Fonte: il Gazzettino

PRIMAVALLE Nel clima dei "formidabili" anni Settanta bastava militare a sinistra per farne di ogni sorta, garantirsi omertà, protezione, nei casi peggiori la fuga
«Nel conformismo di sinistra piste solo nere, ovvio»
«Non stupisce quindi che la morte dei Mattei fosse attribuita a una "faida interna" tra fascisti che all'epoca erano spariti»

Le confessioni di Achille Lollo non hanno riportato alla memoria solo
l'orrendo, e dimenticato, rogo di Primavalle dove morirono due giovani figli
di un netturbino colpevole di essere il segretario della locale sezione
dell'Msi, in seguito a un attentato incendiario, opera di alcuni militanti
di Potere Operaio, ma anche l'intero clima di quegli anni in cui lo stesso
Potere Operaio può essere considerato un emblema significativo.

Potere Operaio, Potop per gli amici, era un minuscolo gruppuscolo della
sinistra extraparlamentare, il più estremista di tutti se si eccettuano le
Brigate Rosse che però allora erano ancora agli inizi, formato dai figli
dell'aristocrazia e dell'altissima borghesia, prevalentemente romana (oltre
a Diana Perrone, figlia dell'allora proprietario del Messaggero e del Secolo
XIX, c'era, fra gli altri, Paolo Mieli, attuale direttore del Corriere della
Sera) e da qualche sottoproletario raccattato nelle borgate e usato come
manovalanza. Per la sua composizione equivoca era stato soprannominato, con
un certo disprezzo, dai militanti degli altri gruppi extraparlamentari:
"Molotov & Champagne". Ma si può dire che l'intero Sessantotto, e dintorni,
fu "Molotov & Champagne".

Negli anni Settanta tutta l'"intellighentia" italiana si era spostata
all'estrema sinistra. Non c'era intellettuale, scrittore, giornalista (con
l'eccezione di Montanelli, Biagi e qualche altro cane sciolto), sociologo da
terza pagina del "Corriere", mondana, mignottina da salotto che non si
dichiarasse per la rivoluzione. E la borghesia, con i suoi giornali, aveva
seguito l'onda. Sia per opportunismo, sia perché in fondo, si trattasse del
Movimento studentesco, di Lotta Continua, di Avanguardia operaia o di Potere
Operaio, quei rivoluzionari da salotto erano, nella stragrande maggioranza,
"figli di famiglia", erano figli suoi e se li coccolava e vezzeggiava. La
copertura alle violenze di quegli anni non fu data tanto dal Pci, che anzi
mal tollerava di essere scavalcato a sinistra da degli extraparlamentari che
predicavano una rivoluzione a cui i comunisti avevano rinunciato da tempo,
fin dai primi anni Cinquanta, quando avevano liquidato Pietro Secchia, ma da
questo irresponsabile milieu radical chic.

Questa contiguità fra classe dirigente, ricchi borghesi e
pseudorivoluzionari di sinistra era palpabile, visibile, e fisica. Mi
ricordo che in quegli anni capitai ad una festa in un bellissima casa di via
del Corso, a Roma, di proprietà di un certo Jimmy. C'era tutta la "Roma
bene", c'era anche l'allora ministro della Sanità, il liberale Altissimo, e
c'era Franco Piperno leader di quel Potere Operaio che in quei tempi
scendeva in piazza, come gli altri gruppi extraparlamentari, al grido di
"Fascisti, borghesi ancora pochi mesi". Con Piperno mi fermai a parlare a
lungo accovacciati in un angolo del vastissimo salone. Ricordo i suoi occhi
gialli, la voce flautata, e un sottofondo di minaccia nelle sue parole. Io
infatti allora, per gli ambienti della sinistra extraparlamentare ero un
"fascista" o, nella migliore delle ipotesi un "democratico borghese
conseguente" da mettere comunque al muro quando la Rivoluzione avesse
trionfato.Nel 1971, sull'"Avanti", avevo denunciato, primo giornalista di un
giornale di sinistra a farlo, le violenze squadriste del Movimento
studentesco di Milano che nel giro di un paio di settimane aveva pestato a
sangue uno studente di origine israeliana accusato di essere un "agente
della Cia" e un sindacalista della Uil, un certo Conti. Nell'ottobre del
1973 avevo pubblicato per Linus, diretto da Oreste del Buono, una mappa
della sinistra extraparlamentare, che Del Buono aveva chiamato, titolando,
"L'extramappa" dove catalogavo i gruppi extraparlamentari di sinistra, dal
Movimento Studentesco alle Brigate Rosse, secondo la loro ideologia ma anche
secondo la loro propensione alla violenza.

Alla Statale di Milano fu appeso untatse-bao dove Del Buono ed io venivamo
additati come "servi della Cia". Oreste se la fece subito sotto e rinnegò
tutto: l'extramappa e il suo autore. Quanto a me ricevetti due lettere
minacciose di Giairo Daghini e di Oreste Scalzone, dirigente di Potere
Operaio, cui non detti molto peso ma che, rilette col senno di poi, fanno
venire i brividi. Non fu tutto.

Luca Cafiero, uno dei leader del Movimento Studentesco, insieme a Mario
Capanna e a Salvatore Toscano, sguinzagliò un manipolo di picchiatori armati
di spranghe e di catene, al cui comando c'era Giorgio Livrini, figlio di un
imprenditore di quello che oggi si chiama "il ricco Nord Est", per darmi una
lezione. Per fortuna non mi trovarono, né da "Oreste", lo storico bar di
piazza Mirabello, né davanti a casa perché quella notte, per caso, dormii da
una mia amica. Altrimenti sarei anch'io oggi uno storpio o peggio come quel
povero ragazzo di diciassette anni, Sergio Ramelli che, considerato di
destra, fu vittima di un agguato sotto casa da parte di militanti di
Avanguardia Operaia e morì dopo 48 giorni di agonia, notizia nascosta nelle
pagine interne dei grandi giornali della borghesia milanese.

A metà degli anni '70 mi trovavo in Calabria per un'inchiesta che l'Europeo
mi aveva chiesto di fare sull'università di Arcavacata, una delle tanti
cattedrali nel deserto che era stata voluta, a propria maggior gloria, da
Giacomo Mancini, segretario del Psi. Fui prelevato quasi di forza dagli
uomini di Mancini e, dopo un lungo giro per le montagne cosentine, portato
alla presenza del boss nella sua splendida villa. Mancini, col pretesto che
ero un iscritto al Partito socialista, voleva sapere che cosa avrei scritto
su Arcavacata. Nel bel mezzo di questa simpatica conversazione, molto simile
a un'intimidazione mafiosa, si affacciò sulla veranda che dominava le rosse
e brulle montagne del cosentino, uno scenario quasi da Far West, Franco
Piperno, che era suo ospite. La cosa curiosa, per dir così, è che in quel
momento Piperno era latitante e ricercato dalla polizia.

La contiguità col mondo dell'eversione, o della semieversione, era
fortissima. Qualche anno dopo Giampiero Mughini, che oggi fa ilclown nelle
trasmissioni di calcio parlato, si sarebbe vantato pubblicamente,
rabbrividendo per il piacere dall'alluce all'ombelico, che un comunicato dei
brigatisti Morucci e Faranda era stato scritto a casa sua, nella sua cucina
e con la sua "Lettera 32". Ruggero Guarini, in un'intervista alla Stampa, ha
raccontato che per la prima assoluzione di Lollo e degli altri due di Potere
Operaio accusati per il rogo di Primavalle si tenne una grande festa in una
villa di Fregene, cui parteciparono Alberto Moravia, Dario Bellezza, il
pittore Mario Schifano e il fior fiore dell'intellighentia romana. Del resto
qualche anno dopo, quando il terrorismo brigatista mieteva una vittima al
giorno e altre ne "gambizzava" come si diceva allora con un orrendo
neologismo, due guru della cultura italiana, Alberto Moravia e Leonardo
Sciascia, si dichiararono "Né con lo Stato né con le Br".

Non stupisce quindi che, in quel clima, il rogo di Primavalle fosse
attribuito dalla stampa di sinistra ma anche dai giornali borghesi, come
Panorama, l'Espresso, Il Messaggero, a una "faida interna fascista" e
l'inchiesta su Lollo e gli altri bollata come una "montatura di magistratura
e polizia", una "provocazione" e, insomma, un complotto di toghe nere in
combutta col Potere democristiano. L'editore Giulio Savelli, che allora era
trotzkista e poi, negli anni Novanta, dopo una breve parentesi leghista, è
diventato deputato di Forza Italia, quindi dell'Udr di Cossiga e oggi si
autodefinisce liberale, pubblicò un libro, "Primavalle: incendio a porte
chiuse", scritto da alcuni "giornalisti democratici", in cui si sposava la
tesi che Primavalle era stata una "faida interna" fra fascisti. Tesi
peraltro non nuova, perché era stata già utilizzata un paio di anni prima
per il caso Mazzola-Giralucci, due missini assassinati in una sede del
partito a Padova (era stata invece una delle prime azioni omicide delle BR,
come racconta Sergio Segio, uno che se ne intende, in un libro di prossima
pubblicazione).

La magistratura non poteva indagare nella galassia dell'estremismo
extraparlamentare di sinistra senza essere sommersa dall'unanime coro della
"montatura", della "provocazione", del "complotto". Le piste dovevano essere
sempre e solo "nere". E ciò era tanto più bizzarro perché, nell'orgia del
conformismo di sinistra che aveva preso il Paese, i fascisti erano
praticamente spariti o non osavano mettere piede fuori casa (nel 1974
facemmo, per L'Europeo, un'inchiesta intitolata: "Ma dove sono finiti i
fascisti?"). Persino per l'omicidio Calabresi si preferì imboccare la strada
delle "piste nere" e perdere tempo a inseguire un certo Nardi, figlio di
armaioli di San Benedetto del Tronto, e altri stracci del genere, nonostante
Lotta Continua, sul suo giornale, si fosse attribuita, almeno moralmente,
l'assassinio e fosse del tutto improbabile, almeno allora, che della gente
di destra ammazzasse un commissario di polizia, oltretutto accusato da tutto
l'ambiente di sinistra di aver fatto volare dal quarto piano della Questura
di Milano un anarchico, Giuseppe Pinelli. È anche per questo che bisognerà
aspettare alcuni lustri e la confessione di Leonardo Marino per arrivare a
Bompressi, a Pietrostefani e a Sofri. Del resto tutti sapevano che Lotta
Continua, come peraltro Potere Operaio, aveva un "livello illegale" che si
occupava quantomeno di far delle rapine, per finanziare, oltre che con gli
"espropri proletari", il gruppo. Lo sapevo persino io. Perché una di quelle
rapine fu fatta con la mia macchina, una Simca coupé rossa. Me la chiese in
prestito un mio amico di Lc, Ilio Frigerio, poi diventato parlamentare
leghista, dicendo che gli serviva per uscirci con una ragazza. In seguito mi
confessò che l'aveva data ad altri "amici" di Lc per quello scopo. Uno
scherzetto da prete che non ho dimenticato.

Ma al processo Sofri, Pietrostefani e Bompressi negarono anche l'esistenza
del "livello illegale", anche l'evidenza, e penso che sia anche per queste
menzogne puerili che poi non furono creduti dal Tribunale sulle questioni
più importanti. Ma il giornale di Lotta Continua faceva anche dell'altro,
pubblicava foto, abitazione, percorsi, abitudini di "fascisti", o presunti
tali, una sorta diwanted, di incitazione alla sprangata che ne ha lasciati
parecchi sul terreno.

Questo era il clima dei "formidabili" anni Settanta, dove bastava militare a
sinistra per farne di ogni sorte e garantirsi omertà, protezione o, nei casi
peggiori, la fuga. E il problema dei ragazzi delmilieu riche eradical chic
della contestazione, di questi rivoluzionari da burletta che il giorno
scendevano in piazza a gridare slogan truculenti, a spaccare vetrine e
crani, a ingaggiare battaglie con la polizia a colpi di molotov, e la sera,
tornati a casa dai loro babbi e mamme borghesi, tutti orgogliosi di quei
loro figlioli così deliziosamente antiborghesi, si precipitavano a
telefonare alle loro amiche ("Pronto Leonetta? Pronto Dadi?") per
organizzare feste in qualche bella villa, è che non solo non hanno pagato
alcun dazio per le loro imprese, ma sono stati premiati e oggi fanno i
deputati, i senatori, i direttori di giornale, di reti televisive, gli
opinionisti. Sono degli impuniti. E non ci si può quindi meravigliare se non
hanno nessun senso delle proprie responsabilità. Loro hanno sempre ragione.
Avevano ragione quando facevano i comunisti e hanno ragione adesso che sono
diventati liberali. Oggi questi irresponsabili costituiscono una buona parte
della classe dirigente, equamente distribuiti fra destra e sinistra. E
questo spiega anche perché, a conti fatti, non è cambiata la mentalità in
questo Paese.

Anche oggi, come allora, se la magistratura osa imboccare una strada poco
gradita agli attuali "padroni del vapore" si alza un coro quasi unanime che
grida alla "montatura", alla "provocazione", al "complotto" e si scrivono
libri innocentisti e "garantisti" del tipo di "Primavalle: incendio a porte
chiuse". Le toghe non sono più "nere" o democristiane, son diventate
"rosse". È cambiato il segno, non la protervia.

Massimo Fini