La differenza tra guerriglia e terrorismo
Sabato, 05 febbraio 2005

Un nostro lettore ci ha segnalato questo articolo apparso nel dicembre 2003 sulla rivista edita da generali dell'Esercito Italiano ISTRID - Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa ( www.istrid.difesa.it ), riguardo della recente, urlata polemica sull'assoluzione dall'accusa di "terrorismo" di un gruppo di reclutatori per la guerra agli Usa in Iraq. La fonte non è certamente comunista, né pacifista, è verosimilmente "più a destra" dell'attuale vicepresidente del Consiglio, ed è uscita in tempi non sospetti. Lo pubblichiamo perchè pensiamo possa contribuire ad aggiungere un tassello interessante per una più chiara comprensione dei fatti che stiamo vivendo ultimamente.
(pubblicato su ISTRID – Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa, anno VI, n. 87/88/89, sett.-dic. 2003, pp. 21-23)

Il terrorismo
Ormai da tempo il termine “terrorismo” è ampiamente utilizzato, a proposito e più spesso a sproposito, applicandolo come etichetta di uso generale a eventi tra loro molto diversi. Osserviamo che almeno due di queste etichette sono entrate nell’uso comune dei mezzi di informazione destinati al grande pubblico.

Infatti sono chiamate “terrorismo palestinese” tutte le azioni contro l’occupazione israeliana dei territori di Cisgiordania e Gaza (i quali notoriamente non fanno parte dello Stato d’Israele). Da alcuni mesi sono anche definite “terrorismo” tutte le azioni armate di ogni genere, rivolte contro le forze militari che occupano il territorio dell’Irak.

Poiché sembra opportuno utilizzare le parole secondo il loro significato, vogliamo esporre alcune semplici considerazioni sull’argomento...

..Lasciamo da parte richiami storici sul terrorismo della rivoluzione francese, e sui terroristi anarchici e nichilisti dell’800, e consideriamo qui soltanto il “terrorismo” riguardante il nostro tempo, presente e recente passato.

Per tentare di definire cosa si debba considerare come “terrorismo”, o meglio azione terroristica, sarà necessario ricercarne le caratteristiche specifiche, diverse da quelle di altre azioni violente, sia di eversione interna sia di guerra o guerriglia. Caratteristiche specifiche devono riguardare sia gli obiettivi (nel senso di “bersagli”) sia gli scopi politici dell’azione terroristica. Invece non sono da considerare importanti le modalità e gli strumenti di esecuzione di tale azione violenta.

Possiamo trovare numerose definizioni del “terrorismo”, più o meno concordanti ed esaurienti. Tuttavia vi è una convergenza generale nel considerarlo come una forma di azione violenta, tale da mettere in pericolo la popolazione civile, e quindi indurre una condizione di “terrore” diffuso così da ottenere alcuni risultati di tipo politico (per es. cambiamento di governo, sottomissione a potere esterno, separazione e autonomia regionale, ecc.). Il terrorismo è quindi una forma d’azione violenta “indiretta”, cioè non rivolta contro un obbiettivo specifico definito, a esempio le forze armate, ma verso bersagli indeterminati e indifesi (in certo modo assimilabile alle pratiche di ricatto della delinquenza comune).

Alcune definizioni del terrorismo di origine diciamo più “professionale”, provenienti da organismi di governo, nella fattispecie degli Usa (citate dal “Guardian” del 03/04/2003), sono certamente utili per la comprensione dell’argomento. Secondo queste definizioni: il terrorismo è “violenza premeditata e politicamente motivata contro obbiettivi (targets) non combattenti... allo scopo di influenzare una opinione pubblica (audience) così da conseguire obbiettivi politici, militari o ideologici”. La sua caratteristica specifica è quella di “mirare a bersagli civili e non militari o truppe pronte al combattimento”. Sostanzialmente concordante è anche la definizione di “atto (o azione) terroristico” contenuto nella convenzione del 10/01/2000, fra gli Stati membri dell’Unione europea, per reprimere il finanziamento del “terrorismo”. E’ considerato come terroristico ogni atto destinato a uccidere o ferire un civile, o qualsiasi altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato, quando questo atto mira a intimidire una popolazione o costringere un governo... a eseguire una qualsiasi azione.

Ne risulterebbe che qualsivoglia azione contro forze militari in condizioni conflittuali non possa per definizione essere considerata terrorismo ma azione di guerra o guerriglia. Queste azioni possono tuttavia essere più o meno in accordo con il diritto internazionale in condizioni di conflitto aramato, come esposto nelle convenzioni e protocolli di Ginevra, sottoscritti e riconosciuti da numerose nazioni, anche se spesso osservati molto blandamente dagli stessi sottoscrittori.

Conviene comunque ricordare che questi convenzioni e protocolli non vincolano allo stesso modo le parti in lotta, distinguendo per es. tra forza occupante e popolazione sotto occupazione, tra aggressore e aggredito, etc.

Per quanto sopra esposto, risulterebbe improprio paralare genericamente di terrorismo e di azioni terroristiche (come fatto da organi di informazione e da personaggi di ogni sorta), con riferimento alle condizioni di conflitto armato ora esistenti (fine anno 2003) in Palestina, Irak, Cecenia, ma anche regione basca e Kurdistan.

Il conflitto irakeno è inoltre del tutto diverso per es. da quello ceceno, o da quello curdo. Il conflitto israelo-palestinese presenta poi caratteristiche del tutto particolari e anche per altre situazioni conflittuali, diciamo “minori”, risulterebbe poco appropriato applicare la stessa etichetta generica.

Una precisazione
Conviene mettere bene in chiaro due punti fondamentali. Il terrorismo non esiste come dottrina o programma politico, ma soltanto come un “modo di azione violenta” utilizzato da singoli, da gruppi organizzati e talora anche da forze armate.

Questo tipo di azione violenta avente come caratteristica specifica di colpire civili estranei al conflitto è sempre da considerare come atto criminale, indipendentemente dallo status dei suoi operatori. E questo vale ovviamente anche per le operazioni terroristiche eseguite da una forza armata “regolare”, contro la popolazione civile di un territorio occupato in seguito ad azione bellica o di uno Stato nemico.

Abbiamo indicato come caratteristica specifica del “terrorismo”, o meglio dell’atto terroristico, il bersaglio prescelto, che non sempre peraltro coincide con quello effettivamente colpito.

Non rilevante invece deve essere considerato il tipo di arma utilizzato per le azioni terroristiche, arma che può praticamente variare dalla bomba artigianale all’elicottero d’attacco, dal fucile all’aeroplano da bombardamento, etc. L’azione terroristica può essere messa in atto nei modi piì svariati, in accordo con le caratteristiche del “bersaglio” prescelto, delle armi e del personale operativo disponibile. Come esempio di queste tanto varie “modalità di applicazione” del terrorismo, possiamo citare fatti recenti e meno recenti: il fuoco su passanti scelti a caso con fucili a lunga portata (tipico dell’ex Iugoslavia); la bomba collocata in locali pubblici (Israele, Africa, ecc.); la uccisione di civili a posti di blocco casuali (Cisgiordania, Irak); la distruzione di abitazioni e proprietà private (tipica in aree occupate da Israele); i dirottamenti di aeromobili; il rapimento e l’uccisione di ostaggi.

Possiamo considerare come “terroristiche” anche alcune operazioni, compiute nel corso di repressione di ribellioni contro governi legittimi, e durante condizioni di guerra tra eserciti regolari. Il primo caso è bene esemplificato dalle azioni repressive in Cecenia e Kurdistan. Il secondo, dalle azioni contro popolazioni civili ritenute, più o meno giustificatamente, collaboratrici dell’esercito nemico. Sono ben noti feroci episodi della guerra 1939-1945 (anche in Francia e Italia, non solo sul fronte russo). Ancora piì numerosi sono stati i massacri di civili durante le guerre di Corea (1950-53) e del Vietnam. Di recente e molto maggiore notorietà (per motivi contingenti più che per il numero delle vittime) sono state le azioni contro civili curdi nel corso della guerra fra Irak e Iran (1980-1988).

In un passato non troppo lontano si colloca del resto anche la dottrina del bombardamento aereo deliberatamente terroristico (e pubblicamente dichiarato tale) delle popolazioni civili. Criterio di azione bellica teorizzato e ampiamente applicato nel 1939-1945 da Gran Bretagna e Stati Uniti, fino all’utilizzo delle armi nucleari.

Il richiamo al “grande terrorismo aereo” del 1939-1945 indurrebbe a una considerazione sulla efficacia delle azioni terroristiche di ogni genere.
Il discorso sarebbe certamente lungo e richiederebbe ampia documentazione; tuttavia possiamo affermare che tutta l’esperienza del passato mostra senza possibilità di dubbio la modestissima efficacia dell’azione terroristica di ogni tipo (anche di quella con numero enorme di vittime), poiché nessuna di queste azioni è riuscita a raggiungere l’obbiettivo politico desiderato (non quello del kill ratio rapporto di uccisioni caro a certi teorici).

Si deve tuttavia tenere presente come in alcuni casi (peraltro difficili da elencare, per svariati motivi) il risultato ricercato non fosse quello a prima vista apparente.

Il quadro attuale
Conviene dedicare qualche considerazione alle più importanti condizioni di conflitto armato in corso, alle quali il termine “terrorismo da eliminare”, si applica in riferimento ai fatti reali. Per il caso Irak, la situazione è ben nota, si tratta di un paese sotto occupazione nel quale né dal governo né dalle forze armate irakene è stato finora sottoscritto un documento di armistizio o di capitolazione o di resa, e dove pertanto, anche se la cosa può sembrare paradossale, esiste tuttora una condizione di conflitto armato.

Trattandosi di condizione di conflitto in corso, nessuna delle azioni armate in territorio irakeno rivolta contro le forze armate occupanti (Uk-Usa) o di paesi collaboratori può considerarsi terroristica, ma di guerriglia anche se eseguita in modo criminale. Sembrano semmai da classificare come terroristiche (almeno secondo le definizioni anche Usa prima ricordate) le azioni compiute dagli occupanti contro la popolazione civile se colpiscono la vita e le proprietà di civili (uccisioni a posti di blocco, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, sequestro di persone, ecc.).

Paradossalmente, per taluni aspetti, la condizione attuale dell’Irak può considerarsi simile a quella della Polonia sotto occupazione tedesca (1939-1944).

Infatti il governo polacco non sottoscrisse resa o capitolazione, e la lotta armata fu continuata come guerriglia sia all’interno sia all’esterno del territorio. Ai combattenti polacchi venne riconosciuto lo “status” di belligeranti, e non di banditi. Anche nella eroica “rivolta di Varsavia” del 1944 (più nota come “rivolta del ghetto”), eseguita dalle forze guerrigliere dell’interno al comando del gen. Bor-Komorowski. Il Generale, dopo la cattura, venne considerato “prigioniero” e non venne segregato, “interrogato” con pressioni fisiche più o meno moderate, etc., né ovviamente “processato”, (morì nel 1966).

Altre situazioni di “terrorismo” sono quelle di Palestina e di Cecenia. Infatti in entrambe queste azioni l’opposizione armata contro la forza occupante comprende azioni di guerriglia e azioni terroristiche. Ma in senso proprio queste ultime sono soltanto quelle dirette, nel primo caso, contro civili nello Stato di Israele (nei “territori occupati” non esistono “civili israeliani”, ma solo elementi armati ed esercito), nel secondo contro obbiettivi civili in Cecenia e nella Federazione Russa.

In conclusione si potrebbe affermare che il “terrorismo” è una azione violenta, sia contro persone che cose, caratterizzata essenzialmente dall’obbiettivo prescelto, e non dai mezzi utilizzati (tipo di arma) e neppure dagli “operatori”, cioè da chi compie l’azione in questione. Infatti sia il presente che il passato forniscono abbondanti esempi di azioni evidentemente terroristiche eseguite da personale militare, e per contro di operazioni militari (essenzialmente di guerriglia) eseguite da civili volontari, milizie, etc. Le azioni terroristiche sono comunque sempre da considerare atti criminali, e quindi da punire (anche se è pura fantasia pensare all’applicazione del principio verso potenze come gli Stati Uniti o Israele).

Le operazioni di guerriglia sono da considerare illecite, cioè contro le convenzioni internazionali, solo in casi particolari. Tanto più che è principio quasi universalmente accettato il diritto di usare armi e la forza per resistervi da parte di una popolazione sotto occupazione straniera. Ovviamente per popolazione non si intende elementi infiltrati da organizzazioni dichiaratamente terroristiche.

L’argomento della guerriglia e più in generale della resistenza a una forza di occupazione straniera meriterebbe, ovviamente, una trattazione a parte e molto ampia poiché l’argomento (a differenza del “terrorismo”) è oggetto di studio e riflessione almeno dall’inizio dell’800. Qui ci siamo limitati a tentare una definizione di cosa è, e soprattutto cosa non è il terrorismo, di cui tanto si sente parlare a proposito e a sproposito.
da www.latinoamerica.org





Nota: contributo da www.megachip.info