Competitività, serve più coraggio dal governo

di Carlo Lottieri

Impegnato nel rush finale che tra poco più di un anno lo condurrà al confronto elettorale, il Governo di centro-destra ha annunciato un piano volto rafforzare la nostra economia, liberando quelle energie che oggi sono troppo imbrigliate da norme ed oneri di ogni tipo.
L’impegno è lodevole e focalizza un tema, quello del mercato, che fino ad oggi è stato molto frainteso. In troppi discorsi, in effetti, si sente difendere l’economia concorrenziale solo in virtù della maggiore efficacia e produttività del modello capitalistico.
Nel mercato, però, c’è ben altro: e in particolare c’è una socialità che è essenziale in ogni comunità umana. Quando le logiche della competizione prendono piede, in effetti, ognuno è spinto a servire al meglio il prossimo. Le aziende che chiudono i battenti sono in effetti aziende nelle quali il lavoro è sprecato: sono imprese che producono beni e servizi non graditi dalla gente. E a cui viene chiesto di fare altro e di essere veramente al servizio del prossimo.
È bene, inoltre, che il documento del ministro Domenico Siniscalco enfatizzi il ruolo della tecnologia: che non è il Grande Satana descritto da Emanuele Severino, ma uno strumento utilissimo per affrontare le difficoltà della vita.
Non si può certo tacere, però, come molti progetti annunciati vadano esattamente in direzione opposta rispetto agli obiettivi che si vogliono conseguire. In particolare, è difficile comprendere perché (preso atto del fallimento degli aiuti a fondo perduto alle imprese) si voglia trasformare tali sussidi in prestiti agevolati, che sono anch’essi ‘aiuti di Stato’ e non rispondono minimamente alle logiche di quel mercato pure tanto elogiato quando si tratta di incassare profitti.
Se poi è ottima l’idea di snellire la giungla normativa e burocratica, poco si giustifica la trascrizione di tutto ciò in via telematica. Fino a ieri siamo stati costretti a compilare pagine e pagine di moduli: oggi rischiamo di dover passare ore di fronte allo schermo del computer. Meglio sarebbe abolire una gran parte degli inutili adempimenti in tema di sicurezza, lotta alla criminalità e altro.
In generale, il piano attesta il permanere di una prospettiva ‘interventista’, non senza concessioni alla retorica ecologista e a quella nazional-protezionista. Quando ad esempio si parla di mercato interno e di agricoltura, il termine chiave è ‘tutela’. Sembra quasi che l’economia possa vivere solo grazie al sostegno di agenzie pubbliche incaricate di trovare risorse, cercare clienti, realizzare infrastrutture.
Quest’ultimo è davvero un tasto dolente, poiché la costante identificazione tra strutture essenziali e spesa pubblica è indifendibile. Se prendiamo il settore dei trasporti, ciò di cui l’Italia ha bisogno non è una presenza accresciuta dello Stato e ulteriori sprechi in piccole o grandi opere, ma l’apertura del settore ai privati: dagli aeroporti alle ferrovie, alle strade. E lo stesso discorso si può fare per la ricerca, che in Italia è malata non tanto perché riceve pochi soldi, ma perché è asfissiata dalla presenza ingombrante dello Stato.
Detto questo, bene fa il documento a focalizzarsi sullo sviluppo del mercato, sulla modernizzazione, sulla crescita della flessibilità. Meglio ancora sarebbe, però, se ci fosse un’impostazione generale consapevole della necessità di allargare gli spazi di libertà per gli individui, le imprese, le associazioni. Diversamente, le buone intenzioni di una società più competitiva rimarranno tali, e la retorica di un’economia retta secondo i principi morali della proprietà privata e del mercato non produrrà decisioni concrete.
Parlare di ampliamento del mercato, rilancio tecnologico e superamento delle corporazioni è importante: la direzione indicata è quella giusta, e questo è già un punto significativo.
Ma senza scelte che trasformino in realtà questi obiettivi, le delusioni arriveranno presto. Sia per i cittadini che per quanti, tra un anno, dovranno ripresentarsi di fronte agli elettori.

(da L'Indipendente, 4 febbraio 2005)