http://www.equilibri.net/oriente/libano2.htm
Libano: un paese ancora diviso
“Il paese dei cedri” è stato teatro di una sanguinosa guerra civile e le ferite di quel periodo non sono ancora oggi del tutto rimarginate. Il sistema politico si fonda su equilibrio precario, con le massime cariche della nazione divise da rivalità profonde, di tipo personale e ideologico.
(Rudy Caparrini)
Equilibri.net (24 ottobre 2003)
Per il momento le tensioni sono state contenute dalla presenza di truppe siriane nel paese ma adesso, causa anche l’ingerenza USA, la presenza dei soldati di Assad è oggetto di discussione. La pressione di Washington potrebbe aggravare i contrasti già profondi nella scena politica libanese, poiché il governo di Beirut non dispone di forza sufficiente per gestire la delicata situazione.
Tensioni crescenti fra presidente della repubblica e premier
Il panorama politico libanese è caratterizzato, da un po’ di tempo, dallo scontro in atto tra il presidente della repubblica, il cristiano maronita Emile Lahoud, e il primo ministro, il sunnnita Rafiq al-Hariri. Le due più alte cariche del paese hanno ingaggiato un braccio di ferro che sta causando la paralisi dell’attività politica. La rivalità è giunta al punto che il capo dello stato sta tentando di apportare un emendamento alla costituzione al fine di ottenere un nuovo mandato che la legge fondamentale del paese, così com’è, non sembra permettere.
Il sistema politico libanese fin dal 1861, era fondato sull’equilibrio dei poteri con rispetto delle varie fazioni. Dopo la disastrosa guerra civile, che ha martoriato il paese tra il 1975 e il 1990, il principio di attribuzione delle più alte cariche è rimasto il medesimo. Il presidente della repubblica compete ai maroniti, il primo ministro deve essere un sunnita, il Presidente del parlamento è riservato agli sciiti (in questo momento è Nabih Birri). Tale concetto, che permise al Libano oltre un secolo di pace e prosperità prima della tragica guerra fratricida, è stato confermato una volta finite le ostilità. La Siria, di fatto “egemone” in Libano in virtù dei molti soldati schierati nel paese, apportò tuttavia una correzione significativa alla costituzione, trasferendo molti poteri dal presidente della repubblica al premier. Una mossa quasi scontata, in quanto Damasco aveva tutto l’interesse ad aumentare i poteri dei musulmani a discapito dei cristiani.
La ripartizione delle competenze era destinata a creare difficoltà di coabitazione e le tensioni si sono aggravate a causa dei contrasti, di natura personale, fra Lahoud e Hariri. I due uomini politici sono alla ricerca di consensi e hanno mobilitato i rispettivi gruppi che li appoggiano per accrescere il proprio potere contrattuale. Va rilevato che i contrasti attuali non vedono una divisione della popolazione in nome della fede religiosa. Per citare un esempio assai significativo, il patriarca maronita, cardinale Nasrallah Sfeir, si è pubblicamente pronunciato contro un prolungamento del mandato per Lahoud, suo correligionario. In senso analogo si è espresso l’ex presidente della repubblica Hrawi, anch’egli maronita, che pure beneficiò di un’estensione del mandato forte dell’appoggio siriano. L’ex capo di stato e il leader religioso dei cristiani libanesi hanno invitato Lahoud a non inasprire lo scontro, cercando un’intesa col premier.
Filo siriani e nazionalisti
Una fonte di accese discussioni è il tema delle relazioni con la Siria. Più che dividersi tra cristiani e musulmani, i libanesi paiono oggi formare due fronti antagonisti: i sostenitori della permanenza delle truppe siriane da una parte; i nazionalisti, che richiedono il ritiro degli uomini di Damasco, come controparte. La questione è molto sentita e non solo all’interno del paese dei cedri. Sono parecchi, anche a livello internazionale, a dubitare sulla reale indipendenza del Libano. Dal punto di vista giuridico è considerato un soggetto di diritto internazionale atipico e con poteri limitati, in quanto la vera autorità è esercitata da Damasco. Hafez Assad intervenne in modo massiccio nel 1990, inviando un grosso contingente che non ha più lasciato il paese. Si è avuta, recentemente, una riduzione delle truppe, fino alle 15.000 unità odierne. In ogni caso, molte delle decisioni relative alla politica libanese sono ancora stabilite a Damasco più che a Beirut. Ne abbiamo avuto conferma in luglio, quando Bashar Assad, intervenendo riguardo ai contrasti tra Lahoud e Hariri, ha indotto il premier sunnita ad attenuare i contrasti col capo di stato. Il presidente siriano ha esortato il primo ministro a una cooperazione più stretta nell’interesse del paese. Pressioni in senso analogo sono state esercitate anche dallo stato maggiore e dal capo dell’intelligence militare di Damasco.
I dirigenti siriani hanno compreso che l’opinione pubblica libanese è nettamente divisa riguardo all’atteggiamento da assumere nei confronti dello stato “egemone” da oltre un decennio. Le recenti sanzioni votate dal Congresso USA hanno mostrato quanto siano polarizzati gli schieramenti riguardo a tale questione. Il premier Hariri ha chiarito, prima ancora che il “Syrian Accountability and Lebanese Sovereign Restoration Act” fosse votato, che i provvedimenti decisi da Washington non avrebbe impegnato il suo governo a chiedere il ritiro delle truppe di Assad. Il primo ministro guida il fronte dei filo siriani, coloro che ritengono necessaria la presenza di soldati di Damasco nel paese dei cedri. È un movimento trasversale, comprendente musulmani e cristiani. Lo conferma il fatto che uno degli esponenti più autorevoli è il maronita Murr, ex ministro degli interni nonché imparentato col presidente Lahoud.
Il fronte nazionalista, che domanda il ritiro delle truppe siriane, ha di recente ritrovato un vecchio protagonista della guerra civile: il generale Michel Aoun, eroico comandante maronita della resistenza contro le armate di Damasco, l’ultimo ad arrendersi all’avanzata dell’esercito del potente stato confinante. Egli non ha mai accettato l’invasione voluta da Hafez Assad, svolgendo un’intensa propaganda contro gli invasori anche dall’esilio di Parigi. Rientrato in patria, ha recuperato un ruolo di grande importanza all’interno del composito schieramento maronita. Aoun, in particolare, ha cooperato con l’amministrazione Bush nella preparazione dell’atto poi votato dal Congresso. Il generale maronita è stato, infatti, ascoltato dalla commissione parlamentare USA che ha poi deciso il varo delle sanzioni contro la Siria.
La questione palestinese
Il Libano porta ancora i segni delle operazioni di guerriglia compiute dai combattenti palestinesi. Fu proprio il loro arrivo, in seguito all’espulsione dalla Giordania nel settembre 1970, ad alterare l’equilibrio che per decenni aveva permesso la reciproca tolleranza fra gruppi religiosi ed etnici. È quindi comprensibile lo spirito che ha condotto lo speaker del parlamento, lo sciita Birri, a rinviare il dibattito sulla legge che avrebbe permesso ai palestinesi di acquistare proprietà immobiliari in Libano.
Si è trattato di un’altra questione che ha fatto discutere assai anche se, in tutti maggiori protagonisti della vita politica, pare prevalere il desiderio di tenere i palestinesi lontano dal paese. Lo stesso premier Hariri, che pure era a favore della revoca di tale divieto, ha affermato che non è il momento adatto per porre la questione. Il presidente Lahoud, da parte, sua, ha ribadito che il rifiuto di possedimenti palestinesi in Libano è uno dei capisaldi della costituzione. Il capo dello stato, che aveva espresso dubbi su una sua eventuale ratifica, ha scelto di evitare la patata bollente asserendo che i palestinesi saranno sostenuti nel loro diritto di ritorno verso la madre patria e che il Libano si impegnerà per il sorgere di uno stato tutto loro in Palestina. Un modo diplomatico per tenersi fuori da una questione delicata.
Il Libano è già abbastanza esposto nel conflitto israelo-palestinese a causa della presenza del gruppo armato Hezbollah, sciita filo-iraniano, che combatte al confine con la Galilea. Il “Partito di Dio” (così si traduce il suo nome) è di fatto sovrano su una fascia di territorio libanese, che il governo di Beirut non è capace di tenere sotto la sua autorità. Hezbollah è una presenza molto scomoda per il Libano, in quanto espone il paese alle ritorsioni israeliane. Di recente, si sono avuti molti casi di violazione dello spazio aereo libanese da parte dell’aviazione ebraica. Ci sono state anche scaramucce alla frontiera e il conflitto potrebbe espandersi. Il Libano ha memoria negativa pure di questo, in quanto fu invaso da Israele nel 1978 causa la massiccia attività dei guerriglieri palestinesi al confine. La situazione attuale, che ha raggiunto una tensione estrema, rischia di degenerare se non si arresteranno le azioni di Hezbollah che, non a caso, è stato esortato a cessare gli attacchi anche da Bashar Assad. Il gruppo armato sciita, tuttavia, pare agire ora in modo indipendente senza curarsi dei rimproveri che giungono anche da chi, finora, ne era stato il principale sostenitore. I problemi conseguenti rischiano anch’essi di ricadere sul debole governo libanese, che non ha forza né militare né politica per contenere Hezbollah.