La democrazia dell'occupazione
di 'Abd el-Bari 'Atwan
mercoledì, 02 febbraio 2005


Le "elezioni irachene" somigliano ad un maquillage provvisorio per fare in modo che tutto sembri cambiato mentre, in realtà, tutto è come prima. Chi ci assicura sulla veridicità delle percentuali di votanti annunciate da chi ha organizzato queste "elezioni"? E dove erano gli "osservatori" così "indispensabili" altrove?
Non è un caso che sia stato il presidente George Bush il primo leader mondiale ad inneggiare alle elezioni irachene, descrivendole come un brillante successo che ribadisce il rifiuto dell'ideologia
del terrorismo ostile alla democrazia. Pochi minuti dopo gli ha fatto seguito il suo fidato seguace Tony Blair, primo ministro britannico, ripetendo le stesse frasi. Tali inneggiamenti arrivano da un uomo che ha insistito sullo svolgimento le elezioni come da calendario, rifiutando tutti gli inviti ad un rinvio provenienti da numerosi partiti e personalità irachene, incluso il partito del primo ministro Iyad Allawi. Lo ha fatto perché vuole continuare nelle operazioni di bugie, di falsificazione e di inganno dell'opinione pubblica americana. Utilizzando queste elezioni, si dà infatti l'illusione che la missione sia compiuta e che l'Iraq sia diventato un'oasi di democrazia, cosa che giustifica il martirio di centomila iracheni, l'uccisione di duemila americani e la spesa di duecento miliardi di dollari.
Il popolo iracheno vuole la democrazia come tutti gli altri popoli arabi oppressi dai propri governanti dittatori, e l'affluenza ai seggi ne è una dimostrazione lampante. Ma questo non significa che le elezioni siano vere o che i loro risultati portino il paese fuori dalla crisi in aumento o che queste diano vita ad un salto democratico nella storia del paese.
A quale democrazia inneggia Bush se gli elettori non conoscono nemmeno i nomi dei candidati e non hanno ascoltato i loro programmi? E quale democrazia è se gli ispettori internazionali la stanno seguendo dalla capitale giordana Amman, ovvero almeno 2.000 chilometri lontani da Baghdad? Le operazioni di faslificazione sono iniziate alcune ore prima della chiusura dei seggi con con l'annuncio di un responsabile dell'Alto comitato per le elezioni in cui questi asseriva che la percentuale dei partecipanti aveva superato il 75%. E' una grande bugia che solleva molti dubbi sulla buona fede di questo comitato e sull'intera operazione elettorale! La partecipazione alle elezioni in Svezia non raggiunge questa percentuale... e poi come ha fatto il comitato a sapere, con questa precisione, di questa percentuale di partecipazione?
Sono elezioni con scrutinio manuale, in un paese in cui manca la sicurezza, dove manca la corrente, dove il computer non è subentrato in maniera ottimale nella direzione delle sue operazioni e, al di sopra di tutto, queste sono le prime elezioni di quel tipo da almeno
mezzo secolo!
Simili dichiarazioni ingannevoli, preparate in anticipo nelle stanze della disinformazione del Pentagono non sono né strane né soprendenti: l'Alto comitato per le elezioni ha aperto solo cinque seggi ai giornalisti stranieri, seggi scelti con estrema cura per
evidenziare la grande affluenza da parte dei cittadini iracheni dando quindi all'opinione pubblica mondiale la falsa illusione del successo dell'operazione democratica. Il presidente George Bush ha detto mercoledì scorso che la bandiera della libertà
è stata piantata con forza in Iraq, ma non sappiamo di quale libertà stia parlando all'ombra della presenza di centocinquantamila soldati del suo esercito, della mancanza di sicurezza, dello smantellamento dello Stato iracheno, di un Consiglio dei ministri iracheni riunitosi una sola volta, con i movimenti dei suoi membri limitati alla "zona verde" la cui superficie non supera le poche miglia quadrate.
Dopo venti mesi di occupazione e di liberazione, la maggior parte delle terre irachene è fuori dal controllo del governo e delle forze di occupazione, e il cittadino iracheno non trova acqua in un paese dove scorrono due fiumi, né l'elettricità quando il suo paese è alla testa degli esportatori del petrolio necessario per produrla. Le necessità del cittadino iracheno nell'era dell'occupazione sono completamente capovolte: lui, sì, voleva la democrazia e i diritti dell'uomo prima dell'arrivo delle forze di liberazione americane, ma adesso sta cercando il cibo, le medicine per i propri bambini, la sicurezza per la sua famiglia, l'integrità minacciata del suo Stato e della sua identità araba che si erode giorno dopo giorno.
Il presidente Bush si è vantato di aver eliminato il covo di terrorismo a Falluja, e il comandante delle sue forze si è vantato di averla ripresa e addomesticata, ma ecco Falluja che resiste fino al giorno delle elezioni e gli attacchi che non si fermano perfino nella stessa Baghdad; ed ancora, l'ambasciata americana, considerata la meglio fortificata nel mondo, bombardata alla vigilia delle elezioni con due suoi impiegati uccisi.
L'intervento militare americano in Iraq, avrà sì eliminato il vecchio regime iracheno ma ha spinto paesi come la Corea del Nord e l'Iran a ricorrere alla scelta nucleare per l'autodifesa, per paura di affrontare lo stesso destino, e ha fatto sì che questa scelta fosse giustificabile davanti ai loro cittadini che hanno visto e vedono cosa capita in Iraq.
Le elezioni americane in Iraq mandano il peggiore dei messaggi ai popoli arabi, perché è una democrazia arrivata con la costrizione dell'occupazione e sui cadaveri di centomila iracheni, e che ha alimentato le differenze etniche e religiose.
La democrazia è la partecipazione di tutti alla decisione della forma del proprio governo e del proprio sistema politico. Ma la democrazia irachena progettata all'americana ha preso una fazione irachena e l'ha messa sul fronte opposto, condannandola alla morte politica. E' una democrazia mancante, anzi... avvelenata. Per cogliere l'immagine, immaginate elezioni americane in cui non partecipano New York, Miami e la California. Sarebbero elezioni legittime?
Le elezioni si sono dunque svolte in Iraq e daranno vita ad un Consiglio nazionale e ad un nuovo governo guidato da Allawi. Cosa è cambiato? Nulla, assolutamente. Ricordiamo ancora la festa mediatica che ha accompagnò la fondazione del Consiglio di governo, e le festività che accompagnarono il passaggio dei poteri agli inizi del luglio scorso come esempi delle operazioni di falsificazione e di caos?
L'Iraq democratico è quello liberato dalla volontà nazionale, e non attraverso la progettata farsa elettorale che non convince nessuno tranne chi vuole crederci lo stesso.
Fonte: al-Quds al-'Arabi, 31/01/2005
Tradotto da Sherif El Sebaie per Aljazira.it