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    La figura, non certo felice, di uno degli ultimi monarchi della dinastia dei Borbone, causa il bombardamento di Messina nel 1848. Fu tuttavia un personaggio che, in un periodo storico travagliato tra guerre e rivoluzioni, forse rappresentò per il Sud il tentativo di un rinnovamento soprattutto tecnologico e sociale al di là della politica conservatrice di un regno filo-asburgico.

    "FERDINANDO (Carlo Maria) II di Borbone (Palermo 1810 - Caserta 1859).

    di Brigantino

    Il più grande Re e uomo di stato che il Sud abbia mai prodotto in assoluta autonomia nacque in Sicilia, dove la famiglia si era trasferita a seguito della seconda aggressione francese (1806).

    Arrivato a Napoli nel 1815, all'età di 5 anni, seppe rappresentare totalmente il carattere meridionale e restò per sempre un ostinato, geloso difensore dell'autonomia e dell'indipendenza del nostro Paese.

    Salì al trono appena ventenne l’8 novembre 1830. Iniziò il suo regno con un'austera riforma finanziaria ed amministrativa. L’entusiasmo provocato dall’attivismo del giovane re, spinse le logge massoniche a sollecitarne l’adesione alla causa dell’unità italiana, ed una delegazione delle logge bolognesi gli offrì la promessa di riconoscerlo re della federazione italiana, in cambio appunto del suo appoggio.

    Ma Ferdinando era profondamente cattolico, e credeva sinceramente nei diritti degli altri principi italiani e del Papa: perciò declinò senza tentennamenti. Anche in questo caso dimostrò la sua solare meridionalità di uomo pacifico, non incline all’espansionismo e alla turbativa.

    Era il re del Regno delle Due Sicilie per grazia di Dio, uno Stato che avrebbe voluto rimanere in grazia di Dio. Sposò a Genova il 21 novembre 1832 Maria Cristina di Savoia (Cagliari 14.11.1812 - Napoli 31.1.1836), figlia del Re Vittorio Emanuele I, da cui ebbe l'erede Francesco; rimasto vedovo sposò in seconde nozze a Trento il 9 novembre1837 Maria Teresa d’Austria (Vienna 31.7.1816 - Albano Laziale 8.8.1867).

    La famiglia non fu certo tutta alla sua altezza: la prima defezione venne dal fratello Carlo, principe di Capua e Comandante della Real Marina. Questi aveva per amante Penelope Smith, nipote del primo ministro inglese lord Palmerston, e nel giugno 1833 partecipò alla congiura dell’Angelotti che si prefiggeva di uccidere il Re e di sostituirlo con lo stesso Carlo. Il complotto fu sventato e Ferdinando, come unico provvedimento, lo esonerò dalla carica (Carlo morì, guarda caso, a Torino nel 1862).

    Anche altri due fratelli del Re, Leopoldo Conte di Siracusa, sposato con Maria Vittoria di Savoia Carignano, (Palermo 22.V.1813-Pisa 4.XII.1860) e Luigi Conte d’Aquila tradiranno il Paese dopo la morte di Ferdinando. Particolarmente grave fu la defezione di Luigi, che tra il 1859 ed il 1860 riuscì a trascinare nella sua setta quasi tutti i comandanti delle navi da guerra, rendendo possibile l'invasione piemontese e la difesa dello stato. Per lui, nell'inferno dantesco, vi sono nel nono cerchio ben tre zone: riuscì infatti a tradire contemporaneamente i parenti (il Re), la Patria, ed il Benefattore (sempre il Re).

    Il grande tentativo di Ferdinando fu quello di sottrarre lo Stato alle mire delle potenze imperialiste (l'Inghilterra coloniale e Francia di Napoleone III) che cercavano - a turno - di conquistare con ogni mezzo il controllo economico di tutto il Mediterraneo.

    Questo slancio fu chiamato «protezionismo». Il suo rapporto privilegiato con i ceti popolari, in antitesi con gli interessi feudali dei proprietari terrieri e con le velleità di una borghesia economicamente rapace quanto politicamente immatura e velleitaria, fu presentato come «paternalismo». Il «protezionismo» ed il «paternalismo» furono bollati dalla storiografia risorgimentale quali espressioni di una politica miope e retrograda.

    Si trattò di un modo, tutt'oggi utilizzato, per mascherare la realtà, nell'intento di appannare l'evidenza della spoliazione economica del Meridione seguita alla conquista militare piemontese del 1860-61 e per nascondere la verità di un sistema politico che concentrava il potere proprio nelle mani di quei gruppi economici (i proprietari terrieri eredi del feudalesimo) e sociali (la miope borghesia dei «paglietti») contro cui Ferdinando II aveva fatto di tutto per difendere i ceti popolari.

    Ferdinando teneva ad assicurare la maggiore prosperità possibile al popolo. Nella sua concezione non si preoccupava di altro se non di contentare il popolo. Bisogna leggere le istruzioni agli intendenti delle province, ai commissari demaniali, agli agenti del fisco per sentire che la monarchia cercava di basarsi sull'amore della classi popolari. Il Re stesso scriveva agli intendenti di ascoltare chiunque del popolo. Li ammoniva di non fidarsi delle persone più potenti: li incitava a soddisfare con ogni amore i bisogni delle popolazioni.

    Fra il 1848 ed il 1860 si cercò di economizzare su tutto, pur di non mettere nuove imposte: si evitavano principalmente le imposte sui consumi popolari. Il Re dava il buon esempio, riducendo la sua lista civile. Fatto questo non comune nella storia dei principi europei, in regime assoluto o in regime costituzionale.

    Nel 1839 inaugurò la Napoli - Portici, primo tronco ferroviario costruito in Italia. Il 29 gennaio 1848 concesse la costituzione e nel marzo seguente per volontà dei liberali al governo, le Due Sicilie, interrompendo un lungo periodo di pace, inviarono un contingente di truppe al comando di Guglielmo Pepe a combattere contro l'Austria a fianco dei Sardi.

    Ma dopo gli incidenti napoletani del 15 maggio tra le truppe e i liberali, il Re fu costretto a sciogliere la camera e richiamare l'esercito dal nord. Nel maggio 1849 domò la sommossa della Sicilia. Questi avvenimenti pesarono non poco sul suo carattere e sul suo entusiasmo. Ma continuò la sua originale politica di sviluppo della Nazione, cui dedicò tutto il possibile amore.

    La sua fiducia nel prossimo era però uscita scossa da tanti contrasti. I popolani continuarono ad essere al centro della sua attenzione. Costruì industrie, strutture, strade porti, sviluppò commerci e istituti sociali. Purtroppo morì prematuramente a nemmeno 50 anni, mentre le nubi cominciavano ad ammassarsi sull'Antico Regno.

    Fu in politica, come forse tutti i grandi, un uomo solo; i suoi resti riposano in Santa Chiara. Il Re “bomba” La crudele storiografia ha attribuito al nostro Re l’epiteto di “bomba”, perché avrebbe consentito il bombardamento di Messina il 5 settembre 1848.

    La città, come l’intera isola, era nelle mani degli insorti separatisti, finanziati dai potentati stranieri. L’esperimento costituzionale doveva fallire per consentire e giustificare l’ergersi di un inflessibile isolamento internazionale, giudice unico ed attento di ogni asserita manchevolezza.

    Così si determinò le sorti dei nostri popoli, si creò il “mostro”, con ripetute azioni e prepotenze, e con larghezza di mezzi ben sapendo che l’investimento prometteva grossi profitti.

    Ma torniamo al bombardamento: la squadra navale napoletana era costituita da tre fregate a vela, 6 fregate a vapore, 5 piroscafi armati, 20 cannoniere, 24 scorridoie ed altri legni sottili. Il 1° settembre 1848 la squadra ancorò al largo di Catona, presso Reggio e nella notte si avvicinò alla costa dell’isola per impadronirsi di una batteria degli insorti, detta delle “Moselle”, situata a fior d’acqua nei pressi del villaggio di Contessa, fuori Messina, forte di 12 cannoni. La flotta iniziò il bombardamento alla mattina del 2 settembre e poco dopo dal bastione Blasco della Cittadella di Messina, nelle mani dell’esercito regolare, effettuarono una sortita 4 compagnie di pioneri che, coperti dal fuoco degli obici della fregata, incendiarono gli affusti dei cannoni. Nel pomeriggio del 4 settembre si imbarcarono a Reggio, 250 ufficiali e 6400 uomini di truppa. Lo sbarco delle truppe regie in terra siciliana iniziò alla mattina del 5 settembre a 3 miglia da Messina, protetto dal fuoco delle pirofregate e delle cannoniere. I primi a scendere a terra furono gli uomini del reggimento Real Marina, al comando del colonnello Giustino Dusmet. Dopo 3 giorni di aspri combattimenti, l’8 settembre le truppe regie entrarono in Messina, nel cui porto furono catturate 16 cannoniere. Si trattò di un combattimento tra due eserciti.

    Eppure Ferdinando II è ricordato come il re “bomba”. Vittorio Emanuele II, che fece bombardare terroristicamente le case di Genova nel 1849, Gaeta, Capua ed Ancona (dopo la resa) nel 1860, Palermo nel 1866, fu “galantuomo” e "padre della patria".


    2010:

  2. #2
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    Queste storie di parentele ti fanno capire che alla fine erano sempre le stesse cricche a governare l'Italia. Non dimentichiamoci che la Toscana, Parma e Piacenza erano sotto diretto controllo dei Borboni (spero di non aver detto una scemaria!).

  3. #3
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    Anche Francesco II, il figlio, Franceschiello tentò di cavalcare l'ondata unificatrice. Tirò fuori il tricolore mettendoci su uno stemma complicato (quello che c'è in questo sito), diverso dalla bandiera bianca con i gigli borbonici. Ma non gli ha dato retta nessuno.
    Argo

 

 

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