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    Predefinito E se Gesù fosse nato davvero il 25 dicembre?

    di Roberto Beretta

    Drin. "Ma lei lo sa che Gesù non è nato il 25 dicembre?". L'approccio è classico per i Testimoni di Geova, quando suonano alla porta nelle loro peregrinazioni missionarie. E poi giù a dimostrare — accomodati nel salotto dell'interlocutore — come la data del Natale, in realtà, sia quella convenzionale della festa romana (e pagana) del sol invictus e che quindi la Chiesa cattolica spacci falsità ai suoi aderenti: fin dall'anagrafe del suo stesso Dio.

    Ma è davvero così? Il 25 dicembre è veramente una data solo simbolica, scippata al paganesimo e - secondo una prassi per la verità piuttosto abituale per i credenti dei primi secoli - reinterpretata in base alla teologia cristiana? Sostenere il contrario sembrerebbe opera da fondamentalisti, ormai, tanta è la sicurezza che studiosi (anche di provata fede cattolica) ostentano in materia. La cadenza decembrina, così prossima al solstizio d'inverno, sarebbe stata fissata nel IV secolo per sovrapporsi al culto indo-iranico di Mithra, importato a Roma dall'imperatore Aureliano (270 e dintorni) e così adatto per tanti suoi simboli (la stella, la nascita in una grotta, i pastori, i Magi-sacerdoti mazdei...) a significare l'evento di Betlemme. Già in un calendario liturgico risalente al 326, infatti, la data del 25 dicembre è segnata come quella della nascita di Gesù.

    Ma, in un saggio pubblicato pochi anni fa sulla rivista della Pontificia Università Urbaniana Euntes docete, lo studioso Antonio Ammassari ha rimescolato le carte a tanta certezza. Riprendendo un lavoro firmato nel 1958 dal professore israeliano Shemaryahu Talmon, che ricostruiva secondo il calendario solare biblico trovato a Qumran i turni di servizio dei sacerdoti al tempio di Gerusalemme, Ammassari giungeva a scoperte interessanti. Secondo l'evangelista Luca, infatti, Zaccaria (padre di Giovanni Battista) apparteneva alla classe sacerdotale di Abìa ed era in servizio a Gerusalemme quando l'arcangelo gli preannunciò la nascita del figlio. Ora, il gruppo di Abìa esercitava al Tempio di Salomone due volte l'anno: dall'8 al 14 del terzo mese (Sivan, corrispondente a maggio-giugno) e tra il 24 e il 30 dell'ottavo mese (Heshvan, ovvero ottobre-novembre).

    Prendendo per buona questa seconda ipotesi, l'annuncio a Zaccaria sarebbe avvenuto abbastanza vicino al 23 settembre, festa liturgica della "concezione di Giovanni" secondo il calendario bizantino; e la nascita del Battista verrebbe conseguentemente a cadere circa 8 mesi più tardi: cioè verso il 24 giugno, tradizionale memoria di san Giovanni.

    Non solo: giacché Luca colloca la visitazione angelica a Maria nel sesto mese di gravidanza della cugina Elisabetta, si può risalire alla data dell'annunciazione; che andrebbe collocata pertanto verso aprile (la festa liturgica dell'evento è il 25 marzo). Quindi la collocazione del Natale di Cristo intorno al 25 dicembre non sarebbe poi così simbolica e — per dirla con le parole stesse di Ammassari — "risalirebbe ad una tradizione giudaico-cristiana registrata implicitamente da Luca".

    A rafforzare la sua tesi, lo studioso indica che essa coincide con il calendario di lettura continua dei salmi rispettato dagli ebrei ortodossi dei tempi di Gesù; in sostanza: la natività del Battista cadrebbe nei giorni in cui si recitava anche il salmo 85, nel quale ricorre la medesima radice del nome Giovanni; l'annunciazione a Maria avverrebbe invece intorno al periodo dedicato alla lettura del salmo 18, in cui ritorna con insistenza lo stesso radicale "salvare" presente pure in "Gesù"; e infine il Magnificat sarebbe stato pronunciato in corrispondenza con i giorni riservati dal "breviario giudaico" al salmo 33 (quello che fa: "Celebrate il Signore con me perché è grande...).

    Insomma, le coincidenza fanno pensare. E, nonostante non manchino certe stiracchiature di calendario e alcune controindicazioni (per esempio: l'attività dei pastori, presenti a Betlemme, in Palestina si svolgeva solo dalla primavera all'autunno (cf nota seguente), l'anno scorso il professor Tommaso Federici dell'Urbaniana ha preso posizione a favore della tesi di Ammassari dalle pagine dell'Osservatore romano, lamentando anzi che "tale studio capitale non sia stato rilevato dal grande circuito degli studiosi". È vero che già nel II secolo Clemente Alessandrino scriveva di non conoscere la vera data di nascita di Cristo, e che il Natale dei primi secoli fu celebrato prima il 25 aprile, poi il 24 giugno e infine il 6 gennaio; ma non sarebbe male approfondire scientificamente la questione. Se non altro per avere di che discutere con i Testimoni di Geova.

    Fonte: Avvenire, 24 dicembre 1998.

    ****

    Il bravo giornalista Roberto Beretta, benché sostenga la storicità della data classica, ha qualche perplessità sui pastori: afferma infatti "l'attività dei pastori, presenti a Betlemme, in Palestina si svolgeva solo dalla primavera all'autunno".

    Ulteriori approfondimenti confermano il fatto che c'erano pastori in giro anche a dicembre: infatti il clima senza neve proprio della regione di Betlemme permetteva che i pastori scendessero in inverno in queste regioni, dove c'erano dei siti e pascoli con erba, cresciuta dopo le piogge autunnali: in zone più settentrionali e montagnose, il freddo impediva la crescita del fieno. I pastori che "vegliavano nella notte" potrebbero essere proprio questi pastori transumanti che bivaccavano.

    Questa ipotesi collima anche con una distinzione del Talmud di tre tipi di greggi

    a) i greggi che ritornano ogni giorno all'ovile (BAYETOT)

    b) quelli che in tempo invernale erano ricondotto all'ovile (Besa 40 a), e

    c) i greggi permanentemente al pascolo nel deserto (MIDBARIYYOT LE`OLAM) (Sabb. 45 b).

    Questi greggi "permanentemente al pascolo nel deserto" si trovavano proprio nella regione di Betlemme!

    Anche Partenio, (cf Erotici Scriptores, 29, ed. Firm. Didot p. 20) attesta questi pascoli invernali anche in Sicilia (clima simile).

  2. #12
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    Predefinito Gesù nacque davvero quel 25 dicembre

    di VITTORIO MESSORI

    Il Ferragosto non è così lontano ed io devo fare ammenda. Succede, infatti, che in un momento di malumore - e proprio su questo giornale - abbia auspicato che la Chiesa si decida a una modifica del calendario: spostare al 15 di agosto quel che celebra il 25 di dicembre. Un Natale nel deserto estivo, argomentavo, ci libererebbe dalle insopportabili luminarie, dalle stucchevoli slitte con renne e babbinatali, persino dall’obbligo degli auguri e dei regali. Quando tutti sono via, quando le città sono vuote, a chi - e dove - mandare cartoline e consegnare pacchi con nastri e fiocchetti? Non sono i vescovi stessi a tuonare contro quella sorta di orgia consumistica cui sono ridotti i nostri Natali? E allora, spiazziamo i commercianti, spostiamo tutto a Ferragosto. La cosa, osservavo, non sembra impossibile: in effetti, non fu la necessità storica, fu la Chiesa a scegliere il 25 dicembre per contrastare e sostituire le feste pagane nei giorni del solstizio d’inverno. La nascita del Cristo al posto della rinascita del Sol invictus .
    All’inizio, dunque, ci fu una decisione pastorale che può essere mutata, variando le necessità.

    Una provocazione, ovviamente, che si basava però su ciò che è (o, meglio, era) pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la collocazione liturgica del Natale è una scelta arbitraria, senza collegamento con la data della nascita di Gesù, che nessuno sarebbe in grado di determinare.

    Ebbene, pare proprio che gli esperti si siano sbagliati; e io, ovviamente, con loro. In realtà oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilirlo con precisione: Gesù è nato proprio un 25 dicembre. Una scoperta straordinaria sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme.

    Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Se Gesù è nato un 25 dicembre, il concepimento verginale è avvenuto, ovviamente, 9 mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani pongono al 25 marzo l’annunciazione a Maria dell’angelo Gabriele. Ma sappiamo dallo stesso Vangelo di Luca che giusto sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il precursore, Giovanni, che sarà detto il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per quel concepimento, mentre le antiche Chiese d’Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre. E, cioè, sei mesi prima dell’Annunciazione a Maria. Una successione di date logica ma basata su tradizioni inverificabili, non su eventi localizzabili nel tempo. Così credevano tutti, fino a tempi recentissimi. In realtà, sembra proprio che non sia così.

    In effetti, è giusto dal concepimento di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell’anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l’età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Dovevano chiamarlo Giovanni e sarebbe stato «grande davanti al Signore».
    Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l’apparizione «officiava nel turno della sua classe». In effetti, coloro che nell’antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l’anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l’ottava, nell’elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva.

    Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l’enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l’anno, come le altre, e una di quelle volte era nell’ultima settimana di settembre. Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l’annuncio a Zaccaria. Ma questa verosimiglianza si è avvicinata alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professor Talmon, gli studiosi hanno ricostruito la «filiera» di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva, giudeo-cristiana, di Gerusalemme. Una memoria antichissima quanto tenacissima, quella delle Chiese d’Oriente, come confermato in molti altri casi.

    Ecco, dunque, che ciò che sembrava mitico assume, improvvisamente, nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l’annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l’annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest’ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso.

    Ma sì, pare proprio che il Natale a Ferragosto sia improponibile. Ne farò, dunque, ammenda ma, più che umiliato, piuttosto emozionato: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c’importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi p stava attenzione) mostrano all’improvviso la loro ragion d’essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa. Malgrado tutto, l’avventura cristiana continua.

    Fonte: Corriere della Sera, 9 luglio 2003, pag. 1

  3. #13
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    Predefinito 24 giugno, 23 settembre, 25 dicembre: date storiche

    di Tommaso Federici

    Quando la Chiesa celebra la nascita di Gesù nella terza decade di dicembre, attinge all’ininterrotta memoria delle prime comunità cristiane riguardo ai fatti evangelici e ai luoghi in cui accaddero. Non fu una scelta arbitraria per soppiantare antiche feste pagane.

    Un preambolo


    In genere si assumeva e si assume senza discutere la notizia già antica secondo cui la celebrazione del Natale del Signore nella prima metà del secolo IV fu introdotta dalla Chiesa di Roma per motivi ideologici. Infatti sarebbe stata posta al 25 dicembre per contrastare una pericolosa festa pagana, il Natale Solis invicti (fosse Mitra, come è probabile, o fosse una titolatura di un imperatore romano). Tale festa era stata fissata al solstizio invernale (21-22 dicembre), quando il sole riprendeva il suo corso trionfale verso il suo sempre maggiore risplendere. Quindi in ambito cristiano, risalendo di 9 mesi, si era posta al 25 marzo la celebrazione dell’annuncio dell’Angelo a Maria Vergine di Nazareth, e la sua Immacolata Concezione del Figlio e Salvatore. In conseguenza, sei mesi prima della nascita del Signore si era posta anche la memoria della nascita del suo precursore e profeta e battezzatore Giovanni.

    D’altra parte, l’Occidente cristiano non celebrava l’annuncio della nascita di Giovanni al padre, il sacerdote Zaccaria. Che invece, e da lunghissima data, è commemorato nell’Oriente siro alla prima domenica del “Tempo dell’Annuncio (Sùbard)”, che comprende in altre cinque domeniche l’annunciazione a Maria Vergine, la visitazione, la nascita del Battista, l’annuncio a Giuseppe, la genealogia del Signore secondo Matteo.

    L’Oriente bizantino, e sempre da data immemoriale, celebra invece al 23 settembre anche l’annuncio a Zaccaria.

    Si hanno in successione quattro date evangeliche che inseguendosi si intersecano, ossia I) l’annuncio a Zaccaria e II) sei mesi dopo l’annunciazione a Maria, III) rispettivamente nove e tre mesi dopo le prime due date, la nascita del Battista, e IV) rispettivamente sei mesi dopo quest’ultima data, e naturalmente nove mesi dopo l’annunciazione, la Nascita del Signore e Salvatore. Il referente per così dire “liturgico” di tutto questo sarebbe quindi il Natale del Signore, al 25 dicembre, sulla cui base, si assume, furono disposte le feste dell’annunciazione nove mesi prima, e della nascita del Battista sei mesi prima. Gli storici e i liturgisti su questo svolgono diverse ipotesi più o meno accolte. Il problema è che già nei secoli II-IV erano state avanzate diverse datazioni, che tenevano conto di computi astronomici, o di idee teologiche.

    Una data “storica” esterna, ossia che non fosse biblica, patristica e liturgica, e che portasse una conferma agli studiosi, non era ancora conosciuta.

    Un riferimento: l’annuncio a Zaccaria

    Luca ha una certa sua cura di situare la storia. Così ad esempio cita «l’editto di Cesare Augusto» per il lungo censimento di Quirino (circa il 7-6 a. C.), durante il quale avvenne la nascita del Signore (Lc 2, 1-2). Inoltre rimanda all’anno quindicesimo di Tiberio Cesare (circa il 27-28 d. C.), quando Giovanni il Battista cominciò la sua predicazione preparatoria del Signore (Lc 3, 1). E annota: "E lo stesso Gesù era cominciante [il suo ministero dopo il Battesimo, Lc 3, 21-22] quasi di anni 30" (Lc 3, 23), di fatto avendo circa 33 o 34 anni.

    Secondo la sua suggestiva narrazione evangelica, lo stesso Angelo del Signore, Gabriele, sei mesi prima dell’annunciazione a Maria (Lc 1, 26-38), alla conclusione della solenne celebrazione sacrificale quotidiana aveva annunciato nel santuario all’anziano sacerdote Zaccaria che la sua sposa, sterile e anziana, Elisabetta, avrebbe concepito un figlio, destinato a preparare un popolo a Colui che doveva venire (Lc 1, 5-25). Luca si preoccupa di situare questo fatto con una precisione che rimanda a un dato conosciuto da tutti. Così narra che Zaccaria apparteneva alla "classe [sacerdotale, ephémeria] di Abia" (Lc 1, 5), e mentre gli appare Gabriele "esercitava sacerdotalmente nel turno [tàxis] del suo ordine [ephèmeria]" (Lc 1, 8).

    Così rimanda a un fatto generale senza difficoltà, e a uno specifico e puntuale, che presenta un problema. Il primo fatto, noto a tutti, era che nel santuario di Gerusalemme, secondo la narrazione del cronista, David stesso aveva disposto che i "figli di Aronne" fossero distinti in 24 tàxeis, ebraico sebaot, i “turni” perenni (1 Cr 24, 17-19). Tali “classi”, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico per una settimana, “da sabato a sabato”, due volte l’anno. L’elenco delle classi sacerdotali fino alla distruzione del tempio (anno 70 d. C.) secondo il testo dei Settanta era stabilito per sorteggio, così: I) Iarib, II) Ideia, III) Charim, IV) Seorim, V) Mechia, VI) Miamin, VII) Kos, VIII) Abia, IX) Giosuè, X) Senechia, XI) Eliasib, XII) Iakim, XIII) Occhoffa, XIV) Isbaal, XV) Belga, XVI) Emmer, XVII) Chezir, XVIII) Afessi, XIX) Fetaia, XX) Ezekil, XXI) Iachin, XXII) Gamoul, XXIII) Dalaia, XXIV) Maasai (l’elenco, in 1Cr 24, 7-18).

    Il secondo fatto è che Zaccaria quindi apparteneva al “turno di Abia”, l'VIII. Il problema che pone questo è che Luca scrive quando il tempio è ancora in attività, e quindi tutti potevano conoscere le sue funzioni, e non annota “quando” stava in esercizio il “turno di Abia”. Inoltre, non dice in quale dei due avvicendamenti annuali Zaccaria ricevette l'annuncio dell‘Angelo nel santuario. E sembra che lungo i secoli nessuno abbia avuto cura di riportare la memoria, o di fare qualche ricerca. La stessa Comunità madre, la Chiesa di Gerusalemme, giudeo-cristiana di lingua aramaica, che tradizionalmente (almeno per due secoli) era guidata dai parenti di sangue di Gesù, Giacomo e i suoi successori, non sembra che si curasse di questo particolare, che per i contemporanei andava da sé.

    Il «turno di Abia» con data certa

    Nel 1953 la grande specialista francese Annie Jaubert, nell’articolo Le calendrier des Jubilées et de la secte de Qumran. Ses origines bibliques, in Vetus Testamentum, Suppl. 3 (1953), pp. 250-264, aveva studiato il calendario del Libro dei Giubilei, un apocrifo ebraico assai importante, che risaliva alla fine del sec. II a. C. Ora numerosi frammenti di testo di tale calendario, ritrovati nelle grotte di Qumran, dimostravano non solo che esso era stato fatto proprio dagli Esseni che lì vivevano (circa sec. II a. C.- sec. I d. C.), ma che esso era ancora in uso. Detto calendario è solare, e non dà nomi ai mesi, ma li chiamava con il numero di successione. La studiosa aveva pubblicato poi su questo diversi altri articoli importanti; vedi anche la sua voce Calendario di Qumran, in Enciclopedia della Bibbia, 2 (1969), pp. 35- 38. E in una celebre monografia, La date de la Cène, Calendrier biblique et liturgie chrétienne, Etudes Bibliques, Paris 1957, aveva anche ricostruito la successione degli eventi della settimana santa, individuando in modo convincente (salvo dissensi di qualcuno) al martedì, e non al giovedì, la data della cena del Signore.

    Da parte sua, anche lo specialista Shemarjahu Talmon, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, aveva lavorato sui documenti di Qumran e sul calendario dei Giubilei, ed era riuscito a precisare lo svolgersi settimanale dell’ordine dei 24 turni sacerdotali nel tempio, allora ancora in funzione. I suoi risultati erano consegnati nell’articolo The Calendar Reckoning of the Sect from the Judean Desert. Aspects of the Dead Sea Scrolls, in Scripta Hierosolym itana, vol. IV, Jerusalem 1958, pp. 162-199; si tratta di uno studio accurato e importante, ma, si deve dire, passato pressoché inosservato dal grande circuito, ma non ad Annie Jaubert. Ora, la lista che il professor Talmon ricostruisce indica che il "turno di Abia (Ab-Jah)", prescritto per due volte l’anno, ricorreva così: I) la prima volta, dall’8 al 14 del terzo mese del calendario, e II) la seconda volta dal 24 al 30 dell’ottavo mese del calendario. Ora, secondo il calendario solare (non lunare, come è l’attuale calendario ebraico), questa seconda volta corrisponde circa all’ultima decade di settembre.

    Come annota anche Antonio Ammassari, alle origini del calendario natalizio, in Euntes Docete 45 (1992) pp. 11-16, Luca, con l’indicazione sul “turno di Abia”, risale a una preziosa tradizione giudeo-cristiana gerosolimitana, che da narratore accurato di storia (Lc 1, 1-4) ha rintracciato, e offre la possibilità di ricostruire alcune date storiche.

    Così il rito bizantino al 23 settembre fa memoria dell’annuncio a Zaccaria, e conserva una data storica certa, e pressoché precisa (forse con un decalco di uno o due giorni).

    Date storiche del Nuovo Testamento

    La principale datazione storica sulla vita del Signore verte sull’evento principale: la sua resurrezione nel resoconto unanime dei quattro Evangeli (e del resto della Tradizione apostolica del Nuovo Testamento, vedi 1 Cor 15, 3-7) avvenne all’alba della domenica 9 aprile dell’anno 30 d. C., data astronomica certa, e quindi quella della sua morte avvenne circa alle 15 pomeridiane del venerdì 7 aprile del medesimo anno 30.

    Secondo i dati ricavati dall’indagine recente come sopra accennata, viene un intreccio impressionante di altre date storiche.

    Il ciclo di Giovanni il Battista ha la data storica accertata (circa) del 24 settembre del nostro calendario gregoriano dell’anno 7-6 a. C. per l’annuncio divino concesso a suo padre Zaccaria. Nel computo attuale, sarebbe nell’autunno dell’1 a. C., ma si sa che dal VI secolo vi fu un errore di circa sei o cinque anni sulla data reale dell’anno della nascita del Signore.

    La nascita di Giovanni il Battista nove mesi dopo (Lc 1, 57-66), (circa) il 24 giugno, è una data storica.

    Ma allora, nel ciclo di Cristo Signore, che Luca pone in forma di un dittico speculare con quello del Battista, l’annunciazione a Maria Vergine di Nazareth “nel mese sesto” dopo la concezione di Elisabetta (Lc 1, 28) risulta come un’altra data storica.

    E in conseguenza, e finalmente, è una data storica la nascita del Signore al 25 dicembre, ossia 15 mesi dopo l’annuncio a Zaccaria, nove mesi dopo l’annunciazione alla Madre semprevergine, sei mesi dopo la nascita di Giovanni il Battista.

    La santa circoncisione otto giorni dopo la nascita, secondo la legge di Mosè (Lev 12, 1-3), è una data storica.

    E così, quaranta giorni dopo la nascita, il 2 febbraio, la “presentazione” del Signore al tempio sempre secondo la legge di Mosè (Lev 12, 4-8), che segna l’hypapanté.

    Problemi liturgici

    La data del Natale ha intorno un nugolo di problemi. Anzitutto viene il fatto che in alcune Chiese si cumulò e talvolta si confuse il 25 dicembre con il 6 gennaio, giorno che cumulava la memoria degli eventi che contornavano la nascita del Salvatore.

    Poi, soprattutto, la non chiara distinzione tra memoria di un fatto, che può durare generazioni, la devozione intorno a questo fatto, che si può esprimere con un culto non liturgico, e l’istituzione di una festa “liturgica” con data propria e con una vera e propria ufficiatura, che comprende la liturgia delle ore sante e quella dei divini misteri.

    Qui va tenuto conto, come invece in genere si trascura, dell’incredibile memoria delle comunità cristiane quanto a eventi evangelici, e ai luoghi che videro il loro verificarsi.

    L’Annunciazione, ad esempio, era entrata nella formulazione di alcuni “Simboli battesimali” più antichi già nel secolo II. Essa nella medesima epoca fu rappresentata nell’arte cristiana primitiva, come nella catacombe di Priscilla. A Nazareth stessa, come ormai ha dimostrato splendidamente l’archeologia, il luogo dell’Annunciazione fu conservato e venerato senza interruzione dalla comunità locale, e fu visitato da un ininterrotto afflusso di pellegrini devoti, che lungo i secoli lasciarono anche graffiti e scritte commoventi, fino ai giorni nostri. Quando si avviò il culto “liturgico” della Madre di Dio, nel V secolo inoltrato, si ebbe la grande festa “liturgica” dell’Euaggelismòs, l’annunciazione a Maria. Questa acquistò tale straordinaria risonanza che in Occidente i Padri la annoverarono tra i «primordi della nostra redenzione» (con il Natale, i Magi e le nozze di Cana), e in Oriente fu considerata così solenne e quasi soverchiante, che la sua data nel rito bizantino abolisce la domenica e perfino il giovedì santo, cede solo al venerdì santo, e se cade alla domenica della Resurrezione divide la celebrazione così che si celebra metà del Canone pasquale e metà del Canone dell’Annunciazione.

    A Betlemme già prima della costruzione della Basilica costantiniana (primo trentennio del IV secolo), la comunità cristiana aveva conservata la memoria e la venerazione ininterrotte del luogo della nascita del Signore.

    La Natività

    In Egitto la Chiesa copta conserva con ininterrotta devozione la memoria dei luoghi dove la santa famiglia sostò nella sua fuga (Mt 2, 13-18), dove furono costruite chiese ancora officiate.

    Si può parlare qui dei luoghi santi della Palestina, in specie quelli di Gerusalemme: dell’Anàstasis, la Resurrezione (così riduttivamente chiamato “santo sepolcro”) e del Golgota, del Cenacolo, del “Monte della Galilea” che è quello dell’Ascensione, del Getsemani, di Betania, della piscina probatica (Gv 5, 1-9), dove fu costruita una chiesa, del luogo della “Dormizione” della Madre di Dio nel Cedron, e così via. Su tutti questi luoghi esiste una documentazione preziosa, impressionante e ininterrotta lungo i secoli fino a noi, dei pellegrini che li visitarono sempre con gravi sacrifici e pericoli, e lasciarono descrizioni e resoconti scritti della venerazione di cui erano oggetto, e degli usi della devozione degli abitanti e degli altri visitatori.

    Il problema di grande interesse qui è la scelta delle date per le celebrazioni “liturgiche” vere e proprie. Quanto alla celebrazione “liturgica”, nel senso visto sopra, del Signore, della sua Madre Semprevergine, di Giovanni il Battista, si trattò di scelte arbitrarie, provenienti da ideologie o da calcoli ingegnosi? Non pare. Il 23 settembre e il 24 giugno per l’annuncio e la nascita di Giovanni il Battista, e il 25 marzo e il 25 dicembre per l’annunciazione del Signore e per la sua nascita, non furono arbitrarie, e non provengono da ideologie di riporto. Le Chiese avevano conservato memorie ininterrotte, e quando decisero di renderle celebrazioni “liturgiche” non fecero che sanzionare un uso immemoriale della devozione popolare.

    Va tenuto conto anche del fatto poco notato che le Chiese si comunicavano le “date” delle loro celebrazioni, e così ad esempio quelle delle “deposizioni dei martiri”, che chiamavano il “natale dei martiri” alla gloria dei cielo. Per le grandi ricorrenze, come le feste del Signore, degli apostoli, dei martiri, dei santi vescovi delle Chiese locali, e dal secolo V anche di quelle della Madre di Dio, le Chiese adottarono volentieri le proposte delle Chiese sorelle. In pratica, pressoché tutte le grandi feste del Signore e della Madre di Dio vengono dall’Oriente palestinese, e, furono accettate con grande entusiasmo dalle Chiese dell’Impero, e prima dei grandi scismi del V secolo, anche dall’immensa cristianità dell’ Impero parto. Il Natale, come sembra, venne da Roma, e fu accettato, sia pure con qualche esitazione, da tutte le Chiese.

    Con questo, si vuole dire che le Chiese avevano la possibilità di controlli e di verifiche, e va detto che gli antichi padri nostri non erano affatto creduloni, ma spesso giustamente diffidenti, così da respingere ogni tentativo illecito e illegittimo di culto “non provato”.

    L’evangelista Luca in tutto questo ha una parte non piccola, quando con opportuni e abili accenni rimanda a luoghi ed eventi e date e persone.

    Il clan di Caino

    La Chiesa madre dei giudeo-cristiani aveva conservato molte altre memorie sul suo Signore, l’ebreo Gesù, il “Diacono della circoncisione” (Rm 15, 8), che la ricerca moderna con pazienza e con fatica si incarica di riportare alla luce dopo tanti secoli di affossamento. Alcune di esse sono intense e splendenti di luce. Una riguarda la scelta della Madre di Dio. Dopo la rovinosa caduta di Adamo, i Tre fecero urgente consiglio. Il Padre comunicò che per ripartire da zero aveva scelto Maria, la Vergine di Nazareth, e aveva deciso di farne la Madre del Figlio, dotandola della Verginità permanente come imitazione della sua Verginità paterna. Il Figlio da parte sua comunicò che anche Lui aveva scelto Maria per farne la sua propria madre, e aveva deciso di farla assistere ai “tre terrificanti Misteri”, della Nascita verginale, della Croce e della Resurrezione gloriosa. Anche lo Spirito Santo comunicò che aveva scelto la medesima Maria, per darle come dote nuziale la sua divina Soavità, per conferirle la sua Paràklésis, l’Avvocatura potente contro il Nemico, e insieme la sua Consolazione irresistibile. Così venne agli uomini “dallo Spirito Santo e da Maria Vergine” (Lc 1, 32; e il Simbolo apostolico) Cristo Signore, che, “generato nella divina eternità dal Padre senza madre”, il Medesimo “fu partorito nel tempo degli uomini dalla Madre senza padre” (i Padri). Così che il Figlio di Dio e Figlio di Maria ebbe come Termine divino della sua esistenza umana lo Spirito Santo, nel quale è consustanziale con il Padre, e come Termine umano la Madre Semprevergine, mediante la quale è consustanziale con tutti gli uomini.

    Tutti gli uomini non tanto da “salvare”, termine che nell’età moderna si è fatto molto equivoco, quanto da redimere dal peccato. Il peccato di Adamo, che si configura poi anche come peccato di Caino (Gen 4, 1-12). Dopo il fratricidio consumato sull’innocente Abele, Caino ebbe paura della punizione, e non tanto di quella del suo Signore misericordioso, quanto di quella degli uomini (Gen 4, 13). Ma il Signore misericordioso gli concesse un “segno”, il “segno di Caino”, che per lui fosse di salvezza dalla morte.

    Allora il Signore dopo il diluvio, da tutti i discendenti di Noè, operò con sapienza e con pazienza secondo le due irresistibili leggi della redenzione, la “selezione regressiva” o “concentrazione”, che è scelta di uno , un “resto” assunto e posto in favore di tutti gli altri ed è eliminazione degli altri da questa operazione, e per "sussunzione progressiva", che è aggregazione universale di tutti nella salvezza ottenuta dal “resto”. Perciò il Signore da tutti i popoli della terra (Gen 10) scelse Sem e la sua posterità (Gen 10, 21-31). Dalla posterità di Sem scelse la famiglia di Tare, padre di Abramo (Gen 11, 27-32). Dai figli di Tare scelse Abramo (Gen 12, 1-3), e la sua discendenza, Isacco e Giacobbe. Dai dodici figli di Giacobbe scelse la tribù di Giuda (Gen 49, 8-12). Dalla tribù di Giuda scelse la semitribù dei Cainiti (o Qainiti, o Qeniti, o Qenizziti) con Caleb, con capitale Hebron (Gios 14, 6-15). Da questa semitribù (o Dan) scelse la famiglia di Ishaj (lesse), e dagli otto figli di Ishaj scelse David (1 Sam 16,1-12), sul quale pose il suo Spirito divino onnipotente e messianico (1 Sam 16, 13).

    Da David finalmente e irreversibilmente discese nella carne (Mt 1, 1; Rm 1, 3) attraverso la sola Maria Semprevergine, senza concorso di uomo (Mt 1, 16), il Figlio di Dio, Figlio di Abramo, Gesù Cristo, il Redentore.

    Il “segno” che Caino ricevette è la confluenza sua e di tutti i peccatori nella sua posterità peccatrice, riassunta dai Cainiti, il “clan di Caino”, il cui Capo divino e umano è il Figlio di Dio, nato dallo Spirito Santo e dalla Semprevergine Maria. Perciò il Figlio di Dio, l’Impeccabile “fatto peccato per noi” (2 Cor 5, 21), "reso maledetto per noi" secondo la Legge perché sospeso sul Legno (Gv 13, 13, che cita Dt 21, 23) per ottenere la Benedizione e la Promessa d’Abramo che è lo Spirito Santo (Gal 3, 14), che “assunse la carne di peccato” carica quindi di morte (Rm 8, 3), che essendo e restando Dio si fece anche schiavo obbediente fino alla morte e morte di croce (Fil 2, 6-8). Portando sulla croce Caino e la sua discendenza, il Figlio di Dio distrusse l’incapacità di Adamo e di Eva di dare figli a Dio, e riaprì in “sussunzione progressiva” illimitata le porte dell’ingresso al Padre nello Spirito Santo.

    Questo è anche il contenuto delle liturgie d’Oriente e dell’Occidente alla domenica della Resurrezione e al venerdì santo, ma anche del Natale, dell’Annunciazione, della nascita della Vergine.

    Il Natale del Signore nella carne è una fonte inesauribile, che non conosce l’ovvio banale del gelido “albero” cosificante, ma la sorpresa rinnovata, la meraviglia mai sazia, lo stupore adorante davanti a Colui che dall’Oceano infinito della Divinità beata volle approdare alla riva angusta e dolente della storia degli uomini per un unico scopo:

    “Dio restando quello che era volle farsi anche quello che non era, Uomo creato, vero, limitato, mortale, affinché gli uomini creati, limitati e mortali, restando quello che erano, diventassero finalmente dèi per grazia dello Spirito Santo. Questa è la “formula di scambio” o “formula della divinizzazione”, che viene dalla santa Scrittura, è codificata fedelmente dai Padri e si vive con efficacia infinita nella santa liturgia della Chiesa.

    Fonte: Osservatore Romano, 24 dicembre 1998

  4. #14
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    Predefinito Immagini dalla Basilica della Natività e di Betlemme



    Facciata della Basilica della Natività

    Entrata della Basilica della Natività

    Interno della Basilica della Natività

    Entrata alla Grotta della Natività

    Grotta della Natività

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    Predefinito

    Altare della Mangiatoia

    Altare della Mangiatoia

    Altare della Natività

    Stella del luogo della Natività

  6. #16
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    Predefinito

    Interno della Chiesa di S. Caterina

    Esterno della Chiesa della Grotta del Latte

    Interno della Chiesa della Grotta del Latte

  7. #17
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    Predefinito LA LITURGIA DEL NATALE A BETLEMME

    I luoghi in relazione al Natale di Nostro Signore sono stati oggetto di venerazione dai primi tempi del cristianesimo.

    LA FESTA DELL’EPIFANIA

    I primi documenti liturgici (l’Itinerario della pellegrina spagnola Egeria e il Lezionario Armeno di Gerusalemme che riferisce usi liturgici dei secoli IV e V) ci danno notizie della celebrazione della festa di Epifania.
    L’Epifania apriva l’anno liturgico con una celebrazione il giorno 5 gennaio verso le quattro del pomeriggio nel Luogo dei Pastori non lontano da Betlemme. La celebrazione iniziava con i salmi che presentano la figura del pastore. Così il Salmo 22 che dice: "Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla"; seguiva l’alleluia: "Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge" (Sal 79,1). Questi canti profetici preparavano l’ambiente alla proclamazione del Vangelo di Luca (2,8-20) con cui si celebrava l’annuncio della Buona Novella degli Angeli ai pastori, l’Inno di Gloria e Pace del coro degli Angeli, l’andata pronta e gioiosa dei pastori al luogo della Nascita del Salvatore e il loro ritorno al Campo, chiamato ininterrottamente dei Pastori o Ovile in memoria di questi avvenimenti. Al Vangelo seguivano undici letture dell’Antico Testamento. I fedeli nella contemplazione ricordavano gli antichi prodigi della divina Provvidenza, al fine di prepararsi al mistero della nascita del Messia.
    Dopo questo familiare dialogo del popolo, raccolto in festa, con la Parola di Dio si passava alla celebrazione dell’Eucaristia col cantico di Daniele (3,52a-90) e a suo tempo si leggeva il Vangelo di san Matteo (2,1-12) o della manifestazione; infatti narra la peregrinazione dei Magi dall’Oriente al seguito della Stella per adorare il neonato Re dei Giudei, l’incontro con Erode, il riapparire della Stella, l’adorazione con l’offerta dei doni e il ritorno per altra via al loro paese.
    La celebrazione vespertina appena descritta era celebrata dalle Comunità di Gerusalemme e Betlemme unite. Ma una volta finita la funzione, il vescovo di Gerusalemme tornava con i suoi, perché doveva celebrare la liturgia in città. Qui arrivavano prima che si facesse giorno, cioè quando il chiarore era tale da permettere di distinguere le persone. Quelli di Betlemme, invece, in particolare clero e monaci, entrati nella chiesa della Natività, con inni e antifone continuavano la veglia fino all’alba.
    Il giorno della festa di Epifania la Comunità di Gerusalemme nella celebrazione del’eucaristia leggeva il Vangelo di san Mateo (1,18-25), che racconta come avvenne la nascita dell’Emmanuele, Dio con noi. Lo stesso Vangelo si leggeva con ogni probabilità nel luogo della Natività del Signore.
    La celebrazione dell’Epifania, che si protraeva per ben otto giorni, univa le due città vicine nell’ambiente festivo. La letizia pervadeva l’animo di tutto il clero, monaci e fedeli. I paramenti del clero apparivano splendenti con ricami in seta e oro. E non basta, ma anche gli edifici sacri si vestivano a festa con lo splendore di tende sontuose. Inoltre l’illuminazione di torce, candelabri e lucerne illuminava a giorno le veglie festive che salutavano la nascita del Signore della Luce. Lui, infatti, Sole dall’Oriente, si manifestava a tutto il mondo come gioioso araldo del Mattino.
    Durante los ocho días que duraba la celebración de Epifanía las dos ciudades vecinas experimentaban igual alegría y se vestían de inigualable esplendor. Los paramentos del clero lucían bordados de oro y seda, los edificios eran cubiertos por suntuosos cortinajes y la iluminación de antorchas y lámparas de todo tipo iluminaban las vigilias festivas que saludaban el nacimiento del Señor de la Luz. El, Sol de Oriente, se manifestaba a todo el mundo como gozoso pregonero del Alba.

    LA FESTA DEL NATALE AL 25 DICEMBRE

    E in questi tempi la festa dell’Epifania si celebrava il 6 gennaio come dice il Lezionario Armeno e commemorava il duplice mistero della Nascita e dell’Epifania o Manifestazione del Salvatore alle genti.
    Ma nel secolo V al tempo del vescovo Giovenale (421-452), imitando l’uso di Roma, anche la chiesa di Gerusalemme celebrava la festività del Natale il 25 dicembre, giorno in cui si festeggiavano i santi Giacomo e Davide. Il Lezionario Georgiano di Gerusalemme (dei secoli V-VIII) testimonia la festa del Natale il 25 dicembre. Secondo questo documento liturgico all’ora sesta, cioè mezzogiorno del 24, la Comunità di Gerusalemme, superando il freddo della stagione e la fatica del cammino piuttosto scomodo, s’incamminava all’Ovile o Campo dei Pastori. Nella stazione liturgica si leggeva il Vangelo dell’Annuncio degli Angeli ai pastori, la loro andata frettolosa a Betlemme, l’Adorazione al Bambino e il loro ritorno al Campo (Lc 2,8-20). Subito dopo la Comunità, emulando i pastori, s’incamminava verso la Città di Davide e, attraversando la piccola pianura, saliva il pendio del colle ed entrava nella Grotta della Natività. Quì si faceva l’ufficio vespertino con la lettura della Nascita di Gesù (Mt 1,18-25).
    A mezzanotte si celebrava una veglia con salmi, letture bibliche e cantici che trovavano il loro culmine nel Vangelo di san Luca (2,1-7) con la Nascita di Gesù, l’avvolgimento in fasce e la deposizione nella mangiatoia. Verso l’alba veniva celebrata la Divina Liturgia o Eucaristia. L’alba veniva salutata con la proclamazione del Vangelo dell’Epifania o Manifestazione alle genti; veniva letto il Vangelo di Matteo (2,1-23) che contiene il mistero dell’adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto e il ritorno dall’Egitto.

    IL BATTESIMO DEL SIGNORE

    Lo stesso Lezionario Georgiano pone la festa dell’Epifania il 6 gennaio con inizio all’ora nona della vigilia. Siccome il 6 gennaio si commemorava il Battesimo del Signore, la Comunità di Gerusalemme non veniva a Bettlemme per la liturgia. Si leggevano i brani della Predicazione di Giovanni il Battista, il Battesimo del Signore e la discesa dello Spirito Santo su di Lui (Lc 3,1-18; Mc 1,1-11; Gv 1,1-28 e Mt 3,1-17). Il fatto salvifico del Battesimo trovava espressione rituale nella benedizione dell’acqua che veniva effettuata la vigilia di Epifania fuori della chiesa cattedrale o Martyrium, dopo la sinassi vespertina. Alla fine del secolo VI il Pellegrino di Piacenza ci parla di questa benedizione che avveniva presso il Giordano nel luogo dove fu battezzato il Signore e per l’occasione molti si facevano battezzare. Inoltre il Calendario Palestino-Georgiano del secolo X dice che all’Epifania presso il Giordano nella chiesa di san Giovanni Battista si celebrava la grande sinassi eucaristica.

    GLI SPAZI DELLA CELEBRAZIONE

    Da quanto sin qui detto appare che la chiesa di Gerusalemme ha voluto celebrare i misteri salvifici della Natività, Epifania e Battesimo di Gesù nei luoghi stessi in cui erano avvenuti.
    Il Carme anacreontico 19 di san Sofronio, patriarca di Gerusalemme (634-638), parla dei luoghi in rapporto con gli avvenimenti evangelici celebrati nella liturgia, gli stessi che sono ancora oggi venerati: La Basilica che comprende la Grotta della Natività del Salvatore, nella stessa Grotta la lastra "profumata" dove oggi vediamo la Stella, la Mangiatoia dove fu deposto il Salvatore e la tomba dei santi Innocenti. A questi bisogna aggiungere il Campo dei Pastori e la Grotta del latte in relazione con la Fuga in Egitto. In tempi succesivi si venerarono anche altri luoghi come è il caso della cella e della tomba di san Girolamo presso la Grotta della Natività.
    Nel tempo moderno questi luoghi continuano ad essere meta di pellegrinaggi da parte dei Cristiani provenienti da tutto il mondo. In tutto il tempo dell’anno i pellegrini possono celebrare una liturgia che è propria del luogo sacro.
    All’aspetto religioso non si può dissociare quello culturale o informativo. Il pellegrino era introdotto alla conoscenza dei luoghi e nello stesso tempo al Mistero di Cristo. Questo fu l’ideale coltivato dal clero e dai religiosi nei tempi antichi e lo è tutt’oggi per il Francescano che dai tempi del santo Fondatore vive in Terra Santa.
    I Francescani han portato avanti questo ministero nel modo che le vicissitudini storiche hanno loro permesso. E ciò avviene attraverso la Liturgia ufficiale quotidiana e la pietà popolare, per esempio le processioni. Sono forme espressive religiose che sono mutate secondo le epoche storiche per ciò che riguarda i testi e i percorsi. Ma i luoghi stessi che ricordano la Nascita del Nostro Salvatore sono in ogni tempo fecondi di vita spirituale.

    Enrique Bermejo Cabrera ofm

    FONTE

  8. #18
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    Predefinito IL LUOGO DELLA NASCITA DI GESÙ

    BASILICA DELLA NATIVITÀ
    GROTTE DI S. GIROLAMO
    CHIESA DI S. CATERINA


    Dopo i vangeli, la più antica testimonianza sul luogo della nascita di Gesù (verso la metà del II sec.) è del filosofo e martire Giustino, originario di Flavia Neapolis, odierna Nablus, in Palestina: "Al momento della nascita del bambino a Betlemme, poiché non aveva dove soggiornare in quel villaggio, Giuseppe si fermò in una grotta prossima all'abitato e, mentre si trovavano là, Maria partorì il Cristo e lo depose in una mangiatoia, dove i Magi, venuti dall'Arabia lo trovarono". In particolare la menzione della grotta come abitazione di fortuna, va riconosciuta come un'eco della viva tradizione locale, attestata anche nell'antichisssimo apocrifo detto Protoevangelo di Giacomo (II sec.), ripetuta da Origene (III sec.) e alla base di tutta la storia successiva del santuario betlemitano. Questa medesima grotta fu circondata dalle magnifiche costruzioni dell'imperatore Costantino e di sua madre Elena non molto dopo il 325 d. C., come ci narra lo storico Eusebio di Cesarea, contemporaneo ai fatti. Nel 386, san Girolamo si stabilì nei pressi della basilica, con la nobile matrona romana Paola e altri seguaci, vivendo vita monastica, dedicandosi allo studio della Bibbia e producendo la sua celebre versione latina (Vulgata), che divenne poi ufficiale nella chiesa d'Occidente. Il suo sepolcro, così come quello dei suoi compagni e compagne, fu scavato nelle immediate vicinanze della grotta medesima.
    La basilica del IV sec. fu sostituita nel VI sec. da un'altra di dimensioni maggiori, che è quella ancora oggi in piedi. In epoca crociata (XII sec.) le pareti furono abbellite di preziosi mosaici dai fondi incrostati d'oro e di madreperla, dei quali rimangono ampi frammenti con scene del nuovo Testamento (nel transetto, con iscrizioni latine) e la rappresentazione simbolica di concili ecumenici (nella navata, con iscrizioni greche). Al di sopra delle colonne della navata in una fila di medaglioni sono raffigurati gli antenati di Gesù (con diciture latine). Uno degli angeli adoranti della parete sinistra ha ai piedi una iscrizione (in latino e in siriaco) con il nome dell'artista, il pittore Basilio. Scavi fatti negli anni 1934-35 (dal governo mandatario inglese) hanno riportato alla luce considerevoli avanzi dei mosaici pavimentali della basilica costantiniana, alcuni dei quali sono visibili tanto nella navata che nel transetto della basilica.
    I francescani, che dimorano a Betlemme dal 1347, posseggono accanto alla basilica della Natività il proprio convento e una chiesa (dedicata alla santa martire Caterina) che serve principalmente per le necessità della comunità cristiana cattolica locale di rito latino; da questa chiesa si scende alle grotte di S. Girolamo.

    CAMPO E GROTTA DEI PASTORI

    Un antico pellegrino anonimo, citato dal monaco benedettino Pietro Diacono (XII sec.), ci parla dei ricordi sacri presenti nei dintorni Betlemme: "Non lontano di là c'è una chiesa detta dei Pastori, dove un grande giardino è accuratamente chiuso tutto intorno da un muro; e c'è in quel luogo una grotta molto luminosa, che ha un altare là dove un angelo, apparso ai pastori veglianti, annunciò la nascita di Cristo". Anche san Girolamo (fine IV sec.) menziona più volte questo luogo, associandolo alla biblica Migdal-Eder (Torre di Eder o del gregge) e la chiesa di Gerusalemme vi celebrava una festa la vigilia del Natale. Il vescovo Arculfo (VII sec.) ricorda la presenza dei sepolcri dei tre pastori nella chiesa. Prima dell'arrivo dei crociati la chiesa fu distrutta ma, nonostante ciò, le rovine continuarono ad essere visitate dai pellegrini.

    Tradizionalmente il luogo era segnalato a Deir er-Ra`wat, sul margine meridionale della pianura sottostante Betlemme, dove esistono notevoli rovine di un antico edificio sacro. La chiesa inferiore o cripta, pressocché integra, servì anche da chiesa parrocchiale per i greci ortodossi fino al 1955. Nel 1972 si procedette allo scavo (a cura di V. Tzaferis) e al restauro del monumento; una chiesa moderna affianca l'antica.

    La localizzazione tradizionale venne messa in questione dalle scoperte di C. Guarmani (1859) e, successivamente, dagli scavi di p. Virgilio Corbo (1951-52) a Siyar el-Ghanam, sopra un poggio situato a una certa distanza dal luogo precedente. Vi furono ritrovati i resti di un insediamento agricolo risalente al I sec. d. C. (con pressoi per olio, grotte e colombario) e di un monastero bizantino (chiesa, cortili, cisterne, panetteria, ambienti mosaicati) fiorito tra il IV e l'VIII sec. d. C. Il nuovo santuario, dedicato ai SS. Angeli, fu fatto costruire dalla Custodia di Terra Santa nel 1954 (arch. A. Barluzzi).

    Eugenio Alliata ofm

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  9. #19
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    Predefinito La nascita di Gesù nel silenzio

    Chi non ha mai ascoltato, e forse anche cantato, con commozione melodie natalizie come: "Che magnifica notte di stelle /... Quale pace divina, solenne / hai prescelto o Bambino— In notte placida / per muto sentier /... Nell'aura è il palpito / d'un grande mister — Fermarono i cieli / la loro armonia"? Sono versi che esprimono lo stupore attonito e la trepida attesa con cui tutto l'universo dovette accompagnare la venuta al mondo di Gesù, Figlio di Dio e di Maria.

    Probabilmente molti pensano che si tratti solo di un ingenuo abbellimento poetico del quadro natalizio: dinanzi al Dio Bambino tutti gli uomini tornano fanciulli in un mondo di sogno. Forse non tutti sanno che questo "motivo" è antichissimo e non è soltanto ispirato dalla poesia

    1. La tradizione apocrifa

    Si sa che attorno al Natale son fioriti racconti popolari e leggende che, prendendo spunto dai Vangeli canonici, hanno dato origine a dei complessi cicli letterari.

    L'apocrifo "Protovangelo di Giacomo" o "Natività di Maria", molto antico e tanto diffuso, raccontando la nascita di Gesù, riferisce questa visione di Giuseppe: "Io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. Guardai nell'aria e vidi l'aria colpita di stupore; guardai verso la volta del cielo e la vidi ferma, e immobili gli uccelli del cielo; guardai sulla terra e vidi un vaso giacente e degli operai coricati con le mani nel vaso: ma quelli che masticavano non masticavano, quelli che prendevano su il cibo non l'alzavano dal vaso, quelli che lo stavano portando alla bocca non lo portavano; i visi di tutti erano rivolti a guardare in alto. Ecco delle pecore spinte innanzi che invece stavano ferme: il pastore alzò la mano per percuoterle, ma la sua mano restò per aria. Guardai la corrente del fiume e vidi le bocche dei capretti poggiate sull'acqua, ma non bevevano. Poi, in un istante, tutte le cose ripresero il loro corso" (XVII 2-3; L. Moraldi, Apocrifi del N.T., Torino 1971,83).

    Questo tema della sospensione della vita nell'universo si ritrova pure in due testi gemelli sul vangelo della natività, in parte dipendenti dal "Protovangelo". I codici "Arundel 404" "Hereford 0.3.9" riportano la tradizione nel racconto che ne fa l'ostetrica chiamata da san Giuseppe per assistere la Madonna: "Nel più grande silenzio, in quel momento si sono fermate, tremanti, tutte le cose: infatti cessarono i venti, non dando più il loro soffio, non s'è più mossa alcuna foglia degli alberi, non s'è più udito alcun rumore di acque, non scorsero più i fiumi, non ci fu più il flusso del mare, tacquero tutte le fonti di acqua, non risuonò più alcuna voce umana: c'era un grande silenzio. In quel momento, lo stesso polo cessò l'agile movimento del suo corso. Le misure delle ore erano quasi tramontate. Con timore grande, tutte le cose tacevano stupite, mentre noi eravamo nell'attesa della venuta della maestà, del termine dei secoli" (72; Moraldi, 139 e 181 ).

    Anche il "Vangelo armeno delI'infanzia" conosce il miracolo cosmico e lo racconta con vivacità: "E mentre (Giuseppe) camminava, vide che la terra si era sollevata e che il cielo si era abbassato, e alzò le mani come per toccare il punto in cui essi si congiungevano. E vide intorno a sé gli elementi intorpiditi e attoniti; i venti e l'aria del cielo, divenuti immobili, avevano interrotto il loro corso; gli uccelli e i volatili avevano trattenuto il loro volo. E, guardando a terra, vide una giara appena modellata: presso di essa era un vasaio che aveva impastato l'argilla e faceva il gesto di congiungere in aria le mani, ma quelle non si riavvicinavano. Tutti gli altri guardavano fisso in alto. Vide anche delle greggi condotte al pascolo: non avanzavano, non camminavano e non pascolavano. Il pastore brandiva il bastone e non poteva battere i montoni, ma teneva la mano sospesa in alto. Guardò pure un torrente in un burrone e vide dei cammelli che, passando di lì, tendevano la bocca sulle sponde del burrone e non mangiavano. Così, nel momento del parto della Vergine santa, tutti gli elementi restavano come immobili nel loro atteggiamento" (VIII, 10; C. Michel - P. Peeters, Evangiles Apochryphes, Paris 1911, 123s). Queste testimonianze mostrano che la tradizione era ampiamente diffusa e, di riflesso, che ad essa si dava importanza per il suo significato. Il fatto che la vita dell'universo si fermi come d'incanto al momento della nascita di Gesù indica la partecipazione cosmica, cioè di tutte le creature, all'avvenimento.

    Alla luce di paralleli rilevati in altre culture qualcuno ha parlato persino di derivazione di questo tema dalla religione indiana o dalla mitologia greca. Ma, a parte il fatto che un parallelo non implichi sempre e necessariamente una dipendenza, non sarebbe più spontaneo e più logico rifarsi alla tradizione biblica e giudaica antica? Gli studi recenti mostrano sempre più chiaramente che tanta parte della letteratura apocrifa cristiana ha attinto temi e metodo di interpretazione dal mondo biblico e giudaico.

    2. La tradizione biblica

    Nella Bibbia assai spesso il silenzio e l'immobilità accompagnano le manifestazioni di Dio e i suoi interventi. Citiamo solo due testi, ma gli esempi si potrebbero moltiplicare.

    Il Salmo 76,9s., parlando del giudizio salvifico di Dio, dice: "Hai fatto udire dai cieli la sentenza: la terra è sbigottita e tace, quando Dio si alza per giudicare, per recare salvezza agli umili della terra". Il profeta Abacuc, contrapponendo la maestà del Dio vivente alla falsità degli idoli, proclama: "YHWH invece è nel suo santo tempio: faccia silenzio davanti a lui tutta la terra" (2,20; cf. pure Es 15,16; Lev 10, 3; Is 41,1; Sof 1,7; Zac 2,17; Apoc 8,1). In questi testi biblici il silenzio esprime, dunque, il timore, il rispetto e l'adorazione delI'uomo e della terra stessa dinanzi al Signore che si fa presente.

    3. La tradizione giudaica antica

    E' noto che la tradizione giudaica ha arricchito e abbellito fatti e personaggi della Bibbia con commenti e tradizioni di carattere popolare. La aggadah, commento biblico di tipo edificante e esortativo, è presentata come una via per comprendere meglio la Parola divina e conoscerne l'Autore. Un detto rabbinico dichiara: "Se tu vuoi conoscere 'Colui che parlò e il mondo esistette' (Sal 33, 9), studia la aggadah, poiché attraverso di essa l'uomo conosce il Santo, Egli sia benedetto" (Sifré Deut 11,22). Un testo richiama l'attenzione, perché offre un interessante parallelo della leggenda natalizia degli Apocrifi. Il "Midrash Rabbâ", collezione di commenti al Pentateuco e ad altri libri biblici, descrivendo lo scenario nel quale Dio donò la Legge al suo popolo, riporta questa tradizione: "Rabbi Abbahu (300 ca.) diceva in nome di Rabbi Jochanan ( m. 279): Quando Dio diede la Legge nessun uccello cinguettava, nessun volatile volava, nessun bue muggiva, nessuno degli Ofanim (ruote del carro divino, cf. Ez 1,15ss) muoveva un'ala, i Serafini non dicevano 'Santo, Santo, Santo', il mare non mormorava, le creature tacevano, tutto l'universo era ammutolito in un silenzio senza respiro, e venne la voce: 'Io sono il Signore tuo Dio' (Es 20,2)" (Esodo Rabbâ 29,9 a 20,1).

    Poi il Midrash aggiunge che anche nella manifestazione di Dio sul monte Carmelo, al tempo di Elia (cf. 1 Re 18,20-40), tutto l'universo restò attonito, in silenzio. Quindi richiamandosi a Rabbi Simeone ben Lachish (250 ca.), il testo rabbinico conclude: "(Se vi fu silenzio allora), quanto più naturale che nel momento in cui Dio parlò sul monte Sinai, tutto l'universo restasse in silenzio, così che tutte le creature potessero conoscere che non vi era altro (Dio) al di fuori di Lui" (ivi).

    E' interessante notare che in questa tradizione la sospensione cosmica della vita ha un chiaro significato teologico. Il silenzio e l'immobilità di tutte le creature del cielo e della terra manifestano all'uomo la rivelazione del Dio unico.

    Conclusione

    La leggenda natalizia apocrifa, letta sullo sfondo biblico e giudaico qui presentato, forse si comprende meglio nel suo linguaggio e significato. Al momento della nascita di Gesù a Betlemme tutte le cose sulla terra, arrestandosi in un improvviso silenzio, ne avvertono e ne rivelano la venuta nel mondo. Certo, un racconto popolare con caratteri leggendari, ma pure con un toccante significato teologico. La liturgia del tempo natalizio sembra aver raccolto, almeno in parte, questo tema. Facendo uso del senso accomodatizio essa applica all'Incarnazione del Verbo e alla nascita di Gesù questo testo del libro della Sapienza: "Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale" (18,14s; cf. Messale e Breviario romano, Tempo di Natale).

    Forse S. Ignazio di Antiochia, martire a Roma nel 107, ricordava anche questa tradizione scrivendo ai cristiani di Efeso: "E la verginità di Maria, come pure il parto di lei, furono nascosti al demonio e così anche la morte del Signore; tre misteri di gloria, che furono compiuti nel silenzio" (Efes. 19). I maestri della vita spirituale e i mistici di tutti i tempi hanno fatto proprio il tema poetico e biblico-teologico. Il silenzio, nella loro esperienza e dottrina, è l'atteggiamento con cui il cristiano deve ascoltare e accogliere la grande Parola, che il Padre ha detto in un silenzio eterno, cioè il Suo Figlio Gesù Cristo.

    G. Claudio Bottini
    Studio Biblico Francescano, Gerusalemme

    FONTE

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    Predefinito Natale con San Francesco



    Francesco d'Assisi, non c'è dubbio, è il santo del presepe. Ecco come uno dei suoi più antichi biografi, Tommaso da Celano, narra la scena, svoltasi nella valle reatina, a Greccio, nella notte del 25 dicembre 1223.

    "C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.

    E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.

    Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.

    Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima.

    Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole.

    Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Banibinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia".

    Francesco d'Assisi è il santo del presepe. Ma non già di un presepe che è semplice teoria cangiante di frulli d'ali angeliche e di belati di pecorelle, di ingenui pastori adoranti e di solenni magi che si avviano in fantasmagorico corteo alla grotta del neonato re dei giudei. Per Francesco il presepe non si esaurisce nel ritmare i sogni innocenti dei bimbi o i rimpianti nostalgici degli adulti. Il presepe è per lui la drammatizzazione dell'amore che spinse il Figlio di Dio a farsi figlio dell'uomo a costo anche di venire al mondo e di vagire tra ragnatele e fieno e alito pesante di animali.

    Il santo di Greccio, del resto, è anche il santo della Verna, che rivive nelle sue carni con le stimmate la passione redentrice di Cristo crocifisso.

    Ma la spiritualità del Poverello d'Assisi non si restringe nei limiti sia pure amplissimi di Betlemme e del Calvario. Si dilata negli spazi senza confini della vita trinitaria di Dio. E adora Cristo proprio nel posto che il Padre gli ha assegnato nella storia della salvezza.

    Marco Adinolfi ofm

    FONTE

    Giotto di Bondone, S. Francesco istituisce il presepio a Greccio, 1297-1300, Basilica Superiore di S. Francesco, Assisi

    Benozzo Gozzoli, S. Francesco istituisce il presepio a Greccio, 1452, cappella absidale, Chiesa di S. Francesco, Mpntefalco

 

 
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