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    Predefinito Giordano Bruno: come stanno le cose?

    Chi mi conosce sa che non gradisco l'atteggiamento apologetico,
    cioè l'atteggiamento di chi vive la dimensione esistenziale dell'essere contro altri, di chi vede nell'altro solo un nemico da confutare e non lo ascolta, di chi pensa che il dialogo serva a ben poco.
    Nonostante questo penso che serva far chiarezza circa alcuni personaggi storici tanto mitizzati, adorati, idolatrati da alcune fazioni politiche.
    E' l'esigenza di far chiarezza che mi muove ad aprire questo 3d.
    Chiarezza, cioè disvelamento, mancanza di nascondimento: questo è l'aleteheia, cioè la verità.
    Il desiderio di verità è motore di questo modesto 3d.

  2. #2
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    Giordano Bruno

    di Matteo D’Amico

    Chi era veramente Giordano Bruno? Un campione del libero pensiero o un mago bestemmiatore? Facciamo chiarezza su una delle vicende più strumentalizzate dalla propaganda anticristiana.

    Come è noto, a partire dalla "guerra civile ideologica" che si apre nel corso dell’Ottocento fra élites massoniche e liberali e Chiesa Cattolica, la figura di Giordano Bruno svolge un ruolo tutt’altro che secondario, e questo difficile e oscuro pensatore viene trasformato nel simbolo del "libero pensiero", di una modernità "illuministica" ingiustamente ostacolata dalla Chiesa stessa. Ma chi è veramente Giordano Bruno? Per capirlo occorre più che mai ricominciare da capo e considerare aspetti biografici normalmente poco conosciuti o abilmente celati.

    Bruno nasce a Nola nel 1548 e, ancora molto giovane, a Napoli, per continuare gli studi, veste l’abito dei domenicani. Rimane per dieci anni in convento, laureandosi in teologia e ricevendo gli ordini sacri, ma ben presto si scontra con i superiori come sospetto di eresia, in quanto da tempo si è dedicato a pratiche e a letture proibite. li giovane filosofo nel 1576 lascia il convento e fugge. Bruno, sulla base della lettura di testi ermetici e magici, sviluppa una sofisticata ars memoriae, una memoria artificiale cioè, che fa da fondamento a tutte le sue successive concezioni.

    Elabora intanto una metafisica che concepisce l’universo come infinito e privo di centro, increato, dove Dio è pensato panteisticamente come coincidente con il mondo e con la natura; il cosmo è pertanto infinito e in esso tutto viene divinizzato.

    Questa filosofia porta con sé la necessità di distruggere il cristianesimo, la sua morale, la sua concezione dell’uomo, segni per il filosofo di un’estrema decadenza e povertà del mondo.

    Giordano Bruno inizia quindi una serie di drammatiche peregrinazioni attraverso l’Europa. La sua prima tappa importante è a Ginevra, dove aderisce alla confessione calvinista dominante per venire ben presto processato, scomunicato e costretto a fuggire in Francia. Qui entra in contatto con Enrico III di Valois che forse, secondo la Yates, lo invia in Inghilterra con una precisa missione politico-culturale: cercare di convincere la regina Elisabetta e i circoli colti della corte inglese ad aderire alla nuova religiosità magica ed "egiziana" di cui Bruno si fa banditore e sacerdote. Lo scopo è smorzare la contrapposizione fra cattolici e protestanti trovando un comune terreno "ermetico" di intesa in funzione antispagnola. Un altro storico inglese, John Bossy, nel 1991 pubblica un testo fondamentale, Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata, in cui avanza la tesi che Bruno a Londra si sia posto al servizio dei servizi segreti di Sir Walsingham, aiutandoli a sventare i complotti dei cattolici inglesi, giovandosi a questo scopo anche delle confessioni che carpisce in qualità di sacerdote all’ambasciata francese di cui è ospite

    Dopo l’esperienza inglese, e un breve e sfortunato ritorno in Francia, Bruno passa un lungo periodo in diversi stati tedeschi e a Wittenberg tesse uno strabiliante (e strumentale) elogio di Lutero, infarcito di accuse durissime contro il Papa. La sua adesione opportunistica al luteranesimo non gli impedisce però di essere scomunicato ancora una volta ad Helmstadt proprio dai protestanti locali. Bruno è infatti tradito dal suo carattere focoso e irascibile, dal suo senso smisurato del proprio valore. Nel 1591 è raggiunto da un invito di un nobile veneziano, il Mocenigo, che vorrebbe imparare da lui la mnemotecnica.

    Perché il filosofo accetta il rischio di rientrare in Italia?

    Secondo il Corsano lo si comprende se si considerano i testi di magia nera che Bruno ha scritto in Germania prima del rientro a Venezia: sono scritti terribili in cui il mago italiano sviluppa tecniche per realizzare "legamenti" magici e soggiogare così le persone che si intendono asservire ai propri scopi. Forte di queste tecniche Bruno intenderebbe nientemeno che recarsi a Roma e conquistare il Papa, spingendolo a riformare il cattolicesimo in senso magico-egiziano: un progetto incredibile che fa dire alla Yates, una studiosa solitamente molto prudente, che il filosofo è ormai ai confini della follia, del delirio conclamato.Il Mocenigo però rimane sconvolto da quanto vede e sente fare dal suo ospite - in particolare dalle sue bestemmie - e lo denuncia all’Inquisizione con accuse molto precise; il tribunale veneziano lo arresta senza esitazioni.

    Inizia in tal modo la fase veneziana del processo di Giordano Bruno che si conclude con una spettacolare e spontanea abiura da parte del filosofo di Nola, che ritratta le sue convinzioni - non si sa quanto sinceramente - e invoca il perdono dei giudici promettendo di ravvedersi. Il Sant’Uffizio romano ha però deciso di avocare a sé la causa e ottiene dalla Repubblica di Venezia il trasferimento dell’imputato: inizia cosi la seconda parte del processo, che si svolge a Roma a partire dal febbraio del 1593 per ben sette anni. L’Inquisizione romana si muove con una scrupolosità straordinaria: verbalizza minutarnente numerosissimi interrogatori, fa analizzare da teologi esperti tutte le opere di Bruno, sottopone ripetutamente al filosofo elenchi di errori filosofici e teologici che gli chiede di abiurare, fornendo all’inquisito ampi mezzi di difesa.

    Contrariamente a quanto si è abituati a pensare, la cella in cui Bruno viene rinchiuso e dove rimarrà per sette anni è - a delta del grande storico Luigi Firpo - un luogo abbastanza vivibile, ampio e luminoso, dove la biancheria viene cambiata due volte alla settimana e dove l’imputato può usufruire di vari servizi come il barbiere, i bagni, la lavanderia. Nei verbali rimane traccia, ad esempio, della richiesta avanzata da Bruno di avere un cappello di lana per l’inverno e una copia della Summa di Tommaso, richieste prontamente soddisfatte.

    A Roma, nel corso del 1597, forse subisce una seduta di tortura; "forse" perché non va dimenticato che per l’inquisizione la semplice minaccia di ricorrere alla tortura viene registrata nei verbali come tortura effettivamente somministrata.

    All’inizio del 1600 il Tribunale presieduto dai cardinale Bellarmino, che ha tentato in tutti i modi di convincere il filosofo dei suoi errori, dopo una lunga serie di ultimatum posti al Bruno, a cui egli risponde con la promessa di voler abiurare, per poi tornare sui suoi passi, decide di consegnarlo al braccio secolare: si arriva così al tragico rogo del 17 febbraio 1600.

    Dunque la morte di Bruno, per quanto tragica, se contestualizzata nel momento e nelle condizioni storiche in cui avvenne, non ha nulla né di misterioso, né di barbaro; ed anzi si può affermare, senza essere temerari, che pochi altri processi - non solo cinquecenteschi - hanno visto da parte dei giudici mettere in atto un comportamento così scrupoloso e corretto, così moralmente e deontologicamente irrepresensibile.

    Da non perdere

    Matteo D’Amico, Giordano Bruno. Avventure e misteri del grande mago nell’Europa del Cinquecento, Piemme, Casale Mon.to 2000, pp. 460.

    È largamente noto come nessun altro processo inquisitoriale quanto quello di Giordano Bruno, sia stato usato, innanzitutto dalla massoneria ottocentesca, come strumento d’attacco alla Chiesa Cattolica. L’operazione è stata condotta presentando in modo distorto la natura del processo stesso.

    Bruno in realtà, sospettato già in gioventù dl crimini assai gravi, frate apostata e fuggiasco, in qualunque luogo abbia soggiornato in Europa è giunto immancabilmente a provocare aspre reazioni a lui avverse, In particolare nei paesi protestanti, dovendo a più riprese fuggire precipitosamente. Inoltre non è stato un pensatore puro e disinteressato, ma, al contrario, si è impegnato In progetti politici dl fatto sovversivi svolgendo, probabilmente, attività di spionaggio, e sognando addirittura, prima dell’arresto, dl sedurre il Papa e di rinnovare personalmente la religione cattolica per trasformarla in un nuovo culto "egiziano". Mago oltre che filosofo, il suo processo è uno dei più corretti e rigorosi che mai il Sant’Uffizio abbia condotto: ai punto che i giudici giungono ad alterare le procedure pur dl dargli un’ulteriore possibilità di ravvedimento.


    © Il Timone – n.25 maggio/Giugno 2003

  3. #3
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    Una spia a corte Giordano Bruno a Londra

    di Antonio Socci

    Parla lo storico che ha scoperto il mestiere di Giordano Bruno a Londra.


    Con Tommaso Moro e l'arcivescovo di Canterbury, nel Cinquecento, comincia il martirio dei cattolici inglesi. Il re Enrico VIII e sua figlia Elisabetta staccano la Chiesa inglese da Roma. Comincia l'anglicanesimo la Chiesa asservita alla Corona. Elisabetta odia i cattolici anche perché cattolica resta Maria Stuarda, legittima pretendente al trono e sua prigioniera (alla fine sua vittima). Adesso lo storico inglese John Bossy, dell'università di York, svela in un libro (Giordano Bruno and the Embassy affair, Yale university press) l'identità dalla spia che permise ad Elisabetta di schiacciare uno dei tentativi di rivolta dei cattolici. Si tratterebbe di Giordano Bruno, che visse, alcuni anni a Londra, ospite dell'ambasciatore francese, Castelnau.

    Perché Bruno avrebbe dovuto servirsi dello pseudonimo di Henry Fagot?
    Se scriveva lettera in quanto spia, è chiaro che gli serviva uno pseudonimo. Del resto è risaputo che gli piaceva attribuirsi strani soprannomi «uomo dagli infiniti nomignoli», l'hanno chiamato.

    Molti studiosi sostengono che Bruno non sapeva il francese... E' vero che non ne abbiamo una prova diretta e irrefutabile (escluse naturalmente le lettere firmate Fagot). Ma non dimentichiamo che ha trascorso quattro anni, in Inghilterra, in un ambiente in cui il francese era la lingua ufficiale, anche se vi si parlavano certamente molte lingue, compreso l'italiano. Nei suoi scritti si incontrano numerosi gallicismi. Il suo miglior amico londinese, John Florio, parlava allo stesso modo l'inglese, il francese, l'italiano.

    Nel 1583 Bruno entra in urto con l'ambiente puritano di Oxford. Inoltre conosciamo, di quello stesso periodo, lettere e documenti di suo pugno, in cui egli descrive i suoi obiettivi. Ben diversi quelli che dichiara Fagot...
    «Puritanesimo» è una parola imprecisa, dal significate incerto. Bruno entra in conflitto con Oxford, ma Oxford non si può considerare in alcun modo un'università puritana. A quell'epoca stringe amicizia con sir Philip Sidney, un vero campione di «puritanesimo», se con ciò intendiamo la volontà di condurre una crociata protestante contro Roma. E Sidney era genero di sir Francis Walsingham, il destinatario delle lettere di "Fagot". Non credo che l'opposizione al "puritanesimo" fosse il motivo principale del comportamento di Bruno. Con questo non intendo certo negare la sua ostilità nei confronti della teologia protestante. Quanto ai documenti da lei citati, non trovo che siano incompatibili con l'obiettivo dichiarato di Fagot la distruzione del papato e dei suoi progetti, in Inghilterra e ovunque.

    Frances A. Yates ipotizza una sua collaborazione con i francesi...
    Non credo affatto che Bruno sia stato inviato in Inghilterra dal re di Francia Enrico III, allo scopo di favorire una riconciliazione politica e religiosa tra i due Stati. Non esistano prove a conforto di questa teoria che oltretutto è alquanto improbabile. Sono ben pochi se ce ne sono gli storici seri che oggi l'accetterebbero. Si tratta, con buona pace di Michele Ciliberto che ne ha scritto su Repubblica, di un'ipotesi ben diversa da quella avanzata da me.

    Le si obietta anche che Bruno in Inghilterra era screditato prima ancora di sbarcarvi. In realtà penso che nessuno, in Inghilterra, l'avesse mai sentito nominare prima dei suo arrivo. La prima notizia che lo riguardi è, quasi certamente, la lettera dell'ambasciatore inglese a Parigi, dove si parla dell'arrivo di questo italiano, cattolico, professore di filosofia. Non vedo perché avrebbe dovuto essere screditato.

    Come ha sventato Elisabetta il complotto denunciato da Fagot? Walsingham ha avuto accesso alla corrispondenza tra Castelnau e Maria Stuarda grazie al segretario di Castelnau stesso, che prendeva ordini da Fagot. Questo ha condotto all'arresto del principale agente della cospirazione in Inghilterra, Francis Throckmorton, il quale poi, interrogato sotto tortura, rivelò tutti i dettagli della congiura. Fagot-Bruno denunciò Throckmorton sei mesi prima, e ha insistito nella sua denuncia fino a quando questi venne arrestato.

    © Il Sabato – 18 Gennaio 1992, n. 3, p. 52s.

  4. #4
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    Il rogo di Giordano Bruno

    di don Luigi Negri

    L'inquisizione ha distrutto la creatività dell'uomo moderno?

    Intendo fare come premessa un'osservazione metodologica che serve sia retrospettivamente per il problema delle crociate, sia per il problema molto più complesso e spinoso di Giordano Bruno e che servirà anche per tutti i punti scottanti della storia della Chiesa.

    Il problema della conoscenza storica è un problema di conoscenza globalrnente morale. Non si tratta di conoscenza scientifica dell'avvenimento storico. L'avvenimento storico, infatti, in quanto è un atto di persone e di gruppi di persone che hanno intenzioni e subiscono condizionamenti non può essere studiato come un qualsiasi fenomeno scientifico. La verità ultima di tutti gli avvenimenti storici sfugge allo storico, che la può conoscere solo per approssimazione. In questa approssimazione c'è certamente un aspetto di considerazioni morali, ma non soltanto morali, infatti l'aspetto interessante sta nel vedere come attorno al giudizio morale si raccolgono fatti, valori positivi, condizionamenti che ci mostrano la struttura sottostante, per cui la conoscenza di un fenomeno storico è ultimamente la conoscenza della sua struttura. Ora, nella struttura di questo periodo, mi sembra che il movente non unico, ma determinante, che convive con moltissime cadute o incoerenze, sia un movente che trova la sua origine nella fede e nell'impegno della testimonianza cristiana nel mondo.

    L'osservazione che nel fenomeno delle crociate ci sono stati dei fatti immorali sarebbe inutile a farsi. io non ho avuto l'intenzione di dire che non ci sono stati fenomeni di violenza, ho semplicemente cercato di scardinare l'idea laicista della crociata, cioè che nella crociata la religione mostra il suo fondamentalismo utilizzando la violenza per un'operazione di carattere ideologico-politico: questo è quello che io ho messo in discussione. Ciò che ci preme dire circa il cedimento morale è che non si tratta di un problema delle crociate, ma di quell'epoca: durante tutto quel periodo il contatto era rozzo e si avevano le mani piuttosto pesanti, non solo fra cristiani e musulmani, ma fra cristiani e cristiani, fra musulmani e musulmani, ecc

    É chiaro che ovunque si ammazza un uomo si compie un delitto. Il problema è vedere il gioco di questo giudizio morale all'interno di un fenomeno che è complesso e sfaccettato, denso delle più diverse implicazioni.

    Per quanto riguarda Giordano Bruno, la complessità si rivela nel fatto che la sua vicenda va situata nel suo nucleo teologico-filosofico-ecclesiale, nell'ottica di quella particolarissima situazione della Chiesa e della società civile che caratterizzava ancora il Seicento.

    La soppressione di una vita (che dal punto di vista morale è sempre un grave errore, sia esso compiuto nel 1600 al Campo dei Fiori oppure nei campi di concentramento, oppure sparando all'amante della moglie) assume connotazioni, valori anche morali diversi a seconda che si cerchi di individuare il contesto in cui è operata e le motivazioni profonde che l'hanno determinata. Quindi vi è certamente una valenza morale, ma non si può ridurre la conoscenza storica alla valutazione morale, poiché la conoscenza storica è conoscenza di un complesso di istanze che si intrecciano in ogni gesto umano. In ogni gesto umano esiste l'aspetto dell'intenzione, dei valori, del condizionamento, dell'incoerenza. L'interesse di uno studio storico è allora mettere in evidenza che cosa è Stato determinante come intenzione, che cosa è stato determinato come esperienza e quali sono stati eventualmente i valori che l'hanno resa più o meno coerente e che, quindi, rendono più o meno comprensibile il gesto.

    Veniamo ora alla questione di Giordano Bruno.

    Intendo immedesimarmi nella domanda che è stata posta a titolo di questa parte: "L'inquisizione ha spento la creatività dell'uomo moderno?". Cercherò di rispondere tentando di delineare almeno gli aspetti fondamentali dell'episodio di Giordano Bruno.

    1. Giordano Bruno è un fenomeno assolutamente eccezionale nella storia della cultura del Rinascimento italiano. E l'espressione di quel particolare momento, la pienezza del Rinascimento italiano, in cui l'uomo è la misura di tutte le cose, si concepisce veramente come l'origine di tutte le energie intellettuali e morali.

    Rileggendo il fenomeno di Bruno, Schelling diceva: "È una personalità ebbra di Dio". Bruno è una personalità di ricchissima cultura, normalmente acquisita in modo autodidattico, pur avendo fatto studi regolari che, seguendo l'itinerario dell'ordine domenicano cui apparteneva, avevano una impostazione sostanzialmente non ancora tomistica, ma che comprendeva una forte componente agostiniana. Infatti il pensiero di san Tommaso si fa strada faticosamente anche all'interno dell'ordine, arricchendosi di influssi e correnti diverse.

    La sua stessa vita, se ripercorsa, ci mostra una capacità straordinaria di produzione culturale e di rapporti. Quest'uomo, che nasce tutto sommato in una piccola città di provincia (Nola) e che nel giro dei pochi anni giovanili ha già rotto con l'ordine, si è secolarizzato e arriva nel 1581 a Parigi. Qui entra a contatto con le cerchie più interessanti della cultura e della politica ed i suoi rapporti con Enrico III, re di Navarra, sono qualcosa che deve essere ben studiato perché io mettono anche in una posizione di particolare rilievo a livello politico nel confronto Francia, Inghilterra, Spagna che domina in quel momento la storia politica. Passa in Inghilterra nel 1583; a Oxford scrive le opere fondamentali in italiano: La cena delle Ceneri; Della causa principio et uno; Dell'infinito universo et lo mundi; Lo spaccio della bestia trionfante; Gli eroici furori.

    Si scontra con la cultura di Oxford; commentando questo episodio, è sempre stato detto che è l'uomo del Rinascimento a mettere in crisi la struttura medievale che sopravvive a Oxford. Non è assolutamente vero: la Oxford che egli incontra è protestante, ha rotto con la tradizione filosofica del Medioevo, quindi con la grande scolastica, e si è ridotta ad essere sostanzialmente un luogo di filologi, un luogo di letterati.

    Quindi, la lotta, il confronto è fatto da Giordano Bruno nel tentativo di recuperare i termini della grande cultura oxoniense ed è all'inizio di un movimento di recupero della cultura tradizionale che passa attraverso l'università, su impulso anche suo e di altri grandi personaggi del mondo elisabettiano, attraverso dei cenacoli liberi. Egli si trasferisce in seguito a Praga, dove viene a contatto con una tradizione di carattere ermetico-magico. Torna finalmente a Parigi nel 1586, dove la morte improvvisa di Enrico III di Navarra che apre l'ascesa al trono di Francia ad Enrico IV, lo convince a tornare in Italia nel 1591.

    Appena tornato a Venezia, in una situazione di fondamentale libertà nei confronti della struttura ecclesiastica, viene denunziato dal patrizio che l'aveva chiamato, Giovanni Mocenigo. Incomincia qui quel lungo processo di cui parlerò come terzo argomento del nostro lavoro: iniziato nel 1591 si conclude, per quanto riguarda la fese veneta, nel 1593 con un sostanziale "non luogo a procedere" di fatto se non di diritto. A seguito di ciò abbiamo l'estradizione a Roma nel 1593, una seconda fase del processo che si conclude con il rifiuto alla ritrattazione e con l'esecuzione capitale nel febbraio del 1600 in Campo dei Fiori.

    E certamente un personaggio straordinario, frate di un convento di una piccola provincia italiana, che gestisce una responsabilità di carattere culturale e in qualche modo politico che assume connotazioni di carattere sociale e politico di rilievo internazionale. Ma non è l'unico. Nello stesso periodo, più o meno coevo, Tommaso Campanella ha una situazione di carattere culturale, storico e politico analoga.

    Bruno è un uomo che non ha retroterra culturali determinati, che riesce a valorizzare san Tommaso e la cultura del Rinascimento italiano; riesce anche a valorizzare la filosofia neoplatonica nella versione fondamentalmente ortodossa di Marsilio Ficino. Ma, attraverso Agricola, viene a contatto con il pensiero ermetico e magico o con quella che vien chiamata la filosofia e la religione egiziana. Dopo aver mostrato l'eccezionalità di questa figura, che dimostra realmente come il Rinascimento italiano ha determinato un'immagine d'uomo e di cultura assolutamente nuova e creativa, dobbiamo ora cercare di entrare nel vivo del pensiero di Giordano Bruno.

    2. A questo scopo noi possiamo utilizzare oggi le opere di una studiosa, la Yates, che ha dedicato a Giordano Bruno tutta la sua ricerca filosofica ultraquarantennale favorendone un'interpretazione in qualche modo nuova e più adeguata.

    Bruno non vuole essere un filosofo cristiano, ma un mago rinascimentale propagatore dell'antica religione egiziana, poiché attraverso Agricola valorizza e si fa promotore di tutta la corrente mnemotecnica e magica. Si tratta della corrente della teoria della memoria, che nasce come letteratura (come studi di struttura letteraria, diremmo noi oggi), ma che ha un valore molto più ampio della struttura letteraria, perché viene accostata alla capacità magica. In questa accezione, Giordano Bruno è innanzitutto un mago rinascimentale, che crede dì poter realizzare una visione universale di carattere precristiano e fondamentalmente anticristiano perché il cristianesimo è, secondo lui, responsabile della distruzione di questa antica religione egiziana che permette il massimo nell'intervento e nella trasformazione della realtà materiale e sociale attraverso la magia in senso stretto.

    La sua preoccupazione fondamentale, lo vedremo nel processo, è quella di attutire il più possibile i punti di contrasto con la tradizione cattolica e addirittura con la disciplina ecclesiastica. Egli vuole dimostrare una capacità di formulazione culturale assolutamente nuova, che non ha e non vuole avere legami immediati con la tradizione cristiana, anche se non la rifiuta. Ecco perché a Oxford è il difensore di san Tommaso, ovvero il difensore dal punto di vista culturale di un'altissima tradizione filosofica che le vicende del protestantesimo, con una sorta di distruzione dell'immediato passato cattolico, avevano cancellato. A Oxford c'erano stati dei veri e propri roghi di centinaia di migliaia di manoscritti dell'antica tradizione filosofica; Giordano Bruno e un uomo di cultura, che non può accettare che un momento fondamentale della storia, della cultura precedente venga distrutto per fanatismo.

    Si tratta dunque di un uomo che, nella sua straordinaria libertà di approccio con il passato, non ha come preoccupazione quella del dialogo con la tradizione cattolica, ma quella di formulare un'immagine assolutamente nuova dell'uomo e del suo rapporto con la realtà. Nello Spaccio della bestia trionfante si afferma: "Non sai come l'Egitto sia l'immagine del cielo? La nostra terra è tempio del mondo, ma tempo verrà che apparirà l'Egitto. Invano esso è stato religioso cultore della divinità. O Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole, la morte sarà giudicata più utile della vita, nessuno alzerà gli occhi al cielo. Il religioso sarà stimato insano, l'empio sarà giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono; ma non dubitare Asclepio, perché dopo che saranno accadute queste cose, allora il Signore, Padre e Dio governatore del mondo, senza dubbio darà fine a tal macchia richiamando il mondo all'antico volto".

    Dunque, c'è una posizione del tutto originale, che è quella della religione egiziana e della magia a essa conseguente, fenomeno che si lega al progetto globale di una riformulazione radicale e definitiva della cultura proprio del Rinascimento. Anche Campanella, infatti, parlerà di una instauratio magna della filosofia e delle scienze; anche Telesio ha parlato di una instaurazione da capo del sapere, proprio perché l'uomo che fa cultura non ha più nessuna vincolo, ed in questo senso è realmente l'uomo moderno, che si sente e vive svincolato da qualsiasi condizionamento.

    Su questo progetto si innesta una preoccupazione di tipo strettamente politico: Giordano Bruno è filofrancese. Quando soggiorna a Oxford abita a casa dell'ambasciatore di Francia, presso la corte di S. Giacomo. Infatti, la Cena delle Ceneri, che è l'opera programmatica, è la descrizione di una cena, svoltasi nell'ambasciata francese, in cui egli dialettizza con i rappresentanti della cultura ufficiale di Oxford.

    Sostanzialmente la sua preoccupazione religioso-politica è quella di operare una mediazione che isoli gli estremismi.

    Quali sono per lui gli estremismi? Il regno di Spagna e la sua politica ultrapapale, ultracattolica e il fanatismo luterano. Stando così le cose, lo scontro e inevitabile e la possibilità di ricostruire in Europa una situazione sociale e politica non turbata dagli scontri religiosi si annulla.

    Ecco perché intorno ad Enrico III c'è, certamente appoggiato all'azione culturale di Giordano Bruno, il tentativo di tessere le trame di un'alternativa moderata alla controriforma da un lato e al radicalismo luterano, calvinista, protestante e anglicano. La morte di Enrico III e la salita al trono di Enrico IV che si converte perché "Parigi val bene una messa", mette fine a questo progetto.

    É fuori discussione che uno potesse pensare di essere mago rinascimentale, cioè di creare un tipo di struttura intellettuale e tecnologica (perché, in fondo, la scienza è un aspetto della tecnologia o, almeno, ha delle applicazioni tecnologiche) per modificare la vita e il comportamento degli uomini e, al di là di esso, i comportamenti sociali e, quindi, la struttura della società ma è chiaro che tale posizione non possa più essere considerata cattolica.

    Dunque, la Chiesa con Giordano Bruno si trova di fronte a un fenomeno che ha più volti e che pretende giocare anche un peso di sostanziale rilievo all'interno della politica. Occorre tener presente che sono gli anni in cui il cattolicesimo era ridotto a Italia e Spagna; sono infatti gli anni della massima avanzata del luteranesimo in Europa e, con Elisabetta, della sistemazione dell'anglicanesimo in Inghilterra e Bruno è certamente il ponte fra i settori moderati che sono attorno ad Elisabetta regno di Francia per creare un'intesa moderata.

    Che questa sia la sostanza del pensiero di Bruno, credo che si possa più mettere in discussione: mi che sia un dato acquisito dalle ricerche più rea compreso il contributo della Yates, come riconoscimento unanime di tutti gli studiosi, primo fra tutti il Garin, che si erano occupati del problema della filosofia rinascimentale in Italia.

    É un fenomeno, dal punto di vista culturale, di assoluta eccezionalità, nuovo e che pretende di essere nuovo, che nelle sue radici travalica, a monte, il cattolicesimo portando a galla una tradizione gnostica, sofistica, magica che ha permeato tutta la tradizione, anche tutta la cultura medievale, senza mai essere completamente eliminata.

    Quindi, in Giordano Bruno viene a galla il volto anticattolico della modernità, il massimo della creatività; ma questa creatività, evidentemente, non può che essere "diversa": si tratta di una creatività nuova che prende atto di vivere in un contesto determinato dalla tradizione. La tradizione, però, è sostanzialmente da rinnegare perché il cattolicesimo, come struttura ecclesiale ed ecclesiastica, è per Bruno responsabile della eliminazione della religione naturale universale.

    La religione egiziana come religione naturale: è una tematica che tutto il Seicento affronterà, dove viene messo a tema il rapporto fra le religioni naturali e le religioni storiche e se le religioni storiche, e in particolare il cattolicesimo, siano una corruzione o un inveramento delle religioni naturali.

    Si tratta perciò di una problematica che vede un mutamento antropologico: questa gente non aveva nessun pregiudizio né rispetto per niente, perché voleva costruire una visione originale dell'uomo e della realtà e portarla, il più rapidamente possibile, dall'aspetto teorico all'aspetto pratico. Quindi, viene recuperata anche quella istanza fondamentale della modernità che si sarebbe espressa compiutamente dopo l'illuminismo, cioè l'ideologicità, ovvero il passaggio dalla teoria alla prassi e la modificazione della prassi, soprattutto della prassi sociale, a partire dalla teoria.

    Questo è Giordano Bruno. Egli non è soltanto un frate ribelle; è una personalità che si pone sul piano teorico, pratico, ecclesiale e politico dei problemi che sono assolutamente obiettivi.

    Dopo aver chiarito l'immagine, ricordiamo che già nella sua biografia gli studiosi si sono chiesti chi ha finanziato la sua enorme capacità di viaggio, non potendo evidentemente essere pagata da lui stesso. Qualche anno fa un certo filone di studi storici ha individuato la possibilità che egli fosse una spia in Inghilterra a servizio della Francia.

    Anche queste ipotesi tendono a indagare livelli di eccezionale complessità nella vicenda bruniana, la quale, nella sua realtà ultima, appare in tutta la sua perspiquità.

    3. Arriviamo al processo. Su di esso dobbiamo certamente soffermarci in quanto è questo il punto dello "scandalo" per la storiografia e la cultura laicista.

    Qualche mese fa, quasi provvidenzialmente, è uscito in Italia Il processo a Giordano Bruno a cura di Luigi Firpo.

    Luigi Firpo è stato un grande filosofo del diritto e della morale, un grande storico della filosofia di formazione laicista, uno dei migliori allievi di Saitta e Gentile, che ha studiato per quasi quarant'anni le carte del processo di Giordano Bruno. Con questi documenti è stato possibile ricostruire con assoluto rigore tutte le vicende giudiziarie di Bruno, ad esempio le varianti delle accuse nelle denunce scritte e nelle accuse orali.

    Il processo di Giordano Bruno è il tipico processo inquisitoriale; noi diremmo, provocatoriamente, un processo altamente garantista. Il processo si muove a partire da alcune accuse, orali o scritte, che vengono registrate e di cui viene data immediata notizia a colui che è inquisito perché possa difendersi; sono decine, e son tutti in archivio i memoriali che Bruno stende per rispondere alle singole accuse. Le accuse non hanno valore probatorio se non sono confermate da almeno tre testimoni; per cui, un'accusa di un solo testimone, per esempio il Mocenigo, quello che lo denunziò, viene ritenuta invalida fino agli ultimissimi giorni del processo.

    Dopo la conclusione del processo a Venezia, che resta una cosa a parte, inizia la prima fase del processo romano nel 1593. Egli è detenuto a Roma nelle prigioni del S. Uffizio, che sono prigioni che prevedevano che il carcerato avesse una sua cella a disposizione, potesse scrivere, leggere, entrare a contatto periodicamente con quelli che potevano essere coinvolti nella sua difesa. Ogni tre mesi, infatti, gli inquisitori (non soltanto i funzionari, ma i cardinali inquisitori) incontravano i prigionieri, i quali esprimevano le loro istanze, le loro richieste: ci sono documenti in cui Giordano Bruno chiede vestiti pesanti perché fa freddo, chiede una modificazione del vitto perché è sempre quello, chiede di poter leggere e scrivere, chiede penne, inchiostro, breviari, chiede la possibilità di consultare la Summa Theologiae. Quindi, anche dal punto di vista del rapporto con gli accusatori pubblici, il processo è fatto perché l'imputazione possa essere contestata.

    C'è, dunque, una prima fase che è quella della individuazione delle accuse, della interrogazione dei testi, della loro verbalizzazione e contestazione, motivo per cui l'udienza si chiama "constituto"; ci sono ventun "constituti" in cui Bruno è presente, in cui vengono contestate le accuse e gli vien dato, normalmente, uno spazio adeguato di tempo per la risposta.

    Quando si è in fase di conclusione del processo romano (siamo nel 1595), c'è un intervento diretto del Papa il quale, siccome le accuse hanno messo in evidenza le opere, chiede a una commissione di teologi di valutare se, nella lettura dei testi stampati e anche di quelli non ancora stampati, ma manoscritti, ci siano conferme alle accuse già fatte o nuove accuse. Questa censura (come si dice) dei libri dura due anni: dal 1596 al 1597.

    Nel 1597 si rifà integralmente il processo, perché l'Inquisizione richiede che, discussa una prima volta la causa, escussi i testi, archiviate le accuse e risposto l'inquisito alle accuse, non sia sufficiente: è necessaria una ripetizione, che può essere fisica o documentale, cioè il testimone può tornare per riproporre le accuse oppure può affermare, per iscritto, che le accuse precedentemente presentate sono confermate.

    Dal punto di vista del rigore giuridico, non si può fare nessuna accusa al processo inquisitoriale perché questo è esattamente lo schema di tali procedimenti.

    Alla fine di questo lungo processo (leggendo Firpo ci si rende conto del passaggio) alcune accuse vengono fatte cadere e alcune sono confermate. Le quattordici proposizioni che vengono sottoposte negli ultimi due "costituti" a Giordano Bruno e sui quali gli viene chiesta la ritrattazione, non sono tutte le accuse del primo processo del 1591; non sono neppure quelle del secondo processo del 1594, ma sono ciò che è rimasto di tutta l'azione giurisdizionale di carattere inquisitoriale e che rappresentano qualche cosa nei confronti della quale la Chiesa non può ammettere che un cristiano le affermi impunemente. Esse sono: negare la Transustanziazione, che riprende la quarta accusa della prima denuncia; mettere in dubbio la Verginità di Maria; aver soggiornato in Paesi eretici, vivendo alla loro guisa; aver scritto contro il Papa lo Spaccio della bestia trionfante; sostenere l'esistenza di mondi innumerevoli ed eterni, in una concezione totalmente panteistica, per cui l'universo è Dio e Dio è l'universo, e il rapporto tra l'uno Dio e il mondo è un processo emanativo, quindi sostanzialmente necessitato, e quindi non è più affermato il principio della creazione del mondo da parte di Dio; asserire la metempsicosi e la possibilità che un'anima informi più corpi, ritenere la magia buona e lecita; identificare lo Spirito Santo con l'anima del mondo, quindi dare una versione non cristiana di un dogma fondamentale della fede; affermare che Mosè simulò i miracoli e inventò la Legge; dichiarare che la Sacra Scrittura non è che un sogno; ritenere che perfino i demoni si salveranno; asserire che Cristo non è Dio, ma ingannatore e mago, e che a buon diritto è stato ucciso; asserire che anche i Profeti e gli Apostoli furono maghi e quasi tutti vennero a mala fine.

    Ciò che è accaduto negli ultimissimi mesi rimane, anche nello studio delle carte processuali un fatto enigmatico. Giordano Bruno, non soltanto nella fase veneta (1591-1593), ma anche lungo tutto il corso della fase romana si era detto disponibile alla ritrattazione e aveva sostanzialmente ritrattato tutti i punti di più grave frizione con il dogma cattolico e con la disciplina ecclesiastica, ribadendo, nei casi del dogma, che si trattava il più delle volte di discussioni di carattere puramente teorico fatte con gente che non ci credeva; dal punto di vista della disciplina, aveva ribadito che, essendo vissuto come errabondo per tutta l'Europa in Paesi non cattolici, poteva avere certamente assunto un modo di fare e di dire non propriamente ecclesiastico.

    Quindi, se si seguono le carte del processo, per quanto riguarda il patrimonio dogmatico-cattolico e la ecclesialità Giordano Bruno è morbidissimo.

    La ritrattazione nel processo inquisitoriale comporla sola comminazione di pene canoniche, non di pene civili. Il reo che ha ritrattato, che ha riconosciuto avere sbagliato, al massimo ha una serie di pene cache, nel caso di frati, consistevano nel confinamento in qualche convento e nell'esercizio di una serie di pratiche di pietà da realizzare evitando, quindi, di essere consegnato al braccio secolare, come invece chi non ritrattava. Al contrario, chi non ritrattava assumeva esplicitamente e pubblicamente una posizione alternativa alla Chiesa; e siccome la Chiesa informava la società, consegnava il reo al braccio secolare perché la vicenda da religiosa e canonica assumeva un rilevo di carattere civile.

    Ora, è indubbio che il processo stia andando verso la ritrattazione quando accade un evento gravissimo: un anno prima della conclusione un frate che era stato imprigionato a Padova e a Venezia con Giordano Bruno, tal frà Celestino da Verona, che vive in un convento delle Marche e sta ponendo fine ad una condanna di carattere canonico che aveva ricevuto dall'Inquisizione, si presenta spontaneamente a Roma con un accusa circostanziata a Giordano Bruno.

    Era un'accusa tremenda, così grave, dice il Firpo che ha studiato le carte, che viene segretata direttamente da Clemente VIII per cui non se ne trova traccia. Essa è comunque un'accusa gravissima, di cui Celestino si dice anch'egli responsabile, tant'è vero che viene giustiziato sei mesi prima di Giordano Bruno.

    C'è dunque questo fenomeno aberrante, incomprensibile di uno che sostanzialmente accusa Giordano Bruno di una tale eterodossia e probabilmente di una doppiezza invincibile nei confronti della Chiesa che non solo il suo caso ha una conseguenza tragica, ma che il processo a Giordano Bruno, con una testimonianza così giurata e spontanea, si trova di fronte a una svolta veramente drammatica.

    Giordano Bruno sembra sostanzialmente dire: "Sono disposto a ritrattare tutto, meno i principi della mia filosofia".

    Questa è la questione. Sostanzialmente il rifiuto di Giordano Bruno è di mettere in discussione, con una istanza culturale e morale come la (Chiesa, il contenuto della sua creatività. I suoi errori dogmatici e la sua disobbedienza erano per lui in fondo degli avvenimenti secondari. Il cuore della sua vicenda umana e culturale era la sua filosofia, questa nuova o antica visione della realtà recuperata e portata in vigore, su cui si poteva in qualche modo creare un momento nuovo della storia dell'umanità. Su tutto avrebbe potuto ritrattare, su questo no.

    Ma le proposizioni su cui la Chiesa ha chiesto la ritrattazione sono ugualmente di carattere dogmatico, di carattere disciplinare ed ecclesiastico e di carattere filosofico. Credo che il dramma (e Firpo dice dramma tra la libertà di coscienza e l'autorità) è davvero nel senso che la visione cattolica dell'uomo ritiene che la creatività non sia l'assoluto; la creatività è una capacità soggettiva ed individuale che deve misurarsi con una Presenza che ritiene di essere la rivelazione definitiva dell'Essere, di Dio e che, quindi, in qualche modo si pone come normativa della creatività.

    Allora, è indubbio che il processo ha la sua conseguenza inevitabile: il rifiuto della ritrattazione dà alla questione un carattere prevalentemente civile.

    La ritrattazione rifiutata comporta l'itinerario solito, cioè la consegna al braccio secolare e l'esecuzione; ma affinché avvenga la ritrattazione dei dieci, quindi dalla comminazione della sentenza all'esecuzione, vi è stato (come ricordano le carte dei processo) un susseguirsi continuo di tentativi di aiutarlo a trattare attraverso i migliori rappresentanti degli Ordini Predicatori di Roma (agostiniani, francescani, gesuiti). Ma Giordano Bruno è irremovibile e, essendo irremovibile, la questione ha la sua conseguenza di carattere civile. Infatti la legge non prevedeva eccezioni: l'itinerario fu seguito fino al suo esito ultimo, fino all'esecuzione capitale.

    Vorrei ora fare due osservazioni conclusive, sperando di avervi dato il senso della drammaticità della questione:

    - Prima osservazione. Indubbiamente la creatività intesa nel senso moderno della parola è una creatività che, dove la Chiesa ha avuto un suo influsso determinante, si è in qualche modo ridotta, questo è fuori discussione. La controriforma ha rappresentato, dal punto di vista della espressione, della espansione della creatività individuale, un reale ed obiettivo condizionamento. Ma questa creatività di tipo assoluto, in cui l'uomo si concepisce come il creatore della cultura in quanto in qualche modo si concepisce come il creatore della realtà, non può essere pensata puntualmente riferita a Giordano Bruno, il quale non può non essere collegato, al di là della sua vicenda, alla secolarizzazione dell'Occidente e alla nascita di una cultura alternativa a quella cattolica, a quella che dall'Illuminismo in poi si è trasformata sostanzialmente nelle ideologie e nei grandi sistemi totalitari da esse derivati.

    Non si può, quindi, idealizzare la creatività nella storia: la creatività non cattolica nella storia dell'Occidente significa la creazione di una società in cui il riferimento religioso viene contestato, dove c'è una presunta centralità dell'uomo cui segue la distruzione ideologica dell'uomo stesso, la sua obiettiva "manipolazione" da parte del potere ideologico.

    Noi non facciamo la storia di Giordano Bruno cento anni fa; noi rileggiamo la storia di Giordano Bruno alla fine della parabola moderno-contemporanea, ed è fuori discussione che, al di là di tutta l'enfasi sull'assolutezza della persona, la persona umana alla fine di questa parabola risulta molto più manipolata e negata di quanto non fosse all'inizio.

    Quindi, indubbiamente, la creatività riceve un "freno"; ma stiamo attenti a valutare i termini oggettivi e storici di questa creatività.

    - Seconda osservazione. Per capire questa vicenda, che è drammatica, si devono rilevare due aspetti ben distinti.

    Anzitutto, che il rifiuto del dogma e dell'ethos cattolico implicava sostanzialmente il rifiuto dei fondamenti su cui poggiava la società; se volete un paragone con cui si possono capire certe cose è l'equivalente del terrorismo degli anni '70. Dal punto di vista culturale e sociale è un fenomeno che attacca i fondamenti stessi della società; allora la società e la Chiesa, in quanto forma della società, autorizza la difesa fino all'estrema ratio della soppressione della vita, che non viene giustificata, ma utilizzata come forma estrema di difesa.

    É per questo che, senza malignità e senza doppiezza ritengo che l'apparato ecclesiale ed ecclesiastico-sociale non si sentisse personalmente responsabile del delitto, ma si sentisse necessitato ad un intervento particolarmente duro perché era in questione la possibilità stessa dell'esistenza della società, la quale prima di arrivare a questa estrema ratio aveva battuto tutte le strade del convincimento: primo, aveva dato l'esempio di un processo singolarmente oggettivo, senza pregiudizi a priori sulla colpevolezza; secondo, con una preoccupazione che l'accusato potesse prendere conoscenza delle accuse e rispondervi; terzo, l'accertamento che le cose erano obbiettive, cioè l'esistenza di testimonianze e confermavano o addirittura ammissioni proprie 'imputato (Bruno in più di un'occasione ammette: "Sì, ho pensato così, ed ho sbagliato"; ma per quanto riguarda la sua filosofia, in tutte le risposte di Bruno c’è una difesa ad oltranza della originalità del suo pensiero, di cui non si preoccupa e della cui obiezione al contenuto dogmatico fondamentale cattolico non si interessa.

    Allora, concludendo, credo che il dramma di Giordano Bruno sia il dramma certamente della libertà di coscienza e della libertà di ricerca che trova sulla sua strada un punto di obiezione radicale, ma motivato in quanto c'è una dissonanza totale dalla dottrina della Chiesa e c'è la volontà a oltranza di rifiutare di rientrare nell'ambito della Chiesa; e, poiché si vive in una società che è influita dalla presenza della Chiesa, questa si difende.

    È così oggettiva la preoccupazione che, secondo me, in questo caso l'aspetto morale non passa in secondo piano, ma non è quello rilevante, perché per la giurisdizione del tempo non è rilevante nel senso che quello è un modo in cui la società si difende.

    Uno o due secoli dopo si potrà dire: "E una difesa eccessiva, è una difesa colposa" oppure si può obiettare che c'è una evoluzione della coscienza morale personale e sociale che dà alla società strumenti di difesa che non sono di questo tipo; ma tutto questo, secondo me, è secondario nella comprensione della vicenda di Giordano Bruno.

    Riassumendo:

    1) Si tratta di un fenomeno culturale assolutamente nuovo, che dice la maturità del Rinascimento italiano come capacità di creazione di un'antropologia originale e che vive una volontà di creazione totale di cui la frase "ebbro di Dio" è certamente un'immagine significativa. La vita testimonia questa creatività nell"impegno su più fronti: teorico, filosofico, religioso, politico, ecclesiastico-politico; quindi, fa diventare il fenomeno di enorme importanza.

    2) L'aspetto del pensiero lo configura come non più cristiano e che non ha nessuna preoccupazione di affermare il suo non-cristianesimo di affermare una concezione sostanzialmente monistica-panteistica. Lo stesso eliocentrismo di carattere copernicano, ad esempio, viene assunto non in termini scientifici, ma magici; quindi, la visione dell'infinità dei modi, dell'Uno che si esprime nell'infinità dei mondi determina quella che potrebbe essere chiamata una polarizzazione dialettica nell'Essere, per cui l'Essere è insieme uno e molteplice.

    Tutto ciò dice certamente il vigore e la genialità filosofica di questo personaggio, ma dice anche la rottura radicale con un passato, che viene valorizzato dove è necessario, perché è un uomo di cultura (ad esempio, quando la posizione che Bruno ha di fronte non è culturale, non rifiuta di difendere il tomismo, perché il tomismo ha più cultura di quello che domina ad Oxford quando vi parla).

    Quindi, il fenomeno culturale è di una grande imponenza e di una grande e significativa articolazione.

    3) Il processo. Sul processo non c'è niente da dire, trattandosi di un processo oggettivo, di cui il Firpo dice: "La condanna è stata oggettiva. Dal punto di vista giuridico del tempo non esisteva alternativa. Dal punto di vista del procedimento è un procedimento esemplare"; e in questo Firpo dà ragione ad un altro grande storico dei processi inquisitoriali che è il francese Leo Moulin. E un processo altamente garantista, di cui si è in qualche modo tentato di mettere in evidenza l'aspetto delle varietà delle componenti, nessuna delle quali poteva essere ignorata dalla Chiesa: non poteva essere ignorata la visione globale della realtà al di là degli indizi per cui si è anche pensato ad un Improvviso impazzimento, ma sono tutte ipotesi sulle quali sta il fatto grave della testimonianza di frà Celestino da Verona, ma sta soprattutto la non volontà di Bruno di identificare l'aspetto dogmatico con quello filosofico e la difesa a oltranza della propria posizione filosofica contro tutto e contro tutti.

    Certamente la creatività ne risulta ridotta, ma non dobbiamo dire come Gentile e come dice la cultura laicista che l'Italia e la Spagna non conoscono la libertà di cultura e di ricerca, mentre la conoscono solo i Paese protestanti.

    È indubbio che Giordano Bruno rappresenta un punto di scontro drammatico; però questa creatività va letta storicamente. Essa, infatti, è all'inizio di una parabola in cui la creatività alla fine è servita a distruggere l'uomo. Non diciamo che Giordano Bruno voleva distruggere l'uomo; ma se vogliamo fare un'osservazione storica, dobbiamo legare il 1600 al 1900, che è l'espressione storica coerente di questa creatività assoluta dell'uomo per cui egli diventa padrone della realtà. Ma diventandone padrone, diventa padrone anche dei suoi simili, cioè realizza sui suoi simili un progetto ideologico per il quale non risponde a niente e a nessuno, perché essendo l'ideologo il rivoluzionario può fare dei suoi simili tutto quello che vuole.

    Allora, chi ha in qualche modo frenato questa creatività ha certamente ridotto la libertà di ricerca in un punto, ma forse ha anche messo le condizioni perché la parabola non fosse così rovinosa. Questa è almeno un ipotesi da verificare, e io ritengo che la presenza della Chiesa cattolica, che ha duramente contestato una certa antropologia e una certa vita politico-sociale, non ha fatto solamente la difesa dei propri interessi, o la difesa del passato (come dice la storiografia laicista), ma anche creato quello che Giovanni Paolo Il chiama "un grande movimento per la liberazione della persona umana".

    Queste sono tutte le osservazioni che, in questa ricerca spassionata e appassionante, io ho fatto ed ho messo a vostra disposizione perché, almeno quando si tratta di una questione così drammatica che coinvolge anche la libertà e la vita della persona, siano evitate le approssimazioni, gli equivoci o le esasperazioni particolari che non servono mai alla comprensione del dramma della storia, ma, semplificando eccessivamente la storia, danno l'illusione di conoscere. Al contrario, al di là di questa illusione di conoscenza, c'è tanta ignoranza; e l'ignoranza è anche sempre fonte di violenza.

    Tratto da False accuse alla Chiesa, Piemme, Casale Monferrato 1997, pp. 145-165.

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    Giordano Bruno "martire della scienza"?

    Intervista a cura di Cosimo Baldaro e Cosimo Galasso


    Cristianità n. 299 (2000)

    Il 16 febbraio 2000, presso il Liceo Classico Antonio Calamo di Ostuni, in provincia di Brindisi, in collaborazione con il preside, professor Francesco Masciopinto, Alleanza Cattolica ha organizzato una conferenza — con annuncio e con eco sui mass media locali — sul tema Giordano Bruno e la scienza medioevale: continuità o frattura?, relatore il professor Stanley L. Jaki O.S.B., cosmologo e storico della scienza, insignito nel 1970 del premio Lecomte du Nouy e nel 1987 del premio Templeton per la Religione.

    Nato a Gyâr, in Ungheria, il 17 agosto del 1924, all’età di diciotto anni entra nell’ordine benedettino e nel giorno anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima, il 13 maggio 1944, fa la professione religiosa. Il 29 giugno 1948 viene ordinato sacerdote. Nel 1950 ottiene il dottorato in Teologia presso il Pontificio Istituto Sant’Anselmo di Roma. Trasferitosi negli Stati Uniti d’America — ne acquisterà la cittadinanza —, consegue la laurea in Scienze e nel 1957 il dottorato in Fisica con una tesi realizzata sotto la direzione del fisico austriaco professor Victor Franz Hess (1883-1964), lo scopritore dei raggi cosmici, premio Nobel per la Fisica nel 1936. Nel 1956 la prestigiosa casa editrice Herder pubblica un’ampia versione della sua tesi di laurea in Teologia, Les tendences nouvelles de l’ecclésiologie, ristampata nel 1963 grazie al rinnovato interesse per l’argomento dovuto al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) allora in pieno svolgimento. Fra i suoi numerosi titoli accademici sono da menzionare lauree honoris causa in Filosofia, in Matematica e in Lettere.

    Attualmente è professore emerito della Seton Hall University, nello Stato del South Orange, negli Stati Uniti d’America, membro onorario della Pontificia Accademia delle Scienze e di un’altra decina fra accademie e fondazioni culturali: fra esse la Olbers Gesellschaft di Brema, in Germania, e la società ellenica per gli studi umanistici di Atene. Ha pubblicato quarantasei volumi e centinaia di articoli su temi riguardanti prevalentemente la storia e la filosofia della scienza. Sono leggibili in traduzione italiana Le strade della scienza e le vie verso Dio (Jaca Book, Milano 1988), Dio e i cosmologi (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991; su cui cfr. Luciano Benassi, Fede, scienza e falsi miti nella cosmologia contemporanea, in Cristianità, anno XXI, n. 224, dicembre 1993, pp. 17-25), Il Salvatore della scienza (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992), e Lo scopo di tutto. Scienza, filosofia & teologia si interrogano sulla finalità (Ares, Milano 1994).

    Nella sua consistente bibliografia si trova anche un buon numero di pubblicazioni teologiche, fra le quali meritano una speciale menzione uno scritto sul primato di Pietro, And on this rock: the Witness of One Land and Two Covenants, in terza edizione riveduta (Christendom Press, Front Royal [Virginia] 1997); un commento ai salmi, Praying the salms. A Commentary (Wm. B. Eerdmans, Grand Rapids [Michigan] 2000); e un’opera, in seconda edizione riveduta e ampliata, sulle implicazioni scientifiche, teologiche e storiche del primo capitolo della Genesi, Genesis 1 trough the ages (Thomas More Press, Londra 1992).

    In occasione della sua presenza in Italia, come già precedentemente — cfr. Fede e ragione fra scienza e scientismo, intervista a cura di L. Benassi e Maurizio Brunetti, in Cristianità, anno XXIII, n. 239, marzo 1995, pp. 15-20 —, abbiamo intervistato lo studioso benedettino su alcuni argomenti collegati alla conferenza.


    D. Padre Jaki, quest’anno ricorre il quarto centenario del rogo di Giordano Bruno, il filosofo e frate domenicano nato nel 1548 a Nola, nel Napoletano, e morto eretico impenitente a Roma, in Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600. Com’era prevedibile, i mass media hanno fatto un gran clamore, accusando la Chiesa di oscurantismo ed esaltando la figura del pensatore nolano, definito di volta in volta "martire della scienza", "apostolo della modernità", "precursore dell’illuminismo" e così via.

    Lei che, trent’anni fa, ha tradotto in inglese di questo autore La cena de le Ceneri. Descritta in cinque dialogi, per quattro interlocutori, con tre considerazioni, circa doi suggetti (The Ash Wednesday Supper, Mouton, L’Aia 1975), il primo scritto sull’opera del canonico e matematico polacco Mikolas Kopernik, italianizzato in Nicolò Copernico (1473-1543), può dirci qualcosa sul pensiero di Bruno?

    R. Per prima cosa voglio dire che Bruno non ha nulla a che vedere con la scienza. Trent’anni fa, quando decisi di tradurre il suo saggio La cena de le Ceneri, del 1584, dall’italiano-napoletano in inglese, avevo un’opinione diversa. A quel tempo pensavo che, siccome si trattava della prima opera pubblicata su Copernico, dovesse necessariamente contenere concezioni interessanti, sia su Copernico che sulla scienza copernicana. Fui completamente deluso, non solo perché in tale saggio non vi era alcuna traccia di scienza, ma addirittura il suo contenuto rappresentava un insulto a Copernico e alle sue concezioni. Purtroppo, perfino gente con un elevato grado di cultura crede ancora che Bruno abbia serie credenziali scientifiche. Altrimenti, per esempio, perché organizzare, presso l’università La Sapienza di Roma, un convegno internazionale dal titolo Giordano Bruno e la nuova scienza, al quale, il giorno 18 febbraio 2000, sono stato invitato come relatore?

    D. Nell’opera Giordano Bruno: A Martyr of science? (Real View Books, Royal Oak [Michigan] 2000) Lei scrive che "Bruno usò Copernico per promuovere fini non copernicani". Sembra un paradosso. Può precisare la sua argomentazione?

    R. Per Bruno, Copernico è solo un ariete, sicché un edificio ordinato come la visione del mondo aristotelico-tolemaica è distrutta in modo tale che la confusione, producendo rovine, diviene la regola suprema. Bruno non vuole sostituire queste rovine con la precisione dell’universo copernicano e del suo strumento, la geometria. Bruno distrugge, affinché la confusione e l’imprecisione possano regnare.

    D. Dunque, da parte di Bruno non si tratta di adesione alle teorie scientifiche di Copernico, ma semplicemente di un procedimento tattico?

    R. Sì, una tale tattica è chiaramente quella di un megalomane che, come tutti i megalomani, si mette una benda davanti agli occhi. Questo non gli permette di vedere i contorni definiti delle cose e lo induce a credere che anche tutti gli altri uomini possano chiudere i loro occhi davanti alla chiara evidenza. Perciò dovrebbe essere palese che, nell’usare Copernico, a Bruno sfugge il fatto che la sua tattica si rivelava immediatamente come qualcosa di chiaramente irrazionale. È sempre irrazionale usare la ragione contro la ragione. Una cosa era celebrare Copernico come il grande distruttore del mondo chiuso di Aristotele (384-322 a. C.), un’altra era affermare che, una volta distrutti i confini limitati di quel mondo, rimaneva solo un’enorme entità, un "animale" — secondo un’espressione dello stesso Bruno — comprendente tutto quanto non poteva essere descritto con gli strumenti della geometria nel suo futuro corso d’azione. Una tale entità non ha confini, nessun ordine specifico e nessuna coerenza razionale.

    D. Uno dei luoghi comuni della cultura contemporanea vuole che Bruno sia andato al rogo per le sue idee sulla scienza. Bruno può essere considerato un "martire della scienza e/o del libero pensiero"?

    R. Bruno non è certamente un martire della scienza e neppure del libero pensiero, a meno che per "libero pensiero" non s’intenda "pensiero a ruota libera". Infatti, La cena de le Ceneri è una denuncia diretta e indiretta delle caratteristiche fondamentali della geometria: la precisione e la chiarezza.

    Lo scopo di Bruno consisteva nel promuovere una visione del mondo impregnata di misticismo occultista e magico. Invece, dall’inizio alla fine l’opera di Copernico De revolutionibus orbium caelestium libri VI, del 1543, è caratterizzata da un cospicuo uso della geometria e da una fervente ammirazione per la sua efficacia. Bruno rifiutava quell’esattezza che la geometria rappresentava. Non si cura neppure di studiare la complessità della geometria. Gli studiosi dell’università di Oxford, proprio durante il primo dibattito sul sistema copernicano, nel 1584, si rendono perfettamente conto che, a questo riguardo, Bruno non aveva compreso i punti nodali del sistema copernicano. Alle loro argomentazioni egli non replica con controargomenti, ma con aspre ingiurie. Gli studiosi di Oxford affermavano semplicemente che Bruno non conosceva realmente Copernico. Il suo interesse per la teoria copernicana aveva soltanto lo scopo di promuovere la visione di un nuovo ordine del mondo basato sull’occultismo.

    D. Come fondare questa affermazione?

    R. L’asserzione di Teofilo — il personaggio che ne La cena de le Ceneri espone il pensiero di Bruno — secondo cui, fra tutti gli uomini, solo lui può interpretare Copernico, dovrebbe suonare molto strana sulle labbra di uno che molto probabilmente non ha mai letto tutte le pagine del De revolutionibus orbium caelestium, ma solo una parte esigua di esse. D’altronde Bruno non ama la geometria, che ovunque conferma gli argomenti di Copernico, e con ogni evidenza non ha nessuna preparazione relativa al tipo di geometria necessaria per capire e per assimilare i ragionamenti copernicani. Perfino nelle traduzioni moderne il De revolutionibus orbium caelestium rimane un testo ostico da seguire per chiunque non sia preparato in quella che più tardi verrà conosciuta come geometria differenziale.

    D. Vi sono altre ragioni che rendono discutibile la qualifica di Bruno quale "martire della scienza"?

    R. Bruno non può essere considerato un martire della scienza anche perché, esaminando gli elenchi dei suoi errori compilati dai tribunali dell’inquisizione di Venezia e di Roma, si può notare come, fra le accuse, l’eliocentrismo costituisca solo una piccola parte. In realtà, Bruno è un eretico a tutto tondo: non vi è dogma della fede cristiana che egli non abbia negato, almeno implicitamente. Certamente è deprecabile che sia stato messo al rogo, ma rimane il fatto che il distacco di Bruno dall’ortodossia cristiana era così ampio e profondo, che lo stesso destino gli sarebbe stato riservato sia nella "repubblica teocratica" costruita nell’elvetica Ginevra da Jean Cauvin — italianizzato in Giovanni Calvino (1509-1564) — che nell’Inghilterra di Elisabetta I Tudor (1533-1603), se fosse rimasto in entrambe per lo stesso lasso di tempo. A Ginevra viene scomunicato dal Concistoro calvinista, e sarebbe stato immediatamente arrestato, se non fosse sfuggito alla presa della teocrazia calvinista il più velocemente possibile.

    D. Normalmente Bruno è considerato il filosofo dell’infinito. Già il canonico e filologo inglese Richard Bentley (1662-1742), scrivendo al matematico e fisico, pure inglese, Isaac Newton (1642-1727), intravede, fra l’altro, che l’idea di un universo omogeneo e infinito avrebbe potuto servire da copertura per l’ateismo. Alla luce della teoria della relatività Bruno, con il suo infinito, precorre la scienza moderna?

    R. Nell’opera De l’infinito universo et mondi, del 1584, Bruno scrive: "Ci sono soli innumerevoli e un numero infinito di terre orbita attorno a quei soli, così come i sette che noi possiamo osservare orbitanti attorno al sole che è vicino a noi". Tali e simili affermazioni sono state invariabilmente addotte dagli ammiratori di Bruno, che lo considerano un profeta della moderna visione scientifica del mondo.

    Quella dell’infinità era una pretesa curiosa già nel contesto dei suoi tempi, ed è un’assurdità dal punto di vista della scienza moderna. Infatti l’universo di Copernico è rigorosamente finito. L’astronomo e matematico tedesco Johannes Kepler, italianizzato in Giovanni Keplero (1571-1630), sostiene con forza che le stelle sono contenute in un ristretto guscio sferico di 2000 leghe tedesche, un’antica unità di misura, variabile a seconda delle nazioni fra i 4 e i 5,5 chilometri, in Germania pari a circa 10 mila chilometri. In verità, egli fa questa affermazione avendo presente, per oppositionem, la convinzione di Bruno che le stelle siano omogeneamente distribuite in un universo infinito. Inoltre, il fisico e matematico italiano Galileo Galilei (1564-1642) sostiene la finitezza dell’universo, senza tuttavia specificare l’ampiezza del guscio nel quale le stelle sono collocate. Newton non sostiene mai l’idea di un universo infinito e mai rigetta un suo saggio giovanile nel quale esplicitamente sosteneva la finitezza dell’universo.

    L’idea di un universo newtoniano infinito, che appare sporadicamente durante il secolo XVIII, diviene largamente diffusa soltanto nel secolo XIX, sebbene non tanto fra gli scienziati, quanto fra alcuni filosofi e scrittori di scienza. Gli scienziati sapevano bene che un universo infinito, nel quale le stelle siano omogeneamente distribuite, sarebbe colpito da due paradossi: quello ottico e quello gravitazionale. Com’è ben noto, la soluzione del medico e astronomo tedesco Whilelm Olbers (1758-1842) al paradosso ottico era sbagliata: infatti si basava sull’asserto che una parte della luce delle stelle fosse assorbita dall’etere interstellare e conseguentemente il cielo apparisse scuro di notte; ma la soluzione sarebbe stata valida solo se l’etere, o qualsiasi altro mezzo interstellare, non si fosse a sua volta surriscaldato assorbendo luce e riemettendola all’esterno, come di fatto avviene per effetto delle leggi della termodinamica. Durante gli ultimi decenni del secolo XIX, e per la maggior parte dei primi tre decenni del secolo XX, gli astronomi credevano che l’universo visibile o investigabile fosse rigorosamente finito, e che la parte infinita fosse situata al di là di quella finita, e pertanto non avesse alcuna influenza fisica, sia gravitazionale che ottica, su quest’ultima. Nello stesso periodo l’astrofisico tedesco Johann Carl Friedrich Zöllner (1834-1882) e altri asserivano che, per evitare il paradosso gravitazionale, bisognava postulare che la massa totale dell’universo fosse finita e che tale massa doveva essere contenuta entro una sfera quadridimensionale non euclidea. Comunque, dopo la pubblicazione, nel 1917, della quinta memoria del fisico tedesco, naturalizzato svizzero, Albert Einstein (1879-1955) sulla relatività generale, che tratta delle sue conseguenze cosmologiche, la finitezza della massa totale dell’universo è divenuta una pietra angolare delle maggiori cosmologie scientifiche. Alla luce delle implicazioni cosmologiche della teoria generale della relatività anche il filosofo e fisico tedesco Moritz Schlick (1882-1936), fondatore del positivismo logico, ammette che "l’infinità spaziale del cosmo deve essere rifiutata".

    D. Se le asserzioni di Bruno devono essere considerate anti-scientifiche nei confronti della scienza moderna, che cosa dire di esse in relazione alla scienza medieovale?

    R. Bruno rifiutava qualsiasi sistema definito, sosteneva una visione del mondo per la quale ogni cosa si trasformava perpetuamente in ogni altra: agli occhi di Bruno nulla ha un carattere permanente, ogni oggetto può divenire qualsiasi altro. Nella sua visione delle cose non vi è differenza alcuna fra le stelle e i pianeti: è come se la nostra Terra si trasformasse in una stella simile al sole e viceversa. Diversamente, durante il Medioevo, uno dei versetti biblici citati più spesso era quello tratto dal Libro della Sapienza (11, 20): "Dio ha disposto ogni cosa secondo misura, calcolo e peso".

    Questa citazione sapienziale esprime chiaramente il clima intellettuale che si è venuto a creare in epoca medioevale per la grande considerazione in cui era tenuta la geometria. In tutte le civiltà antiche il mito dell’eterno ritorno è causa di morte prematura della scienza: nell’antico Egitto, in Cina, in India e nella Grecia classica. Solo nel Medioevo cristiano la scienza sfugge alla sindrome della sua inevitabile morte. Allora l’ipotesi dell’eternità dell’universo, presente nella cosmologia greca, viene abbandonata in considerazione del dogma cristiano della creazione ex nihilo et in tempore. Questo mutamento comporta, in particolare, una sostituzione delle leggi aristoteliche del moto con la legge del moto inerziale formulata dai filosofi e teologi scolastici francesi Jean Buridan, italianizzato in Giovanni Buridano (1300 ca.-1360 ca.), e Nicole d’Oresme (1323-1382), fatto di grande aiuto per Copernico e per i suoi primi seguaci. Un altro grande contributo dei medioevali alla scienza newtoniana è l’invenzione dell’ars latitudinis, ovvero dell’uso delle dimensioni geometriche per rappresentare le grandezze fisiche. Essa è basilare per lo sviluppo successivo della geometria analitica da parte del filosofo e matematico francese René Descartes, italianizzato in Renato Cartesio, (1596-1650) e aiuta Galileo nel calcolare che le distanze coperte dai corpi in caduta libera sono proporzionali al quadrato del tempo. Pertanto, se il mondo moderno ha una scienza, lo deve alla cultura della Cristianità medioevale.

    D. Ritiene che questa sua affermazione possa essere pacificamente accettata dalla cultura dominante e diffusa nell’Occidentale contemporaneo?

    R. Precisamente al contrario, questa verità ai nostri tempi viene misconosciuta in modo sistematico. La società moderna non potrebbe vivere un solo secondo senza l’aiuto della scienza: Internet, computer superveloci, fibre ottiche...

    Vi sarà sempre più sviluppo scientifico nella nostra vita. Tuttavia, questa cultura moderna vuole la totale confusione, il totale soggettivismo a livello filosofico. Il liberalismo moderno vuole distruggere tutti i princìpi, tutte le norme accettate e non vuole sostituirle con altre regole specifiche. I princìpi fondamentali del liberalismo moderno possono essere condensati in un unico concetto: l’assoluto permissivismo. In questo modo le politiche e le legislazioni moderne, profondamente ancorate a una sempre maggiore permissività, stanno portando la società occidentale al decadimento. Da questo punto di vista, Bruno deve essere considerato solamente come il perfetto precursore di quei filosofi e sociologi moderni che vogliono abbattere ogni regola e specificità. Siate assolutamente orgogliosi dell’eredità trasmessa dalla cultura cristiana.

    a cura di
    Cosimo Baldaro
    e Cosimo Galasso

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    Il lato debole di Giordano e Galileo

    di Antonio Socci

    In nome della ragione sono diventati due miti della modernità. Eppure Bruno e Galilei alla ragione preferivano la magia. Una storia da rifare?


    Occhio alle date: 1492-1992. Sono giusto cinquecento anni che è morto il Medioevo. Da allora l'uomo è stato dotato di ragione (prima niente) e la donna di un'anima. Il 12 ottobre 1492 finisce la barbarie della superstizione e il 13 è l'alba della Ragione. Sono le scemenze del sistema scolastico e le reminiscenze del cittadino medio. Il bianco e il nero. I buoni e i cattivi. La luce della ragione e le tenebre della superstizione. E così passa per rivoluzionario uno storico come Jacques Le Goff quando svela una convinzione ormai assodata per gli specialisti: «Le qualità che tutti attribuiscono al Rinascimento, per me spettano al Medioevo».


    Le leggende nere sono dure a morire. Ma dovremo abituarci alla verità: un Medioevo razionale e realista e una modernità torbida, ermetica, occulta e superstiziosa. I libri di Gustav Henningsen e di Giovanni Romeo usciti di recente hanno mostrato - ad esempio - che pure la psicosi delle streghe, con i conseguenti massacri, dall'antichità passa direttamente al Rinascimento. Il Medioevo razionale e realista com'era, non ha conosciuto "caccia alle streghe". È un fenomeno legato direttamente alla riemersione dell'occulto nel Cinquecento e alla psicosi del demoniaco indotta dalla Riforma protestante nei Paesi del Nord. È ormai accertate che proprio la vituperata Inquisizione - guidata da uomini di grande dottrina e razionalità come lo straordinario Alonso de Salazar Frìas in Spagna- ha preservato i Paesi cattolici da queste sanguinarie fobie di massa. Ed à stata la sola istituzione di legalità e di umanità dove esisteva solo l'arbitrio e l'orrore.
    «Il XX secolo» scriveva Romeo in Inquisitori, esorcisti e streghe (nell'Italia della Controriforma) (Sansoni) «si appresta a lasciare in eredità al Terzo millennio che s'apre un'immagine sorprendentemente nuova dei tribunali come quelli inquisitoriali, tradizionalmente relegati dal nostro immaginario collettivo tra gli orrori del fanatismo clericale». I due capitoli più frequentati di questa leggenda nera sono legati ai nomi di Galileo Galilei e Giordano Bruno. Adesso un'esposizione organizzata a Parigi («Cultura italiana del Seicento in Europa e l'Accademia dei Lincei») e un libro uscito in Inghilterra (John Bossy, Giordano Bruno and the embassy affaire, Yale University Press) portano a conclusioni sorprendenti su questi due episodi svoltisi a cavallo del 1600.

    LE STELLE DI GALILEO


    In una recente conferenza il cardinal Ratzinger ricostruisce questo «mito dell'Illuminismo: Galilei appare come la vittima dell'oscurantismo medievale, ancora persistente nella Chiesa... da una parte troviamo l'Inquisizione come la forza della superstizione, come avversaria della libertà e della conoscenza. Dall'altra parte sta la scienza della natura, rappresentata da Galilei, come forza del progresso e della liberazione dell'uomo dalle catene dell'ignoranza».

    Semplice. Troppo semplice. Oggi sappiamo: che fu lo stesso Galilei a immischiarsi in questioni teologiche e a pretendere il pronunciamento del Sant'Uffizio. Che uomini illuminati come il cardinal Bellarmino e papa Urbano VIII non avevano nessun pregiudizio sulle teorie copernicane e anzi sostenevano la ricerca scientifica. Che la Chiesa sollecitò sempre un atteggiamento razionale da Galileo: non trasformare ipotesi scientifiche in dogmi. Che Galileo non solo fu trattato con umanità. ma fu addirittura "mantenuto" dalla Chiesa.

    Ratzinger cita due autori moderni. Il marxista Ernst Bloch, per il quale sistema copernicano e tolemaico hanno la stessa plausibilità: «Dipende dalla scelta dei corpi presi come punti fissi di riferimento... non appare affatto improponibile accettare, così coma si faceva nel passato, che la terra sia stabile e che sia il sole a muoversi». E' un filosofo della scienza laico, Paul Feyerabend: «Al tempo di Galilei la Chiesa si mantenne ben più fedele alla ragione di Galilei stesso, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina di Galilei. Il suo processo contro Galilei era razionale e giusto, mentre la sua attuale revisione si può giustificare solo con motivi di opportunità politica».

    In effetti la Chiesa del tempo di san Roberto Bellarmino difendeva innanzitutto l'aristotelismo scolastico, cioè l'approccio alla realtà più razionale e realistico. E, curiosamente, la nascente scienza galileiana non ha come programma esplicito la guerra ai dogmi della fede e alla dottrina cattolica, ma lancia tutti i suoi strali contro l'aristotelismo. Affondando lo sue radici nell'antica mitologia ermetica e occultista, nella magia e nell'alchimia rinascimentali. Giordano Bruno, ad esempio, nel 1584 con La cena delle ceneri aderisce alle teorie copernicane, ma non dà motivazioni razionali o matematiche. Per lui l'eliocentrismo indica l'imminente ritorno delle religione "egizia" o magica, "il solo copernicano annuncia il risorgere vittorioso dell'antica verace filosofia". La sua, secondo Frances A. Yates, «è una nuova interpretazione ermetica della divinità dell'universo, una gnosi sviluppata». Una mitologia inaccettabile per la Chiesa che accettava Copernico come ipotesi scientifica, ma - proprio a difesa della ragione e dell'esperienza - riteneva deliri quelli di Bruno. Che da allora crearono forti sospetti attorno all'eliocentrismo.

    GLI INIZIATI

    Le parti si ribaltano: la Chiesa a difesa della ragione e del realismo, la scienza che inalbera il vessillo esoterico delle superstizioni. Alla mostra parigina (allestita dal 12 dicembre all'8 gennaio dall'Institut Français) faceva bella mostra in una teca un documento rivelatore. E' un verbale. Si tratta della riunione di fondazione dell'Accademia dei Lincei: è il 25 settembre 1603. I primi cinque soci si riuniscono nel palazzo romano di Federico Cesi a via della Maschera d'Oro, alle 9.50 del mattino. Il verbale - in parte scritto con caratteri cifrali - rivela che giorno e ora sono stati scelti per «captare il favorevole influsso degli astri, specialmente Mercurio». Spiega il curatore del catalogo: «Il testo redatto dal Cesi appare chiaramente come la descrizione di un'operazione magica condotta secondo i canoni dell'ermetismo rinascimentale con la quale si cerca, mediante la manipolazione di metalli e vegetali collegati ai pianeti, di attrarne simpateticamente l'influsso, convogliandolo verso di sé dalla sfera superiore del cosmo». Si legge sul documento consunto e ingiallito: «Su fogli di carta di seta predisposti allo scopo venivano trascritti pitagorici misteri».

    Così nasce la prima accademia scientifica del mondo moderno. Nel cui seno sbocciò Galileo Galilei, il massimo frutto. Anch'egli largamente interessato all'astrologia. Fa una certa impressione leggere nel Proponimento linceo di "filosofica milizia" e di iniziazione "ai misteri della Sapienza". Ecco i primi Lincei qualificarsi come "sagacissimi indagatori delle scienze arcane e dediti dell'arte paracelsica" ovvero "amanti delle scienze e indagatori delle arti spagiriche".

    TUTTI "FRATELLI"


    L'interesse esoterico per la magia e il disvelamento degli arcani segreti non è una deviazione iniziale: è il substrato delle stesse ricerche empiriche in cui eccellerà Galileo. Il quale infatti convive nell'Accademia con il "mago" Giambattista Della Porta. Non c'è contraddizione. Eugenio Garin lo dimostra nel saggio introduttivo all'esposizione. Questa «fraternitas, che ha tutte le caratteristiche di un ordine rigidissimo, quasi di una setta» prevede diversi tipi di approccio alla conoscenza.

    «L'atteggiamento del Cesi (il capo dell'Accademia, ndr) si iscriveva in una tradizione di sapore ermetico e magico, che nei vari piani della realtà vedeva gradi dell'essere espressi in "linguaggi" da interpretare, mentre solo gli iniziati potevano raggiungere il significato più profondo del "mistero" della natura, decifrando l'ultimo geroglifico dell'essere».

    Tutti i bei nomi della scienza moderna nuotano in questo magma. Da Copernico che evoca Ermete Trismegisto, a Keplero che dichiarava di studiare l'astronomia «more hermetico». Prendiamo Francis Bacon. D'Alembert nel Discorso preliminare all'Enciclopedia ne fa il profeta della scienza moderna: «Nato nel cuore della notte più profonda fa conoscere la necessità della fisica sperimentale». Erano secondo Luigi Firpo «tempi per il sapere umano ancora pieni di oscurantismo», ma con Bacone «si può dire che il Medioevo è finito». Ma scrive la Yates: «L'antico giudizio su Bacon, considerato un moderno ricercatore scientifico e sperimentatore, emerso da un passato di superstizione, non è più valido... (Bacon) scaturisce proprio dalla tradizione ermetica, dalla magia o dalla Kabbalah del Rinascimento».

    Ecco perché poi mister Bacon, con le menti illuminate dei vari Boyle, Grozio e Cartesio, nonché Lutero e Calvino, fu tra i piromani banditori della "caccia alle streghe" (oltre che dell'assolutismo elisabettiano). I libri di Frances A. Yates, l'autorevole studiosa del Warburg Institute di Londra, sono una miniera. E' lei che mostra il parallelismo della Nuova Atlantide di Bacon con la Fama Fraternitatis dei Rosacroce.

    E le origini rosacrociane della stessa Royal Society, la grande accademia scientifica inglese che nacque sotto la bandiera di Bacon e il volere del re ufficialmente nel 1662 (e sul modello dell'Accademia dei Lincei). Si scopre così che pure «la chimica di Robert Boyle era figlia del movimento alchimistico, e che vi era uno straordinario sfondo alchimistico persino nel pensiero di Isaac Newton».

    Tutto l'ambiente scientifico vivo in questo mondo di suggestioni esoterica e qua e là fa continuamente capolino la misteriosa Fraternità dei Rosacroce. Secondo Thomas De Quincey la massoneria è la forma che questa strana setta, di origine tedesca, assume in Inghilterra. E' c'è un fatto curioso. Due dei promotori della Royal Society sono Elias Ashmole e Robert Moray. Il 16 ottobre 1646 Ashmole annota nel suo diario di essere stato iniziato nella loggia massonica di Warrington, nel Lancashire. E il 20 maggio 1641 è documentata l'iniziazione di Moray in una loggia di Edimburgo. Questi sono i due più antichi documenti storici sull'esistenza di logge massoniche (già fiorenti, dunque, a metà del Seicento). La Yates in L'Illuminismo dei Rosacroce (Einaudi) conclude: «(dai Rosacroce) la massoneria attinse solo un filone, mentre gli altri confluirono nella Royal Society, nel movimento alchimistico e in varie altre direzioni».

    E' curioso osservare che una di queste direzioni - se è vera la scoperta di Bossy su Giordano Bruno - è lo spionaggio: i servizi segreti sembrano proprio una delle vocazioni più antiche dell'esoterismo. Ci sarebbe proprio Bruno, infatti, dietro il misterioso pseudonimo Henry Fagot, la spia annidata nell'ambasciata francese a Londra che, nel 1583, svela un complotto dei cattolici (perseguitati) per rovesciare la sanguinaria Elisabetta.
    Il cerchio si chiude attorno alla Corona inglese che si avvia a sbaragliare la Spagna cattolica e scatenare la sua potenza imperialistica. Davanti al dispiegarsi di questa enorme potenza (anche politica e militare) se ci fu un errore tragico da parte della Chiesa fu semmai quello di non essersi opposta abbastanza. Non solo sullo scacchiere politico. Il bel catalogo della mostra sui Lincei, a proposito della magia propiziatoria eseguita dai Lincei all'atto di fondazione, ricorda: «Anche gli Astrologica di Tommaso Campanella contengono il resoconto di un'analoga cerimonia propiziatoria celebrata dall'autore a Roma, nel 1628, assieme a papa Urbano VIII». (Quell'Urbano VIII la cui elezione fu salutata con entusiasmo dai Lincei e da Galileo per la sua apertura intellettuale e il suo interesse verso i fermenti culturali del momento).

    Il potere moderno cominciava a vincere. E la battaglia più sottile, quella fatale, la Chiesa in questi anni la perde appunto con se stessa. John Bossy così conclude il suo libro su L'Occidente cristiano (Einaudi): «Il "cristianesimo" una parola che fino al Seicento indicava un gruppo di persone... da allora, come attesa la maggioranza delle lingue europee, si rifiorisce a un "ismo", ovvero a un insieme di credenze».

    © Il Sabato – 18 Gennaio 1992, n. 3, p. 52s.

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    Rino CAMMILLERI

    Giordano Bruno


    tratto da Fregati dalla Scuola, Effedieffe, Milano 1999.

    "Giordano Bruno era un monaco domenicano dichiaratamente eretico. Gettò il suo accusatore nel Tevere e fuggì dall'Italia.
    Più che un filosofo era un mago, e si inimicò tutti i posti nei quali andò peregrinando. Fu scomunicato perfino dai protestanti.
    Si rifugiò in Inghilterra, dove venne accolto da Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena. Lui, in cambio, le denunciava i cattolici (la persecuzione anglicana nei confronti dei cattolici inglesi fece più di settantamila vittime). Ma dovette fuggire anche da lì.
    Se ne andò a Venezia, la quale, per dispetto al Papa proteggeva gli eretici. Qui si installò in casa del nobile Mocenigo; questi lo manteneva in cambio della promessa di imparare la millantata "arte della memoria" che Bruno sosteneva di possedere.
    Quando il Mocenigo trovò Bruno a letto con sua moglie lo denunciò alle autorità, le quali furono ben felici di sbarazzarsene consegnandolo all'Inquisizione romana. Bruno, che -lo ricordiamo- era un frate, abiurò ma poi tornò sulle sue decisioni, in un balletto continuo che durò anni. Alla fine venne abbandonato al braccio secolare come mago, eretico e sovversivo".

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    OTTIMO THREAD. COMPLIMENTI
    ANCH'IO PROVVEDO A STAMPARLO. MA NON C'ERA QUALCOSA DI SIMILE ANCHE NEL SOTTOFORUM?

    PACE E BENE

    FRANCESCANO

 

 
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