre della sua anima sono sbarrate, in pieno giorno egli utilizza la lanterna.

    O uomo, il sole è apparso sulle cime e la luce del giorno ormai investe terra e mare, l’atmosfera e l’universo. Abbandona dunque la tua lampada che serve soltanto di notte. Perché vuoi essere ridicolo quando la terra splende nella luce, perché fuggi il giorno che ormai è davanti a te? Non è più il tempo dei lumi e delle candele. Il sorgere del sole ha tolto ogni loro utilità, ne ha reso vano lo splendore. Il Signore di Mosè, proprio lui, è venuto in questo mondo, e ti annunzia la Verità al posto di Mosè.
    Quando la notte avvolgeva la terra, i profeti accesero lampade per indicare al mondo il cammino verso il chiarore del giorno. Ma quando è apparso il gran Sole di giustizia, egli li ha assolti dal loro incarico non più motivato.
    Mosè è ormai sciolto dalla sua funzione, e in modo onorevole, perché il Figlio di Dio si è cinto di un asciugatoio per servirci.

    O uomo, metti da parte la lanterna che ti illuminava, perché, ecco, da quando è apparsa, smagliante, la luce del giorno sfolgora dall’alto dei monti; la terra intera sembra rinascere ai raggi di questo Sole potente. Apri dunque la tua porta, lascialo entrare; esso t’illuminerà e ti colmerà di gioia.
    Il velo è stato tolto dal viso di Mosè. Volgi gli occhi verso di lui: egli sta davanti a te a volto scoperto, è lui l’uomo che nei tempi antichi tratteggiò il Figlio di Dio. Strappa il velo dal tuo cuore e contemplerai le sublimi bellezze di una profezia ormai svelata.
    Colui che conosce che cos’è la profezia, è bene ora sappia che nel Figlio di Dio si è realizzata. È lui, Cristo, il mistero nascosto che si è rivelato al mondo nella carne.
    Gloria a lui che è venuto a togliere il velo dei profeti!

  5. #15
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    Mount Tabor

    La montagna


    Dagli arabi è chiamato "Gebel et-Tur" (il monte Monte - la montagna per eccellenza), come i monti Garizim, il Sinai e il Monte degli Ulivi. Il Tabor si distingue tra le montagne della Palestina per il suo aspetto pittoresco, aggraziata forma, rimarchevole vegetazione che ricopre le sue pendici rocciose e lo splendore della vista che si gode dalla sommità. È la scena della Trasfigurazione di Cristo. (Barnaba Meistermann)

    FONTE



    La Trasfigurazione nei Vangeli

    Matteo 17, 1-9


    Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo". All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete". Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".

    Marco 9, 2-10

    Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!". Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!". E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.

    Luca 9, 28-39

    Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

    FONTE

  6. #16
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    La Trasfigurazione di Gesù

    di Lino Cignelli, ofm


    Questa volta la meta del nostro pellegrinaggio spirituale è il Monte Tabor. Siamo chiamati a rivivervi un Mistero glorioso di cui si ha sempre bisogno. Da esso ci viene la forza necessaria per camminare, "dietro" a Gesù, sulla via della croce che porta alla gloria finale della Risurrezione (Mt 16, 21 ss).

    1. Generalità.

    Il Monte Tabor è una grandezza biblica. Viene ricordato più volte nell'Antico Testamento (cf. Gdc 4,6.12.14; 1Sam 10,3), dove compare come monte sacro e luogo di culto (Dt 33,18s; Os 5,1). Un salmista canta: Il Tabor e l'Ermon nel tuo nome esulteranno" (Sal 88,13 sec. Lxx). Una profezia della futura Trasfigurazione del Signore? Ad ogni modo è questo Mistero cristologico che ha reso famoso il Tabor.

    Nel nuovo testamento il monte Tabor non è mai ricordato espressamente; però un'antica tradizione, attestata fra gli altri da S. Cirillo di Gerusalemme (Cat 12,16) e da S. Girolamo (Ep. 46,13), lo indica come il luogo del mistero della Trasfigurazione. Un'altra tradizione lo identifica col "monte" della Galilea su cui il Maestro parlò agli Apostoli dopo la risurrezione (Mt 28,7.16). Nel sec. IV‑V S. Giro]amo, residente in Palestina, pensava che il Tabor fosse anche il "monte" dove Gesù ha pronunciato il suo discorso inaugurale, detto appunto "Discorso della montagna" (Mt 5,1ss); ma questa opinione è rimasta senza seguito.

    All'inizio del sec. XII un devoto pellegrino russo, Egumeno Daniil (=Daniele), scriveva: "Il monte Tabor è stato plasmato da Dio in modo meraviglioso e straordinario, (è) di una bellezza indescrivibile, è stato disposto in modo splendido ed è molto alto e grande..." (Itinerario in T. S., Città Nuova 1991, 149). La descrizione risente, evidentemente, dell'esperienza mistica che il devoto pellegrino ha avuto visitando "quel santo monte" (ivi, 150).

    A sua volta il Beato Frédéric Janssoone ofm, pellegrino e guida esemplare del secolo scorso, sentiva il Tabor come luogo di "ritiro" e di contemplazione per le anime che hanno fame e sete del mondo divino (Pages choisies.... par R. Légaré, Québec 1972, 75). Nello stesso senso si era già espresso un omileta greco anteriore al sec. XI.

    Tra queste anime che anelano a Dio vogliamo esserci anche noi. Faremo un pellegrinaggio spirituale al Tabor, "sul monte santo" (2Pt 1,18), allo scopo di capire e accogliere meglio il Mistero glorioso che vi è perennemente attuale. Anch'esso "è stato scritto per nostra istruzione" (Rm 15,4). Ce lo ricorda S. Girolamo: "Ogni cosa fatta da Gesù è mistero, è nostra salvezza" (In Mare. 11, 1 ‑ 10). Uniamoci dunque ai primi spettatori della Trasfigurazione e affidiamoci alla guida di S. Matteo (17,1‑9) e, tramite lui, dello "Spirito di verità" che, solo, può rivelarci la persona e l'opera divina del Cristo.

    Sul Tabor fu eretta per tempo una chiesa‑basilica a ricordo del mistero della Trasfigurazione. Così ce ne parla, nel sec. X, Eutichio d'Alessandria: "La chiesa del monte Tabor sta a rendere testimonianza che Cristo salì su quel monte assieme a tre dei suoi discepoli, figli di Zebedeo, e che fu trasfigurato davanti a loro nella luce della sua divinità, sì che il suo volto divenne come il sole e le sue vesti candide come la luce...» (Libro della Dimostrazione, n. 323; tr. B. Pirone, SOC Collectanea 23, 1990, 33s).

    Entriamo in questa chiesa‑santuario, col Vangelo alla mano, per rivivere nella nostra "carne" il Mistero di gloria che vi è racchiuso e che ci attende tutti. La pagina evangelica relativa è come la voce del Luogo Santo, il suo messaggio vivificante (Gv 6,63). La vogliamo rileggere insieme. La lettura del Vangelo ‑ lo sappiamo ‑ ci fa contemporanei e presenti ai Misteri o atti salvifici del Dio‑Uomo: la fede ce ne fa ‑ deve farcene ‑ partecipi. Con la fede, atto supremo della nostra libertà, si accoglie e si vive il Mistero, si passa dalla teoria alla pratica, dalla conoscenza astratta alla conoscenza concreta e nutriente dell'evento di grazia che c'interpella.

    Eccoci dunque anche noi sul Tabor davanti al Cristo trasfigurato, cioè totalmente bello e beato nella sua umanità personale. Lasciamoci coinvolgere nel Mistero. Questa l'intenzione ultima dell'evangelista stesso e, soprattutto, dello Spirito Santo che ci parla tramite lui. I Santi Padri ce lo ricordano con forza. Per es., Macario il Persiano (sec. IV) si rivolge al singolo fedele in questi termini: "Se Lo cerchi sul monte, ve lo trovi con Elia e Mosè" (Hom. 12,12). S. Girolamo, scrivendo ad amici romani, così li coinvolge nell'evento: «Saliremo sul Tabor, e sotto la tenda del Salvatore noi lo contempleremo in compagnia del Padre e dello Spirito Santo..." (EP 46,13).

    Diamo prima il contesto e poi una lettura e commento del Vangelo della Trasfigurazione secondo Matteo.

    FONTE

    2. Contesto della Trasfigurazione

    L'episodio è legato con quanto precede e ne è lo sviluppo logico. Lo notava già S. Leone Magno (sec. V): "Con l'illuminazione della grazia divina raggiungeremo più facilmente tale comprensione ‑ del "grande Mistero" ‑, se facciamo attenzione al contesto evangelico che precede immediatamente" (Tr. 51,1). Per papa Leone il contesto in questione incomincia dalla confessione di Pietro (Mt 16,13ss). La Trasfigurazione fa quindi luce tanto sulla persona quanto sull'opera di Colui che è "il Cristo, il Figlio del Dio vivente".

    Il Mistero del Tabor si compie "sei giorni dopo" (Mt 17, 1) la grande svolta nella vita pubblica di Gesù, svolta determinata dall'annuncio della Passione e dalla proposta della croce da parte del Maestro "ai suoi discepoli" (Mt 16,21 ss). Precisiamo i passi di questa svolta che segna "il culmine del ministero pubblico di Gesù" (Giovanni Paolo II, Omelia 11‑3‑1990, n. 2).

    In Mt 16,21 il Maestro fa il primo annuncio del Mistero pasquale (passione ‑ morte ‑ risurrezione), sottolineando la fase negativa (molte sofferenze e uccisione da parte dei capi religiosi del popolo). La profezia suscita un'audace e... goffa reazione nel capo degli Apostoli (Mt 16,22). "La protesta di Pietro: 'Questo non ti accadrà mai" (Mt 16,22) ‑annota Giovanni Paolo Il ‑ si ripete anche oggi da parte di chi vorrebbe che la sofferenza non fosse presente nel destino umano".

    Gesù respinge energicamente il tentativo del suo vice di distoglierlo dalla via tracciatagli da Dio Padre (Mt 16,23) e, per giunta, inculca ai discepoli il dovere sacrosanto di seguirlo sulla stessa via: la croce salva se è condivisa (Mt 16,24ss). Il discepolato cristiano si gioca precisamente su "la parola della croce": o la croce o la "perdizione"! (1Cor 1,18; Fil 3,18s; cf. Mt 10,38s; Lc 14,27). Ma dal contesto risulta che i discepoli, con Pietro a capo, non si sono lasciati convincere dal Maestro. A questo punto e in questa situazione si verifica l'evento della Trasfigurazione, con l'intervento decisivo di Dio Padre.

    FONTE

    3. Lettura e commento di Mt 17,1-9

    Dal contesto passiamo al testo. Per forza di cose ci limitiamo ai dati principali, aderendo per quanto possibile alla lettera.

    17, 1. "Sei giorni dopo (il primo annuncio della Passione) Gesù prese (lett. prende) con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse (lett. conduce) in disparte su un alto monte". Il presente storico ("prende", "conduce") serve all'attualizzazione, cioè a suscitare negli ascoltatori interesse e partecipazione all'evento salvifico che viene proclamato.

    "Pietro, Giacomo e Giovanni": sono gli Apostoli prediletti, quelli a cui "Jesù... fè più carezza", al dire di Dante (Par 25,33). Il Signore dona e si dona "a ciascuno secondo la sua capacità" (Mt 25,15).

    "in disparte": il Mistero si compie in un luogo solitario, in un ambiente di ritiro e di preghiera, come specifica S. Luca (9,28s). La teofania, la rivelazione divina, è atto d'amore e, come tale, esige raccoglimento e intimità amicale: non ci si ama e dona in vetrina, sotto gli occhi di tutti... Origene precisa che, oggi come ieri, la visione di Gesù "nella forma o natura divina" è riservata "ai figli della luce" (In Math. com. 2,64; cf. 6,77).

    "su un alto monte": secondo la tradizione è il Tabor, come si è detto all'inizio (v. M.T. Petrozzi, Il M. Tabor e dintorni, Jerusalem 1976, 73ss). Nella Bibbia, il monte "è il luogo classico dell'autorivelazione divina e della preghiera (Lc 6,12; Mt 14,23)", annota J. Ernest (Il Vangelo sec. Luca 1, Morcellania 1985, 416).

    17,2. "E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce". S. Luca aggiunge un particolare importante: "mentre pregava" (9,29). La preghiera è trasfigurante, fonte di bellezza e di gioia divina (Es 34,29). Suor Amata racconta di S. Chiara d'Assisi che "quando essa tornava da la orazione, la faccia sua pareva più bianca e più bella che 'l sole" (FF, n. 3002).

    "Fu trasfigurato": è un passivo teologico, il completamento d'agente sottinteso è "da Dio (Padre)". E' lui il protagonista, invisibile ma presentissimo, di questo evento salvifico come degli altri eventi della vita terrena del Figlio fatto uomo (2Pt 1,17; Gv 8,29; 12,28). La Trasfigurazione è una prima, provvisoria, risposta del Padre buono alla fedeltà del Figlio diletto che predica e pratica per primo "La parola della croce" (1Cor 1,18). L'uomo Gesù diventa, per qualche istante, come sarà un giorno, e per sempre, dopo la Risurrezione: "il più bello tra i figli dell'uomo" (Sal 45,3), "riconoscibile fra mille e mille" e "tutto delizie" (Ct 5,10.16), l'icona perfetta dell'umanità redenta, ossia liberata e promossa al divino.

    Anticipo della Risurrezione in un momento critico, la Trasfigurazione ci rivela insieme la misericordia e il senso pedagogico del Fratello maggiore e, in definitiva, del Padre celeste: dietro il Figlio c'è sempre il Padre (Gv 14,9ss). Loro sanno che noi uomini abbiamo bisogno di sentire e vedere qualcosa per poterci innamorare e impegnare, e così ci regalano quest'ora di paradiso, ci fanno gustare qualche preludio di cielo, in modo che possiamo dire con S. Paolo: "... le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà rivelarsi in noi" (Rm 8,18), e col Poverello d'Assisi: "Tanto è quel bene ch'io aspetto / che ogni pena m'è diletto!".

    17,3. "Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui". S. Luca specifica l'oggetto della conversazione: "La sua dipartita (lett. il suo esodo) che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (9,31), cioè il Mistero pasquale di Gesù. "Mosè" simboleggia la Legge (Toràh), ed "Elia" i Profeti dell'antico testamento, spiegano i Padri della Chiesa. "La Legge e i Profeti ‑ che Gesù è venuto a completare (Mt 5,17) ‑ annunciano la Passione di Cristo", commenta S. Girolamo (In Marc. 9,4), e così S. Cirillo di Gerusalemme (Cat. 12,16) e tanti altri.

    Effettivamente l'Antico Testamento preannuncia il Messia prima sofferente e poi glorioso (Is 52s; Sal 22), e si trova così in pieno accordo con la predicazione di Gesù. Non si può quindi rifiutare l'insegnamento del Cristo in nome dell'Antico Testamento. Il Mistero pasquale di Passione e Risurrezione predicato da Gesù non solo non è contro l'Antico Testamento, ma ne costituisce il messaggio essenziale (Lc 24,26s; 1Cor 15,3s).

    17,4. "Pietro allora prese la parola e disse a Gesù: Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". S. Luca aggiunge finemente: "Egli non sapeva quel che diceva" (9,33; cf. Me 9,6), E' la verità. Altrettanto succede a noi: davanti alla sublimità di Gesù non siamo che dei nani e dei Gervasi...

    Il Maestro sa dare alle cose l'importanza che hanno e perciò lascia cadere la proposta di Pietro. S. Agostino rileva che l'apostolo "voleva stare bene..." e non aveva ancora la "carità" pastorale (Serm. 78,3s).

    17,5. "Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolge con la sua ombra". La "nuvola luminosa" è segno della presenza divina (Shekinàh) e della sua gloria (Es 24,15ss, 34,5). S. Ambrogio vede in questa "nuvola" un simbolo dello Spirito Santo (In Luc. exp. 7,19), e così Giovanni Paolo II (Omelia 11‑3‑1990, n. 2). In base a questa esegèsi, la teofania del Tabor risulta essere un evento trinitario (cf. Mt 3,16s).

    ‑ "Ed ecco una voce che diceva dalla nuvola: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!". Siamo nel cuore del Mistero. Questo intervento di Dio Padre segna il vertice della teofania del Tabor e dell'intero Vangelo di Matteo. il protagonista supremo della Storia della salvezza, il "Padre e Signore del cielo e della terra" come lo chiama il Figlio stesso (Mt 11,25), rompe di nuovo il silenzio e si fa sentire con forza. Sul Tabor Dio Padre "non solo conferma l'attestazione del Giordano: ‑ Questi è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3,17), ma aggiunge perentoriamente: Ascoltatelo! (Mt 17,5). Sempre. Anche quando parla della Croce".

    La voce del Padre è veramente il fatto centrale del Mistero che stiamo rivivendo. Come si è ricordato, la Trasfigurazione avviene in un Momento critico: i discepoli di Gesù, con Pietro a capo, reagiscono all'annuncio della Passione redentrice, cioè al vero messianismo predicato e attuato dal Figlio diletto. Vorrebbero la Risurrezione, il trionfo e la gloria, senza la sofferenza e la morte violenta, più o meno come quei "nemici della croce di Cristo" contro cui insorgerà S. Paolo minacciando loro "La perdizione" eterna (Fil 3,18s). Interviene allora Dio Padre, la suprema autorità, a rompere ogni resistenza. La sua "voce" è chiara, precisa, potente come un "tuono" (Gv 12,28s; Es 19,19), e non ammette repliche: il messaggio e l'esempio del Figlio diletto vanno accettati in pieno, senza storie e senza smorfie, come spiega S. Agostino (In lo. tr. 34,8s). Un messianismo buontempone, festaiolo, senza virtù e doveri è un assurdo, anzi è satanismo (Mt 16,23). Dio Padre e il Figlio diletto non ci salvano a modo nostro, ma a modo loro, unicamente a modo loro...

    Questa "voce" ammonitrice è sempre attuale. Il Padre ce la fa sentire ogni volta che rifiutiamo l'esempio e la parola del Figlio diletto per accodarci a maestri abusivi che vendono un vangelo più o meno "scontato" e accomodato alle pretese della "carne" o uomo vecchio (Gal 5, 19ss). Lui ci vuole e ci mette alla scuola del Fratello maggiore, nostro Maestro e modello unico (Mt 23,8‑10); ci vuole "conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29). E per noi accettare tanto Maestro e modello è dovere e soprattutto interesse, osserva acutamente S. Leone Magno (Tr. 51,6s). Chi infatti non ha quest'unico Maestro, ne avrà parecchi, e tutti più o meno interessati e oppressori, "ladri e briganti" (Gv 10,8). La storia, remota e recente, parla chiaro.

    17,6. "All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore". La teofania dà le vertigini, ricorda Origene citando Esodo 33,20 (In Math. 12,43), come pure S. Cirillo di Gerusalemme (Cat. 10,7) e S. Cromazio di Aquileia (In Math. tr. 54A,8).

    17,7. 'Ma Gesù si avvicinò e, toccandoli, disse: Alzatevi e non temete". Davanti alla prostrazione e allo spavento dei discepoli Gesù si comporta da fratello buono e delicato (cf. Es 20,20). Lo rileva bene S. Girolamo: "Siccome quelli stavano a terra e non potevano alzarsi, Lui dolcemente si avvicina e li tocca. Così, toccandoli, li libera dalla paura e ridà vigore alle membra debilitate..." (In Math. 17,7). Quello di Gesù è un tocco consolatore e guaritore (cf. In Marc. 1,30s; 8,22‑25).

    17,8. "Sollevando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo". La teofania è bell'e finita. Il Maestro è tornato normale, non è più trasfigurato e sfavillante, ma è sempre Lui, "L'incomparabile" al dire di S. Ambrogio (De virg. 1,66), colui con il quale si ha "tutto" (Col 2,3; 3,11). S. Girolamo lo chiama appunto "il nostro tutto" (Ep. 66,8) e ne esalta il fascino e l'importanza assoluta, unica.

    17,9. "E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: Non parlate a nessuno di questa visione finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti". La Trasfigurazione è in rapporto con la futura Risurrezione, ne è un saggio. Gesù, umile e realista, proibisce ai tre discepoli di far conoscere, prima del tempo, la visione goduta sul Tabor. Essi "credettero prestando ascolto ed ubbidendo a Cristo ", commenta Eutichio (o.c., n. 323). Ormai non rifiutano più "La parola della croce" (1Cor 1,18), anche se, fino alla Pentecoste, non riescono a portarla alla perfezione, come rileva S. Bernardo.

    Lino Cignelli ofm dello S.B.F

    FONTE

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    Predefinito La Trasfigurazione di Gesù. Riflessione sul racconto del Vangelo secondo Marco

    LA TRASFIGURAZIONE DI GESÙ
    RIFLESSIONE SUL RACCONTO DEL VANGELO SECONDO MARCO


    (Claudio Bottini, ofm)

    Il racconto della trasfigurazione non è certamente una pericope del Vangelo di Marco poco studiata [1].

    Come è noto l’episodio della trasfigurazione di Gesù si legge in tutti e tre i Vangeli Sinottici (Mt 17,1-8; Mc 9,2-10; Lc 9,28-36) e in punti ritenuti generalmente molto significativi nella narrazione della vicenda terrena di Gesù,[2] L’autore della seconda lettera di Pietro poi (2Pt 1,16-18), forse in dipendenza da una tradizione particolare, se ne serve per rinsaldare la speranza dei cristiani nella parusia. Il tema è conosciuto anche dalla letteratura apocrifa[3], come pure da quella ritenuta gnostica[4], Nella riflessione patristica, sia orientale che occidentale, e medievale la trasfigurazione è presente con grande rilievo come tema teologico, cristologico, spirituale, iconografico e liturgico[5]

    Alcuni di questi significati sono bellamente riassunti nel Prefazio della seconda domenica di Quaresima, che nella traduzione italiana ufficiale del Messale Romano dice: “Egli [Gesù Cristo], dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”[6].

    Nell’esegesi moderna e contemporanea all’episodio della trasfigurazione sono stati applicati un po’ tutti gli approcci e i metodi che si sono avvicendati nello studio dei Vangeli [7].

    Nella presente riflessione rileggiamo il racconto di Marco cercando di cogliere il messaggio che l’evangelista vuole trasmettere alla comunità cristiana. Presenterò anzitutto il contesto ampio e immediato del brano. Poi mi soffermerò a presentare il testo nella sua forma letteraria e infine a illustrare sinteticamente i temi presenti nel racconto della trasfigurazione secondo Marco.

    I. Il contesto e il suo significato

    Anche se nessuna struttura generale del Vangelo di Marco ha finora riscosso il consenso unanime degli studiosi, sull’unità delimitata in 8,27-10,52 vi è un accordo pressoché completo, qualunque sia il criterio adottato nella individuazione del piano.

    L’unità letteraria è scandita da tre predizioni della passione e della risurrezione (8,31; 9,31; 10,33-34), seguite da altrettante annotazioni dell’incomprensione dei discepoli (8,32-33; 9,32-34; 10,35-37) e del successivo ammaestramento degli stessi da parte di Gesù (8,34-38; 9,35-50; 10,38-45). La formula “per via (greco: en të hodö)”, che ricorre all’inizio della pericope della confessione di Pietro (8,27) e alla conclusione della guarigione del cieco di Gerico (10,52), funge da inclusione delimitando la sezione e suggerendone, secondo molti commentatori, anche il tema narrativo e teologico: la sequela di Gesù.
    Altro elemento significativo nel contesto è la funzione parallela delle due guarigioni di ciechi che Marco racconta in 8,22-26 (cieco di Betsaida) per indicare simbolicamente la guarigione dei discepoli dall’incapacità a comprendere l’identità messianica di Gesù e in 10,46-52 (cieco di Gerico) per indicare simbolicamente la guarigione dei discepoli dall’incapacità a comprendere il mistero della missione dolorosa di Gesù che essi sono chiamati a seguire sul cammino della croce[8] Infatti la via che Gesù, Figlio dell’uomo, percorre e sulla quale i discepoli lo devono seguire (8,34; 9,38; 10,32.52) è quella verso Gerusalemme, dove Gesù deve soffrire la passione (10,32.52; 11,1 e 9,33-34; 10,17.46). Unanime è pure la convinzione che Mc 8,27-33 costituisce contemporaneamente il punto di arrivo della prima parte del racconto evangelico e il punto di partenza della seconda. Ciò vale sia per il tema dell’identità di Gesù che per quello del discepolato.[9]

    Le osservazioni, fatte finora, portano a concludere che il racconto della trasfigurazione fa parte di una unità letteraria centrale nel Vangelo di Marco, 8,27-10,52 e che all’interno di quest’ultima esso si trova inserito nella sottosezione 8,22-9,29 che comprende le seguenti unità minori: 8,22-26 il cieco di Betsaida; 8,27-30 opinioni di uomini, fede di Pietro in Cristo; 8,31-32a il Figlio dell’uomo deve soffrire: primo annuncio di passione e risurrezione; 8,32b-33 incomprensione dei discepoli; 8,34-9,1 istruzione sul discepolato; 9,2-13 trasfigurazione; 9,14-29 guarigione dell’epilettico posseduto da uno spirito muto e sordo. Questo contesto ampio e immediato offre senz’altro un primo orientamento per comprendere il significato della trasfigurazione nella logica narrativa e teologica del Vangelo di Marco. Esso si trova in una dialettica tematica dove sono articolati i temi dell’identità di Gesù e della condizione del discepolo.

    La struttura letteraria e tematica del brano 8,22-9,29 mette in rilievo la posizione che occupa il racconto della trasfigurazione [10] Se si tiene presente lo schema ternario costituito da (1) predizione della passione, (2) incomprensione dei discepoli, (3) istruzione di Gesù, il racconto della trasfigurazione resta fuori di esso e si presenta come un “complemento catechetico” o “racconto illustrativo” complementare della istruzione. [11] Ma forse si può essere più precisi. L’istruzione di Gesù culmina in 9,1 con un detto che certamente contiene un contatto letterario e tematico con il racconto della trasfigurazione in 9,9. Dice in 9,1: “In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti che non morranno senza aver visto (an idösin) il regno di Dio venire con potenza” e in 9,9: “Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto (ha eidon), se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti”. Stando a questa corrispondenza ciò che alcuni vedranno (9,1) corrisponde a ciò che i tre discepoli hanno visto sul monte della trasfigurazione (9,9).

    A livello tematico questo contatto è rafforzato se si considera che il cieco a cui Gesù restituisce la vista (8,22-26) è probabilmente simbolo di Pietro che vede e confessa l’identità messianica di Gesù (8,27-30) e dei tre discepoli che vedono l’identità divina / gloriosa di Cristo trasfigurato (9,2-10). Sempre a livello tematico si può ritenere che nell’episodio della trasfigurazione la voce divina del Padre che dice: “Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltateto!” (9,7) costituisce una conferma dell’identica messianica di Gesù confessata da Pietro, della rivelazione sulla sua missione di Figlio dell’uomo sofferente (8,31-33) e della sua istruzione sulla necessità della sofferenza per il discepolo (8,34-38). A quest’ultimo elemento una ulteriore conferma potrebbe venire dal significato simbolico della guarigione dalla mutezza e sordità del ragazzo epilettico (9,14-29).

    Anche queste ulteriori osservazioni sul contesto immediato portano alla conclusione che il racconto della trasfigurazione è inserito in un movimento di pensiero al cui centro si trovano i temi intrecciati tra loro dell’identità messianica e divina di Gesù e della necessità per il discepolo della sofferenza per la sequela. Anzi, si può aggiungere che la trasfigurazione è promessa da Gesù stesso alla fine della sua istruzione (9,1) come un evento che darà loro forza e coraggio per seguire il Figlio dell’uomo nel suo cammino di sofferenza; li assicurerà che tale cammino di sofferenza e di morte sfocerà nella vita e nella gloria del regno di Dio. “Gesù promette che alcuni dei discepoli - per il bene della comunità - vedranno in Gesù il Regno di Dio venuto con potenza; vedranno la sua gloria, frutto della sua morte; gloria che riceverà nella risurrezione ‘come primo atto della parusia’ ”[12]
    ------------------------------------------------------------------------
    note

    [1] Nella bibliografia compilata da F. Neyrinck e collaboratori (The Gospel of Mark. A Cumulative Bibliography: 1950-1999 [BETL 102], Leuven 1992) sono elencati 95 autori che hanno studiato Mc 9,2-10, esclusi quelli che hanno preso in esame solo qualcuno dei versetti della pericope. Per quindici autori si tratta di monografie specifiche o notevoli contributi.

    [2] X. Léon-Dufour, “La trasfigurazione di Gesù”, in Studi sul Vangelo (La parola di Dio 2), 3 ed., Cinisello Balsamo 1974, 105-157, ritiene si possa vedere una trasposizione dell’avvenimento “quale filo conduttore nell’esistenza del Verbo incarnato” e “cristallizzato” in Gv 12,20-32 (a p. 149 le parole citate).

    [3] Apocalisse di Pietro 15-17; Atti di Pietro 20; Atti di Giovanni 90; Atti di Tommaso 143.

    [4] Pistis Sophia I, 2-6.

    [5] Cf. E. Nardoni, La Transfiguración de Jesús y el diálogo sobre Elías según el Evangelio de San Marcos (Teología: Estudios y Documentos 2), Buenos Aires 1976, 25 e le note 3-7

    [6] Significati analoghi sono espressi pure nel Prefazio della Festa della Trasfigurazione nel Messale Romano.

    [7] Cf. C. Clivaz, “La Transfiguration au risque de la compréhension du disciple: Mc 9/2-10”, Etudes Théologiques et Religieuses 70 (1995) 493-508.

    [8] Cf. J. Dupont, “Il cieco di Gerico riacquista la vista e segue Gesù (Mc 10,46-52)”, Parola Spirito e Vita 2 (1980) 105-123

    [9] Cf. I. de La Potterie, “La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33”, in San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, 59-77; V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole / Marco 4,1-34 / nella prospettiva marciana (Aloisiana 13), Brescia 1980, 129 e 115-132; K. Stock, “Vangelo e discepolato in Marco”, Rassegna di Teologia 19 (1978) 1-7; C. Senft, L’Evangile selon Marc (Essais bibliques), Genève 1991, 63-75.

    [10] Qualche autore sostiene che tra 8,22-9,29 si possa individuare una struttura chiastica secondo lo schema A (8,22-26); B (8,27-28); C (8,29.30); D (8,31-33); E (8,34-9,1); D’ (9,2-6); C’ (9,7-8.9-10); B’ (9,11-13); A’ (9,14-29). Cf. Nardoni, La Transfiguración, 40-41 e gli autori ivi citati, cui si può aggiungere B. Standaert, Il Vangelo secondo Marco, Roma 1984, 74.

    [11] Cf. J. Caba, Dai Vangeli al Gesù storico, Roma 1979, 295-299 e altri come I. de La Potterie e X. Léon-Dufour; Senft, L’Evangile, 72-75.

    [12] Nardoni, La Transfiguración, 67. Cf. R. H. Gundry, Mark. A Commentary on His Apology for the Cross, Grand Rapids 1993, 457-459, 462, 466 e 468-469 (con sfumature): la trasfigurazione è un compimento parziale di Mc 9,1.

    FONTE

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    La Trasfigurazione in Mc 9,2-10 (Part 2)

    (Claudio Bottini, ofm)

    2. Osservazioni letterarie

    [13] L’articolazione dell’episodio è molto semplice e lineare. Vv. 2ab: introduzione (Gesù con i tre discepoli sul monte); vv. 2c-4: evento della trasfigurazione (la gloria, Mosè e Elia); vv. 5-6: reazione dei discepoli (le tende); v. 7: interpretazione teofanica (la nube, la voce); v. 8: conclusione; vv. 9-10: obbligo del segreto e meraviglia dei discepoli.

    Nell’introduzione si notano diversi elementi caratteristici della redazione di Marco: i due verbi al presente storico preceduti dalla congiunzione “e (kai)”; il tema del “sesto giorno” nella espressione “dopo sei giorni”; la formulazione della scelta dei tre discepoli; l’uso del verbo “portò sopra (anaferei)” e la formula “loro soli (kat’idian monous)”.

    Anche nella descrizione dell’evento della trasfigurazione si rilevano tratti marciani: l’uso del verbo “si trasfigurò” (metemorföthë) e in particolare con la preposizione “davanti” (emprosthen); la continuazione del racconto con due aoristi passivi all’indicativo introdotti dalla congiunzione coordinante (kai metemorföthë… kai… egeneto); la ripetizione in forma verbale di leukanai “rendere bianche” dall’aggettivo leuka; l’omissione della descrizione del volto di Gesù trasfigurato; il ricorso al paragone con il lavandaio.

    La redazione marciana si lascia riconoscere pure nella descrizione della reazione dei discepoli. La sua mano è evidente nella formula “Prendendo allora la parola, Pietro disse (kai apokritheis legei)” e nella annotazione finale su Pietro in cui resta inserito il tema del timore “Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”.

    Quanto all’elemento della nube Marco sembra voler indicare il suo aspetto benefico nei confronti dei discepoli, perché lega direttamente l’espressione “Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra” a quella sui discepoli presi da spavento. Riguardo alla voce la redazione marciana dell’episodio fa risaltare che essa è diretta ai discepoli.

    La conclusione riflette vocabolario e stile tipici di Marco. L’espressione marciana “… se non Gesù solo con loro (meth’eautön)” sembra ancora una volta mettere l’accento sui discepoli protagonisti dell’episodio.

    La scena costituita dai versetti 9-10 fanno parte del movimento narrativo della trasfigurazione, perché vi si trova un intimo legame con ciò che precede e vi ricompare il tema della reazione di non comprensione - esclusiva di Marco - che si trova pure nel racconto della trasfigurazione.

    La forte impronta marciana rivela che l’evento della trasfigurazione è stato ricevuto e ritrasmesso dall’evangelista. Alla “formazione” dei racconti sinottici della trasfigurazione devono aver contribuito due elementi essenziali: “il ricordo dell’avvenimento che ebbe luogo e le forme letterarie che lo riferirono nei diversi ambienti vitali della Chiesa nascente… All’origine, il racconto della trasfigurazione di Gesù doveva presentarsi come un’apocalisse del Figlio dell’uomo. Dio rivela che Gesù, il Figlio diletto, è il personaggio celeste atteso alla fine dei tempi in vista della salvezza”.

    3. I temi principali del racconto [14]

    “Dopo sei giorni”. Il riferimento immediato di questa indicazione cronologica appare l’episodio della confessione di Pietro, ma secondo alcuni autori essa potrebbe aver perso il suo valore cronologico e avere un senso più profondo. Sinteticamente: un’allusione alla festa della Capanne, basandosi sull’eventuale erezione di tre capanne proposta da Pietro (v. 5); un riferimento a Es 24,16 in cui si dice che la nube ricoprì per sei giorni il monte e il settimo giorno chiamò Mosè; un resto di racconto primitivo di risurrezione; una sincronizzazione tra la trasfigurazione con il settimo giorno della settimana della passione e risurrezione; un ricorso a uno schema semitico in cui l’evento del “settimo giorno” costituisce il climax; un uso di uno schema letterario del giudaismo antico e del cristianesimo primitivo nel quale il sesto giorno svolge un ruolo centrale come il giorno della rivelazione di Dio sul monte Sinai a tutto il popolo e il giorno del dono della legge

    “Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”. Tra “la folla” dei discepoli Gesù sceglie i tre, che nel racconto di Marco avevano presenziato alla risurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,37) e saranno vicini a Gesù nel Getsemani (Mc 14,33). Si tratta di due momenti significativi perché nel primo essi diventano testimoni del potere divino che Gesù rivela di avere risuscitando un morto, segno del potere escatologico che realizzerà la risurrezione dei credenti; nel secondo i tre sono testimoni dell’ora suprema in cui Gesù, Figlio di Dio (Mc 14,36) e “Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori” (Mc 14,41). Analogamente si può pensare che con la restrizione di testimoni immediati viene sottolineato che la trasfigurazione è un evento culmine della rivelazione di Gesù e del suo mistero di morte e risurrezione. [15]

    L’ambientazione non pubblica della trasfigurazione, accostata a quella di alcuni miracoli più fortemente messianici (1,40-45; 5,21-43; 7,31-37; 8,22-26) e al divieto di divulgazione (5,37.40 cf. 5,43; 7,33 cf. 7,36; 8,23 cf. 8,26; trasfigurazione: 9,2 cf. 9,9), va compresa alla luce di una caratteristica tematica del Vangelo di Marco per il quale “quello che è tenuto nascosto alla massa viene rivelato in disparte ai discepoli, nucleo della futura comunità messianica”.[16]
    “Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime…”. Il verbo usato dall’evangelista altrove - si veda in particolare Rm 12,2 e 2Cor 3,18 - indica un cambiamento spirituale. Qui invece si tratta di una trasformazione visibile. Il contesto mostra che non si tratta di una metamorfosi di tipo ellenistico quasi che Gesù acquistasse la natura di un altro essere vivente o di un altro individuo o si presti a un travestimento. Gesù non appare come una divinità che assume corpo umano, né viene a trovarsi in una forma che lo renda irriconoscibile (cf. Mc 16,12 e Lc 24,16). Sul Tabor i discepoli non hanno bisogno di riconoscerlo; la sua realtà individuale e somatica non è mutata.L’evangelista non parla del genere di trasfigurazione subita da Gesù, parla solo del candore unico, celestiale, dei vestiti. A partire da questo si può pensare che “si tratta di una trasformazione in una condizione celeste che si armonizza con il bianco risplendente dei vestiti. Inoltre, secondo la connessione tra 9,1 e 9,9 vedere il Regno di Dio venuto con potenza gloriosa è vedere Gesù trasfigurato. Si tratta pertanto di una trasfigurazione in cui Gesù assume lo splendore della Gloria escatologica in forza della dynamis divina del Regno”.[17] Ma si può ritenere anche più semplicemente che, come nelle apocalissi giudaiche, il candore delle vesti è un segno della gloria celeste che viene concessa agli eletti i quali diventano come gli angeli (cf. Mt 28,3; Ap 3,4; 4,4). Difficile dimostrare che nel bianco delle vesti di Gesù si debba vedere un “tema” che ricompare nel giovane “vestito di una veste bianca” e seduto sul sepolcro aperto secondo quando si legge in Mc 16,5 e stabilire anche per questa via un rapporto tra la trasfigurazione e la risurrezione di Gesù.“E apparve loro Elia con Mosè, che discorrevano con Gesù”. Il significato della presenza accanto a Gesù di questi personaggi celesti ben noti e che nella storia biblica rappresentano rispettivamente i Profeti e la Legge con tutta probabilità vuol indicare che in Gesù i tempi sono compiuti e che Gesù è il Messia. Mosè e Elia sono le sole figure legate a una teofania sul monte Sinai. E’ singolare che Marco nomini prima Elia, ma è difficile dare una spiegazione del fatto.[18]

    Sembra tuttavia che Marco accentui la funzione di questi due personaggi in ordine ai discepoli.

    [19] “Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende…”. Pietro, come preso da una esperienza paradisiaca, esprime anzitutto la sua gioia e fa una proposta per trattenere nel luogo il più a lungo possibile Gesù e i due personaggi celesti. Vari autori vedono in queste parole di Pietro un’allusione alla festa delle Capanne (cf. Es 23,16; Lv 23,27-34; Dt 16,13). Ma a parte il fatto che, se fosse realmente così, forse Pietro avrebbe dovuto proporre la costruzione delle capanne anche per i discepoli, al tempo di Gesù quella festa era legata al pellegrinaggio e a Gerusalemme.

    “Non sapeva infatti cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento”. In questa annotazione dell’evangelista si ritrova, come molto spesso altrove, il tema della reazione di timore, di stupore e simili dei discepoli. Significativi paralleli anche letterari all’interno dello stesso Vangelo sembrano 14,40 e 16,8. Le due affermazioni di 9,6 sembrano la fusione degli altri due testi col risultato di congiungere l’inintelligenza dei discepoli al Getsemani con la paura delle donne al sepolcro. In tale modo l’evangelista sembra alludere all’incapacità dei discepoli di comprendere ambedue gli aspetti, quello tragico e quello glorioso, del mistero e, indirettamente, che la gloria di Gesù trasfigurato è intimamente legata alla gloria che Gesù otterrà in forza della sua morte nella risurrezione. “E’ la Gloria che corrisponde alla passione e morte e quella morte porta con sé la risurrezione gloriosa. La Trasfigurazione di Gesù non è per fare del monte un paradiso; è per stimolare, fortificare nella sequela del cammino della passione. Non è questione di restare sopra il monte, ma di scendere i prendere il cammino della passione. La rivelazione cristologica è orientata a una parenesi ecclesiologica per una comunità posta sulla via che conduce alla passione”.[20] “Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra”. Il tenore dell’espressione sembra indicare che l’azione della nube abbia il compito di proteggere e guidare i discepoli intimoriti dall’evento. Questo significato sembra rafforzato dal fatto che la nube altrove nell’Antico Testamento indica la venuta di Dio nelle sue manifestazioni al popolo dell’Esodo (cf. Es 40,35; Nm 9,18.22; 10,34) e la sua funzione di guida e protezione del popolo nel cammino del deserto (cf. Es 33,9-10; Nm 11,25; 12,5). Forse può alludere anche alla nube escatologica che coprirà il popolo eletto di cui parla Is 4,5. La nube può dunque indicare l’azione benefica di Dio sui discepoli chiamati a seguire Gesù nel cammino verso la croce.“E uscì una voce dalla nube: ‘Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo’ ”. L’associazione tra la nube e la voce è nota sia alla letteratura biblica (cf. Es 16,10; 19,19; 24,16; Nm 17,7) che a quella giudaica antica (Targum Jerushalmi I di Nm 21,6; Targum Neofiti di Gen 22,10). Si tratta perciò di una voce inquadrata in una cornice di teofania o rivelazione che proclama un oracolo divino. Pietro aveva in pratica equiparato Gesù trasfigurato a Elia e Mosè, la voce invece lo contraddistingue nettamente. L’affermazione sulla figliolanza divina richiama indubbiamente la dichiarazione che l’evangelista ha riferito al momento del battesimo di Gesù in Mc 1,11. Lì l’oracolo divino era rivolto a Gesù, qui invece è rivolto ai discepoli e, tramite loro, alla comunità e alle folle. Infatti con l’ordine di ascoltare Gesù, la voce lo presenta indirettamente come il Profeta che tutto il popolo deve ascoltare (cf. At 3,22 che cita Dt 18,15). E’ un comando unico e valido per sempre.

    Il “segreto messianico” e l’incomprensione della passione e risurrezione. E’ scritto: “Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti”. Nel discendere dal monte Gesù parla ai tre discepoli di quanto è avvenuto sul monte e fa loro una consegna. Si tratta del noto tema del “segreto messianico” (cf. 1,34; 3,12 e specialmente 8,30), seguito subito dopo da quello dell’incomprensione degli annunzi della passione e risurrezione del Figlio dell’uomo (cf. 8,32-33; 9,31).

    Nel primo tema è in gioco la proibizione di divulgare la messianicità di Gesù (8,30) e l’evento della trasfigurazione in quanto manifestazione / rivelazione del Figlio di Dio (9,9); “la funzione del divieto è vincolare strettamente la messianicità di Gesù. all’evento della Croce e della resurrezione; al di fuori di quell’evento Gesù non può essere né capito, né proclamato”. [21] Quanto al secondo tema Marco mostra che l’incomprensione degli annunzi della passione e risurrezione del Figlio dell’uomo rimane fino al termine ed è vinta solo dall’illuminazione pasquale. Elemento comune a questi due temi - cui andrebbe aggiunto anche quello dell’incomprensione delle parabole (cf. Mc 4,13.33-34; 7,18) - è la constatazione della “incapacità della mente umana nei confronti della rivelazione divina, la trascendente grandezza del mistero e la gratuità della sua elargizione ai credenti”.[22]

    Tuttavia va notato anzitutto che si tratta di una incapacità “di allora”, che ora, nel tempo dei lettori di Marco, è stata già vinta e superata e poi che essa rinvia alla storia della rivelazione e non può essere interpretata in chiave esclusivamente parenetica e tanto meno polemica. [23]

    Conclusione

    La Chiesa non cessa di riflettere su questo mistero della vita del Signore. Una riflessione che lungo i secoli si è fatta sempre più profonda e ricca. Significativa in questo senso la nota che si legge a commento del racconto di Marco in “La Sacra Bibbia. Nuovo Testamento” a cura della Conferenza Episcopale Italiana: “La trasfigurazione è anticipo della gloria del Risorto. Aiuta a non dimenticare che questo uomo incamminato verso una morte ignominiosa è il Figlio amato di Dio. La parola che viene dalla nube è rivelazione divina: indica Gesù come il Figlio prediletto e ordina di ascoltarlo. Si tratta dello stesso ascolto che Dio chiedeva ad Israele (vedi Dt 6,4) e che acquisterà tutto il suo senso nella fede pasquale” (ed. 1997, p. 120).

    Ho citato quasi all’inizio di questa riflessione un testo liturgico riassuntivo della teologia misterica e della spiritualità esistenziale che l’evento della trasfigurazione ha ispirato nella Chiesa. Concludo anche con un testo liturgico. Si tratta del Prefazio della Festa della Trasfigurazione che si legge nel Messale Ambrosiano: “Cristo rivelò la sua gloria davanti a testimoni da lui prescelti e nella povertà della nostra comune natura fece risplendere una luce incomparabile. Preparò così i suoi discepoli a sostenere lo scandalo della croce, anticipando nella trasfigurazione il destino mirabile di tutta la Chiesa, sua sposa e suo corpo, chiamata a condividere la sorte del suo Capo e Signore”.

    Giovanni Claudio Bottini ofm

    Studium Biblicum Franciscanum - Jerusalem

    -----------------------------------------------------------------------
    note

    [1] In the bibliography compiled by F. Neyrinck and collaborators (The Gospel of Mark. A Cumulative Bibliography:1950-1999 [BETL 102] , Leuven 1992) are listed 95 authors who have studied Mk 9:2-1. This excludes the list of those who have examined individual verses of this pericope. 15 authors deal with this topic in specific monographs or noteworthy contributions.

    [2] X. Leon-Dufour, "The Transfiguration of Jesus", in Studi sul Vangelo (La Parola di Dio 2), 3rd ed., Cinisello Balsamo 1974, 105-157, maintains that it is possible to see a transposition of events leading from the existence of the Incarnate Word to its "crystallization" in Jn 12:20-32 (p.149).

    [3] The Apocalypse of Peter 15-17; The Acts of Peter 20; The Acts of John 90; The Acts of Thomas 143.

    [4] Pistis Sophia I, 2-6.

    [5] Cf. E. Nardoni, La Transfiguracion de Jesus y el dialogo sobre Elias segun el Evangelio de San Marcos (Teologia: Estudios y Documentos 2), Buenos Aires 1976, 25 and notes 3-7.

    [6] Similar meanings are also expressed in the Preface of the Feast of the Transfiguration in the Roman Missal.

    [7] Cf. C. Clivaz, "La Transfiguration au risque de la comprehension du disciple: Mc 9/2-10". Etudes Theologiques et Religieuses 70 (1995) 493-508.

    [8] Cf. J. Dupont, "Il cieco di Gerico riacquista la vista e segue Gesu (Mc 10:46-52)", Parola Spirito e Vita 2 (1980) 105-123.

    [9] Cf. I. De la Potterie, "La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33", in San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, 59-77; V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole / Marco 4,1-34 / nella prospettiva marciana (Aloisiana 13), Brescia 1980, 129 and 115-132; K. Stock, "Vangelo e discepolato in Marco", Rassegna di Teologia 19 (1978) 1-7.

    [10] Some authors claim that between 8:22-9:29 it is possible to find a chiastic structure according to the scheme: A (8:22-26); B (8:27.28); C(8:29.30); D(8:31-33); E (8:34-9:1); D' (9:2-6); C' (9:7-8.9-10); B' (9:11-13); A' (9:14-29). Cf. Nardoni, La Transfiguracion, 40-41 and authors cited.

    [11] Cf I. De la Potterie, "La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33", in San Pietro. Atti della XIX Settimana Biblica, Brescia 1967, 59-77; V. Fusco, Parola e Regno. La sezione delle parabole / Marco 4, 1-34 / nella prospettiva marciana (Aloisiana 13), Brescia 1980, 129 e 115-132; K. Stock, "Vangelo e discepolato in Marco", Rassegna di Teologia 19 (1978) 1-7.

    [12] Nardoni, La Transfiguracion, 67.

    [13] For a synthesis of the opinions and authors, cf. Nardoni La Transfiguracion, 197-199 and its relevant notes.

    [14] From the beginning of the 3rd century the mountain of the Transfiguration came to be identified with Mt Tabor. For references from ancient pilgrims cf. D. Baldi Enchiridion Locorum Sanctorum. Documenta S. Evangelii loca respicientia, Jerusalem 1982, reprint, nn.490-529; for history of the place cf. M.T. Petrozzi, Il Monte Tabor e dintorni (Luoghi Santi della Palestina), Jerusalem 1975.

    [15] Fusco, Parola e Regno, 135.

    [16] Nardoni, La Transfiguracion, 203.

    [17] Nardoni, (La Transfiguracion, 206-208) believes that it is possible to explain this because Mark in 9:10-13 made Elijah to be a "personified symbol of the Passion and Death of Jesus".

    [18] This interpretation is actually found in Bibbia TOB which refers back to Mt 17:5 as well as Mk 9:2. For the latest discussion cf. Nardoni, La Transfiguracion, 209.

    [19] Nardoni, La Transfiguracion, 210 which refers to 2 studies by A. Vanhoye and K. Weiss respectively.

    [20] Fusco, Parola e Regno, 132-133.

    [21] Fusco, Parola e Regno, 136.

    [22] Fusco, Parola e Regno, 136-137.

    [23] Cf. Fusco, Parola e Regno, 136-137.

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    Il monte della Trasfigurazione

    di Michele Piccirillo, ofm


    Il Vangelo non dice dove il Signore si trasfigurò. Accenna soltanto ad una alta montagna della Galilea (Mc 9,2; Mt 17.1) che nella seconda lettera di Pietro, dove l'episodio è di nuovo ricordato, diventa con chiaro riferimento teologico, la santa montagna (2Pt 1,13-18). Ma la tradizione della comunità cristiana di Palestina, fin dai primi secoli, ha dato un nome a questa montagna precisando che si trattava del Tabor. Nel "Transito della Beata Vergine Maria" uno dei tanti apocrifi relativi alla morte e assunzione della Madonna il cui nucleo è da datarsi al II-III sec. D.C., si narra che giunta l'ora dei transito della Vergine, scese Cristo dal cielo con una moltitudine di angeli e accolse l'anima della sua diletta madre: "E fu tanto lo splendore di luce e il soave profumo scrive l'autore che tutti quelli che erano là presenti caddero sulla loro faccia come caddero gli Apostoli quando Cristo si trasfigurò alla loro presenza sul monte Tabor. Così pure leggiamo nell'Apocalisse apocrifa di S. Giovanni il Teologo: "Ascese al cielo il Signore nostro Gesù Cristo, io Giovanni, mi recai solo sul monte Tabor, là dove già ci aveva mostrato la sua divinità immacolata". Tradizione fissatasi definitivamente nel IV sec. e generalizzata dalla liturgia. La Chiesa siriana ricorda la festa della Trasfigurazione come la festa del monte Tabor. Lo stesso si dica della liturgia della Chiesa Bizantina nella quale la festa è conosciuta con il nome di To Taborion.

    La vigilia del 6 agosto, data accettata in tutta la chiesa orientale e occidentale per la celebrazione liturgica a ricordo della Trasfigurazione, molti fedeli di Nazaret e della Galilea salgono il monte per passarvi la festa. In una fresca sera di agosto l'ascensione a piedi diventa quasi una necessità. C'è perfino chi preferisce abbandonare la carrabile tutta tornanti, costruita all'inizio del secolo dai Francescani e prendere la montagna di petto, per i ripidi sentieri che si inerpicano in mezzo al bosco di lecci, di pini e di carrubi. il luogo è unico e invita a simili "pazzie".

    Su questa montagna un giorno Gesù condusse i suoi discepoli prediletti. Leggiamo il racconto nella parafrasi dell'Apocalisse apocrifa di Pietro: "Poi, il mio Signore Gesù Cristo, nostro re, mi disse: Andiamo sul monte santo. I suoi discepoli camminarono con lui pregando. Ed ecco che colà c'erano due uomini. Noi non fummo capaci di fissare il volto di nessuno di loro. Una luce vi si sprigionava più fulgida del sole".

    Il Tabor è situato all'estremità della pianura di Esdrelon a circa 20 km a sud ovest dei lago di Tiberiade e a 7 km a sud ovest di Nazaret, in linea d'aria, e si erge solitario sulla pianura (660 m di altezza). La sua importanza strategica, il verde che lo ricopre, la sua singolarità e il colpo d'occhio che dalla vetta si gode sulla regione circostante, hanno sempre affascinato il viaggiatore e il pellegrino e non poteva restare sconosciuto nella storia del popolo eletto.

    Il Salmista (89,13) cita il Tabor e l'Ermon per esemplificare la magnificenza di Dio nella creazione. Il profeta Geremia, parlando della potenza di Nabucodonosor, re di Babilonia, lo dice stabile e sicuro come il Tabor tra i monti (Ger 46,18). Stando alla testimonianza di antichi scrittori come Flavio Giuseppe ed Eusebio, il Tabor era uno dei termini settentrionali della tribù di Issacar che comprendeva così nel suo territorio la Galilea meridionale (Gios 19,22). Come piazzaforte militare viene ricordata nei libro dei Giudici. Barak, della tribù di Neftali, per suggerimento della profetessa Debora, prende l'iniziativa contro Sisara, generale dei re cananeo di Hazor, e dal Tabor dove ha radunato i suoi uomini, si precipita sul nemico e lo mette in fuga (Giud. 4,Iss).

    Ritorna inaspettato nella storia di Gedeone, della tribù di Manasse, che libera gli lsraeliti dall'oppressione dei Madianiti in due campagne vittoriose: la prima in Cisgiordania, la seconda in Transgiordania. In questa vengono catturati anche i due capi nemici, Zebac e Salmana. Gedeone li uccide perché avevano trucidato "spiega l'autore" i suoi fratelli sul monte Tabor (Giud. 8,18).

    Alcuni commentatori suppongono che il Tabor sia la montagna sulla quale la tribù di Zabulon e di Issacar invitano i popoli ad offrire sacrifici di giustizia (Deut 33,18). Una supposizione che sta all'origine dell'opinione di alcuni rabbi giudei, secondo i quali il Tempio doveva essere costruito sul Tabor, se un espresso comando di Dio non avesse stabilito altrimenti: Nel Targùm di Gerusalemme (Giud 5,5s) è immaginato il Tabor che grida all'Ermon (ben oltre i 2000 m!): "E' su di me che Dio ha stabilito la sua gloria; è a me che essa appartiene di pieno diritto. Quando all'inizio, ai giorni di Noè, il diluvio copriva tutte le montagne, i suoi flutti non passarono né sulla mia testa, né sulle mie spalle. lo sono dunque più elevato di tutte, ed è mio privilegio legittimo di offrire a Dio il luogo dove Egli discende". Di più alcuni opinano che il Tabor fosse stato il primitivo santuario delle tribù del nord, diventato in seguito luogo di culti idolatrici. Ipotesi basata sul testo di Osea 5,1 in cui il profeta rimprovera i capi dei popolo, sacerdoti e casa regnante, perché venendo meno al loro dovere, hanno tollerato i culti illeciti a Mizpa e sul Tabor, divenendo così un laccio per Israele.

    Sulla vetta ben presto i cristiani costruirono tre cappelle, li dove, come nota un pellegrino dei V sec., Pietro pieno di entusiasmo aveva gridato al Signore: "Signore è bene per noi stare qui. Se vuoi, farò qui tre tende: una per te, una per Mosè ed una per Elia". Distrutte, ricostruite diverse volte attraverso i secoli, oggi sono incorporate nella degna basilica costruita agli inizi dei secolo dall'architetto romano Barluzzi, dove noi abbiamo la possibilità oggi di raccoglierci in preghiera.

    Scendiamo nella cripta dove dei mosaici illuminati dal sole, che filtra attraverso la vetrata dell'abside, ci ricordano le altre gloriose e misteriose trasfigurazioni dei Signore: la nascita, l'Eucarestia, la morte e la resurrezione. In questo tripudio di luce e di colori rileggiamo le belle pagine che i Padri hanno scritto su questo episodio in una prospettiva di consolazione e di fiducia cristiana. La Trasfigurazione è per essi l'anticipazione dei ritorno dei Signore all'ultimo giorno, un motivo di speranza. Scrive Origene: '"La Trasfigurazione è simbolo di ciò che avverrà dopo il mondo presente" . In Cirillo di Alessandria leggiamo:" Poiché avevano udito che la nostra carne sarebbe risorta, ma non sapevano in che modo, trasfigurò la sua carne per proporre l'esempio dei suo cambiamento e per rafforzare la nostra speranza". Sempre in questa prospettiva la liturgia bizantina della festa si rivolge al Signore con queste parole: "Per indicare lo scambio che faranno i mortali con la vostra gloria, Salvatore, al tempo della vostra seconda e spaventosa venuta, voi vi siete trasformato sul monte Tabor".

    Il testo più semplice e bello che compendia la speranza cristiana anticipata in questa festa, resta una nota marginale all'Apocalisse apocrifa di Pietro: "Nostro Signore fece vedere nella Trasfigurazione a Pietro Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, le vesti degli ultimi giorni quando avverrà la resurrezione dell'ultimo dì".

    Michele Piccirillo

    FONTE

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    L'Emiro Fakhr ed-Din

    Nato nel 1572, era figlio dell'Emiro Qorqmas della tribù araba "Beni Ma'an" e di religione drusa. L'occupazione turca non aveva offuscato il desiderio di indipendenza nei territori arabi. Fakhr ed Din, nonostante tutto, riuscì ad estendere il suo emirato in una zona dei Libano fino alla costa mediterranea e strinse relazioni ed alleanze con i nemici dei turchi. Con le armi, il denaro e l'astuzia si impadronì dei principali centri e anche di Acri, Banias ed Haifa. Il Sultano, preoccupato, ordinò al Pascià di Damasco di domare il ribelle, ma Fakhr ed Din, prudentemente, preferì - dopo di aver lasciato l'esercito a suo fratello e al figlio - andare in volontario esilio in Italia e precisamente alla corte di Cosimo II de' Medici, ove rimase dal 1613 al 1618. Durante la sua permanenza in Italia fece visita di omaggio a Papa Paolo V e continuò a tessere le fila per scacciare i Turchi dal Libano, dalla Palestina e dalla Siria.

    Finalmente il Sultano - che Fakhr ed Din colmava di atti di deferenza e di doni - gli permise di rientrare in Libano. Ma i pascià di Damasco, di Tripoli in Siria e di Gaza lo accusarono di favorire i cristiani, di aver aperto il porto di Sidone alle navi europee e di tramare contro l'impero turco.

    Nel 1632 un potente esercito ottomano attaccò Fakhr ed Din, lo vinse, lo fece prigioniero e l'emiro fu deportato, con tutta la sua famiglia, a Damasco.

    Il 13 aprile dei 1635 fu condannato a morte: Fakhr ed Din si inginocchiò e fece il segno della croce. Dopo l'esecuzione gli fu trovata indosso una croce d'oro. Pare che l'emiro si fosse convertito al cristianesimo per opera del cappuccino P. Adriano della Brosse.

    La C.T.S. ricorda con riconoscenza l'emiro Fakhr ed Din che ebbe sempre grande amicizia e simpatia per i francescani ai quali, su richiesta del P. Tomaso da Novara, donò le rovine dei Santuario dell'Annunciazione a Nazaret, offrendo anche una somma per restaurare la chiesa e costruire un conventino. Nel 1631 concesse loro anche il possesso del Monte Tabor.

    FONTE

 

 
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