Dai dati dei Tribunali per i minorenni emerge che 1.721 bambini (età media 10 anni) sono stati arruolati dai clan in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Un convegno a Bari


BARI - Dai dati dei Tribunali per i minorenni emerge come almeno 1.721 bambini sono stati arruolati dai clan mafiosi in Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, con un’età media di dieci anni e mezzo. Questo reggimento di ragazzini ingaggiato dalla mafia è il tema di un convegno in corso a Bari e promosso dall’Associazione magistrati minorenni e famiglia e dalla Camera minorile di Bari e che oggi, tra gli altri ha visto l’intervento del presidente del gruppo Abele don Luiogi Ciotti e dell’on.Nichi Vendola, candidato del centrosinistra alle prossime regionali in uglia e, soprattutto, per anni componente della commissione antimafia. Secondo Vendola «l’antimafia in Italia è stata negli ultimi anni la tela di Penelope, ha tessuto di giorno in termini soprattutto di repressione ed intelligenza militare, ma ha distrutto di notte quello che avrebbe dovuto invece continuare a tessere: l’antimafia sociale, la bonifica delle periferie, la cura delle persone».
«A dispetto dei trionfalismi, gli annunci che siamo quasi sempre ad una fase terminale dei fenomeni di mafia - ha aggiunto Vendola - quando inciampiamo nelle realtà come i ragazzi di mafia, ci accorgiamo che ci siamo illusi, che non era vero che la mafia era soltanto una banda armata e che si trattava semplicemente di sdradicarla».
«La verità è che la mafia è un sistema di potere una cultura, una forma dell’organizzazione del dominio, un principio di ingiustizia tradotto nella morfologia delle nostre vite sociali e non c’è lotta alla mafia che possa essere soltanto il contrasto militare - ha sottolineato ancora Vendola - invece si discute di come poter abbassare l’età della punibilità del minore, e non del minore affidato ad un mondo di solitudine, senza protezione sociale, che delinque e devia perchè non ha nessuno che lo aiuta, che gli dà fiato e che non ha la struttura della società che corre ad acciuffarlo quando si perde nei labirinti del degrado metropolitano».Se un bambino diventa un baby-killer, un minore gira armato di mitraglietta «non riesco a vedere in lui una specie di mostruosità- ha detto Vendola - ma la vedo in me perchè è infinite volte vittima di qualcosa che è accaduto attorno a noi e che ha consentito a lui di trovare solo quella collocazione che gli desse valore». «Bari è la città dove c’è una strage di ragazzini, assassini e vittime sono ragazzini, di clan avversari o della stessa cosca, ma ragazzini di nessun clan sono anche le vittime involontarie che si trovavano a passare per caso lungo la traiettoria di un proiettile; l’antidoto alla mafia non sono il galateo e le facili lezioni di legalità- ha concluso Vendola - ma la lotta contro la solitudine perchè la mafia cresce ed è forte quando le persone sono deboli e senza diritti».
Non meno amara l’analisi di don Ciotti per il quale « i ragazzi di mafia sono il prodotto dei loro contesti di vita, e se non si interviene in questi contesti non se ne esce, ma non si può pensare di intervenire solo sui ragazzi: occuparsi di loro è giusto, ma non diventi però l’alibi per non occuparsi del resto». «Non dobbiamo usare i ragazzi come copertura di una società che è malata ed arranca - ha insisttito il presidente del gruppo Abele - si decida invece che la questione bambini-ragazzi-famiglia è una priorità nazionale non solo per i ragazzi di mafia. Da un recente studio viene la conferma, leggendo la loro infanzia e adolescenza - ha proseguito - che i ragazzi emersi in un recinto mafioso sono condannati, se non si spezza questo cerchio, alla loro diversita.Per il bambino che cresce in una famiglia mafiosa è normale quello che si respira in casa, è anormale quello che succede fuori». «la storia ci ha dimostrato, in realtà diverse, che più servizi, più risposte sociali adeguate, come qualità e numero ai bisogni dei minorenni, fanno decrescere la criminalità - ha concluso don Ciotti - mentre quando non si è investito in questa direzione abbiamo trovato una grossa crescita delle devianze, al nord come al sud, la grande sfida è garantire livello sociale, risorse, investimenti, opportunità sociali, prospettive lavorative, parlare di promozione sociale vuol dire far vivere innanzitutto il tessuto sociale, culturale ed educativo».

29/1/2005