Alle urne, alle urne
La legge sul risparmio non passa, le norme sulla competitività nemmeno, il mandato d'arresto europeo neppure, la riduzione delle tasse (quella vera) è un sogno, così come il dimezzamento della disoccupazione, il pullulare dei cantieri, il taglio drastico della criminalità e l'aumento delle pensioni minime a tutti gli aventi diritto e il resto del bengodi previsto dal mitico Contratto con gli Italiani. Ma ora finalmente si capisce perché: il Parlamento ha cose ben più urgenti da fare. Per esempio, la dura lotta contro i vincoli imposti dal noto bolscevico Napoleone Bonaparte nell'editto di Saint Cloud, nel lontano 1804, contro le sepolture a domicilio.
La norma, tipica del dirigismo comunista e già stigmatizzata a dovere da Ugo Foscolo nei «Sepolcri», è stata finalmente abrogata dalla Camera con 281 voti su 292, una maggioranza così ampia che non si ricordava dall'ultimo aumento di stipendio dei parlamentari. Decisivo l'intervento dell'on. Donato Lamorte (An). Viene così soddisfatta un'esigenza - quella di seppellire il caro estinto nel giardino di casa o di sistemarne l'urna sul comodino da letto - particolarmente sentita dai cittadini. Soprattutto da uno, sempre il solito: il Cavalier Bellachioma.
Chi mai poteva avere la pensata di costruirsi un mausoleo funerario nel parco della sua villa? Lui. Non contento dei privilegi di cui gode da vivo, vuole conservarli pure da morto. E, dopo tante leggi ad personam, s'è fatto una legge ad cadaverem, mandando in prescrizione Saint Cloud. Non che Lui preveda di averne bisogno a breve, anzi: la rigogliosa ricrescita ricorda la peluria del bimbo paffuto della Sangemini e rappresenta un ritorno all'infanzia (ora si attendono con ansia il primo dentino da latte, il primo vagito con la parola «mamma», i primi gattonamenti a quattro gambe, la prima mazzetta alla maestra d'asilo e così via). Ma il nostro, si sa, è un tipo previdente. Si porta avanti col lavoro.
Dall'altroieri il mausoleo di Arcore - unica grande opera di questo governo - diventa legale: potrà finalmente entrare in funzione, ospitando le prime salme berlusconiche disponibili, a oltre dieci anni dall'inaugurazione. Fu agli inizi degli anni 90, infatti, che il capolavoro fu ultimato, ancorché condannato all'inutilizzabilità dal sovietico editto. Il Cavaliere ne fu talmente orgoglioso da invitare appositamente a pranzo Indro Montanelli, allora direttore del Giornale, per mostrarglielo in anteprima. Non gli disse nulla, prima: fu una sorpresa. Dopo pranzo, bevuto il caffè, spalancò la porta-finestra della villa che dà sul parco, et voilà: coup de theatre. Il vecchio Indro si ritrovò di fronte, sul prato all'inglese, quel falansterio in stile egizio grondante simboli massonici ed esoterici. E restò senza fiato.
L'opera è del celebre scultore toscano Pietro Cascella, colui che poi presentò Sandro Bondi al Cavaliere, propiziandone la conversione al culto arcoriano (le sue responsabilità, dunque, vanno ben oltre il semplice mausoleo), con la collaborazione straordinaria della moglie, Cornelia Von Der Steinen. E, naturalmente, con i preziosi consigli del Presidente Architetto, che mette becco dappertutto.
Quando si riebbe dalla visione, Montanelli domandò cosa diavolo fosse quel monumento, piuttosto insolito per le brume della Brianza (gli esperti parlano di uno stile «assiro-milanese», con evidenti influssi della scuola architettonica di Gardaland). Silvio spiegò che si trattava del suo mausoleo funerario e avviò la visita guidata, che poi divenne per Montanelli l'argomento di conversazione prediletto con gli amici. Scesero lo scalone in granito, entrarono nel sancta sanctorum e Silvio squillò: «Ecco il mio sarcofago». Indro pensò a un qualcosa di ornamentale, al massimo a un pezzo da museo trafugato da qualche parte, viste le usanze della casa. «No - lo interruppe il cicerone - questo è il sarcofago in cui io sarò sepolto». Trovando l'idea davvero carina e ritenendo di aver già visto troppo, Montanelli fece per uscire. Ma Silvio lo fermò. «Dove vai? C'è ancora il bassorilievo!». Opera della Cornelia, su progetto di Berlusconi, esso contiene scolpiti gli oggetti che il Faraone di Arcore intende portare con sé nell'aldilà quando verrà la sua ora: un cesto di pane e uno di frutta (pranzo al sacco), un pacco postale sigillato con ceralacca dal contenuto misterioso, un mazzo di chiavi (casomai San Pietro ne fosse sprovvisto) e un telefono cellulare (per le telefonate urgenti). Pensando di aver visto proprio tutto, Montanelli si rivolse verso l'uscita, ma fu ancora una volta bloccato: «Indro, dove vai? C'è ancora il cerchio dell'amicizia». Fu così che Silvio lo introdusse nella seconda sala, tutta circondata di loculi a parete. I primi cinque già preassegnati, con targhetta d'ottone e nome del destinatario: Silvio, Paolo, Confalonieri, Previti ed Emilio Fede. Tutti gli altri ancora liberi. Silvio indicò il sesto: «Lì, Indro, se vorrai farmi questo grande onore, io avrei pensato a te…». La prospettiva di trascorrere l'eternità fra Previti e Fede agghiacciò il vecchio Indro. Che, fatti i debiti scongiuri, si divincolò con uno dei suoi lampi di genio: «Domine, non sum dignus…». E scappò via.
Marco Travaglio.
DONATO LA MORTE (an)