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    Predefinito 6 agosto - Trasfigurazione del Signore

    Il 6 agosto la Chiesa celebra la Festa della Trasfigurazione del Signore. In essa si ricorda la straordinaria esperienza di teofania vissuta dagli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor, quando il Signore Gesù si trasfigurò dinanzi a loro, apparendo nel suo splendore glorioso e si udì la voce del Padre.
    In considerazione di tanto, posto questa festa nel thread sulla SS. Trinità.

    Augustinus

    ****
    dal sito SANTI E BEATI:

    Trasfigurazione del Signore

    6 agosto - Festa

    Manifestazione anticipata della gloria del Signore e profezia del suo esodo al Padre, l'odierna celebrazione mette in luce la dimensione pasquale ed escatologica della liturgia e di tutta la vita cristiana. La parola del Padre preannunzia l'adozione filiale di coloro che, ascoltando e seguendo il Figlio prediletto, diventano i suoi fratelli e partecipi della trasfigurazione eterna. La festa del 6 agosto, originariamente celebrata in Oriente, fu estesa a tutta la Chiesa da Callisto III (6 agosto 1457) a ricordo della liberazione di Belgrado (1456). (Mess. Rom.)

    La liturgia romana leggeva il brano evangelico riferito all'episodio della trasfigurazione il sabato delle Quattro Tempora di Quaresima, mettendo così in relazione questo mistero con quello della passione. Lo stesso evangelista Matteo inizia il racconto con le parole: «Sei giorni dopo» (cioè dopo la solenne confessione di Pietro e il primo annuncio della passione), «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E si trasfigurò davanti a loro: il suo volto risplendette come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce». C'è in questo episodio una netta contrapposizione all'agonia dell'orto del Getsemani. La trasfigurazione, che fa parte del mistero della salvezza, è ben degna di una celebrazione liturgica che la Chiesa, sia in Occidente come in Oriente, ha comunque celebrato in vario modo e in date differenti, finché papa Callisto III elevò di grado la festa, estendendola alla Chiesa universale. (Avvenire)

    Martirologio Romano: Festa della Trasfigurazione del Signore, nella quale Gesù Cristo, il Figlio Unigenito, l’amato dell’Eterno Padre, davanti ai santi Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, avendo come testimoni la legge ed i profeti, manifestò la sua gloria, per rivelare che la nostra umile condizione di servi da lui stesso assunta era stata per opera della grazia gloriosamente redenta e per proclamare fino ai confini della terra che l’immagine di Dio, secondo la quale l’uomo fu creato, sebbene corrotta in Adamo, era stata ricreata in Cristo.

    Martirologio tradizionale (6 agosto): Sul monte Tabor la Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo.

    La liturgia romana leggeva il brano evangelico riferito all'episodio della trasfigurazione il sabato delle Quattro Tempora di Quaresima, mettendo così in relazione questo mistero con quello della passione. Lo stesso evangelista Matteo inizia il racconto con le parole: "Sei giorni dopo" (cioè dopo la solenne confessione di Pietro e il primo annuncio della passione), "Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E si trasfigurò davanti a loro: il suo volto risplendette come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce". C'è in questo episodio una netta contrapposizione all'agonia dell'orto del Getsemani. E’ evidente l'intenzione di Gesù di offrire ai tre apostoli un antidoto che fortificasse in loro la certezza della sua divinità durante la terribile prova della passione.
    L'alto monte, non meglio identificato nel Vangelo, è quasi concordemente ritenuto il Tabor, che si erge nel cuore della Galilea e domina la pianura circostante. La data è da collocarsi tra la Pentecoste ebraica e la festa delle Capanne, nel secondo anno di vita pubblica, il 29, nel periodo dedicato da Gesù in modo particolare alla formazione degli apostoli. Quella montagna isolata era infatti molto propizia alle grandi meditazioni, nel silenzio solenne delle cose e nell'aria rarefatta che mitigava la calura estiva. E in questa suggestiva cornice Gesù si offrì alla vista dei tre prescelti in tutto lo splendore del suo corpo glorioso, quale sarebbe dovuto apparire in ogni istante per la naturale conseguenza della visione beatifica di cui godeva perennemente la sua anima, se per un miracolo d'amore e di umiltà non avesse costretto la propria umanità dentro l'involucro mortale, per offrire il suo corpo passibile di dolore in sacrificio al Padre per la nostra redenzione.
    Con questa soprannaturale visione Gesù dava una conferma alla confessione di Pietro: "Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente". Quell'attimo di gloria sovrumana era la caparra della gloria della risurrezione: "Il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo". Lo stesso tema del colloquio con Mosè ed Elia era la conferma dell'annunzio della passione e della morte del Messia. La trasfigurazione, che fa parte del mistero della salvezza, è ben degna di una celebrazione liturgica che la Chiesa, sia in Occidente come in Oriente, ha comunque celebrato in vario modo e in date differenti, finché papa Callisto III elevò di grado la festa, estendendola alla Chiesa universale, per ricordare la vittoria riportata nel 1456 a Belgrado contro i Turchi e di cui giunse notizia a Roma il 6 agosto.

    Autore: Piero Bargellini




  2. #2
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    Predefinito Dalle Prediche di san Tommaso da Villanova

    Concio I in dom. II Quadrag. Opera omnia, Mi1ano, 1760, t. I, 321-325.

    E' un gran mistero il fatto che Dio abbia voluto vivere tra noi una vita mortale, povera e derisa. Lui stesso ci descrive questa sua esistenza attraverso un salmo: Sono infelice e morente dall'infanzia (Sal 87,16). Tuttavia, l'apparizione glorio sa di Cristo alla trasfigurazione non è meno densa di mistero.

    Un atto così nuovo e straordinario doveva avere una sua ragione. Indaghiamo perciò quale necessità, quale motivo, quale causa spinsero il Signore a svelare oggi la sua maestà. E' difficile penetrare nei disegni di Dio, ma non impossibile; se stiamo a quanto dicono i santi, l'evento che oggi celebriamo ha tre motivi principali.

    Anzitutto il Signore voleva rafforzare la nostra fede. Egli aveva già molte volte provato la sua divinità con la grandezza dei suoi miracoli, il loro numero, il modo di attuarli; altre prove ne erano venute dal compimento delle Scritture, dalla perfezione delle sue virtù e dalla purezza della sua vita. D'altronde Gesù stesso aveva affermato di se: Quelle stesse opere che io sto facendo testimoniano di me (Gv 5, 36).

    Tuttavia, per convincere il mondo di un così grande mistero, ci voleva una prova più decisiva, un segno più lampante. E fra tutte le testimonianze che persuadono la gente, la più forte e la più efficace è la testimonianza della vista. In genere, un testimone oculare è considerato il più attendibile e autorevole. Ecco perché occorreva che la divinità di Cristo si manifestasse visibilmente.

    Senza la prova tangibile della divinità di Cristo, i pagani avrebbero potuto obiettare: "Se Cristo fosse stato Dio, certo l'avrebbe manifestato qualche volta davanti agli occhi degli uomini; egli l'avrebbe mostrato apertamente, perché credessero in lui".

    Anche Filippo aveva detto a Gesù: Signore. mostraci il Padre e ci basta (Gv 14, 8).

    Egli intendeva dire: "Perché moltiplicare le testimonianze su di te? Mostraci la divinità, di cui ci parli, e ci basta". Sicché Cristo oggi opera il prodigio della trasfigurazione. Egli non voleva che nessun segno mancasse alla pienezza della fede nella sua divinità e nella sua gloria. Pensate a quanta forza la fede ha ricavato da questo mistero! Come ne è uscita confermata e avvalorata! Oso affermare che tocchiamo qui la massima prova della divinità di Cristo.

    E' vero che un numero molto più cospicuo di discepoli videro il Signore risorto, ma la trasfigurazione manifesta la sua divinità con evidenza e chiarezza inequivocabili. Inoltre, una volta che Cristo ha svelato la sua gloria a testimoni degni di fede, non rimane più spazio per i dubbi e le incertezze.

    Oltre tutto, il massimo dei misteri, quello della divinità di Cristo, andava confermato dalla testimonianza più grande. Da allora chi è incredulo non ha più scuse.

    Ascoltiamo Giovanni parlarci dei mistero della trasfigurazione: Noi vedemmo la sua gloria, gloria come dì unigenito dal Padre. pieno di grazia e di verità (Gv 1, 14).

    Questo medesimo testimone dice altrove: Ciò che noi abbiamo udito ... ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, noi lo annunziamo anche a voi (1 Gv 1, l. 3).

    Esprimendosi cosi, Giovanni intende affermare: "Non vi raccontiamo delle storie, dei sogni o vacue fantasticherie, ma un evento visibile e notorio, che si è manifestato a noi attraverso non uno, ma più sensi".

    Un altro testimone, Pietro, cosi afferma in una sua lettera: Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza (2 Pt 1, 16).

    Dopo simili dichiarazioni, sarà ancora possibile il dubbio, anche nel cuore più indurito?

    Eppure alcuni potrebbero obiettare: "Perché Cristo non si trasfigurò sulle pubbliche piazze di Gerusalemme? I testimoni sarebbero stati più numerosi. 0 almeno perché non ha mostrato. all'intera comunità apostolica la gloria della trasfigurazione?".

    La risposta è semplice: una prova cosi pubblica, ben lungi dal confermare la fede, sarebbe valsa soltanto a distruggerla, giacché la gente non si sarebbe persuasa grazie alla testimonianza interna della fede, ma grazie all'evidenza.

    Che spazio rimane alla fede la dove i sensi provano tutto? Che merito ci sarebbe a credere in un fatto di pubblico dominio? Quanto più una testimonianza riposa su elementi visibili, tanto più conviene che il numero dei suoi spettatori sia esiguo, affinché il merito della fede non sia distrutto dall'evidenza e da una folla di testimoni.

    Alcuni mi controbattono che gli apostoli non videro in modo vero e proprio la divinità di Cristo. Certo i loro occhi non la contemplarono direttamente, ma da quel che videro, gli apostoli ne ricavarono una certezza assoluta.

    Quante cose si rivelano a noi tramite la vista, senza che le scorgiamo direttamente! Il fumo mi indica il fuoco, la luce mi garantisce la presenza del sole, la vita mi prova che esiste l'anima. Certamente non vedo la tua anima con questi miei occhi di carne, ma potrò dubitare che in te ci sia un principio vitale?

    Come l'anima si rivela in un corpo vivo, cosi Dio si mostra in un corpo glorificato. Non si svela in se stesso, ma in un effetto inequivocabile della sua presenza.

    E' incontestabile che alla trasfigurazione gli apostoli riconobbero chiaramente la presenza della divinità, anche se non avvertirono In modo sensibile che Gesù fosse Dio. Non potevano infatti vedere la divinità che non è percepibile di per se.

    Ne abbiamo una prova nella parola del Padre: perché mai egli avrebbe enunciato una verità che balzava ovvia davanti agli occhi? A che sarebbe servito confermarlo a parole, se la divinità del Figlio fosse stata visibile? Si direbbe invece che la voce veniva a supplire mediante l'udito quanto difettava alla vista.

    L'evangelista san Giovanni sembra però insinuare che gli apostoli contemplarono la gloria della divinità. Infatti egli scrive: Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre. Forse bisognerà intendere così le sue parole: "Noi vedemmo la gloria corporea di Gesù e comprendemmo che si trattava della gloria dell'unigenito del Padre".

    Comunque sia, penso che gli apostoli in quell'occasione ricevettero al massimo grado la conoscenza di questo articolo di fede e la massima testimonianza concessa a un mortale circa la divinità di Cristo.

    In una sua lettera, accennando alla trasfigurazione, Pietro ricorda che abbiamo anche la parola dei profeti, la quale è quanto mai salda (2 Pt 1,19). Egli però non intende metterla a confronto con la testimonianza della trasfigurazione, quasi quest'ultima sia più ambigua; intende solo dire che un profeta non può mai cadere nell'errore, mentre i sensi possono ingannare. Anche se quanto attestano gli occhi ha il massimo valore per l'opinione comune, tuttavia e meno certo di quanto afferma la profezia.

    Il mondo infatti non conosce altro modo di vedere se non quello degli occhi e considera la testimonianza di questi come la più sicura. Gli apostoli non sostennero di aver visto in spirito, poiché la gente non li avrebbe creduti, sebbene la visione spirituale sia più veridica di quella dei sensi. Concludendo, io penso che il motivo prioritario della trasfigurazione sia di provare la divinità di Cristo e confermare la nostra fede.

    Mi sembra che la trasfigurazione abbia anche un secondo motivo, non meno importante del primo.

    Questa manifestazione gloriosa di Cristo scuote la nostra inerzia e ci sprona al bene; in realtà nulla come il pensiero della retribuzione sospinge a lavorare. Sappiamo bene che la vista della ricompensa ci impressiona molto più della sua descrizione.

    Certo sentimmo spesso che la Scrittura ci diceva: Quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì, ne mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1 Cor 2,9). Tuttavia, per accendere il nostro desiderio, per invogliarci alla ricerca attiva di quella gloria futura, era quanto mai indovinato farla brillare ai nostri occhi.

    E poi perché la dottrina evangelica, inaudita quanto severa per la mentalità comune, possa essere accettata da tutti, bisogna che proponga una ricompensa altrettanto bella e gloriosa. Chi mai rinunzierebbe ai beni presenti per ipotetici beni futuri? C'è un detto di sant'Ambrogio che suona pressappoco cosi: "A stento si persuaderebbe l'uomo di acquistare una semplice speranza a prezzo di reali pericoli".

    Come avremmo potuto convincere questo mondo carnale a sganciarsi dai piaceri del secolo presente, senza dargli la prova tangibile che esistono godimenti molto superiori nel mondo futuro?

    I consigli proposti dal vangelo non sono facili da mettere in pratica; occorre rinunziare a se stessi, prendere la propria croce, strapparsi dalle cose, sdegnare onori e piaceri, calpestare le minacce degli uomini e accettarne i tormenti; occorre insomma abbandonare ciò che siamo, forti solo della speranza di essere quello che ancora non siamo.

    Nessuno si lascerebbe coinvolgere dall'assoluto evangelico se non possedesse la prova irrefutabile che i beni futuri sono mille volte superiori a quelli presenti. Il contadino non spargerebbe il frumento nel solchi se gli occhi non gli garantissero che al tempo della mietitura la zolla gli restituirà la semente largamente moltiplicata.

  3. #3
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    Predefinito Dai Discorsi del beato Pietro Il Venerabile

    Sermo I de Transfiguratione Domini, in PL 189, 959-960.966.970‑971.

    Perché meravigliarci se il vangelo ci dice di Gesù che il suo volto brillò come il sole (Mt 17,2)? Cristo non è lui stesso il sole? Finora quel sole era nascosto dietro una nube, ma oggi la nube è rimossa e per un momento egli risplende.

    Di che nube si tratta? Del simbolo raffigurante non la carne, ma la debolezza della carne che per un momento scompare. Isaia l'aveva profetizzato dicendo: Ecco, il Signore cavalca una nube leggera (Is 19,1). La nube significa la carne che ricopre la divinità di Cristo e cela lo splendore divino. Di questa nube si parla anche nel Cantico dei cantici: Alle sua ombra, cui anelavo ... mi siedo ( Ct 2,3).

    Questa nube, però, è leggera, perché la carne di Cristo non è appesantita da colpa, ma è assunta anch'essa agli eterni splendori. Questa carne è leggera, perché è la carne dell'Agnello che toglie i peccati del mondo. Sollevato dal peso dei suoi crimini, il mondo può innalzarsi fino al cielo.

    Il sole velato dalla carne di Cristo non è l'astro che sorge per i buoni e per i cattivi, ma il sole di giustizia che spunta per quelli che temono Dio.

    Oggi la luce,che illumina ogni uomo, risplende sebbene coperta da questa nube di carne. Oggi il sole di giustizia glorifica l'umanità di Cristo e la mostra deificata agli apostoli, perché questi la rivelino al mondo intero.

    Anche tu, città beata, godrai in eterno della contemplazione del sole eterno, quando scenderai dal cielo, preparata da Dio, come una sposa ornata per il suo sposo. Questo sole non conoscerà più tramonto, perché stenderà per te un eterno mattino sereno.

    Questo sole non sarà più offuscato da nessuna nube, perché i suoi raggi ti rallegreranno di una luce senza declino. Esso non abbaglierà più il tuo occhio, ma, rendendoti capace di fissarlo, ti lascerà godere il fascino del suo divino splendore.

    Questo sole non conoscerà alcuna eclissi, perché il suo fulgore non viene interrotto da nessuna tua pena; perché non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno (Ap 21,4) che possano oscurare lo splendore a te dato da Dio.

    Isaia predice questo sole, quando scrive: Il sole non sarà più la tua luce di giorno. ne ti illuminerà più il chiarore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna ( Is 60,19). Questa luce eterna risplenderà per te sul volto del Signore.

    Udendo la voce del Signore e contemplando il suo volto trasfigurato, diventi tu stesso un sole. Sappiamo infatti che si riconosce qualcuno guardando il suo volto, come se si fosse illuminati dalla sua presenza.

    In cielo riconoscerai totalmente colui nel quale in terra ora credi. Qui comprendi con l'intelligenza, lassù lo vedrai in se stesso. Qui scorgi un'immagine oscura in uno specchio, lassù lo contemplerai a faccia a faccia.

    Irraggiato per sempre dal fulgore del sole eterno, lo conoscerai cosi come è e la gioia ti illuminerà. Allora il volto di Dio splenderà su di te per cui verrà esaudito il desiderio del profeta: Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto (Sal 66,2).

    E Pietro, perché chiedi una tenda sulla terra? Perché aneli a trattenere il Signore quaggiù, se egli è solo di passaggio? Perché procurare una dimora caduca a colui che abita nel cielo?

    Dio non è venuto sulla terra per possedere una casa, lui che non volle avere dove posare il capo. Non è sceso tra noi perché tu gli costruissi una dimora, ma per preparare a noi un posto nei cieli.

    Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 17,5).

    Egli è mio Figlio, non per adozione, ma per natura, non nel tempo, ma nell'eternità. Non inferiore a me, ma mio eguale, non uscito da un principio estraneo ma consostanziale a me.

    E' il mio prediletto fin dal principio, perché mio unigenito. Egli raduna in se una moltitudine di figli, e io metto in lui tutto il mio amore a causa della mia giustizia e della mia grazia sovrabbondante. O uomini, vi avevo finora rigettati per i vostri delitti, vi avevo detestato per i vostri incalcolabili crimini, rifiutando d'intrattenermi con voi. Ora invece ascoltate il mio Figlio, credete in lui e fate tutto quello che vi dirà.

    Ti rendiamo grazie, somma Trinità, ti rendiamo grazie, vera unità, ti rendiamo grazie, bontà unica, ti rendiamo grazie, soavissima divinità.

    Ti renda grazie l'uomo, tua umile creatura e tua sublime immagine.

    Ti renda grazie, perché non lo abbandonasti alla morte, ma l'hai strappato dall'abisso della perdizione ed effondi a torrenti su di lui la tua misericordia.

    Egli ti immoli il sacrificio di lode, ti offra l'incenso della sua dedizione, ti consacri olocausti di giubilo.

    O Padre, ci hai mandato il Figlio;

    o Figlio, ti sei incarnato nel mondo;

    o Spirito Santo, eri presente nella

    Vergine che concepiva, eri presente

    al Giordano, nella colomba,

    sei oggi sul Tabor, nella nube.

    Trinità intera, Dio invisibile,

    tu cooperi alla salvezza degli uomini

    perché essi si riconoscano salvati

    dalla tua divina potenza.

  4. #4
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    Predefinito Dalle Omelie di san Gregorio Pálamas.

    Hom. XXXV, in PG 151, 437-438. 441-442. 445-450.

    Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole (Mt 17,1-2). Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza (2 Cor 6,2), fratelli, il giorno divino, nuovo ed eterno, non scandito da intervalli, che non aumenta né diminuisce, e che la notte non interrompe. È il giorno del Sole di giustizia, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento (Gc 1,17). Egli, dal giorno in cui, per la bontà del Padre e la cooperazione dello Spirito Santo, brillò benevolo su di noi, ci trasse dalla tenebra alla sua ammirabile luce. Sole che non conosce tramonto, brilla e distende sul nostro capo l'eternità.

    Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva (Lc 9,33). Mentre Pietro così parlava senza sapere, ecco una nube luminosa li avvolse con la sua ombra (Mt 17,5), interrompendo il discorso di Pietro e mostrando qual era la tenda che si addiceva a Cristo.

    Ma cos'è questa nube, e come mai, pur essendo luminosa, li avvolse con la sua ombra? Non è forse quella luce inaccessibile nella quale Dio abita, e di cui è avvolto come da una veste (Cf Sal 103,3)? Sì, qui luce e tenebra sono identica cosa che, per lo splendore che tutto trascende, avvolge con la sua ombra. Ma i santi teologi testimoniano che anche quanto gli occhi degli Apostoli avevano contemplato in precedenza era inaccessibile. "Oggi — essi dicono — oggi è l'abisso della luce inaccessibile, oggi sul Tabor agli Apostoli risplende l'effusione senza confini del fulgore divino" (Cf Giovanni Damasceno, Omelia sulla Trasfigurazione del Signore, 2, in PG 96, 545).

    Non solo gli angeli, ma anche coloro che, tra gli uomini, vivono santamente, hanno parte di questa gloria e di questo regno; ma il Padre e il Figlio, in unione con lo Spirito Santo, possiedono questa gloria e il regno per natura, mentre gli angeli santi e gli uomini ne partecipano per grazia, da essa ricevendo illuminazione. Questo ci manifestarono anche Mosè ed Elia, che furono visti nella gloria insieme con Cristo (Cf Lc 9,31).

    Comune dunque e unica per Dio e per i suoi santi sono questa gloria, il regno e lo splendore; perciò il profeta salmista canta: Lo splendore del nostro Dio sia su di noi (Sal 89,17 Volgata). Questa gloria e questo splendore tutti lo vedranno, quando il Signore apparirà tra lampi di luce da oriente a occidente; anche ora l'hanno vista coloro che con Gesù sono saliti sul monte.

    Eleviamo l'occhio della mente verso il Verbo che ora siede con il corpo sopra le volte del cielo; egli, seduto, come si conviene a Dio, alla destra della Maestà, ci rivolge, dalla sua sede invisibile, queste parole: "Se qualcuno vuole avvicinarsi a questa gloria, imiti, per quanto gli è possibile, e segua la via e la condotta di vita che gli ho mostrato io sulla terra".

    Contempliamo dunque con i nostri occhi interiori questa grandiosa visione: la nostra natura, che eternamente vive unita al fuoco immateriale della divinità; e, deponendo le vesti di pelle, che abbiamo indossato in seguito alla trasgressione, cioè i pensieri terreni e carnali, cerchiamo la nostra stabilità nella terra santa e ciascuno mostri che la propria terra è santa grazie alla virtù e alla tensione verso Dio. Abbiamo dunque fiducia che Dio prende dimora tra noi nella luce, in modo che, accorrendo verso di lui, ne siamo illuminati e viviamo per sempre nello splendore, a gloria della luminosità di quel triplice e unico sole, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

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    Predefinito Dalla "Difesa dei Santi Esicasti" di san Gregorio Pálamas.

    Défense des saints Hésychastes, I Triade, 34-35. 38-39. 46. Trad. Meyendorff, Louvain, 1959, pp. 186 s. 192 s. 210.


    Il grande Dionigi Areopagita dice che nel secolo futuro noi saremo illuminati dalla visibile manifestazione luminosa di Cristo, come i discepoli al momento della trasfigurazione, e parteciperemo a questa luce intelligibile con la nostra mente diventata impassibile e immateriale; entreremo in quell'unione che è superiore alla mente in sempre più divina imitazione delle menti sovracelesti (De divinis nominibus I, 4, in PG 3, 592).

    La trasfigurazione del Signore sul Tabor fu un preludio della futura manifestazione visibile di Dio e gli Apostoli furono resi degni di percepirla con gli occhi del corpo; perché allora coloro che hanno purificato il cuore non potranno percepire adesso nella loro mente con gli occhi dell'anima il preludio e la caparra della sua manifestazione?

    Il Figlio di Dio, nel suo incomparabile amore per gli uomini, non solo ha unito la sua persona divina alla nostra natura e ha preso un corpo animato e un'anima razionale per apparire sulla terra e vivere tra gli uomini, ma anche si unisce — meraviglia che è oltre ogni misura — alle stesse persone umane, confondendosi con ciascuno dei fedeli nella comunione al suo santo corpo, e diviene un unico corpo con noi, rendendoci tempio dell'intera divinità. Infatti nel stesso corpo di Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9). Come non illuminerà allora, avvolgendole di luce, le anime di coloro che sono degni di essere partecipi dello splendore divino del suo corpo, come illuminò anche i corpi dei discepoli sul Tabor?

    Allora quel corpo, che aveva la fonte della luce della grazia, benché non fosse ancora unito ai nostri corpi, illuminava da fuori quelli che ne erano degni tra quanti gli si avvicinavano e trasmetteva l'illuminazione all'anima tramite gli occhi corporei; ma oggi, poiché è unito a noi ed è in noi, giustamente illumina l'anima dal suo interno.

    Che cosa rimane da dire? Nel secolo futuro non vedremo forse l'Invisibile a faccia a faccia, secondo la parola della Scrittura (1 Cor 13,12)? Perciò fin d'ora quelli che hanno il cuore purificato ne ricevono la caparra e il preludio. Essi ne vedono sensibilmente la figura spirituale e invisibile che abita nel loro intimo. Lo spirito infatti è immateriale per natura e potremmo definirlo una luce apparentata con la Luce prima e sublime, con cui tutti gli esseri comunicano, benché essa tutti li trascenda.

    Quando in una totale tensione verso la vera Luce, nella preghiera immateriale, incessante e purificata, la mente s'innalza definitivamente verso la stessa Deità, quando si trasforma per acquisire fin d'ora la dignità angelica, illuminata dal Lume originale, come gli angeli, allora la mente diventa per partecipazione quello che è l'Archetipo a titolo di principio. Manifesta in sé stessa lo splendore della Bellezza occulta, il suo fulgido chiarore inaccessibile.

    Davide, il divino melode, percepì spiritualmente quella chiarità nel suo intimo, se ne rallegrò e insegnava ai fedeli quel grande e misterioso possesso. Egli cantava: Lo splendore del nostro Dio è sopra di noi (Cf Sal 89,17 Volgata).

    Colui che ama appassionatamente l'unione con Dio fugge la vita soggetta al biasimo, sceglie la vita monastica e verginale, desidera dimorare senza opere e senza preoccupazioni nel santuario della hesychia allontanandosi da ogni relazione. In quella santa quiete scioglie la sua anima, per quanto gli è possibile, da ogni legame materiale, congiunge la mente alla preghiera incessante rivolta a Dio e, tramite essa, divenuto del tutto padrone di sé, trova un nuovo e indicibile mezzo per salire in cielo: la tenebra impalpabile, come si potrebbe definirla, del silenzio che inizia alle cose nascoste.

    Avendo la sua mente rigorosamente applicata ad esso con un piacere ineffabile, in una semplicissima, totale e dolcissima pace, vera hesychia e silenzio, si eleva al di sopra di tutte le creature. Uscendo completamente di sé è diventato tutto di Dio, vede la gloria di Dio e scorge la luce divina, che non cade sotto il senso in quanto tale, in una amabile e sacra contemplazione delle anime e delle menti immacolate. Senza questa luce nemmeno la mente, in quanto dotata di senso intellettuale potrebbe vedere, quando è unita a ciò che è al di sopra di lei, come l'occhio del corpo non può vedere senza la luce sensibile.

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    Predefinito Dalle Omelie di Hervé di Bourg-Dieu.

    Homilia IV, in PL 158, 605. 607-609.

    Il Signore si trasfigurò davanti ai discepoli. Il suo volto cambiò d'aspetto nel senso che depose la forma corporea umana, perché manifestò in modo profetico la gloria futura sua e dei suoi quando brillò come il sole (Mt 17,2). Quel fulgido splendore spettava in modo speciale alla natura umana che egli aveva assunto. Infatti, in nessun modo i discepoli ancora rivestiti di carne mortale potevano contemplare la visione della ineffabile e inaccessibile Deità, destinata a rendere beati i puri di cuore nella vita eterna.

    Con questa trasfigurazione il Signore manifestò in anticipo la gloria che il suo corpo una volta risorto avrebbe irradiato come primo annuncio della chiarità di cui risplenderanno tutti gli eletti alla risurrezione finale. A questo il Signore aveva accennato un'altra volta dicendo: Allora i giusti risplenderanno come il sole (Mt 13,43), nel regno del Padre loro. E qui, come esempio della propria gloria futura, il suo volto brillò come il sole (Mt 17,2); non che il fulgore dei santi possa uguagliare quello del Signore, ma perché non conosciamo nulla di più splendente del sole.

    Pietro disse a Gesù: Maestro, è bene per noi stare qui. Infatti, quanto più uno gusta la dolcezza della vita vera, tanto più prova disgusto per le cose di quaggiù che prima gli piacevano. Per questo Pietro, di fronte alla sfolgorante visione del Signore e dei suoi santi, dimentica d'un tratto tutte le realtà della sua esperienza terrena, proteso a bearsi unicamente di quanto i suoi occhi contemplano. Desidera abitare con Gesù lì dove si manifesta la sua gloria che lo colma di gioia; perciò esclama: Signore, è bello per noi stare qui.

    Davvero, l'unica felicità dell'uomo consiste nel prendere parte alla gioia del suo Signore, nello stare alla sua presenza, fisso in una contemplazione senza termine. Perciò l'uomo che per i suoi peccati non può fissare il volto del suo Creatore, non possederà assolutamente nulla del vero bene. E se la visione dell'umanità di Cristo immerse Pietro in una gioia così grande che non poteva più staccarsene che cosa sarà di quelli che contempleranno la Divinità stessa nella sua trascendenza?

    Pietro credeva di aver raggiunta la somma felicità contemplando il volto trasfigurato di Cristo e con lui di due santi in tutto: Mosè ed Elia. Ma chi potrà dire, chi potrà comprendere la gloria dei giusti quando si accosteranno al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli (Eb 12, 22)? Quando vedranno l'architetto in persona di quella città, il suo Creatore, non come in uno specchio, in maniera confusa, ma a faccia a faccia (1 Cor 13,12)?

    Pietro, però, che stimò bene di costruire tre tende per vivere la vita celeste, non sapeva quel che diceva. Nella gloria del cielo non ci sarà bisogno di casa. La luce della visione divina, diffondendo la sua pace dappertutto, non lascerà posto a venti malefici. Ce lo afferma San Giovanni descrivendo così la Città santa: Non vidi alcun tempio in essa, perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio (Ap 21,22).

    Dalla nube uscì la voce del Padre che diceva: “Questi è il Figlio mio”. Infatti dalle tenebre della Deità immensa e incomprensibile viene a noi altissima notizia della generazione del Figlio eterno di Dio. Là il generante non esiste prima del generato, né questi è prima del Padre. La generazione, come la nascita, sono eterne. Tuttavia, la cima della mente non riesce ancora ad afferrare quello splendore; anche Isaia dichiara: Chi narrerà la sua generazione (Is 53,8 Volgata)?

    Tuttavia, poiché gli Apostoli ardevano dal desiderio di vedere il volto splendente del Figlio dell'uomo, ecco che il Padre si fa udire e insegna loro che questi è il Figlio suo diletto. Così avrebbero appreso dalla contemplazione dell'Umanità splendente di Cristo a bramare la visione della sua Divinità, per la quale Egli è uguale al Padre nell’unità della medesima natura.

    La testimonianza a proposito del Figlio: in lui mi sono compiaciuto (Cf Mt 17,5), ritorna in un altro passo sulle labbra di Gesù: Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite (Gv 8,29).

  7. #7
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    Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita, vescovo (Nn. 6-10; Mélanges d'archéologie et d'histoire, 67 [1955] 241-244)

    Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un'immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16, 28).
    L'evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17, 1-3).

    Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo.
    Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall'alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo si a nostra guida e battistrada. Con lui saremo circondati di quella luce che solo l'occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata.
    Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni.
    Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, è bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).
    Realmente, o Pietro, è davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi è di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce?

    Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «E' bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l'anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle edilizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri.
    Inebriato da tutte quelle delizie, Pietro trasalisce di gioia e viene rapito in estasi. Avverte nel suo intimo una specie d’illuminazione divina e una meravigliosa potenza, prova una gioia incredibile e sconosciuta, un trasalimento divino.

    Per quanto ne è capace, viene a conoscenza di realtà di ordine superiore all’umano, percepisce idee pure e non attinenti al mondo materiale, sperimenta la bellezza dell’incorruttibilità e l’assenza delle passioni. Gli appare, infatti, la gloria folgorante dell’immortalità.
    Oscuramente, come in sogno, intravede i fulgori divini della rigenerazione futura. E poi i regni e le città di lassù, le bellezze e le distese infinite, le glorie, i luoghi di riposo e di frescura. Conosce l’esaltazione intellettuale, i doni inalienabili della vita che verrà, la sobria ebbrezza, le parole spirituali, le feste mistiche, i panegirici delle perfezioni divine, la gioia della danza, nel coro dei viventi: lassù, nel Regno.

    Pietro aveva le chiavi del Regno. Aprì e penetrò nel vestibolo della divinità. Gli occhi del suo spirito si aprirono alla luce ed egli vide - ma era un vedere? - le dimore e i tabernacoli celesti, i talami nuziali ignari delle lacrime. Conobbe le anime spose di Cristo e lo Sposo che nessuno può pretendere di sposare.
    Si offrirono a Pietro gli inviti del banchetto eterno, i troni d’invisibile gloria, le corone imperiture. Vide le fiaccole inestinguibili e le fontane da cui zampilla la luce, assaporò delizie che mai vengono a noia.
    A Pietro sembrò addirittura di palpare tutti quei beni: e allora fu lo slancio totale della sua anima verso di essi, l’intera trasformazione del suo cuore, estraniato da sé e immesso in Dio. In una intensa ebbrezza, fu circonfuso da una luce di gloria e avvolto dalla verità, mentre calava sopra di lui l’oblio totale del mondo e delle sue ricchezze. Una parola gli affiorò sul labbro, espressione della sua gioia sublime: Maestro, è bello per noi stare qui. Egli non sapeva quel che diceva, aggiunge il Vangelo (Lc 9,33).

    Pietro, roccia della nostra fede, stava vicino a Cristo, che è la pietra del Monte. E accanto ai corifei della Nuova Alleanza, stavano pure Mosè, il corifeo della Legge, il mistagogo divinamente iniziato ai misteri, insieme con Ella il Tesbita, accorsi entrambi dal Sinai al Tabor, come di gloria in gloria.
    Ricevuta la Legge, Mosè venne verso la Terra Promessa come richiamato dall’esilio; portando le tavole della Legge, venne verso il suo e nostro Maestro sul monte Tabor; come schiavo estatico davanti al suo signore, contemplò la gloria di Dio su volto umano.
    Mosè riconosce che le celesti prefigurazioni di Cristo, preannunziate lungo i secoli, adesso si avverano; così si sente trasportare in alto, fuori di sé, perché si compie il suo antico desiderio di vedere Dio.
    Eccolo lì, alla destra dell’Altissimo, smarrito e attonito come quando fissò il Roveto ardente. L’apparizione del Signore lo sbalordisce e gli sembra di contemplare di nuovo quel fuoco che sempre arde, quel fuoco che tutto vivifica.

    Ora che è sul Tabor, Mosè non ripete più: Voglio avvicinarmi a vedere questo meraviglioso spettacolo (Es 3,3), ma rivisita la sua esistenza mortale, scandita dai tempi della Legge, con le figure, le ombre, la lettera. Di nuovo esce dall’Egitto, attraversa il Mar Rosso, oltrepassa le rocce dell’Oreb, va peregrinando nel deserto, attraversa Amalec. Abbandona l’Arca dell’Alleanza, la tenda del Convegno, la circoncisione; oltrepassa il Giordano, supera Gerico, abbandona persino il santuario e i sacrifici. Attraversa tutte quelle ombre, rinunciando al sangue, a qualsiasi bene, ai cherubini. Ecco: oltrepassa là prima tenda, poi il secondo velo della Legge e dei Profeti. Finalmente esclama: “Adesso ti vedo, o tu che sei veramente e per sempre, Tu che sei con il Padre e sul Monte dicesti : Io sono colui che sono (Es 3,14).
    Adesso vedo questo meraviglioso spettacolo, ora ti vedo, o tu che un tempo ti rivelasti a me come Dio in modo misterioso e divino. Ora non mi velo più la faccia, ma ti contemplo a viso scoperto e la mia anima è salva. Ora posso contemplare colui che desiderai vedere, esclamando: “Possa vederti per conoscerti, perché la tua apparizione è vita eterna.

    Ora non ti vedo più di spalle, stando sopra la rupe, ma ti contemplo così come mi appari visibilmente sul monte Tabor. Non ti mostri più come allora all’uomo nascosto nella cavità della rupe, o Dio pieno di amore per gli uomini, che ti sei nascosto nella mia forma umana. La tua mano non mi trattiene più nelle tenebre, perché sei veramente la Destra dell’Altissimo che si rivela al mondo.
    Sei il Mediatore dell’Antica e della Nuova Alleanza, il Dio antico e l’Uomo nuovo. Tu sei colui che conversava con me nella tenebra del Sinai e ora ti sei trasfigurato visibilmente sul Tabor. Essere celeste e altissimo, ti compiaci di illuminarci dall’alto dei monti eterni, che sono le sante e celestiali potenze, o dall’alto dei monti che sono i profeti, gli apostoli e le divine chiese fondate su quei monti, cioè sui santi. Da quelle altezze tu mi hai esaudito e, superando tutto il culto della Legge, adesso ti contemplo, o meraviglioso spettacolo!

    Mosè, tenendo fissi gli occhi su di te, esclamò sul monte: Mostrami la tua Gloria! (Es 33,18). Fa’ che ti veda e ti conosca, rivélati a me, se ho trovato grazia ai tuoi occhi. Non c’è niente per me di più amabile al mondo quanto il vederti e saziarmi della tua gloria, della tua bellezza, della tua immagine. Bramo di essere colmato della tua luce, della tua parola, della tua manifestazione visibile, del tuo avvento nel nostro mondo, come in passato mi preannunziasti in enigma.
    Perciò mi prostro davanti a te, ti canto e ti lodo; oltrepassate ormai le tenebre della Legge, posso finalmente contemplare questo meraviglioso spettacolo d’infinita grandezza.
    Nessun uomo può vedermi e restare vivo (Es 33,20), mi dicesti sul Sinai. Come mai ora ti lasci contemplare a faccia a faccia nella carne quaggiù sulla terra, come mai abiti in mezzo agli uomini? Tu che per natura sei Vita e Vivificatore, come puoi affrettarti verso la morte? Tu che abiti nelle sfere più alte, come puoi scendere più giù delle realtà più basse, verso coloro che sono morti? Tu vuoi mostrarti a coloro che da secoli si sono addormentati, vuoi visitare i patriarchi nell’Ade, tu scendi a liberare Adamo dai tormenti. Come è grande, o Signore, il mistero della tua morte!

    Giustamente Mosè disse sul Sinai: Voglio avvicinarmi a vedere questo meraviglioso spettacolo (Es 3,3). Cosa può esserci di più grande e terribile che vedere Dio nella forma di un uomo, con il volto risplendente più del sole e dardeggiante raggi perenni? Infatti, puntando il suo dito immacolato verso il proprio volto, Cristo annunziò a chi era con lui: “Così risplenderanno i giusti alla Risurrezione (Sap 3,7; Mt 13,43) così saranno trasfigurati in questa gloria, trasformati in questa immagine, in questa forma, in questa luce, in questa beatitudine. Così verranno configurati e sederanno con me, che sono il Figlio di Dio”.
    All’udire le parole che Cristo pronunziò allora sul monte della sua Trasfigurazione, gli angeli furono colti da timore, i profeti rimasero sbalorditi, i discepoli caddero in estasi.

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    Raffaello Sanzio, Trasfigurazione (dettaglio), 1518-20, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano, Roma

    Raffaello Sanzio, Trasfigurazione , 1518-20, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano, Roma

    Lorenzo Lotto, Trasfigurazione , 1510-12, Pinacoteca Comunale, Recanati

    Pietro Perugino, Trasfigurazione , 1498, Collegio del Cambio, Perugia

    Duccio di Buoninsegna, Trasfigurazione , 1308-11, National Gallery, Londra

    Giovanni Bellini, Trasfigurazione , 1487 circa, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

    Giovanni Bellini, Trasfigurazione , 1455 circa, Museo Correr, Venezia

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    Beato Angelico, Trasfigurazione , 1440-41, Convento di San Marco, Firenze

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