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Discussione: Bush, Kerry e noi

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    Oggetto: Bush, Kerry e noi




    Bush, Kerry e noi-di Miguel Martinez

    Febbraio 2005


    Il testo è uscito per la prima volta come articolo sulla rivista Rosso XXI.








    La mattina in cui George W. Bush è stato rieletto presidente degli Stati Uniti, e quindi del pianeta terra (con annessi satelliti e progetti di conquista spaziale), i lettori del Manifesto hanno potuto consolarsi con la notizia immaginaria della vittoria di Kerry, esaltata in prima pagina con un “Good Morning America”.
    L’errore riguardo all’esito delle elezioni è perdonabile – evidentemente, Il Manifesto è andato in stampa in un momento in cui i sondaggi sembravano indicare la vittoria del candidato democratico.

    Quello che è imperdonabile è il tenore del titolo.
    Non solo perché, al posto di un candidato che aveva almeno fatto di tutto per evitare di uccidere (personalmente) o di farsi uccidere durante la guerra del Vietnam, Il Manifesto parteggiava per un signore che durante la campagna elettorale, si vantava di aver ammazzato 24 indigeni nella free fire zone, l’area in cui le regole d’ingaggio permettevano di sparare su qualunque essere vivente. Non si capisce bene quale avrebbe dovuto essere il felice risveglio degli Stati Uniti. La guerra fatta sul serio, con l’invio di altri 40.000 soldati, promessa da Kerry? La campagna per “uccidere, uccidere, uccidere” i presunti “terroristi” di cui parlava Kerry nei dibattiti pre-elettorali (Bush si limitava a parlare di “sconfiggere il terrorismo”) ?

    Il Manifesto ha mostrato un’adesione alla visione calcistica della politica come gara tra due squadre. I democratici hanno ricevuto quasi 11 milioni di dollari in contributi elettorali da persone che avevano donato anche al partito repubblicano; ma, per i redattori del Manifesto, una squadra veste i nostri colori, l’altra i loro.
    C’è qualcosa di ironico in questa faccenda dei colori, se pensiamo che sulle mappe dei risultati elettorali, le zone repubblicane vengono regolarmente segnate in rosso, quelle democratiche in blu (o in un forzitaliota azzurro).
    I democratici non sono una “sinistra” che ha “rinnegato le proprie radici”, come l’Ulivo da noi. Il conflitto tra democratici e repubblicani esula dagli schemi italiani di destra e di sinistra.
    I primi a pensarlo sono gli americani stessi: negli Stati Uniti, i termini Left e Right hanno all’incirca il valore dei nostri termini estremista di destra o di sinistra. Indicano cioè, nell’immaginario collettivo, forme estreme, fanatismi ideologici, scelte bizzarre e pericolose, con cui ben pochi si identificano.
    Quelli dentro, quelli fuori
    Sostanzialmente, i repubblicani sono il partito storico dei WASP, i “White Anglo-Saxon Protestants”, del Nordest. Quindi in origine della zona più ricca e – se vogliamo “progressiva” del paese, anche se oggi il loro baricentro si è spostato decisamente a sudovest. E anche se il termine WASP designa legittimamente anche uno dei gruppi etnici in media più poveri e disastrati di tutto il paese, gli scozzesi e/o ulsteriani.
    A questo nucleo si contrappongono tutte le altre caste (per usare l’ottimo termine scelto da Marco D’Eramo). Storicamente possono essere gli agricoltori schiavisti e latifondisti del Sud; la classe operaia composta in larga parte da cattolici; gli ebrei. Un caso particolare è quello dei neri, storicamente oppressi o emarginati da tutte queste caste forse ancora più che dai WASP, ma che nel corso del Novecento sono passati in blocco dal partito repubblicano di Abraham Lincoln al partito democratico. Mentre i conservatori bianchi del sud si sono fatti incantare da Reagan. Chiaramente questo ha anche riflessi di tipo geografico: le grandi metropoli sono cresciute con gli immigrati, e votano quindi, in genere, per i democratici.
    L’elemento fondante è la distinzione tra “fuori e dentro”, tra quelli che si sentono i signori naturali degli Stati Uniti, e le persone escluse a vario titolo da questo dominio simbolico: la parola chiave negli Stati Uniti non è uguaglianza, ma integrazione. Nei fatti, è ovvio che un abile politico italiano o un miliardario ebreo possono avere molto più potere di un piccolo impiegato WASP: è quindi fondamentale l’identificazione di casta, non di classe: accanto alla gerarchia economica, che non è fissata, troviamo una sorta di gerarchia morale, in cui i WASP rimangono saldamente al vertice, con alla base i neri autoctoni (gli immigrati dall’Africa e da Haiti hanno un rango morale superiore) e, sotto di loro, solo i nativi americani.
    Ogni casta, ovviamente con qualche mescolamento, vive in un proprio quartiere, fortezza di qualche variante di americani con il trattino – Italian-American, Jewish-American, Black-American. Non poteva essere diversamente: il libero individuo che arrivava nel paese in cui ognuno deve badare a sé doveva trovare appoggio tra chi parlava la sua lingua e soprattutto frequentava la sua stessa chiesa. Ecco che gli Stati Uniti accolgono individui e creano etnie (al contrario di quello che pensano gli americanisti nostrani): etnie tutte rigorosamente registrate presso l’anagrafe.
    Allo stesso tempo, però, la tremenda forza di attrazione degli Stati Uniti dissolve ogni cultura reale delle singole etnie. Ecco che abbiamo quartieri polacchi con gruppi sportivi polacchi, politici polacchi e chiese polacche – in cui si vive alla stessa identica maniera, e con gli stessi valori e aspirazioni del quartiere ebraico, con gruppi sportivi ebraici, politici ebraici e sinagoghe ebraiche.
    Come punto focale di molte comunità, troviamo una causa simbolica e lontana cui tutti devono contribuire, pena la scomunica sociale. Ad esempio, l’anticastrismo per i cubani, Solidarnosc (a suo tempo) per i polacchi, l’IRA per gli irlandesi (con il curioso risultato che fino ai recenti accordi di pace, la principale fonte di finanziamento del “terrorismo” in Europa erano proprio masse di cittadini statunitensi), Israele per gli ebrei.

    Il Partito Democratico
    Nel loro insieme, le caste non-WASP formano una vaga coalizione di interessi locali, sindacali, etnici che si riunisce per presentare un candidato a nome di un evanescente e provvisorio “Partito Democratico”: va ricordato che negli Stati Uniti una quantità enorme di uffici sono elettivi, quindi la coalizione muore e risorge continuamente.
    La macchina lavora per vendere il candidato, non solo all’elettorato, ma soprattutto ai grandi finanziatori. Spesso, come abbiamo visto, gli stessi imprenditori patrocinano entrambi i partiti.
    Tra le lobby che aderiscono storicamente al Partito Democratico, troviamo anche quelle che rappresentano realtà che in Italia potrebbero essere viste come affini alla sinistra.
    Gli operai, innanzitutto, sono presenti in quanto aderenti a sindacati un tempo molto potenti, vere e proprie lobby corporative, che hanno svolto un ruolo anticomunista importantissimo nella guerra fredda. Sindacati che hanno a volte ottenuto conquiste notevoli per i propri iscritti, ma mai con uno spirito di solidarietà di classe. Sindacati che sono stati travolti dalle trasformazioni economiche del mondo dopo l’era del grande rivoluzionario, Ronald Reagan.
    ll politically correct
    Girando per la biblioteca scientifica di Harvard, si rimane colpiti da interi scaffali dedicati ad argomenti apparentemente poco attinenti, come biografie di donne nere. Un passo avanti, certamente, dai tempi in cui l’unica narrativa degli Stati Uniti era quella WASP; ma si tratta di una ripresentazione del mito americano sotto altra veste.
    Gli Stati Uniti sarebbero il paese in cui ogni individuo può essere se stesso e incontrare il successo, anche se è donna, nera, lesbica e handicappata. La realizzazione del sogno americano verrebbe tenuto a freno, non da un sistema capitalistico e imperiale, ma dai “pregiudizi” soggettivi.
    Per combattere questi pregiudizi, e ottenere alcuni diritti concreti, nascono strutture molto combattive, che sono sostanzialmente lobby, il cui scopo è fare gli interessi della propria clientela.
    Il caso più evidente è quello del movimento nero, che non ha modificato la spaventosa condizione sociale in cui versa la maggioranza dei neri americani, non ha cambiato le barriere invisibili che creano ghetti: perché queste sono condizioni che fanno parte della stessa struttura del capitalismo americano.
    In compenso, il movimento ha ottenuto vasti sussidi clientelari, la sistemazione di un discreto ceto di politici professionisti (che spesso coincidono con operatori religiosi) e la libera gestione di cattedre-ghetto, anche nelle grandi università, in cui intoccabili cialtroni insegnano che Socrate era nero e che Aristotele fece sparire le prove: chi contesta queste affermazioni viene semplicemente attaccato come razzista.
    Questi movimenti hanno successo grazie a un tacito accordo tra tutte le lobby americane. Ogni lobby - che si tratti di quella del petrolio, degli amici d’Israele, degli amici delle balene, dei sostenitori di Scientology o delle femministe – cerca di evitare di prendere di petto un’altra lobby.
    Le varie nicchie del politically correct confluiscono nel Partito Democratico. Non ne determinano affatto la politica, che si basa ovviamente sui grandi interessi economici, etnici o economico-etnici. Così il partito democratico in questo momento raccoglie i voti di chi non vuole la guerra; ma è guerrafondaio esattamente quanto quello repubblicano.
    Le nicchie del politically correct danno però al Partito Democratico un’immagine simbolicamente comprensibile alla grande maggioranza degli americani. Un’immagine aliena e piuttosto odiosa.
    Milioni di americani semplici vedono nei democratici il partito che, se c’è un posto di lavoro, lo dà a un nero; e che segue i capricci delle mode dettate da chi a New York non ha problemi concreti.
    Le istanze e i bisogni sociali che noi conosciamo dal leghismo formano una parte profonda della realtà statunitense, e spiegano perché un’umanità precaria, incerta sul proprio futuro, maltrattata dalla violenza del capitale, tassata per condurre guerre di cui non comprende il senso trova normale votare per il partito repubblicano, i cui dirigenti proclamano al mondo che la loro ricchezza è il premio che Dio ha concesso loro per la loro perfezione morale e di fede.

    La crisi dei democratici
    Oggi il Partito Democratico, o meglio la coalizione che sotto le elezioni lo fa periodicamente rinascere, è in profonda crisi.
    Per capire perché, bisogna ricordare la fondamentale differenza con la nostra esperienza: in Italia si nasce per caso, l’identità decisiva, perché immaginata come scelta (in realtà molto spesso semplicemente ereditaria), è invece quella di “destra” o di “sinistra”. Negli Stati Uniti, l’identità scelta è quella nazionale. L’intero sistema, dalla scuola, alle chiese, insomma il discorso collettivo, contribuisce a convincere i singoli cittadini statunitensi che essere americani è una scelta individuale decisiva. Tu hai voluto essere americano, hai avuto l’incredibile onore di far parte del paese migliore del mondo, se non ti piace come vanno le cose qui, sei libero di andartene e anche subito.
    Per questo motivo, il Partito Democratico può godere di simpatie profonde, ma difficilmente può contare su un’adesione fanatica e atavica quando cambiano le realtà sociali.
    Ha perso da decenni il fondamentale sostegno geografico del profondo sud. Un’adesione incondizionata a ogni richiesta d’Israele conserva ai democratici una maggioranza – in costante calo – del voto ebraico. Ma, anche se gli ebrei diffidano storicamente del cristianesimo a volte aggressivo dei repubblicani, il partito repubblicano ha dimostrato che è disposto letteralmente a fare qualunque cosa contro i nemici d’Israele.
    Oltre il 90% dei neri che votano continua a votare per i democratici, ma la partecipazione elettorale dei neri, come di tutte le caste in fondo alla scala gerarchica, è minima.
    Gli ispanici – un bizzarro termine che comprende neri del Porto Rico, indios del Guatemala e borghesi bianchi di Buenos Aires – premono furiosamente per integrarsi, e proprio per questo tendono a votare sempre più repubblicano.
    La classe operaia coincide tradizionalmente, in larga misura con i cattolici, cioè con gli irlandesi, gli italiani, i polacchi e alcune altre minoranze. Le grandi fabbriche sono state smantellate, i capitalisti americani hanno aperto fabbriche a sfruttamento intensivo appena oltre il confine messicano, e comunque il sistema muove ben più soldi che cose concrete.

    I cattolici
    Durante le ultime elezioni, abbiamo sentito Kerry rivendicare un doppio ruolo: quello di massacratore di vietnamiti, ma anche di ex-chierichetto cattolico. Un’immagine imposta dal fatto che la gerarchia cattolica aveva deciso di appoggiare fino in fondo Bush. Questo appoggio era in apparenza legato all’aborto, che però è tutt’altro che una questione nuova.
    In realtà si tratta dell’esito di molti processi storici. Da una parte, si tratta dello sbocco finale di un’eresia condannata dal Vaticano alla fine dell’Ottocento, il cosiddetto americanismo cattolico. Ai tempi in cui il Vaticano ancora condannava con intransigenza ogni regime che non fosse cattolico, i cattolici americani – in particolare quelli di origine irlandese – fremevano dal desiderio di integrarsi nel grande progetto ideocratico americano, e soffrivano del sospetto di essere poco patriottici. La condanna vaticana non cambiò l’orientamento fondamentale del cattolicesimo statunitense, che ricevette nuovo impulso dalla Guerra fredda, in cui tutti i cristiani erano coinvolti dalla parte di Dio e della proprietà privata contro il satanico comunismo. È sotto Pio XII, e in piena isteria anticomunista (e non in successive epoche più liberali) che padre Feeney di Boston fu scomunicato dalla Chiesa cattolica per aver ribadito l’antico insegnamento secondo cui non vi sarebbe alcuna salvezza fuori dalla Chiesa.
    Negli ultimi decenni, c’è stato poi un incessante lavoro da parte delle think tank di destra – neoconservatori e non – per spingere gli ambienti cattolici verso due obiettivi paralleli: l’ecumenismo con il mondo evangelico e la diffusione dei valori della teologia della prosperità. In quest’opera si distinguono i nomi di Michael Novak e di Richard John Neuhaus, entrambi appoggiati dai finanziamenti miliardari delle multinazionali.
    L’americanismo, da eresia ottocentesca, si avvia a diventare – con la prossima scomparsa di Giovanni Paolo II – il nucleo centrale della Chiesa cattolica del 2000, grazie ai profondi legami che uniscono i neoconservatori, i grandi movimenti cattolici – in particolare Opus Dei, Legionari di Cristo e Comunione e Liberazione – e una fetta decisiva della gerarchia internazionale (pensiamo in particolare ai cardinali Ratzinger e Angelo Sodano).
    Crediamo che l’appoggio a Bush vada letto in questo contesto, molto più che in quello occasionale e strumentale dell’aborto.

    Religione e americanismo
    Gli analisti italiani sembrano improvvisamente essersi accorti dell’esistenza dei fondamentalisti evangelici in questi mesi, dopo aver totalmente ignorato il fenomeno (con la sempre notevole eccezione di Marco D’Eramo).
    Si ha la netta impressione che alcuni analisti progressisti ne parlino, per far risaltare il civile Kerry contro lo sfondo di barbari fanatici che seguirebbero Bush. In questo caso, la divisione non passerebbe più tra l’impero americano e le sue vittime, ma tra le persone civili e i barbari di ogni paese.
    Ed ecco che abbiamo le parole d’ordine, molto diffuse a sinistra, di “Bush socio d’affari di Bin Laden”, della necessità di opporsi insieme a “guerra e terrorismo”, dei “fondamentalisti di Bush, amici-fratelli dei talebani”.
    Questa impostazione implica diverse pessime cose.
    Ad esempio, per darle sostanza, si devono inventare una serie di complotti, o comunque interpretare normali vicende politiche in termini di “mandanti” e di “sgherri”: se Bin Laden prendeva armi dagli americani durante la sua guerra in Afghanistan contro i russi, questo non lo trasforma in una “creatura della CIA” più di quanto l’accettazione di armi angloamericane durante l’ultima guerra faccia dei nostri partigiani dei “servi degli yankee”.
    Si ignora poi totalmente il contesto sociale, familiare e culturale che ha dato origine all’islamismo da una parte e al fondamentalismo evangelico dall’altra. Sociologia, economia, storia, antropologia, analisi dei meccanismi del capitalismo e dell’imperialismo e persino il buon senso scompaiono e vengono sostituiti dal fumettismo, il metro di analisi caratteristico dei nostri tempi in cui vediamo i cattivi che si battono contro i supereroi, senza che sia necessaria alcun’altra spiegazione.
    Per i nostri analisti progressisti, i “fanatici religiosi” diventano i cattivi di turno, intercambiabili e privi di contesto. Per questo somigliano in maniera incredibile ai “dittatori” apparentemente sempre uguali da cui gli americani promettono di volta in volta di liberare l’umanità.
    La tesi della barbarie fondamentalista salva infine la bella coscienza di appartenere a una civiltà superiore: si riesce a condannare gli aspetti “medievali” dell’Occidente (il fondamentalismo americano è quanto di più antimedievale si possa immaginare, ma non importa) senza per questo scendere dal proprio piedistallo, combattendo a fianco dei popoli che realmente si battono contro l’imperialismo. Tanto sono tutti pazzi e retrivi, da una parte e dall’altra. Basta un altro passo e si arriva a dire con Barenghi – “almeno i pazzi retrivi d’Occidente non sgozzano la gente”.
    Per questo è bene ricordare che il fondamentalismo evangelico non è qualcosa di isolato dal comune sentire americano: non c’è uno scontro tra stato e chiesa, anche perché gli evangelici che istigano alla guerra mondiale e al massacro planetario sono sostanzialmente rispettosi della separazione dei poteri.
    Il fondamentalismo evangelico è una variante ingenua, rumorosa, ottusa, gioiosamente aggressiva, partecipata, del generale americanismo. È tante cose insieme: espressione di un mondo provinciale, grido degli oppressi, prodotto dei mass media e del sistema dello spettacolo, giustificazione di ogni orrore, desiderio sempre frustrato di comunità.
    Ma non è, nella sua essenza, diverso (e forse nemmeno più pericoloso) dall’americanismo cattolico, dall’industria culturale cinematografica, dal sogno liberale, dalla globalizzazione imposta.
    Va cioè nella stessa direzione in cui si sposta ormai da un secolo e oltre tutta quanta l’immensa cannoniera, con i suoi passeggeri che includono tanto Bush quanto Kerry.



    questo articolo può essere riprodotto liberamente,
    sia in formato elettronico che su carta, a condizione che
    non si cambi nulla, che si specifichi la fonte - il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com -
    e che si pubblichi anche questa precisazione

  2. #2
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    Predefinito SINTESI

    PARTITO REPUBBLICANO: IL PARTITO DEL CAPITALE SODDISFATTO.

    PARTITO DEMOCRATICO:IL PARTITO DEL CAPITALE INSODDISFATTO.

    Nulla a che fare con il nostro centro destra o centro sinistra anzi neppure niente a che fare con destra e sinistra.

    Buona notte !

  3. #3
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    Bush e Kerry... Quando avevo la mononucleosi, una notte, mi sono assopito con la tv accesa... Al risveglio, nelle primissime ore del mattino, mi son ritrovato davanti agli occhi semichiusi le facce di quei due che si "confrontavano"... Ho pensato a un incubo, giuro...

  4. #4
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    PARTITO REPUBBLICANO: IL PARTITO DEL CAPITALE SODDISFATTO.

    PARTITO DEMOCRATICO:IL PARTITO DEL CAPITALE INSODDISFATTO.

    Nulla a che fare con il nostro centro destra o centro sinistra anzi neppure niente a che fare con destra e sinistra.

    Buona notte !
    Meglio per loro!!!!
    Prova a confrontare le condizioni
    economiche USA con quelle
    Italiane!!!!!
    Per fortuna che non hanno
    i vari Berlusca, Rutelli, Mastella,
    Bertinotti, Cossutta, Pecoraro,
    Casini.....la lista (purtroppo)
    è lunga!!!

  5. #5
    Per la metapolitica
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    In origine postato da capitanamerica7
    Meglio per loro!!!!
    Prova a confrontare le condizioni
    economiche USA con quelle
    Italiane!!!!!
    Per fortuna che non hanno
    i vari Berlusca, Rutelli, Mastella,
    Bertinotti, Cossutta, Pecoraro,
    Casini.....la lista (purtroppo)
    è lunga!!!
    Una curiosità pure e semplice: tu che voti?
    Io supporto:

    www.noreporter.org
    www.juliusevola.it

  6. #6
    email non funzionante
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    Non voto!!!!!!!
    Ho simpatie per il partito
    radicale quando non assume
    posizione troppo di "sinistra"
    Ma gli altri sono due facce
    della stessa medaglia
    che si chiamano, STATALISMO
    E BUROCRAZIA!!!!!

  7. #7
    Il vero è un momento del falso
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    In origine postato da capitanamerica7
    Non voto!!!!!!!
    Ho simpatie per il partito
    radicale quando non assume
    posizione troppo di "sinistra"
    Ma gli altri sono due facce
    della stessa medaglia
    che si chiamano, STATALISMO
    E BUROCRAZIA!!!!!
    il poloulivo?

 

 

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