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  1. #1
    Roberto Mime
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    Thumbs up La riforma funeraria butta giù l'Editto napoleonico del 1804!

    Ci voleva il Governo Berlusconi per abbaterre un Editto napoleonico vecchio di oltre 200 anni sull'impostazione civica funeraria che soffocava e imbrigliava i nostri comuni.

    Primo sì della Camera alla riforma della normativa in materia funeraria. Il testo, che ora approderà al Senato, è stato approvato con 180 sì, 2 no e 83 astenuti, tra cui i deputati dell'Unione. Tra le novità introdotte dalla normativa la principale è la possibilità di seppellire e conservare nei centri abitati le urne cinerarie, una norma che rivoluziona l'impostazione che risale addirittura all'Editto napoleonico di Saint Cloud del 1804.

    In questo questo modo le urne potranno essere tenute anche in casa, oppure tumulate a discrezione di chi le riceve, così come le ceneri potranno essere disperse a patto di rispettare alcune norme sulla distanza dai centri abitati. Snellite anche le procedure per la cremazione. Novità anche rispetto alle procedure di trasporto delle salme ed alla creazione di "sale di commiato" per funerali civili o di riti minori per i quali, al momento, non esistono locali idonei. Anche gli animali sono al centro della normativa: il testo prevede anche la realizzazione di cimiteri destinati solo agli amici dell'uomo.

    Durante la votazione, in Parlamento, c'è stato anche un simpatico siparietto che ha stemperato un po' le tensioni politiche degli ultimi giorni. Il vicepresidente della Camera, Publio Fiori, ha infatti passato la parola all'onorevole Donato Lamorte, tra la comprensibile ilarità generale. Lamorte, deputato di Alleanza nazionale, ha fatto buon viso a cattivo gioco e ha rilanciato lo scherzo: "Ringrazio Fiori, ovviamente il nostro vicepresidente della Camera... dei deputati, eh! In questo momento di assoluta tristezza annuncio il voto due volte favorevole della Cdl". Il clima goliardico si è protratto anche lungo i corridoi. Il commento più ricorrente era sulla mancanza, per una volta, di pianisti. Il motivo: solo una mano, durante la votazione, risultava libera...

    Roberto Mime - dirigente

  2. #2
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    Ugo Foscolo

    DEI SEPOLCRI





    All'ombra de' cipressi e dentro l'urne

    confortate di pianto è forse il sonno

    della morte men duro? Ove piú il Sole

    per me alla terra non fecondi questa

    bella d'erbe famiglia e d'animali,

    e quando vaghe di lusinghe innanzi

    a me non danzeran l'ore future,

    né da te, dolce amico, udrò piú il verso

    e la mesta armonia che lo governa,

    né piú nel cor mi parlerà lo spirto

    delle vergini Muse e dell'amore,

    unico spirto a mia vita raminga,

    qual fia ristoro a' dí perduti un sasso

    che distingua le mie dalle infinite

    ossa che in terra e in mar semina morte?

    Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,

    ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve

    tutte cose l'obblío nella sua notte;

    e una forza operosa le affatica

    di moto in moto; e l'uomo e le sue tombe

    e l'estreme sembianze e le reliquie

    della terra e del ciel traveste il tempo.



    Ma perché pria del tempo a sé il mortale

    invidierà l'illusîon che spento

    pur lo sofferma al limitar di Dite?

    Non vive ei forse anche sotterra, quando

    gli sarà muta l'armonia del giorno,

    se può destarla con soavi cure

    nella mente de' suoi? Celeste è questa

    corrispondenza d'amorosi sensi,

    celeste dote è negli umani; e spesso

    per lei si vive con l'amico estinto

    e l'estinto con noi, se pia la terra

    che lo raccolse infante e lo nutriva,

    nel suo grembo materno ultimo asilo

    porgendo, sacre le reliquie renda

    dall'insultar de' nembi e dal profano

    piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,

    e di fiori odorata arbore amica

    le ceneri di molli ombre consoli.



    Sol chi non lascia eredità d'affetti

    poca gioia ha dell'urna; e se pur mira

    dopo l'esequie, errar vede il suo spirto

    fra 'l compianto de' templi acherontei,

    o ricovrarsi sotto le grandi ale

    del perdono d'lddio: ma la sua polve

    lascia alle ortiche di deserta gleba

    ove né donna innamorata preghi,

    né passeggier solingo oda il sospiro

    che dal tumulo a noi manda Natura.

    Pur nuova legge impone oggi i sepolcri

    fuor de' guardi pietosi, e il nome a' morti

    contende. E senza tomba giace il tuo

    sacerdote, o Talia, che a te cantando

    nel suo povero tetto educò un lauro

    con lungo amore, e t'appendea corone;

    e tu gli ornavi del tuo riso i canti

    che il lombardo pungean Sardanapalo,

    cui solo è dolce il muggito de' buoi

    che dagli antri abdüani e dal Ticino

    lo fan d'ozi beato e di vivande.

    O bella Musa, ove sei tu? Non sento

    spirar l'ambrosia, indizio del tuo nume,

    fra queste piante ov'io siedo e sospiro

    il mio tetto materno. E tu venivi

    e sorridevi a lui sotto quel tiglio

    ch'or con dimesse frondi va fremendo

    perché non copre, o Dea, l'urna del vecchio

    cui già di calma era cortese e d'ombre.

    Forse tu fra plebei tumuli guardi

    vagolando, ove dorma il sacro capo

    del tuo Parini? A lui non ombre pose

    tra le sue mura la citta, lasciva

    d'evirati cantori allettatrice,

    non pietra, non parola; e forse l'ossa

    col mozzo capo gl'insanguina il ladro

    chc lasciò sul patibolo i delitti.

    Senti raspar fra le macerie e i bronchi

    la derelitta cagna ramingando

    su le fosse e famelica ululando;

    e uscir del teschio, ove fuggia la luna,

    l'úpupa, e svolazzar su per le croci

    sparse per la funerêa campagna

    e l'immonda accusar col luttüoso

    singulto i rai di che son pie le stelle

    alle obblîate sepolture. Indarno

    sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade

    dalla squallida notte. Ahi! su gli estinti

    non sorge fiore, ove non sia d'umane

    lodi onorato e d'amoroso pianto.



    Dal dí che nozze e tribunali ed are

    diero alle umane belve esser pietose

    di se stesse e d'altrui, toglieano i vivi

    all'etere maligno ed alle fere

    i miserandi avanzi che Natura

    con veci eterne a sensi altri destina.

    Testimonianza a' fasti eran le tombe,

    ed are a' figli; e uscían quindi i responsi

    de' domestici Lari, e fu temuto

    su la polve degli avi il giuramento:

    religîon che con diversi riti

    le virtú patrie e la pietà congiunta

    tradussero per lungo ordine d'anni.

    Non sempre i sassi sepolcrali a' templi

    fean pavimento; né agl'incensi avvolto

    de' cadaveri il lezzo i supplicanti

    contaminò; né le città fur meste

    d'effigîati scheletri: le madri

    balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono

    nude le braccia su l'amato capo

    del lor caro lattante onde nol desti

    il gemer lungo di persona morta

    chiedente la venal prece agli eredi

    dal santuario. Ma cipressi e cedri

    di puri effluvi i zefiri impregnando

    perenne verde protendean su l'urne

    per memoria perenne, e prezîosi

    vasi accogliean le lagrime votive.

    Rapían gli amici una favilla al Sole

    a illuminar la sotterranea notte,

    perché gli occhi dell'uom cercan morendo

    il Sole; e tutti l'ultimo sospiro

    mandano i petti alla fuggente luce.

    Le fontane versando acque lustrali

    amaranti educavano e vîole

    su la funebre zolla; e chi sedea

    a libar latte o a raccontar sue pene

    ai cari estinti, una fragranza intorno

    sentía qual d'aura de' beati Elisi.

    Pietosa insania che fa cari gli orti

    de' suburbani avelli alle britanne

    vergini, dove le conduce amore

    della perduta madre, ove clementi

    pregaro i Geni del ritorno al prode

    che tronca fe' la trîonfata nave

    del maggior pino, e si scavò la bara.

    Ma ove dorme il furor d'inclite gesta

    e sien ministri al vivere civile

    l'opulenza e il tremore, inutil pompa

    e inaugurate immagini dell'Orco

    sorgon cippi e marmorei monumenti.

    Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo,

    decoro e mente al bello italo regno,

    nelle adulate reggie ha sepoltura

    già vivo, e i stemmi unica laude. A noi

    morte apparecchi riposato albergo,

    ove una volta la fortuna cessi

    dalle vendette, e l'amistà raccolga

    non di tesori eredità, ma caldi

    sensi e di liberal carme l'esempio.



    A egregie cose il forte animo accendono

    l'urne de' forti, o Pindemonte; e bella

    e santa fanno al peregrin la terra

    che le ricetta. Io quando il monumento

    vidi ove posa il corpo di quel grande

    che temprando lo scettro a' regnatori

    gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela

    di che lagrime grondi e di che sangue;

    e l'arca di colui che nuovo Olimpo

    alzò in Roma a' Celesti; e di chi vide

    sotto l'etereo padiglion rotarsi

    piú mondi, e il Sole irradîarli immoto,

    onde all'Anglo che tanta ala vi stese

    sgombrò primo le vie del firmamento:

    - Te beata, gridai, per le felici

    aure pregne di vita, e pe' lavacri

    che da' suoi gioghi a te versa Apennino!

    Lieta dell'aer tuo veste la Luna

    di luce limpidissima i tuoi colli

    per vendemmia festanti, e le convalli

    popolate di case e d'oliveti

    mille di fiori al ciel mandano incensi:

    e tu prima, Firenze, udivi il carme

    che allegrò l'ira al Ghibellin fuggiasco,

    e tu i cari parenti e l'idîoma

    désti a quel dolce di Calliope labbro

    che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma

    d'un velo candidissimo adornando,

    rendea nel grembo a Venere Celeste;

    ma piú beata che in un tempio accolte

    serbi l'itale glorie, uniche forse

    da che le mal vietate Alpi e l'alterna

    onnipotenza delle umane sorti

    armi e sostanze t' invadeano ed are

    e patria e, tranne la memoria, tutto.

    Che ove speme di gloria agli animosi

    intelletti rifulga ed all'Italia,

    quindi trarrem gli auspici. E a questi marmi

    venne spesso Vittorio ad ispirarsi.

    Irato a' patrii Numi, errava muto

    ove Arno è piú deserto, i campi e il cielo

    desîoso mirando; e poi che nullo

    vivente aspetto gli molcea la cura,

    qui posava l'austero; e avea sul volto

    il pallor della morte e la speranza.

    Con questi grandi abita eterno: e l'ossa

    fremono amor di patria. Ah sí! da quella

    religîosa pace un Nume parla:

    e nutria contro a' Persi in Maratona

    ove Atene sacrò tombe a' suoi prodi,

    la virtú greca e l'ira. Il navigante

    che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,

    vedea per l'ampia oscurità scintille

    balenar d'elmi e di cozzanti brandi,

    fumar le pire igneo vapor, corrusche

    d'armi ferree vedea larve guerriere

    cercar la pugna; e all'orror de' notturni

    silenzi si spandea lungo ne' campi

    di falangi un tumulto e un suon di tube

    e un incalzar di cavalli accorrenti

    scalpitanti su gli elmi a' moribondi,

    e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.



    Felice te che il regno ampio de' venti,

    Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!

    E se il piloto ti drizzò l'antenna

    oltre l'isole egèe, d'antichi fatti

    certo udisti suonar dell'Ellesponto

    i liti, e la marea mugghiar portando

    alle prode retèe l'armi d'Achille

    sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi

    giusta di glorie dispensiera è morte;

    né senno astuto né favor di regi

    all'Itaco le spoglie ardue serbava,

    ché alla poppa raminga le ritolse

    l'onda incitata dagl'inferni Dei.



    E me che i tempi ed il desio d'onore

    fan per diversa gente ir fuggitivo,

    me ad evocar gli eroi chiamin le Muse

    del mortale pensiero animatrici.

    Siedon custodi de' sepolcri, e quando

    il tempo con sue fredde ale vi spazza

    fin le rovine, le Pimplèe fan lieti

    di lor canto i deserti, e l'armonia

    vince di mille secoli il silenzio.

    Ed oggi nella Troade inseminata

    eterno splende a' peregrini un loco,

    eterno per la Ninfa a cui fu sposo

    Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,

    onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta

    talami e il regno della giulia gente.

    Però che quando Elettra udí la Parca

    che lei dalle vitali aure del giorno

    chiamava a' cori dell'Eliso, a Giove

    mandò il voto supremo: - E se, diceva,

    a te fur care le mie chiome e il viso

    e le dolci vigilie, e non mi assente

    premio miglior la volontà de' fati,

    la morta amica almen guarda dal cielo

    onde d'Elettra tua resti la fama. -

    Cosí orando moriva. E ne gemea

    l'Olimpio: e l'immortal capo accennando

    piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,

    e fe' sacro quel corpo e la sua tomba.

    Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto

    cenere d'Ilo; ivi l'iliache donne

    sciogliean le chiome, indarno ahi! deprecando

    da' lor mariti l'imminente fato;

    ivi Cassandra, allor che il Nume in petto

    le fea parlar di Troia il dí mortale,

    venne; e all'ombre cantò carme amoroso,

    e guidava i nepoti, e l'amoroso

    apprendeva lamento a' giovinetti.

    E dicea sospiranda: - Oh se mai d'Argo,

    ove al Tidíde e di Läerte al figlio

    pascerete i cavalli, a voi permetta

    ritorno il cielo, invan la patria vostra

    cercherete! Le mura, opra di Febo,

    sotto le lor reliquie fumeranno.

    Ma i Penati di Troia avranno stanza

    in queste tombe; ché de' Numi è dono

    servar nelle miserie altero nome.

    E voi, palme e cipressi che le nuore

    piantan di Priamo, e crescerete ahi presto

    di vedovili lagrime innaffiati,

    proteggete i miei padri: e chi la scure

    asterrà pio dalle devote frondi

    men si dorrà di consanguinei lutti,

    e santamente toccherà l'altare.

    Proteggete i miei padri. Un dí vedrete

    mendico un cieco errar sotto le vostre

    antichissime ombre, e brancolando

    penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,

    e interrogarle. Gemeranno gli antri

    secreti, e tutta narrerà la tomba

    Ilio raso due volte e due risorto

    splendidamente su le mute vie

    per far piú bello l'ultimo trofeo

    ai fatati Pelídi. Il sacro vate,

    placando quelle afflitte alme col canto,

    i prenci argivi eternerà per quante

    abbraccia terre il gran padre Oceàno.

    E tu onore di pianti, Ettore, avrai,

    ove fia santo e lagrimato il sangue

    per la patria versato, e finché il Sole

    risplenderà su le sciagure umane.




 

 

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