PIT STOP / Tante pagliuzze e la trave del federalismo

A che punto è la «madre di tutte le riforme sulla quale chiediamo di essere giudicati», come ha detto nel giugno scorso il ministro dell'Economia Giulio Tremonti? Parliamo del federalismo fiscale (la legge-cornice è stata approvata a maggio), finito nelle retrovie della discussione politica quasi fosse un tema da delegare ai soli appassionati della materia.
Lo stesso aspro confronto sul fisco all'interno della maggioranza che sostiene il Governo sembra prescindere da una decisione strategica che è stata già presa (il Pd si è astenuto) e che, pena il salto nel politicamente ridicolo, non può essere derubricata a rango di pacco-dono alla Lega Nord. Ma se non si è scherzato, allora colpisce che il confronto sui modi per velocizzare la ripresa (serve subito un choc da abbassamento della pressione fiscale o è meglio procedere con più prudenza per vitare contraccolpi su deficit e debito pubblici) e le guerriglie in Parlamento e tra i ministri non facciano riferimento al federalismo fiscale. Così come resta in penombra un problema ad esso direttamente collegato quale è il nuovo Codice delle autonomie, la cui approvazione definitiva da parte del Governo si attende per dopomani.
Certo, a tenere banco sono i problemi della giustizia. Ma sullo sfondo quelli della politica economica non sono da meno. E dalle aspettative sul gettito derivante dall'operazione-scudo ai nodi del federalismo fiscale abbiamo oggi sul tavolo più domande che certezze. Ben sapendo, però, che l'abbassamento strutturale della pressione fiscale passa proprio dalla "madre di tutte le riforme" e dalla fine della finanza derivata fondata sul criterio della spesa storica, che verrà sostituita gradualmente dal criterio del fabbisogno standard.
Il calendario dice che tutti i decreti legislativi di attuazione del federalismo saranno emanati entro maggio 2011, che entro giugno 2010 dovrà essere pronta la relazione tecnica sull'impatto della riforma e che già tra dicembre 2009 e gennaio 2010 i primi decreti sull'armonizzazione dei bilanci contabili e sul federalismo demaniale (trasferimento di beni ai soggetti sul territorio) dovranno essere in pista. Nel frattempo, c'è da attendersi subito battaglia sul Codice delle autonomie, il quale prevede una forte razionalizzazione delle competenze ed un taglio di circa 30mila enti intermedi.
Sulla carta la riforma federalista prevede che (a regime) si riduca la spesa pubblica, che il passaggio al nuovo sistema «non debba produrre aggravi nel carico fiscale» per i cittadini, che alla maggiore autonomia impositiva di Regioni ed enti locali corrisponda una riduzione dell'imposizione fiscale statale, che si dovranno evitare duplicazioni di funzioni e costi aggiuntivi.
Bella scommessa. A fronte della quale, anche nel caso di fallimento parziale, non ci sarà per esempio possibilità di abolire anche tra qualche anno una tassa odiosa come l'Irap. E deve insegnarci qualcosa il caso francese, dove l'addio graduale allo stato centralista si è tradotto tra il 1980 ed 2006 in una quintuplicazione della spesa statale e nella triplicazione di quella degli enti locali.
Al cospetto della "madre di tutte le riforme", i bracci di ferro tra i ministri e tra i parlamentari che si accapigliano per aumentare questa o quella voce di spesa fanno sorridere. O piangere, a seconda dei gusti.

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