Kasper: sogno ecumenico
Pasqua a Gerusalemme




di Vittoria Prisciandaro


La sfida delle sette in America latina e in Africa, in due simposi internazionali. A fine estate la pubblicazione di un vademecum ecumenico destinato alle diocesi. In febbraio un incontro con l’arcivescovo di Canterbury, per ricucire i rapporti con gli anglicani. E, tra le righe, la speranza di un ritorno a Mosca, per riprendere il delicato cammino intrapreso con gli ortodossi russi, dopo la restituzione dell’icona della vergine di Kazan. L’agenda 2005 del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, è ricca di impegni.

Quest’anno l’attenzione si sposta sull’emisfero meridionale per affrontare con le Conferenze episcopali di Africa e America latina il tema della diffusione di nuove sette. Sul tappeto, nella vecchia Europa, restano però aperte molte questioni. A fine anno il patriarca Alessio II accusava di proselitismo la Chiesa cattolica. Nonostante abbiate creato una commissione bilaterale per risolvere i vari problemi, non c’è dunque nessuno spiraglio nei rapporti con Mosca?

«Il gruppo di lavoro va avanti e a fine febbraio avremo un altro incontro. L’uscita del Patriarca è stata un po’ unilaterale, perché i rapporti in generale sono migliorati. Spero di poter tornare presto a Mosca. La Russia diventa importante per l’Europa e non abbiamo alternative: solo insieme possiamo rafforzare le radici cristiane dell’Europa. Lo si è ribadito di recente durante le visite del cardinale Poupard. In Europa e in Russia la cultura è legata con la fede cristiana».

Nonostante il responso negativo del Pontefice, la Chiesa greco-cattolica ucraina continua a chiedere di essere elevata a rango di Patriarcato. Un segno di rottura nei confronti di Mosca...

«Vale la risposta data dal Papa: adesso non è il momento. Capisco anche le ragioni del cardinale Husar, ma da un punto di vista più generale non è opportuno. Forse in futuro, chissà...»

Anche con gli ortodossi greci la situazione è delicata. Il Sinodo si è opposto alla visita a Roma dell’arcivescovo di Atene, Christodoulos.

«Il Sinodo ha chiesto di spostare la visita, ma l’arcivescovo è deciso a farla. Non abbiamo ancora una data, forse la seconda metà di quest’anno o nel 2006. Con la Grecia ci sono tante collaborazioni culturali e pastorali. I problemi sono interni al Sinodo, più che con noi».

Le ultime controverse decisioni della Chiesa anglicana hanno cambiato i rapporti con Roma?

«I rapporti sono stati molto danneggiati. Sul matrimonio tra coppie omosessuali per noi è vincolante il giudizio negativo espresso dal Catechismo della Chiesa cattolica. E in un documento comune sui temi morali gli anglicani condividevano la nostra posizione. Oggi il problema è che non sappiamo bene chi è il nostro partner: è una comunione, ma se ogni provincia fa come gli pare, per noi è difficile rapportarci. Per questo motivo i rapporti sono stati sospesi. In febbraio avremo un incontro con l’arcivescovo di Canterbury e vedremo come riprendere il cammino. Ci sembra che comunque il Windsor Report, redatto proprio per risolvere tali problemi, vada nella giusta direzione, anche se non abbastanza lontano come avremmo sperato. Il Windsor Report punta ad avere una struttura universale al di sopra delle province, un punto di riferimento più certo per l’autorità dottrinale: da un lato l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury, dall’altro questo raduno dei primati. Inoltre vogliono formulare un diritto canonico per tutta la comunità anglicana, ma occorrerà del tempo. A fine mese ci sarà un incontro tra tutti i primati della comunione anglicana e se tutti convergeranno sul Rapporto sarà più facile riprendere il dialogo».

In che misura il dibattito teologico interno alla Chiesa cattolica condiziona il dialogo con le Chiese? Penso ai temi della sinodalità o al dibattito che c’è stato tra lei e il cardinale Ratzinger sul rapporto tra Chiesa universale e Chiesa locale...

«Sono temi ancora irrisolti dal Concilio Vaticano II. Problemi importanti in chiave ecumenica, soprattutto con gli ortodossi, per i quali la sinodalità è principio costituente per la Chiesa. Dobbiamo poi ascoltare il desiderio di molti vescovi di ristrutturare non il Sinodo dei vescovi ma il suo metodo. La riflessione su questi temi aiuta ad avanzare nella Chiesa cattolica ma anche nel dialogo ecumenico».

La terza Assemblea ecumenica europea si terrà nel 2007, in Romania. Dopo Basilea e dopo Graz, qual è la sfida da raccogliere?

«Il problema è la vera unione dell’Europa: il muro di Berlino è caduto, ma resiste il più vecchio muro tra impero orientale e occidentale. Sono diverse mentalità: per unificare l’Europa anche le Chiese devono incontrarsi. È il punto centrale: unità dell’Europa e radici cristiane, che uniscono le due parti».

Uno dei nodi nel cammino verso l’unità è il tema del primato. Dopo la richiesta del Papa di avere suggerimenti dalle altre Chiese, c’è stato un primo giro di consultazioni e ora il suo dicastero sta iniziando una seconda fase di incontri. Cosa è emerso fino a oggi?

«Il punto più interessante è che abbiamo un nuovo clima. In passato il Papa era l’anticristo per i protestanti, i quali oggi vengono a Roma e sono interessati a una leadership del Papa su questioni politiche e anche etiche. D’altra parte il Papa considera il suo ministero di unità non solo per la Chiesa cattolica ma per tutta la cristianità, e questo ha cambiato l’atmosfera. Ci sono ancora problemi teologici e su questi ci soffermeremo, soprattutto sul tema dell’esercizio del primato. In generale, va registrato che il dialogo è ben avviato con mennoniti e battisti, che in passato erano molto anticattolici, mentre in Europa abbiamo qualche problema con le Chiese tradizionali: diminuiscono di numero e vogliono rafforzare la propria identità, ma talvolta lo fanno per contrapposizione».

Il Consiglio ecumenico, che comprende le Chiese ortodosse e protestanti, chiede di riformare le istituzioni ecumeniche internazionali e auspica un tavolo allargato. Da parte della Chiesa cattolica, che nel Consiglio partecipa soltanto alla commissione teologica "Fede e costituzione", che tipo di risposta c’è stata?


«Partecipiamo a questa riflessione, non abbiamo proposte particolari da fare. Dalla nascita del Consiglio ecumenico, nel ’48, a oggi le cose sono cambiate: nel campo delle istituzioni ecumeniche c’è disordine e manca la cooperazione, soprattutto finanziaria. Questo però tocca il Consiglio ecumenico, non noi. Abbiamo già troppi organismi e incontri, non vale la pena crearne altri. E uno scambio anche con noi già avviene durante il raduno annuale di tutti i segretari della varie famiglie confessionali. Il dialogo ecumenico è oggi una nuova urgenza, non abbiamo alternative. In un mondo globalizzato, l’emigrazione e la presenza di altre confessioni e religioni costringe a dialogare. È l’unico modo per evitare lo scontro di culture. È un pericolo reale, soprattutto con l’islam».

Qual è il suo sogno ecumenico?

«Che un giorno il Papa e i Patriarchi celebrino insieme la Pasqua a Gerusalemme. Sarebbe l’unità della Chiesa e la soluzione dello spinoso problema delle diverse date per la celebrazione della Pasqua».

Vittoria Prisciandaro


Jesus - Febbraio 2005