Ibridi di identità maschile e femminile, occhi sbarrati, volti tragicamente segnati dai ferri della chirurgia. O dalle lamiere di un auto. La pittura patologica della young british artist sposa museo e visioni allucinate. Senza clamore…



Per la prima personale in un museo italiano Jenny Saville espone dieci tele di grande formato, alcune delle quali realizzate per l'occasione. L'odore d'olio aggredisce l'olfatto prima che il sipario si apra sulle figure e sulle scene, emana fresco dalle pennellate pesanti, dalle lingue di colore che esumano i corpi di donne e animali. In effetti, come è stato notato, a dispetto delle misure lo spettatore sembra talvolta ritrovarsi in una galleria di quadri "osceni", la più segreta e la più raffinata, come nel cuore di una collezione seicentesca.
Sono passati quasi dieci anni da Sensation, la mostra dei Young British Artists che nel 1997 consacrò Saville e altri protagonisti del panorama odierno, alimentando al contempo una riflessione sull'estremo in arte. Oggi è possibile, qui al Macro, a Napoli e in alcune gallerie del Nord, considerare gli esiti di quell'onda violenta, svolgerne in parte le storie.
Il sentimento più diffuso nella critica, se non nel mercato, è che le cariche trasgressive sprigionate dalle creazioni di Hirst e compagni si siano dissolte in una costellazione di sapienze formali, minata ai limiti da un peccato di autoreferenzialità.



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