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  1. #21
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    Predefinito Betlemme: l'Herodion e la grotta della natività

    A tutti è presente l'immagine del Santo Padre che pregava in silenzio nella grotta della natività di Betlemme durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa. Il messaggero della pace aveva intuito che se gli uomini non danno gloria a Dio non vi sarà pace sulla terra.

    A tutti è presente l'immagine della tomba di Rachele, a due passi da Betlemme, trasformata in fortezza e centro di tante lotte durante l'ultima intifada. Rachele piange i suoi figli, oggi più di ieri. A tutti è presente l'immagine del check point di Tantur dove la popolazione palestinese umiliata, ma piena di dignità, aspetta ogni giorno ore per poter portare a casa il pane quotidiano. Betlemme: la casa del pane...

    In questo contesto drammatico rileggiamo la scrittura, fonte di vita e di speranza: "E tu Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele" (Mich.5,1). Così il profeta Michea accende la speranza messianica nel dominatore, di Israele, colui che ristabilirà la giustizia e la pace. In contrasto con l'attesa trionfalistica nella Santa Gerusalemme, la modestia del piccolo villaggio giudaico è segno della predilezione di Dio per i piccoli ed i poveri. Betlemme rimane ancora oggi il caposaldo della nostra fede.

    La stessa opposizione tra forza e povertà si ritrova all 'epoca di Gesù. Accanto al piccolo villaggio di David c'è il palazzo-fortezza di Erode. La forza militare e l'indigenza. Come non pensare al piccolo David che si troverà un giorno di fronte al gigante? Come non pensare ai pastori primi evangelizzati dall'angelo?

    Nel Protovangelo di Giacomo vengono menzionati la grotta e la mangiatoia. Anche S.Giustino nel suo "Dialogo con Trifone" 78 cita il luogo del parto di Maria e nuovamente la mangiatoia. La memoria cristiana ricorda questo fatto: Dio si fa uomo affinché l'uomo possa diventare Dio. Il Figlio di dio viene adagiato in una mangiatoia. La vocazione dell'uomo non è l'animalità ma quella di essere divinizzato.

    A Betlemme vivono le comunità cristiane, cattolica, ortodossa ed armena, in una convivenza a volte difficile e sofferta, ma sempre preziosa. Il Santo Padre nel suo incontro con gli Ordinari di Terra Santa ha ripetuto la sua preoccupazione per le pietre vive, per i cristiani di questa terra che conoscono la sorte del loro Maestro. A tutti loro viene proclamato il messaggio dell'angelo:"Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2, 10-11). Israel e i Musulmani attendono il Salvatore. Rifiutano Gesù in nome della trascendenza di Dio. Un Dio non si può abbassare a questo punto. Ma chi rifiuta il messaggio di Betlemme - cioè che l'uomo è chiamato ad essere divinizzato- fa l'esperienza che l'uomo può diventare una bestia per il suo fratello. I fatti recenti lo dimostrano.

    La gioia annunciata dall'angelo non è qualcosa che appartiene al passato. È una gioia di oggi, dell'oggi eterno della salvezza di Dio, che comprende tutti i tempi, passato, presente e futuro. Siamo chiamati a comprendere più chiaramente che il tempo ha un senso perché qui l'Eterno è entrato nella storia e rimane con noi per sempre. Le parole di Beda il Venerabile esprimono chiaramente questo concetto: "Ancora oggi, e ogni giorno sino alla fine dei tempi, il Signore sarà continuamente concepito a Nazareth e partorito a Betlemme" (In Ev. S. Lucae, 2; PL 92, 330). Poiché in questa città è sempre Natale, ogni giorno è Natale nel cuore dei cristiani. Ogni giorno siamo chiamati a proclamare il messaggio di Betlemme al mondo - "la buona novella di una grande gioia": il Verbo Eterno, "Dio da Dio, Luce da Luce", si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1, 14).

    Betlemme non deve essere solo meta di pellegrinaggi e di studi, non deve rimanere un "cimelio" storico, ma il segno tangibile della nostra fede e del nostro credo che testimoniamo giorno per giorno con la nostra vita e la nostra preghiera.

    Giovanni Paolo II prima del grande Giubileo pregava cosi. "O Bambino di Betlemme, Figlio di Maria e Figlio di Dio, Signore di tutti i tempi e Principe della Pace, "lo stesso ieri, oggi e sempre" (Eb 13, 8): mentre avanziamo verso il nuovo millennio, guarisci le nostre ferite, rafforza i nostri passi, apri il nostro cuore e la nostra mente alla "bontà misericordiosa del nostro Dio, per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge" (Lc 1, 78). Amen". La preghiera rimane sempre valida. Cosa abbiamo fatto del Giubileo?

    Frédéric Manns
    Jerusalem 15-12-2001

    FONTE

  2. #22
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    Istituzione del presepio

    di Vitaliano Mattioli




    Mi ha sempre colpito una pagina di Nietzsche dove ricorda gli anni della fanciullezza: "Guarda! Gesù bambino nella mangiatoia, circondato da Giuseppe e Maria e dai pastori adoranti! Che sguardi pieni di fede ardente gettano sul bambino! Voglia il cielo che anche noi ci abbandoniamo con tale dedizione al Signore!" (1).
    Due nomi sono legati all'origine del presepe: Greccio e S. Francesco.
    Greccio è un paese medievale, alle pendici del monte Lacerone, alto sul mare 705 metri; dista da Rieti una quindicina di chilometri ed ha più o meno 1.400 abitanti.
    Al massimo sarebbe ricordato come luogo di villeggiatura estiva se S. Francesco non vi avesse... inventato il presepe. Lui amava questo luogo perché aveva le caratteristiche della semplicità; ma nutriva una predilezione specialmente per gli abitanti perché avevano corrisposto alla sua predicazione.
    E' lì che fu ispirato a fare il presepe.
    Francesco morì a Santa Maria degli Angeli (Assisi) nel 1226. Questo avvenimento si colloca tre anni prima (1223).
    Due sono le fonti che ce ne parlano.
    S. Bonaventura scrive che Francesco: "Tre anni prima della sua morte, volle celebrare presso Greccio il ricordo della natività di Gesù Bambino, e desiderò di farlo con ogni possibile solennità, al fine di eccitare maggiormente la devozione dei fedeli. Perché la cosa non fosse ascritta a desiderio di novità, prima chiese e ottenne il permesso dal Sommo Pontefice" (2).
    L'altra fonte più dettagliata è il biografo del Santo, Tommaso da Celano.
    Papa Gregorio IX, dopo aver dichiarato santo Francesco il 16 luglio 1228, incaricò frà Tommaso di stendere una biografia ufficiale del Santo che poi lui stesso approvò nel 1229. Questa biografia si chiama Vita Prima e fu scritta tra il 1228 e 1229. In un secondo momento, tra il 1246-1247, ancora lo stesso fra Tommaso scrisse un'altra biografia, chiamata Vita Seconda, per obbedienza al Capitolo Generale di Genova svoltosi nel 1244 ed al Superiore Generale dell'Ordine.
    Nella Vita Prima Tommaso da Celano ci dice che Francesco, quindici giorni prima del Natale fece chiamare un signore molto buono di nome Giovanni per chiedergli di aiutarlo nell'attuare il pio desiderio: "Vorrei raffigurare il Bambino nato a Betlem... Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il desiderio esposto dal Santo.
    "Giunse il giorno della letizia; sono convenuti molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte. Arriva alla fine Francesco; vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno, e si introducono il bue e l'asinello. Si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
    "Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero.
    "I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al Presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile.
    "Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul Presepio" (3).
    Così è iniziata nel 1223 la tradizione di fare il presepe, ormai diffusa in tutto il mondo.

    NOTE

    1) Nietzsche Friedrich, La mia vita. Scritti autobiografici 1856-1869, Adelphi, Milano 1977, p. 33.
    2) S. Bonaventura, Legenda Maior, cap. X, n. 7. Testo in Fonti Francescane, Ed. Messaggero, Padova 1980, p. 924.
    3) Tommaso da Celano, 1, n. 84-85; Testo in Fonti Francescane, o.c., p. 477 s.

    Fonte: CULTURA CATTOLICA

  3. #23
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    La datazione del Natale

    di Vitaliano Mattioli




    Il 25 dicembre è ormai il giorno consacrato alla nascita di Cristo.
    Secondo Ippolito Romano Gesù nacque proprio il 25 dicembre (4).
    Al di là di questa certezza, oggi non si vuol dire che in tale giorno esatto si festeggia il "compleanno" di Gesù. Il Redentore è certamente nato in un giorno, di cui non abbiamo certezza. La Chiesa per celebrarne la nascita ha trovato un giorno "simbolico e significativo".
    Nei primi due secoli, quando ancora la Chiesa non aveva libertà completa di culto e non poteva organizzarsi liberamente, la data non era ancora la stessa per tutti i luoghi: in oriente alcuni celebravano il Natale il 20 maggio, altri il 20 aprile; altri ancora il 17 novembre. In occidente in alcune zone si celebrava il 28 marzo; mentre in altre regioni già si era scelto il giorno del 25 dicembre.
    Nel IV secolo in occidente si pervenne ad una concordanza su questa data, fissando in tal modo l'attenzione sulla realtà umana di Cristo: oltre ad essere vero Dio è anche vero uomo, come tutti gli altri; per questo se ne celebra anche il compleanno.
    Nel 336 è stata scritta la 'Depositio Martyrum', un primo tentativo di calendario liturgico, nel quale si dice espressamente che a Roma la festa del Natale veniva celebrata il 25 dicembre. La stessa notizia si riscontra nel Cronografo dell'anno 354 (Chronographus anni CCCLIIII. Ferialae Ecclesiae Romanae) nel quale si legge "VIII Kal. Ian. (Die Octavo ante Kalendas Ianuarias) natus Christus in Betleem Iudeae", cioè il 25 dicembre. Altra conferma sulla datazione a Roma ci viene data da un discorso di papa Liberio (352-366), tenuto in S. Pietro nel 353.
    Questa data di Roma venne fatta propria anche da altre diocesi, come Milano per opera di S. Ambrogio.
    L'affermazione di questa festa si deve molto all'opera del papa S. Leone Magno (440-461).
    In oriente invece per ricordare la nascita del Redentore prevalse il 6 gennaio, giorno dell' Epifania, nel quale si celebra la manifestazione al mondo, rappresentato dai magi, di Cristo in quanto Dio. La Chiesa d'oriente ha voluto porre l'accento sul fatto che quel bambino è Dio.
    Questa doppia data si è mantenuta fino ad oggi.
    L'esigenza di celebrare la festa della nascita del Redentore si è maturata nel tempo, come è avvenuto per altre festività, per rafforzare l'autentica fede nel mistero della incarnazione. Nel IV e V secolo sono sorte le grandi eresie che negavano o la divinità di Cristo o la sua umanità. Ben quattro concili ecumenici sono stati celebrati per difendere e chiarire la vera dottrina sul Verbo: Nicea (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431) e Calcedonia (451).

    Ma perché proprio il 25 dicembre? Per quanto riguarda la scelta di questo giorno, ci sono diverse ipotesi. Le principali sono due.
    Un prima la fa risalire all'uso di cristianizzare una festa pagana. Infatti in quel giorno, coincidente con il solstizio d'inverno, si celebrava nell'Impero la festa del Sol Invictus, il Sole nascente di nuovo, in onore della divinità Mitra, vincitrice delle tenebre. Per celebrare questa divinità l'imperatore Aureliano nel 274 aveva fatto edificare un grandioso tempio la cui inaugurazione avvenne proprio il 25 dicembre.
    Si deve notare che i romani, secondo le conoscenze astronomiche del tempo, credevano che il solstizio d'inverno cadesse il 25 dicembre, e non il 21 come oggi si sa in seguito a studi più esatti. La vita allora era regolata sulla luce naturale. Il solstizio d'inverno pone fine al giorno più corto, di minor luce ed indica l'inizio del periodo di maggior luminosità con l'allungarsi delle giornate, e quindi di maggior vitalità e gioiosità (5).
    Tutti conoscono la 'paganità' di queste feste. La Chiesa piuttosto che anatematizzarle, ha preferito coglierne il significato simbolico e trasferirlo in Cristo. Nel nostro caso è Lui il vero Sole che viene in questo mondo per sconfiggere le tenebre.
    La Sacra Scrittura è molto chiara: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in una terra caliginosa di ombre di morte risplendette una luce" (Isaia, 9, 1); "Sorgerà per voi il Sole di giustizia" (Malachia, 14, 2).
    Le parole di Isaia sarà lo stesso Gesù ad applicarle a se stesso (Matteo, 4, 16).
    Lo stesso concetto è espresso da Zaccaria nel suo famoso cantico: "Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Luca, 1, 79 s.). Lo stesso Gesù si è identificato con la luce quando ha detto: "Io sono la luce del mondo... Chi crede in me non cammina nelle tenebre" (Giov., 8, 12).
    Il vero Sole di cui l'uomo ha bisogno non è Mitra o altre divinità, ma Cristo, l'unico uomo-Dio, redentore.
    Nei primi cristiani questa convinzione era molto radicata. Avvertivano la necessità di manifestare questa loro fede anche con le arti figurative. Ci sono arrivati diversi affreschi e mosaici che paragonano Cristo al sole. Un esempio per tutti si trova nella necropoli vaticana dove nel mosaico del soffitto del mausoleo M, composto tra il 150-180 già scoperto nel corso di un fortuito contatto con la Necropoli nel 1574, ma liberato dalle macerie e visibile soltanto durante gli scavi del 1941, abbiamo la raffigurazione di Cristo-Sole che ascende al cielo su una quadriga di cavalli bianchi in mezzo ad un lussureggiante intreccio di rami di vite (6).
    Una seconda ipotesi invece ritiene, in rapporto a studi sui calendari, che il 25 dicembre fu proprio il giorno della nascita di Gesù.
    La ricerca parte dalla descrizione del sacrificio del sacerdote Zaccaria, padre il Giovanni il Battista, con l'aiuto del calendario della comunità essena di Qumrân. L'evangelista ci dice che Zaccaria era sacerdote della classe di Abijah. Costui esercitava le sue funzioni nel tempio quando l'angelo Gabriele gli annunciò la nascita del figlio (Luca, 1, 5-13).
    Secondo il calendario qumranico solare, i turni per il servizio nel tempio della famiglia di Abijah capitavano due volte all'anno: dall' 8 al 14 del 3° mese e dal 24 al 30 dell'8° mese. La tradizione orientale che fa risalire la nascita di Giovanni il 24 giugno, pone la data del servizio al tempio di Zaccaria nel secondo turno: 24-30 dell'8° mese. A sua volta Luca data l'annunciazione dell'angelo a Maria nel 6° mese successivo al concepimento di Giovanni (Luca, 1, 26). Le liturgie orientali ed occidentali concordano nel determinare questa data con il 31 del mese di Adar, corrispondente al nostro 25 marzo. Infatti in questa data la Chiesa celebra ancora l'annuncio dell'angelo ed il concepimento di Gesù. Di riflesso la data della nascita doveva essere posta 9 mesi dopo, appunto il 25 dicembre (7).

    Per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso.
    Come si fa a determinarlo con esattezza?
    Abbiamo due avvenimenti come punti di riferimento: la morte di Erode il Grande ed il censimento di Quirinio.
    All'inizio la datazione storica si faceva partire dalla presunta data della fondazione di Roma. Si chiamava 'anno zero'. Per questo si usava sempre aggiungere: Ab Urbe Condida (a. U. c., dalla fondazione di Roma).
    Il monaco scita Dionigi il Piccolo (chiamato così per la sua umiltà, morto nel 526 d.C.) pensò invece di rapportare il computo della datazione sulla nascita di Cristo, distinguendo così la cronologia in due grandi periodi: Ante Christum Natum (a. C. n., prima della nascita di Cristo - a.C.) e Post Christum Natum (p. C. n., dopo la nascita di Cristo - d.C.).
    Con questa nuova numerazione la fondazione di Roma sarebbe avvenuta nel 754 a C., mentre Cristo sarebbe nato nell'anno zero, cioè 754 anni dopo la fondazione di Roma. Però questo dotto monaco sbagliò i suoi calcoli di alcuni anni.
    Punto di partenza è la certezza della data della morte di Erode l'anno 750 dalla fondazione di Roma, corrispondente al 4 a.C., ed esattamente tra il 13 marzo e l'11 aprile (8).
    La nascita di Gesù avvenne certamente prima di questa morte, dato che Erode voleva uccidere il Bambino. Per cui è impossibile che Gesù sia nato nell'anno zero ma qualche anno prima. Quando precisamente? Nel 6, 5, 4 a. C. n.?
    L'altro elemento che ci viene in aiuto è il censimento di Quirinio.
    Prima leggiamo il testo evangelico che ne parla: "Avvenne poi in quei giorni che uscì un editto da parte di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dunque, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì verso la Giudea, alla città di Davide che si chiamava Bethlemme, perché egli apparteneva alla casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, la quale era incinta. Ora accade che. Mentr'essi erano là, si compì il tempo in cui Maria doveva partorire; e diede alla luce il suo figlio primogenito" (Luca, 2, 1-7).
    Nel 63 a.C. con la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo, la Palestina divenne provincia romana. Per questo vi si riscontra la presenza di autorità romane. Il senatore Publio Sulpicio Quirinio (morto nel 21 d.C.) fu governatore della Siria una prima volta dal 12-8 a.C. ed una seconda nel 6-7 d.C. In questo secondo mandato fece un nuovo censimento che certamente non è quello a cui Luca accenna in quanto Gesù a quel tempo aveva circa 11 anni. Del resto a questo censimento lo stesso Luca si riferisce in una diversa situazione storica nell'altra sua opera: Atti degli Apostoli (5, 37).
    Scartato questo secondo, si deve vedere la datazione del primo, quello che ha motivato il viaggio di Maria e Giuseppe a Bethlemme dove è nato Gesù.
    Il primo mandato di Quirinio terminò nell' 8 a.C. Gli successe Senzio Saturnino.
    L'evangelista Luca era un medico, scrupoloso e preciso nelle notizie che riferisce. Lo si riscontra dalle sue stesse parole all'inizio del Vangelo che invia a Teofilo: "Poiché molti han posto mano a comporre un racconto degli avvenimenti che si sono compiuti tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che furono fin dall'inizio testimoni oculari e ministri della Parola; è parso anche a me, che fin dall'inizio ho accuratamente investigato ogni cosa, di scriverne con ordine, illustre Teofilo" (Luca, 1, 1-3).
    Luca attribuisce il primo censimento a Quirinio. La sua scrupolosità invoglia alla attendibilità.
    Tuttavia uno scrittore cristiano romano, Tertulliano, giurista e molto preciso, questo stesso censimento in Giudea lo attribuisce a Saturnino (9). Tertulliano non dipende da Luca ma attinge la notizia da documenti dell'Impero.
    Due menti storiche degne di fede, che ci portano sullo stesso argomento notizie diverse.
    Se a prima vista emergono contrasti, probabilmente la differenza è solo apparente. Così il Ricciotti tenta di armonizzare tra loro le due opinioni: Quirinio sul finire del suo mandato, 8 a.C., "indisse il censimento, il quale appunto perché primo incontrò difficoltà in Giudea, e si protrasse così a lungo da essere condotto a termine dal successore Senzio Saturnino. Presso i Giudei, ch'erano rimasti fortemente impressionati da questo primo censimento, esso passò alla storia sotto il nome di Quirinio che l'aveva iniziato, e Luca segue questa denominazione giudaica; presso i Romani lo stesso censimento passò sotto il nome di Saturnino che l'aveva terminato, e Tertulliano segue questa denominazione romana. Può darsi anche che Saturnino da principio fosse il subordinato cooperatore di Quirinio nell'esecuzione del censimento" (10).
    In tal modo verrebbe a coincidere la nascita di Gesù nel periodo del primo censimento di cui Luca parla nel suo Vangelo, quindi anticipata sull' anno Zero, nel 747 di Roma (= 7 a. C. n.) o nel 748 di Roma (= 6 a. C. n.) (11).
    Per cui abbiamo due date per stabilire la nascita di Gesù: il censimento di Quirinio e la morte di Erode. La nascita non poté avvenire dopo il 750 di Roma, ma almeno un anno e mezzo prima, quindi verso il 748, intervallo tra la nascita di Gesù e la morte di Erode; l'altra data è la missione di Quirinio in Siria: la nascita non dové avvenire prima del 746 di Roma (= 8 a.C.). Quindi le due date sono: tra il 746 ed il 750 a.C. (cioè tra l'8 ed il 4 a.C.; presumibilmente come abbiamo detto tra il 7 od il 6 a.C.).
    Questo però non significa che tra gli studiosi ci sia accordo completo (12).
    Per concludere sulla datazione dell'anno: "Oggi tuttavia, considerando tutte le fonti a disposizione, si è propensi a fissare la nascita di Gesù fra il 7 e il 4 a.C." (13).
    Mi sono un po' dilungato sulla datazione perché è importante considerare Cristo anche nella sua dimensione umana, e collocare nel tempo la sua esistenza terrena.
    Tuttavia non è fondamentale sapere se Gesù è nato un anno prima o dopo, o in quel determinato giorno piuttosto che un altro. L'importante è che Lui sia nato.
    E' anche affascinante il tentativo di Dionigi il Piccolo, seppur non del tutto esatto, di porre il Cristo al centro della storia cosmica, da classificare lo stesso tempo in due grandi epoche: prima della nascita di Cristo e dopo. Lui è veramente lo spartiacque della storia umana, il punto di riferimento, l'Alfa e l'Omega.

    Note

    4) Ippolito Romano, Commento a Daniele, scritto verso il 204.
    5) Per analizzare il pensiero sulla festa del Natale da parte dei Testimoni di Geova: cfr. Lorenzo Minuti, I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia, a c. di Grottola Fortunato, Coletti, Roma 1992, p. 86-88.
    6) Cfr. Michele Basso, Guida alla Necropoli Vaticana, Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano 1986, p. 54 s.; Margherita Guarducci, Pietro fondamento della Chiesa - Itinerario nei sotterranei della Basilica Vaticana, Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, 1977, p. 21 ss. con foto.
    7) Cfr. Antonio Ammassari, Alle origini del calendario natalizio, Euntes Docete, 1 (1992), p. 11-16.
    8) Cfr. Giorgio Fedalto, Quando festeggiare il 2000?, San Paolo, Torino 1998, p. 46.
    9) Tertulliano, Contro Marcione, IV, 19
    10) Giuseppe Ricciotti, La vita di Gesù Cristo, Poliglotta Vaticana, 1953, p. 200.
    11) Cfr. Pierluigi Baima Bollone, Gli ultimi giorni di Gesù, Mondadori, Milano 1999, p. 134-139.
    12) Su tali conclusioni, Giorgio Fedaldo, nell'op. cit.: Quando festeggiare il 2000?, p. 41-43 e 72, sembra essere di opinione diversa.
    13) Questa è la conclusione alla quale giunge la Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, Piemme, Torino 1997, vol. 1, p. 380.

    Fonte: CULTURA CATTOLICA

  4. #24
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    I Pastori e gli Angeli

    di Vitaliano Mattioli




    Dal Vangelo secondo Luca (II, 8-14):
    "C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".
    Questo è il racconto evangelico che ha sempre suscitato un certo senso di meraviglia ed emozione.

    Gli Angeli

    La Bibbia parla parecchie volte delle creature angeliche, rimaste fedeli a Dio, che mettono la loro esistenza a disposizione di Dio e degli uomini. Di alcune conosciamo anche il nome.
    Senza un lungo, noioso elenco, riporto soltanto alcuni loro interventi principali.
    Michele. Il suo nome significa 'Chi è come Dio?'. Abbiamo una citazione nella lettera di Giuda (1, 8) e nell'Apocalisse (12, 7) dove interviene nella lotta contro il Dragone.
    Raffaele (Medicina di Dio). Nel libro di Tobia si legge che diventa compagno di viaggio di Tobiolo e lo invita a prendere il fiele del pesce come medicina per guarire la cecità di suo padre Tobia.
    Gabriele (Fortezza di Dio): è l'angelo dell'annunciazione.
    Oltre questi interventi più rinomati, ne vengono elencati molti altri: l'angelo che parla a Zaccaria annunciandogli il concepimento di Giovanni (Lc., 1, 11); l'angelo che appare a Giuseppe chiarendogli il mistero divino realizzatosi in Maria (Mt., 1, 18-25), la fuga in Egitto ed il ritorno in patria (Mt., 2, 13-20). Poi l'angelo dell'agonia che consola Gesù (Lc., 22, 43); l'angelo che annuncia la resurrezione alle pie donne (Mt., 28, 2-7); gli angeli dell'ascensione (At., 1, 10s.). Infine l'angelo che libera Pietro dalla prigione (At., 12, 7-11). Anche nell'Apocalisse più di una volta intervengono gli angeli.
    Non dovrebbe allora destare meraviglia se sono ancora gli angeli ad annunciare al mondo il lieto evento della nascita del Salvatore.
    Ma lo fanno conoscere solo ai pastori.

    I pastori

    Un po' era ovvio. Bethlemme, villaggio di contadini, era abitato da pastori. Ma in quei giorni non c'erano soltanto loro. Era il periodo del censimento e dovunque gli alberghi erano pieni tanto che Giuseppe non trovò nessun posto libero (Lc., 2, 7). Eppure soltano a loro l'angelo recò il lieto annuncio.
    Viene spontanea la domanda: perché?
    Qui non si deve vedere tanto la professione di 'pastori', quanto invece il simbolismo nascosto. I pastori sono considerati gente semplice, umile, senza complicazioni. Hanno conservato un po' l'animo del bambino. Anche i poeti li hanno presentati sotto questo profilo.
    Gli angeli recano l'annuncio a questa tipologia di uomini, perché hanno le caratteristiche interiori per comprenderlo ed accettarlo.
    Due frasi evangeliche mi vengono in mente: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt., 11, 25); "Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (Mt., 18, 2-4).
    E' proprio vero che le misure divine sono molto diverse da quelle umane.
    Ecco allora che il pastore è un simbolo: in ognuno di noi dovrebbe conservarsi, crescendo, l'animo del pastore e del fanciullino.
    Altrimenti rischiamo di limitare il nostro ambito conoscitivo solo al sensibile, all'apparente, all'effimero, senza essere capaci di aprirci a tutta la verità, di scendere in profondità, di cogliere l'essenza degli esseri, fino al nucleo del cuore umano.
    Anche i Magi, per aprirsi al mistero, per capire chi era quel Bambino, sono dovuti scendere dal loro piedistallo, si sono dovuti inginocchiare come fanciulli indifesi, inermi, per adorare quello che all'apparenza non era altro che uno dei tanti bambini nati in quel tempo.
    Il bambino è ancora capace di provare stupore, tenerezza, meraviglia perché non è ancora diventato grande, cioè 'complicato', perché conserva ancora la semplicità di Dio.
    Invece l'uomo di oggi rischia di perdere tante occasioni perché ha perso la semplicità originale, frutto dell'innocenza; è divenuto complicato, paranoico, limitato, incapace di capire sé e di aprirsi agli altri.
    Non è più capace di 'tenerezze'. Si è atrofizzato perfino nell'amore; infatti quello che chiama con questo bel termine non è amore, ma passione, egoismo, sopraffazione e sfruttamento. L'amore è ricerca dell'altro, donazione, desiderio di capire l'altro.
    Quanti matrimoni si interrompono proprio perché si è atrofizzata la capacità di vivere 'questo' amore. Gli sposi non sono rimasti bambini. Pretendono di amare 'da grandi'; ma il 'grande' non sa amare perché non ha conservato in sé l'animo del bambino: solo con l'animo del bambino infatti si è capaci di amare.
    Karol Wojtyla nella sua giovanile opera teatrale, La Bottega dell'Orefice (1960), alla fine sottolinea proprio questo. E' la scena in cui Stefano si riappacifica con Anna: Stefano: "In quel momento - per la prima volta dopo tanti anni - ho sentito il bisogno di dire qualcosa in cui si aprisse tutta la mia anima. Volevo dirlo proprio a Anna... Mi sono avvicinato a lei, le ho posato una mano sul braccio (da tempo, da molto tempo, non lo facevo più) e le ho detto queste parole:
    che peccato, che peccato che da tanti anni non ci siamo
    sentiti più come due ragazzi,
    Anna, Anna quante cose abbiamo perduto per questo!" (14).
    Il Pascoli, nel suo linguaggio letterario (G. Pascoli, Il Fanciullino - 1897), così ha espresso queste profonde verità: "E' dentro di noi un fanciullino... Noi cresciamo, ed egli resta piccolo... Egli è quello che ha paura del buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle... Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronuncia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l'amore, perché accarezza esso come sorella, accarezza e consola la bambina che è nella donna... Senza di lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle".

    Il messaggio

    Qual è il messaggio che gli angeli inviano ai pastori?: "Vi annuncio una grande gioia: oggi a voi è nato il Salvatore... Gloria a Dio, pace agli uomini" (Lc., 2, 10-14).
    Gioia, gloria, pace. Dalla pace scaturisce la gioia; ma ci sarà pace solo quando prima c'è stata l'attribuzione della gloria.
    Con due parole l'angelo stilizza il rapporto biunivoco tra l'uomo e Dio.
    Qual è l'anelito più forte nell'uomo? La pace. Ma la vera pace è conseguenza della virtù della giustizia, prima di tutto verso Dio. Non si può avere la pace quando non si rispettano i diritti altrui. La 'pace' evangelica non è frutto di guerra o di intrighi politici, ma è un riflesso e partecipazione di quella felicità che Dio possiede in maniera totale e perfetta.
    Dovere dell'uomo è quello di mettere Dio al primo posto, di glorificare Dio. Di riflesso, diritto di Dio è quello di essere glorificato dalla sua creatura. Non che Dio abbia bisogno di questa lode: è completo ed appagato in sé, nel contesto della famiglia divina (Trinità). Questa si chiama: gloria oggettiva. Ma è giusto e doveroso che la creatura lodi il suo creatore, lo ringrazi e glorifichi (gloria soggettiva).
    Solo quando l'uomo si deciderà a rispettare Dio mettendolo al primo posto, quando metterà Dio a fondamento di ogni pensiero ed azione, quando cioè praticherà la virtù della giustizia (che in questo caso si chiama virtù di religione), allora e solo allora potrà essere capace di rispettare anche l'uomo: la vera pace è conseguenza dell' ossequio a Dio.
    La parola 'pace', in greco 'eirene', nel contesto biblico contiene un significato molto più ampio e profondo che nelle nostre culture. Non è soltanto assenza di guerre e di conflitti umani. Esprime la pace messianica, indica il ristabilito, pacifico e filiale rapporto con Dio; in una parola, la salvezza. Con queste parole dell'angelo "A Natale viene già annunciato quello che sarà il frutto riassuntivo della Pasqua, perché si tratta dell'inizio e della conclusione dello stesso mistero. Il Natale rappresenta la salvezza allo 'stato nascente'" (15).
    L'annuncio degli angeli dato ai pastori prosegue con una espressione non felicemente tradotta: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Letteralmente la parola greca 'eudokia' dovrebbe tradursi: "Agli uomini che sono benvoluti da Dio, che sono oggetto della benevolenza divina". Praticamente l'annuncio vuol dire: la salvezza portata da questo bambino è per tutti gli uomini, perché tutti gli uomini sono oggetto della benevolenza divina.
    Questa interpretazione è confermata da altri passi evangelici. L'angelo dice che la gioia di questa lieta notizia non è riservata solo ai pastori, ma "è per tutto il popolo" (Lc., 2, 10). Simeone proclama che il bambino è "luce delle Genti" e la salvezza da lui portata "è per tutti i popoli" (Lc., 2, 31 s.). Inoltre lo stesso Gesù dirà che il Padre ama tutti gli uomini; "fa sorgere il sole sopra i buoni e cattivi e fa piovere sui giusti e gli ingiusti" (Mt., 5, 45).
    Il Natale si presenta come festa della bontà di Dio, della universalità di questo amore e della salvezza. Ad ognuno approfittarne.

    L'angelo custode

    Ognuno di noi è affidato ad un angelo, che per questo si chiama 'custode', perché ci custodisce nella vita ed al quale noi dobbiamo dare ascolto.
    San Bernardo, nel commentare la frase del salmo "Dio darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi" (Ps., 90, 11), così si esprime: "Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a lui per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo" (16).

    Ciò di cui i Vangeli non parlano: il bue e l'asinello

    I testi sacri non riferiscono questi particolari.
    E' stata la religiosità popolare ad inserirli nel presepio.
    I Vangeli non dicono neppure che Gesù è nato in una grotta. Parlano solo di mangiatoia: "Mentre si trovavano a Betlemme, si compì il tempo per sua madre, e Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia" (Lc., 2, 6 s.). Si è pensato che la mangiatoia si trovasse in una grotta e che lì vi fossero ricoverati anche animali.
    Circa il ricovero nella grotta ne parla l'apologista Giustino (II sec.) applicando a Cristo le parole di Isaia "Abiterà in una grotta alta di pietra dura" (Is., 33, 16). Vi accenna anche il Protovangelo di Giacomo (anch'esso del II sec.) dove si legge: "Giuseppe trovò una grotta e vi condusse dentro Maria" (18, 1). Dell'esistenza di una grotta riferisce anche il Vangelo dello Pseudo-Matteo (13, 2). Origene afferma che ai suoi tempi era possibile visitare questa grotta. Costantino su quel luogo vi fece costruire una basilica chiamata da S. Girolamo Ecclesia Speculae Salvatoris.
    La presenza di questi due animali cominciando dal IV secolo è stata una componente della iconografia. Li vediamo rappresentati sulle sculture dedicate alla nascita divina, sul sarcofago di Adelfia (capolavoro dell'arte paleocristiana in Sicilia, datato al IV secolo e scoperto nel luglio 1872), su quello di Arles (chiamato sarcofago della natività), ambedue del IV secolo, e su altri conservati nei musei vaticani (come sulla lapide del loculo di Severa, datata 330 circa), su parecchi quadri ed affreschi.
    Con l'inserimento degli animali il sentimento della gente ha voluto probabilmente evidenziare il contrasto tra la freddezza ed il rifiuto umano (Maria e Giuseppe non hanno trovato nessun posto nelle dimore degli uomini) ed il conforto che invece Gesù ha trovato negli animali.
    Lo scritto apocrifo 'Vangelo dello Pseudo-Matteo', ha inserito queste presenze nella nascita: "La beatissima Maria uscì dalla grotta e, entrata in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, e il bue e l'asino l'adorarono" (XIV, 1).
    Eppure ci sono due brani del V.T. che possono per analogia essere applicati a queste presenze.
    Il primo è del profeta Isaia: "Un bue riconosce il suo proprietario e un asino la greppia del suo padrone" (1, 3).
    L'altro è del profeta Abacuc: "Il Signore sarà riconosciuto in mezzo a due animali" (3, 2, secondo la Versione greca dei LXX).
    Non si deve inoltre dimenticare il significato simbolico che nell'immaginario collettivo avevano assunto questi due animali. L'antico Oriente ebbe per l'asino una grandissima stima. Inoltre nei Libri sacri induisti, il Rig-Véda, se ne parla come una cavalcatura riservata ad entità celesti, a principi, santi ed eroi. Così anche nella Bibbia è considerato la cavalcatura dei principi, e non un'animale di seconda categoria come si pensa oggi. Nel libro dei Giudici (5, 10) a riguardo dei Capi d'Israele si dice: "Voi che cavalcate asine bianche".
    A sua volta il bue, simbolo di carattere pacifico e forza bonaria, è l'animale da lavoro per eccellenza, è il servo dell'uomo. Anche il nostro Carducci nella poesia Il Bove (1872) lo chiama 'pio' e prosegue: "E mite un sentimento di vigore e di pace al cor m'infondi".
    Nel contesto religioso degli animali sacrificali, esso fu considerato la vittima pura (17).
    Queste caratteristiche si riferiscono bene a Cristo: la presenza dell'asino potrebbe essere vista come la concretizzazione della regalità del Bambino mentre quella del bue lo stesso Bambino nella sua qualità di Servo (secondo Isaia) e di vittima per eccellenza che sarà immolata per la redenzione di tutta l'umanità.
    Il Card. Ratzinger commenta: "il bue e l'asino "avevano il valore di sigla profetica dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, di noi che di fronte all'eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella notte santa sono stati aperti gli occhi, sì che ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore. Ma lo riconosciamo realmente?" (18).

    Note

    14) Karol Wojtyla, La bottega dell'orefice, Libreria Editrice Vaticana, 1978, p. 84.
    15) Raniero Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano 1992, p. 43.
    16) San Bernardo, Discorso 12 in commento al Salmo 90.
    17) Cfr. Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Ed. Arkeios, Roma 1994, vol. 1, p. 333-337 e 205-207.
    18) Joseph Ratzinger, Immagini di speranza, Cinisello Balsamo, Milano 1999, p. 12.

    Fonte: CULTURA CATTOLICA

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    Il racconto dei Magi

    di Vitaliano Mattioli




    La festa che si occupa di questo episodio viene chiamata "Epifania", vocabolo che significa "manifestazione del Signore". In oriente viene chiamata con il vocabolo più appropriato "Teofania", manifestazione della divinità del Signore.
    E' in rapporto a questo significato che in quel giorno si ricordano le tre grandi manifestazioni di Cristo-Dio: l'adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù (anche se questa festa oggi è spostata alla domenica seguente) ed il miracolo di Cana.
    Di queste tre manifestazioni l'episodio dell'adorazione dei magi ha finito col prevalere diventando in occidente l'unico tema della festa, come si deduce dalle omelie del papa S. Leone Magno.
    Per divina ispirazione i magi hanno visto in quel bambino, presentato a loro dalla madre Maria, l'atteso delle Genti ed il figlio di Dio.
    Con il tempo tale festa ha assunto anche una connotazione missionaria: manifestazione di Cristo-Dio al mondo pagano. I Magi sono visti dalla tradizione cristiana come la 'primitia gentium', i primi fra i pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. Per questo il loro culto fu tanto fortunato, diffuso e radicato tra i convertiti dal paganesimo.
    Il tema dell' "Adorazione" è diventato uno dei classici nell'arte. Solo due riferimenti tra i tanti. Il primo è il già ricordato sarcofago di Adelfia, dove la scena dei magi si riscontra due volte: sul coperchio e sotto il clipeo. Qui la Madonna appare seduta in cattedra e tiene in braccio il Bambino, che si protende nell'atto di ricevere la corona d'oro gemmata offerta dal primo dei tre Magi. L'altro è il meraviglioso mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna.
    Anche in questo caso la data è probabilmente presa da una festività egiziana. Ci narra infatti Epifanio di Salamina (+ 403) che in Egitto nella notte tra il 5/6 gennaio si celebrava la nascita del dio Sole Aion dalla vergine Kore e contemporaneamente si celebrava la il culto del Nilo.

    Mito o realtà

    Diverse volte in quel giorno la gente mi domanda: "Padre, i re magi sono veramente esistiti o si tratta di una leggenda?".
    Vediamo prima il racconto evangelico:
    "Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
    E tu, Betlemme, terra di Giuda,
    non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:
    da te uscirà infatti un capo
    che pascerà il mio popolo, Israele".
    "Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
    "Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt., 2, 1-12).
    Oltre ai Vangeli 'canonici' (riconosciuti dalla Chiesa come ispirati), ne parlano anche i vangeli apocrifi.
    Il Protovangelo di Giacomo, probabilmente anteriore al IV secolo, (cap. 21-23); il Libro dell'infanzia del Salvatore, circa IX secolo, (cap. 89-91); il Vangelo dello Pseudo Matteo, verso il VI secolo, (cap. 16-17); il Vangelo Arabo dell'infanzia del Salvatore, circa la metà del VI secolo, (cap. 7-9); il Vangelo Armeno dell'Infanzia, fine VI secolo, (cap. V, 10) che ci riferisce anche i nomi, accettati poi normalmente nella tradizione. Riporto solo la citazione di quest'ultimo: " Un angelo del Signore si affrettò di andare al paese dei persiani per prevenire i re magi ed ordinare loro di andare ad adorare il bambino appena nato. Costoro, dopo aver camminato per nove mesi avendo per guida la stella, giunsero alla meta proprio nel momento in cui Maria era appena diventata madre. E' da sapere che in quel momento il regno persiano dominava sopra tutti i re dell'Oriente per il suo potere e le sue vittorie. I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, ed il terzo Gaspare che dominava sul paese degli arabi".
    E' anche interessante che il "Libro della Caverna dei Tesori", scritto nel V secolo d.C., ma riferentesi ad un testo siriaco più antico, descrive i Magi come Caldei, re e figli di re, in numero di tre.

    Cominciamo dal termine

    La parola 'mago' che si usa per indicare questi personaggi non va identificata con il significato che oggi noi diamo. Il vocabolo deriva dal greco 'magoi' e sta ad indicare in primo luogo i membri di una casta sacerdotale persiana (in seguito anche babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti.
    Nell'antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina. Rivestivano anche un ruolo di primo piano nella religione e vita politica.
    L'idea del tempo che ciclicamente si rinnova conduceva il mazdeismo (religione della Persia preislamica) alla costante attesa messianica di un 'Soccorritore divino", il ruolo del quale sarebbe stato quello di aprire ciascuna era di rinnovamento e di rigenerazione dopo la fase di decadenza che l'aveva preceduta. In tal senso il mazdeismo si collega all'attesa messianica. In questa religione si attendevano tre successive, arcane figure di salvatori e rigeneratori del tempo futuro: l'ultimo di essi, il 'Soccorritore', sarebbe nato da una vergine discendente da Zarathustra e avrebbe condotto con sé la resurrezione universale e l'immortalità degli esseri umani. Molte leggende accompagnavano il mito del 'Soccorritore', tra le quali: una stella lo avrebbe annunciato.
    Tenendo conto di questo contesto culturale, non fa meraviglia il comportamento dei magi nella descrizione di Matteo.
    Il nome generico di provenienza, Oriente, può indicare diverse regioni.
    La Babilonia, Mesopotamia, dove si studiava specialmente l'astronomia. Si deve tener conto infatti che in seguito alla terribile distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 586, gli ebrei sopravissuti furono deportati in Babilonia, dove rimasero fino alla liberazione da parte di Ciro nel 539. L'influsso ebraico si fece sentire in quella regione, dove tra l'altro anche dopo la liberazione rimasero a vivere diverse famiglie ebraiche, e dove fu compilato il Talmud Babilonese. Sicuramente a Babilonia le attese messianico giudaiche erano conosciute.
    Sotto questo aspetto potrebbe trattarsi anche della Siria. Seleuco I tra il 305-280 vi aveva fondato la città di Antiochia e vi aveva concentrato numerosi giudei deportati dalla Palestina
    Una terza possibilità è che i magi provenivano dalla Media. Questa si basa sullo storico greco Erodoto secondo il quale i magi appartenevano ad una delle sei tribù della Media ed esercitavano molta importanza a corte. Erano sacerdoti e venivano chiamati astrologi, indovini, filosofi.
    Niente di strano quindi che un gruppo di questi studiosi fosse guidato verso la Giudea da una singolare posizione delle stelle, da far presagire qualcosa di 'strano'.
    L'episodio dettagliato di Matteo, la domanda di Erode sul 'tempo' del sorgere della stella permettono di interpretare in forma storica e non allegorica l'esistenza dei magi e l'episodio della stella (19)
    Ancora lo Stramare ci permette una meditazione, oltre la curiosità: "Perché Matteo avrebbe usato il termine 'ab oriente', evidentemente molto generico? Senza scartare come risposta la possibilità che Matteo ignorasse effettivamente la località precisa di provenienza, rimane sempre da considerare la sua chiara intenzione di privilegiare in questo racconto l'universalità, contro il particolarismo nel quale era rinchiusa l'attesa ebraica. L'esattezza geografica, infatti, non avrebbe servito in questo caso allo scopo: la chiamata alla fede sarebbe stata estesa semplicemente ad un altro popolo ben determinato, ma non a tutti" (20).

    La stella

    Molto si è scritto su questa stella. Diverse sono state le ipotesi che possono riassumersi a tre: una cometa, una 'stella nova', una sovrapposizione di satelliti.
    E' difficile accettare l'identificazione della stella con la cometa di Halley in quanto comparsa 12 anni prima della nostra era. Precedentemente era stata avvistata nel 240, 164, 88 a.C.; riapparsa anche nel nostro secolo, nel 1910 e nel 1985/86. Del resto nei cieli della Palestina non è apparsa nessuna cometa tra il 17 a.C. ed il 66 d.C.
    Non si può neppure pensare ad una 'stella nova', bagliore prolungato emesso da corpi celesti invisibili al momento della loro esplosione. Infatti nell'area di Gerusalemme non ne comparve nessuna tra il 134 a.C. ed il 73 d.C.
    La Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia (21) sembra propendere per la terza ipotesi, già condivisa a suo tempo da Keplero: "Di tutte le spiegazioni possibili la più probabile rimane quella, in qualche modo accettabile sulle fonti, secondo cui si è trattato di un'insolita posizione di Giove, l'antica costellazione regale. L'astronomia antica si è occupata dettagliatamente della sua comparsa in un preciso punto dello zodiaco e l'ha identificata, sul grande sfondo di una religiosità mitologico-astrale molto diffusa, con la divinità più alta. Essa era importante soprattutto per gli avvenimenti della storia e del mondo, in quanto i movimenti di Saturno erano facilmente calcolabili. Saturno, il pianeta più lontano secondo gli antichi, era il simbolo del dio del tempo Crono e permetteva immediate deduzioni sul corso della storia. Una congiunzione di Giove e di Saturno in una precisa posizione dello zodiaco aveva certamente un significato tutto particolare. La ricerca più recente si lascia condurre dalla fondata convinzione che la triplice congiunzione Giove-Saturno dell'anno 6/7 a.C. ai confini dello zodiaco, al passaggio tra il segno dei Pesci e quello dell'Ariete, deve aver avuto un enorme valore. Essa risulta importante come una 'grande' congiunzione e, in vista della imminente era del messia (o anche età dell'oro), mise in allarme l'intero mondo antico".
    Il Prof. Baima Bollone propende per questa possibilità. Si appoggia su conclusioni dell'astronomia che sostiene che la sovrapposizione di Giove con Saturno si verifica ogni 179 anni; nel periodo in esame avvenne proprio nel 7 a.C. e per ben tre volte: 29 marzo, 3 ottobre, 4 dicembre nella costellazione dei Pesci, secondo i calcoli di Keplero. "Betlemme si trova a pochi chilometri da Gerusalemme, proprio nella direzione in cui la luce nella costellazione dei Pesci poteva essere percepita da viaggiatori che giungessero da Oriente. Tradizione, documenti archeologici e calcoli astrofisici confermano che fu soltanto, ed esattamente nel 7 a.C. che nei cieli della sponda meridionale del Mediterraneo e in Mesopotamia si verificò un fenomeno luminoso nettamente percepibile con gli stessi caratteri di quello dell'episodio dei Magi" (22).
    Questa ipotesi sembra affascinante; tuttavia diversi biblisti preferiscono seguire una diversa impostazione.
    Il Ricciotti commenta: "In questi tentativi, fuor della buona intenzione, non c'è altro da apprezzare, giacché scelgono una strada totalmente falsa: basta fermarsi un istante sulle particolarità del racconto evangelico per comprendere che quel racconto vuole presentare un fenomeno assolutamente miracoloso, il quale non si può in nessun modo far rientrare nelle leggi stabili di una meteora naturale sebbene rara" (23).
    Anche lo studioso Andrés Fernández propende per questa linea: "Altri, infine, sostengono che si trattò di una meteora speciale che non si muoveva secondo le leggi naturali... Dobbiamo preferire la terza ipotesi (questa, dopo quella della congiunzione e di Halley - N.d.A.), l'unica soddisfacente. La stella vista in Oriente si presentava con caratteristiche eccezionali; la sua apparizione non si può spiegare in nessun modo come fenomeno comune ed ordinario; resta pertanto esclusa ogni interpretazione puramente naturalistica... I Magi compresero bene che si trattava di qualcosa al di sopra dell'ordine naturale" (24).
    Anche "La Sacra Bibbia", a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma (25) nella Nota al brano di Matteo 2, 2, sostiene la stessa opinione: "La stella, veduta dai Magi, secondo l'opinione più probabile, dedotta dalle sue caratteristiche, era una meteora straordinaria, formata da Dio espressamente per dare ai popoli il lieto annunzio della nascita del Salvatore".

    Le reliquie dei Magi

    Una legittima curiosità provoca una domanda: ma poi, che fine hanno fatto i Magi?
    Il Vangelo ci informa soltanto che "i magi per un'altra strada sono ritornati al loro paese" (Mt., 2, 12). Altro ufficialmente non sappiamo. Per completare il racconto e rispondere alla domanda non abbiamo fonti certe, ma si devono seguire le tradizioni formatesi nel tempo. Del resto non si deve ritenere inutile la questione dato che nei giorni 19 e 20 dicembre 1998 si è svolto all'Abbazia di Chiaravalle (presso Milano) il convegno: "I tre Saggi e la Stella. Mito e Realtà dei Re Magi", organizzato da Identità Europea.
    Una tradizione ci dice che i Tre, dopo la loro conversione, sono stati consacrati vescovi dall'apostolo Tommaso e morirono martiri all'età tra i 106 e 118 anni. Sarebbero stati sepolti in India (dove l'apostolo Tommaso avrebbe predicato) ma in luoghi separati.
    Un'altra tradizione invece ci dice che sono morti in Persia e sepolti insieme in una grande tomba. Secondo questa tradizione l'imperatrice Elena (madre di Costantino), venutane a conoscenza, avrebbe fatto trasportare le reliquie a Costantinopoli in una grande chiesa fatta costruire apposta per ospitarle. Tuttavia in questa città a quel tempo non si riscontra un culto in onore dei Magi.
    Alcuni storici sostengono che queste reliquie nello stesso IV secolo furono trasportate da Costantinopoli a Milano da Eustorgio, vescovo di questa città.
    Altri infine ritengono che le reliquie sono giunte in Italia con le crociate, dato che prima di questo periodo a Milano non c'è traccia di questo culto.
    Una tradizione lega il vescovo Eustorgio ai Magi. A Milano fu dedicata in suo onore una basilica; già nell'XI secolo vi si trovava una urna preziosa chiamata 'Arca dei Magi' con una stella sopra un pilastro.
    Una cosa sembra certa: nel 1162 si sa che le spoglie dei Magi si trovavano in Lombardia. Infatti in questa data il Barbarossa, che aveva raso al suolo Milano, teneva molto alla conservazione di quelle reliquie per appropriarsene, come garanzia di una particolare compiacenza e protezione da parte di Dio.
    Si dice anche che nel XIII secolo i Tartari volessero invadere l'Europa proprio per riprendersi i 'loro' Magi.
    La presenza delle reliquie nel capoluogo lombardo è testimoniata anche dal culto che si diffuse nella regione. Solo alcuni esempi: nel 1420 nella Certosa di Pavia su un trittico d'avorio sono inserite ben 26 scena della storia dei Magi; nel 1570 in S. Michele a Pavia si affresca una cappella dei Magi; pochi anni prima a Voghera i cistercensi avevano aperto una abbazia intitolata ai Re Magi.
    Queste reliquie nel 1164 da Milano sono state trasportare a Colonia in Germania. Attualmente si trovano in una arca-cattedrale nel Duomo di questa città.
    Di questo viaggio ci è giunta una particolareggia descrizione del carmelitano Giovanni di Hildesheim nel 1364. Riporta le 42 tappe segnate dall'arcivescovo Reinaldo di Dassel effettuate per il trasporto dell'urna. Il percorso sarebbe: Pavia (dove si trovava il Barbarossa che aveva ordinato il trasferimento), Vercelli, Torino, Alpi.
    E Milano? Solo nel 1903 l'arcivescovo di Colonia inviò al suo collega di Milano alcune reliquie consistenti in qualche ossicino.
    Queste almeno sono le notizie tramandateci e confermate dal padre Goffredo Viti, professore a Firenze di storia della Chiesa nella relazione, tenuta al Convegno citato, dal titolo: "La reliquie dei Re Magi. Storia di un cammino in terra lombarda".

    Note

    19) Tarcisio Stramare, Vangelo dei Misteri della vita nascosta di Gesù, Ed. Sardini, Brescia 1998, p. 229.
    20) T. Stramare, o.c., p. 234.
    21) Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia, o.c., vol. II, p. 294.
    22) P. Baima Bollone, o.c., p. 140 con note 20 e 21 a p. 277.
    23) G. Ricciotti, o.c., p. 185.
    24) A. Fernández, Vita di Gesù Cristo, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1961, p. 100. Per un approfondimento sulla natura della stella: cfr. T. Stramare, o.c., p. 240-248.
    25) "La Sacra Bibbia", a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze 1962, nota 2, p. 1778.

    Fonte: CULTURA CATTOLICA

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    Erode e l'uccisione degli Innocenti

    di Vitaliano Mattioli




    Erode: chi era costui ?
    L'episodio dei Magi coinvolge la figura del re Erode.
    Un sovrano con questo nome lo troviamo nel contesto della nascita di Gesù ed alla fine, durante la passione. Pilato, "saputo che Gesù era galileo e che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò a Erode, che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme" (Lc., 23, 7). Fu questo secondo a far decapitare Giovanni il Battista.
    Si tratta però di due 'Erodi' diversi, in quanto quello della nascita e dei Magi era morto quando Gesù era ancora bambino (cfr. Mt., 2, 19-20).
    Questo Erode, denominato 'Il Grande', era il padre di quello della passione, Erode Antipa (4 a.C-9 d.C.), che aveva avuto dalla samaritana Maltace.
    Le notizie ci vengono riferite specialmente dallo storico Giuseppe Flavio nelle due opere: La Guerra Giudaica e Le Antichità Giudaiche.
    Suo padre si chiamava Antipatro, giudeo dell'Idumea (regione a sud della Galilea) e la madre Kypros, di origine araba.
    Antipatro raggiunse una posizione molto influente in Giudea dopo la conquista romana (63 a.C.) e nel 47 a.C. fu nominato procuratore da Giulio Cesare.
    Antipatro ebbe due figli: Fasael ed Erode, nato verso il 73 a.C.
    Il nome Erode significa 'discendente da eroi'.
    Erode fu certamente un eroe di operosità e tenacia, di sontuosità e magnificenza, ma fu soprattutto un genio di crudeltà e brutalità. Da sfondo faceva una smisurata ambizione ed una frenesia di dominio.
    Antipatro, in seguito alla sua nomina a procuratore nominò il figlio Erode a prefetto militare della Galilea.
    A questo Erode nel 40 a.C. il senato conferì il titolo di 'Re dei Giudei'. Tuttavia solo dopo tre anni di lotte ininterrotte e di terribili stragi (26) poté ascendere al trono di Giudea e regnare per 33 anni (dal 37 a.C. al 4 a.C.).

    In positivo il suo nome è legato alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, iniziata nel 20/19 a.C. La sua dedicazione avvenne dieci anni dopo. Seppure le rifiniture durarono ancora molto tempo (sostanzialmente fino al governo del procuratore Albino, 62-64 d.C.), doveva essere ugualmente bellissimo se gli apostoli un giorno al tramonto del sole dissero affascinati al Signore: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!" (Mc., 13,1).
    Questo tempio era il terzo: il primo quello costruito da Salomone e distrutto nella campagna di Nabucodonosor nel 586 a.C.; il secondo fu edificato dopo il ritorno dall'esilio babilonese ed inaugurato nel 515 a.C.; questo tempio al tempo di Erode era così decadente che si ritenne meglio abbatterlo e costruirne uno completamente nuovo. Questo terzo tempio fu distrutto nella famosa guerra giudaica nel 67-70 d.C.
    Ma, insieme al Tempio, Erode fece costruire anche altri edifici pagani in onore della dea Roma e del divino Augusto a Samaria, a Cesarea al Panion ed altrove.
    Questa prodigalità non deve far supporre che si trattava di sentimenti religiosi sinceri. La corte di Erode a Gerusalemme era pagana. Per la corruzione ed oscenità triviale superava di gran lunga le altre corti orientali.
    Inoltre si impegnò molto ad abbellire le città con grandi costruzioni e nuovi monumenti civili.
    A Gerusalemme costruì un teatro ed un anfiteatro; abbellì la fortezza Baris dei Maccabei, dandole il nome di Antonia in onore del suo protettore Marco Antonio; edificò lo splendido palazzo reale a nord-ovest della città; restaurò la città di Samaria, che chiamò Sebaste in onore di Augusto (Augustus è la latinizzazione del nome greco Sebastos); edificò il palazzo-fortezza Haerodium a sud di Betlemme, ed altro; fondò la nuova capitale Cesarea Marittima, sulla sponda del Mediterraneo.
    Siffatta attività gli valse il titolo di Grande.

    Ma, nonostante questo, Erode sapeva benissimo che i suoi sudditi lo odiavano e che godevano di qualunque disgrazia familiare che si rovesciava sulla corte, perché Erode non amava il popolo. Al mancato affetto dei sudditi, il monarca suppliva con la coscienza della propria forza; ad ogni manifestazione di rancore popolare rispondeva con ulteriori rivalse e vendette.
    Purtroppo Erode è uno degli uomini il cui bene realizzato è offuscato da tantissimo male. Espongo alcune sue 'malefatte' non per gusto di cronaca nera, ma per evidenziare come l'ordine da lui impartito dell'uccisione dei bambini di Betlemme non è un fatto isolato e tantomeno inventato ma del tutto collimante con il suo agire precedente.
    Un certo Malico uccise suo padre Antipatro facendolo avvelenare (43 a.C.). Erode per vendicare la morte del padre fece uccidere l'assassino presso Tiro (27).
    Inoltre fece imprigionare il fratello Fasael, il quale per disperazione si suicidò fracassandosi la testa contro un muro (28)
    Dopo aver ordinato l'uccisione di sua moglie Mariamne I (29 a.C.) (29) nel 7 a.C. dispose la stessa sorte per i due figli avuti da lei: Alessandro ed Aristobulo (30).
    Cinque giorni prima di morire fece giustiziare un altro suo figlio Antipatro, avuto da Doris, una delle sue mogli (31).
    Infine, sentendo ormai prossima la morte, progettò un ultimo atto di crudeltà. Sapeva che i suoi sudditi avrebbero gioito per la sua scomparsa. Questo lui non lo poteva accettare: tutti dovevano piangere la sua morte. Per questo ordinò alla sorella Salome di convocare a Gerico (dove si trovava ammalato al momento della morte) tutti i grandi del regno, conferendole il mandato di farli uccidere tutti appena lui fosse spirato.
    Così ci riferisce Giuseppe Flavio: Erode, sentendosi prossimo alla morte, "giunse al punto di deliberare un'azione ch'era fuor di ogni legge. Radunati infatti da ogni borgata di tutta la Giudea gli uomini più insigni, comandò che fossero chiusi dentro al luogo chiamato Ippodromo; chiamata poi la sorella Salome con suo marito Alexa disse: So che i Giudei faranno festa per la mia morte; eppure io posso essere pianto per altre ragioni ed ottenere uno splendido funerale, qualora voi vogliate seguire le mie commissioni. Questi uomini che stanno rinchiusi, voialtri, quando io sarò spirato, ammazzateli tutti, dopo averli fatti circondare dai soldati, cosicché tutta la Giudea e tutte le famiglie anche non volendo verseranno lacrime per me" (32).
    Per fortuna in questo caso la sorella si dimostrò meno crudele del fratello: morto il re rimise tutti i dignitari in libertà.
    Erode morì a Gerico nell'aprile del 750 di Roma (= 4 a.C.), all'età di circa 70 anni, dopo sei mesi di atroce malattia.
    Il suo cadavere, già in vita roso dai vermi, fu trasportato con grandi onori all'Erodion, palazzo-fortezza che aveva fatto costruire, divenne suo mausoleo.
    Sempre secondo Giuseppe Flavio, il funerale si svolse nel modo più splendido possibile: "Erode fu posto su di una lettiga d'oro tempestata di perle preziose e molteplici gemme di diversi colori e una coperta di porpora; anche il morto era vestito con un abito di porpora, portava un diadema sul quale era sistemata una corona d'oro, sul lato destro giaceva il suo scettro" (33).
    Erode fu sempre tenacemente attaccato alla sua corona acquistata a gran prezzo e non esitò a sopprimere chiunque potesse considerare un suo ipotetico rivale, fossero anche amici, parenti o gli stessi familiari.

    L'eccidio

    E' in questo contesto che si può inquadrare il suo turbamento (Mt., 2, 3) circa la notizia ricevuta dai Magi riguardante la nascita del 're dei Giudei' e la seguente reazione nelle strage degli innocenti, i bambini di Betlemme dai due anni in giù.
    Circa il numero di questi bambini sono state fatte diverse ipotesi. Forse la più probabile è quella riportata dal Fernández, che lo stabilisce tra i 30 e 40 (34).
    Tuttavia il Ricciotti (35) tende ad abbassarlo a 20-25, in quanto probabilmente furono uccisi soltanto i bambini di sesso maschile.
    Perché soltanto Luca ne parla?
    Queste notizie non facevano molta impressione. Sembra che la stessa Roma di Augusto appresa la notizia (almeno così riferisce lo storico Strabone nel V sec. d.C. nei Saturnalia (II, 4, 11), non ne rimase molto sconvolta: anche a Roma giravano voci di fatti simili. Un episodio interessante ci viene riferito da Svetonio. Costui ci narra che pochi giorni prima della nascita di Augusto, avvenne a Roma un portento interpretato come preannuncio che stava per nascere un re per il popolo romano. Allora il Senato, repubblicano, allarmato da questa notizia, diede ordine che nessun bambino nato in quell'anno fosse allevato e cresciuto, il che significava che dovevano essere abbandonati alla morte.
    Quella dei bambini era praticamente una vita senza valore. Commenta il Ricciotti: "Se nell'Urbe arrivò la notizia della strage di Bethlehem sarà stata accolta con sghignazzamenti, quasicché il vecchio monarca avesse ammazzato niente più che una ventina di pulci. La realtà storica è questa: e non si poteva certo pretendere che i Quiriti, per una ventina di piccoli barbari scannati, si commovessero più che per centinaia dei loro propri figli che avevano corso un somigliante pericolo" (36).
    Poteva far cronaca eventualmente l'uccisione di un personaggio illustre, non certo quella di alcuni bambini, per lo più non cittadini romani.

    Note

    26) Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XIV, 16, 2-4; XV, 1,2.
    27) G. Flavio, A.G., XIV, 11, 3-6.
    G. Flavio, Guerra Giudaica, 1, 13, 9-10.
    G. Flavio, A.G. XV, 7, 4-5.
    G. Flavio, A. G., XVI, 11, 7.
    31) G. Flavio, A. G., XVII, 7. Sembra che Erode in tutto ne avesse avute dodici. Per la famiglia di Erode cfr. il prospetto in A. Fernández, o.c., p. 19. 32) G. Flavio, G.G., 1, 33, 6.
    33) G. Flavio, A.G., XVII, 8, 3.
    34) cfr. A. Fernández, o.c., p. 103.
    35) G. Ricciotti, o. c., p. 292.
    36) G. Ricciotti, o.c., p. 293.

    Fonte: CULTURA CATTOLICA

  7. #27
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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 93-96

    TEMPO DI NATALE

    Capitolo Primo

    STORIA DEL TEMPO DI NATALE


    Diamo il nome di Tempo di Natale ai quaranta giorni che vanno dalla Natività di Nostro Signore (25 dicembre) alla Purificazione della Santa Vergine (2 febbraio). Questo periodo forma, nell'Anno Liturgico, un tutto speciale, come l'Avvento, la Quaresima, il Tempo Pasquale, ecc. Vi domina completamente la celebrazione d'uno stesso mistero, e né le feste dei Santi che si susseguono in questa stagione, né l'occorrenza abbastanza frequente della Settuagesima con i suoi colori tristi, sembrano distrarre la Chiesa dal gaudio immenso che le hanno evangelizzato gli Angeli (Lc 2,10) nella notte radiosa così a lungo attesa dal genere umano, e la cui commemorazione liturgica è stata preceduta dalle quattro settimane che formano l'Avvento.

    L'usanza di celebrare con quaranta giorni di festa o di memoria speciale la solennità della Nascita del Salvatore è fondata sul santo Vangelo stesso, che ci riferisce come la purissima Maria, trascorsi quaranta giorni nella contemplazione del dolce frutto della sua gloriosa maternità, si recò al tempio per compiervi, nell'umiltà più perfetta, tutto ciò che la legge prescriveva a tutte le donne d'Israele quando fossero diventate madri.

    La commemorazione della Purificazione di Maria è dunque indissolubilmente legata a quella della Nascita stessa del Salvatore; e l'usanza di celebrare questi santi e lieti quaranta giorni sembra risalire ad una remota antichità della Chiesa. Innanzitutto, per ciò che riguarda la Natività del Salvatore il 25 dicembre, san Giovanni Crisostomo, nella sua omelia su tale Festa, pensa che gli Occidentali l'avessero fin dall'origine celebrata in questo giorno. Si ferma anche a giustificare questa tradizione, facendo osservare che la Chiesa Romana aveva avuto tutti i modi di conoscere il vero giorno della nascita del Salvatore, poiché gli atti del censimento eseguito per ordine di Augusto in Giudea si conservavano negli archivi pubblici di Roma. Il santo Dottore propone un secondo argomento, ricavato dal Vangelo di san Luca, facendo notare che, secondo lo scrittore sacro, dovette essere nel digiuno del mese di settembre che il sacerdote Zaccaria ebbe nel tempio la visione in seguito alla quale la sposa Elisabetta concepì san Giovanni Battista: donde consegue che la santissima Vergine Maria avendo essa pure, secondo il racconto dello stesso san Luca, ricevuto la visita dell'Arcangelo Gabriele e concepito il Salvatore del mondo al sesto mese della gravidanza di Elisabetta, cioè in marzo, doveva partorirlo nel mese di dicembre [1].

    Le Chiese d'Oriente, tuttavia, non cominciarono se non nel quarto secolo a celebrare la Natività di Nostro Signore nel mese di dicembre. Fino allora l'avevano celebrata ora il 6 gennaio, confondendola, sotto il nome generico di Epifania, con la Manifestazione del Salvatore ai Gentili nella persona dei Magi, ora - secondo la testimonianza di Clemente Alessandrino - il 25 del mese Pachon (15 maggio), o il 25 del mese Pharmuth (20 aprile). San Giovanni Crisostomo nell'omelia che abbiamo citata, e che egli pronunciò nel 386, attesta che l'usanza di celebrare con la Chiesa Romana la Nascita del Salvatore il 25 dicembre datava appena da dieci anni nella Chiesa d'Antiochia. Questo cambiamento sembra essere stato intimato dall'autorità della Sede Apostolica, alla quale venne ad aggiungersi, verso la fine del quarto secolo, un editto degli Imperatori Teodosio e Valentiniano, che decretava la distinzione delle due feste della Natività e dell'Epifania. La sola Chiesa scismatica d'Armenia ha conservato l'usanza di celebrare il 6 gennaio il duplice mistero; e ciò senza dubbio perché quella nazione era indipendente dall'autorità degli Imperatori, e fu molto presto sottratta dallo scisma e dall'eresia agli influssi della Chiesa Romana [2].

    La festa della Purificazione della Santa Vergine, che chiude i quaranta giorni di Natale, è una delle quattro più antiche feste di Maria: avendo fondamento nel racconto stesso del Vangelo, è possibile che sia stata celebrata fin dai primi secoli del Cristianesimo. Ma per ciò che riguarda la Chiesa orientale, non vi troviamo definitivamente stabilita la festa del 2 febbraio se non sotto l'impero di Giustiniano, nel VI secolo [3].

    Se ora passiamo a considerare il carattere del tempo di Natale nella Liturgia Latina, siamo in grado di riconoscere che questo tempo è dedicato in special modo alla letizia che suscita in tutta la Chiesa la venuta del Verbo divino nella carne, e particolarmente consacrato alle lodi dovute alla purissima Maria per l'onore della sua maternità. Questo duplice pensiero d'un Dio figlio e d'una Madre vergine si trova espresso ad ogni istante nelle preghiere e nelle usanze della Liturgia.

    Così, nei giorni di Domenica e in tutte le feste che non sono di rito doppio, per l'intera durata di questi quaranta giorni, la Chiesa ricorda la feconda verginità della Madre di Dio, con tre Orazioni nella celebrazione del santo Sacrificio. Negli stessi giorni, alle Laudi e ai Vespri, implora il suffragio di Maria, proclamando altamente la sua qualità di Madre di Dio e la purezza inviolabile che resta in lei anche dopo il parto. Infine, l'usanza di terminare ogni Ufficio con la solenne Antifona del monaco Ermanno Contratto in lode della Madre del Redentore, continua fino al giorno stesso della Purificazione.

    Queste sono le manifestazioni d'amore e di venerazione con le quali la Chiesa, onorando il Figlio nella Madre, testimonia la sua religiosa letizia nella stagione dell'Anno Liturgico che designiamo con il nome di Tempo di Natale.

    Tutti sanno che il Calendario Ecclesiastico contiene fino a sei domeniche dopo l'Epifania, per gli anni in cui la festa di Pasqua tocca i limiti estremi nel mese di aprile. I quaranta giorni dal Natale alla Purificazione racchiudono talvolta fino a quattro di queste domeniche. Spesso non ne contengono che due, e talvolta perfino una sola, quando l'anticipazione della Pasqua in alcuni anni costringe a far risalire a Gennaio la Domenica di Settuagesima, e anche quella di Sessagesima. Nulla tuttavia è stato innovato, come abbiamo detto, nei riti di questi lieti quaranta giorni, fuorché il colore viola e l'omissione dell'Inno angelico, nelle domeniche che precedono la Quaresima.

    La santa Chiesa onora, per tutto il corso del Tempo di Natale, con una religiosità particolare, il mistero dell'Infanzia del Salvatore. Ma quando il corso del Calendario, anche negli anni in cui la festa di Pasqua è più inoltrata, da meno di sei domeniche per la celebrazione dell'intera opera della nostra salvezza, cioè dal Natale alla Pentecoste, obbliga la stessa Chiesa ad anticipare, nelle letture del Santo Vangelo, i fatti della vita attiva di Cristo. La liturgia non resta tuttavia meno fedele nel ricordarci le bellezze del divino Bambino e la gloria incomunicabile della Madre sua, fino al giorno in cui verrà a presentarlo al tempio.

    I Greci fanno anche, nei loro Uffici, frequenti Memorie della maternità di Maria, per tutto questo tempo; ma hanno soprattutto una speciale venerazione per i dodici giorni che vanno dalla festa di Natale a quella dell'Epifania: periodo designato nella loro Liturgia sotto il nome di Dodecameron. In questo periodo, essi non osservano alcuna astinenza dalla carne; e gli Imperatori d'Oriente avevano perfino stabilito che, per il rispetto dovuto a un sì grande mistero, fossero proibite le opere servili, e i tribunali stessi vacassero fino al 6 gennaio.

    Queste sono le particolarità storiche e i fatti positivi che servono a determinare il carattere speciale di quella seconda parte dell'Anno Liturgico che designiamo con il nome di Tempo di Natale. Il capitolo seguente svolgerà le intenzioni mistiche della Chiesa, in questo periodo così caro alla pietà dei suoi figli.

    -----------------------------------------------------------------------------

    NOTE

    [1] Il più antico documento che ci permette di concludere che la festa di. Natale era celebrata il 25 dicembre fin dal 336, è il calendario filocaliano redatto nel 354. È infatti poco dopo il Concilio di Nicea (325) che la Chiesa romana istituì una festa commemorativa della Nascita del Salvatore. Se gli storici moderni sono concordi nel dire che le date del 25 dicembre e 6 gennaio non sono basate su una tradizione storica, è legittimo pensare che la Chiesa le abbia scelte per qualche serio motivo.

    [2] Anche Gerusalemme non conobbe che la testa del 6 gennaio, sino alla fine del IV secolo.

    [3] Gli studi recenti del Liturgisti hanno mostrato che questa festa cominciò a essere celebrata a Gerusalemme non il 2 febbraio, come lo fu più tardi a Roma, ma il 14 febbraio, quaranta giorni dopo la festa della Natività che gli Orientali celebravano il 6 gennaio. La Peregrinatio Sylviae (del 400 circa) rileva che la festa era celebrata nel 380 a Betlemme e a Gerusalemme nella basilica dell'Anastasi, con la stessa solennità di quella di Pasqua. La Cronaca di Teofane ci dice che fu introdotta a Costantinopoll, fra il 534 e il 542, e celebrata il 2 febbraio. Di qui passò a Roma. Il Liber Pontificalis indica che Sergio (687-701) istituì una litania per le quattro feste della Vergine (Purificazione, Dormizione, Natività e Annunciazione), donde si conclude che esistevano già, benché non si possa sapere da quando.

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 96-102

    Capitolo Secondo

    MISTICA DEL TEMPO DI NATALE


    Tutto è misterioso nei giorni in cui ci troviamo. Il Verbo di Dio, la cui generazione è prima dell'aurora, nasce nel tempo; nel Bambino è un Dio; una Vergine diviene Madre e rimane Vergine; le cose divine si confondono alle umane, e la sublime e ineffabile antitesi espressa dal discepolo prediletto in queste parole del suo Vangelo: IL VERBO SI È FATTO CARNE, si sente ripetere su tutti i toni e sotto tutte le forme nelle preghiere della Chiesa. Essa riassume meravigliosamente il grande evento che ha unito in una sola persona divina la natura dell'uomo e la natura di Dio.

    Mistero abbagliante per l'intelligenza, ma soave al cuore dei fedeli, esso è il compimento dei disegni di Dio nel tempo, l'oggetto dell'ammirazione e dello stupore degli Angeli e dei Santi nella loro eternità, e insieme il principio e il modo della loro beatitudine. Vediamo come la santa Chiesa lo propone ai suoi figli nella Liturgia.

    Il giorno della Natività.

    Dopo l'attesa di quattro settimane di preparazione, immagine dei millenni dell'antico mondo, eccoci giunti al venticinquesimo giorno del mese di dicembre, come a una stazione desiderata. Dapprima e naturale che proviamo un certo stupore vedendo che questo giorno a sé solo riserva l'immutabile prerogativa di celebrare la Natività del Salvatore; mentre tutto il Ciclo liturgico sembra nei travagli, ogni anno, per dare alla luce l'altro giorno continuamente variabile al quale è legata la memoria del mistero della Risurrezione.

    Fin dal quarto secolo, sant'Agostino fu portato a darsi ragione di questa differenza, nella famosa Epistola ad Ianuarium; e la spiegava dicendo che noi celebriamo il giorno della Nascita del Salvatore unicamente per rievocare la memoria di quella Nascita operata per la nostra salvezza, senza che il giorno stesso nel quale ha avuto luogo racchiuda in sé qualche significato misterioso. Al contrario il giorno preciso della settimana nel quale è avvenuta la Risurrezione è stato scelto nei decreti eterni, per esprimere un mistero di cui si deve fare espressa commemorazione sino alla fine dei secoli. Sant'Isidoro di Siviglia e l'antico interprete dei riti sacri che per lungo tempo si è ritenuto fosse lo studioso Alcuino, adottano su questo punto la dottrina del vescovo di Ippona; e le loro parole sono sviluppate da Durando nel suo Razionale.

    Detti autori osservano dunque che, secondo le tradizioni ecclesiastiche, avendo la creazione dell'uomo avuto luogo il venerdì, e avendo il Salvatore, sofferto la morte in quello stesso giorno per riparare il peccato dell'uomo; essendosi d'altra parte la risurrezione di Cristo compiuta il terzo giorno, cioè la Domenica, giorno al quale la Genesi assegna la creazione della luce, "le solennità della Passione e della Risurrezione - come dice sant'Agostino – non hanno soltanto lo scopo di riportare alla memoria i fatti che si sono compiuti; ma rappresentano e significano anche qualche altra cosa di misterioso e di santo (Epist. ad Ianuarium)".

    Guardiamoci tuttavia dal credere che, per il fatto che non è legata a nessuno dei giorni della settimana in particolare, la celebrazione della festa di Natale il 25 dicembre sia stata completamente privata dell'onore di un significato misterioso. Innanzitutto, potremmo già dire, con gli antichi liturgisti, che la festa di Natale percorre successivamente i diversi giorni della settimana, per purificarli tutti e sottrarli alla maledizione che il peccato di Adamo aveva riversato su ciascuno di essi. Ma abbiamo un mistero molto più sublime da dichiarare nella scelta del giorno di questa solennità: mistero che, se non ha relazione con la divisione del tempo nei limiti di quel tutto che Dio stesso s'è tracciato, e che si chiama la Settimana, viene a legarsi nel modo più espressivo al corso del grande astro per mezzo del quale la luce e il calore, cioè la vita stessa, rinascono e perdurano sulla terra. Gesù Cristo nostro Salvatore, che è la luce del mondo (Gv 8,12), è nato al momento in cui la notte dell'idolatria e del delitto era più profonda in questo mondo. E il giorno della Natività, il 25 dicembre, è precisamente quello in cui il sole materiale, nella sua lotta con le ombre, vicino a spegnersi, si rianima d'un tratto e prepara il suo trionfo.

    Nell'Avvento abbiamo notato, con i santi Padri, la diminuzione della luce fisica come il triste emblema di quei giorni di attesa universale; ci siamo rivolti con la Chiesa verso il divino Oriente, verso il Sole di Giustizia, il solo che possa sottrarci agli orrori della morte del corpo e dell'anima. Dio ci ha ascoltati; e nel giorno stesso del solstizio d'inverno, famoso per i terrori e i gaudi del mondo antico, ci da insieme la luce materiale e la fiaccola delle intelligenze.

    San Gregorio Nisseno, sant'Ambrogio, san Massimo di Torino, san Leone, san Bernardo e i più illustri liturgisti, si compiacciono di questo profondo mistero che il Creatore dell'universo ha impresso in una sola volta nella sua opera naturale e soprannaturale insieme; e vedremo che le preghiere della Chiesa continueranno a farvi allusione nel Tempo di Natale, come già nel Tempo dell'Avvento.

    "In questo giorno che il Signore ha fatto - dice san Gregorio Nisseno, nella sua omelia sulla Natività - le tenebre cominciano a diminuire e, aumentando la luce, la notte è ricacciata al di là delle sue frontiere. Certo, o Fratelli, ciò non accade né per caso né per volere estraneo, il giorno stesso in cui risplende Colui che è la vita divina nell'umanità. È la natura che, sotto questo simbolo, rivela un arcano a quelli il cui occhio è penetrante, e i quali sono capaci di comprendere la circostanza della venuta del Signore. Mi sembra di sentirlo dire: O uomo, sappi che sotto le cose che tu vedi ti vengono rivelati misteri nascosti. La notte, come hai visto, era giunta alla sua più lunga durata, e d'improvviso s'arresta. Pensa alla notte funesta del peccato che era giunta al colmo per l'unione di tutti gli artifici colpevoli: oggi stesso il suo corso è stroncato. A partire da questo giorno, essa è ridotta, e presto sarà annullata. Guarda ora i raggi del sole più vivi, l'astro stesso più alto nel cielo, e contempla insieme la vera luce del Vangelo che si leva sull'universo intero".

    "Esultiamo, o Fratelli - esclama a sua volta sant'Agostino - perché questo giorno è sacro non già per il sole visibile, ma per la nascita dell'invisibile creatore del sole. Il Figlio di Dio ha scelto questo giorno per nascere, come si è scelta una Madre, lui che è il creatore del giorno e della Madre insieme. Questo giorno, infatti, nel quale la luce ricomincia ad aumentare, era adatto a significare l'opera di Cristo che, con la sua grazia, rinnova continuamente il nostro uomo interiore. Avendo l'eterno Creatore risolto di nascere nel tempo, bisognava che il giorno della sua nascita fosse in armonia con la creazione temporale" (Discorso in Natale Domini, iii).

    In un altro Sermone sulla medesima festa, il vescovo d'Ippona ci dà la chiave d'una frase misteriosa di san Giovanni Battista, che conferma meravigliosamente il pensiero tradizionale della Chiesa. L'ammirabile Precursore aveva detto, parlando del Cristo: Bisogna che egli cresca e che io diminuisca (Gv 3,30). Sentenza profetica la quale, nel senso letterale, significa che la missione di san Giovanni Battista volgeva al termine dal momento che il Salvatore stesso entrava nell'esercizio della sua. Ma possiamo vedervi anche, con sant'Agostino, un secondo mistero: "Giovanni è venuto in questo mondo nel tempo in cui i giorni cominciano ad accorciarsi; Cristo è nato nel momento in cui i giorni cominciano ad allungarsi" (Discorso in Natale Domini, xi). Cosicché tutto è mistico: sia il levarsi dell'astro del Precursore al solstizio d'estate, sia l'apparizione del Sole divino nella stagione delle ombre.

    La scienza tapina e ormai sorpassata dei Dupuis e dei Volney, pensava di aver scosso una volta per sempre le basi della superstizione religiosa, per aver costatato, presso i popoli antichi, l'esistenza di una festa del sole al solstizio d'inverno; sembrava loro che una religione non potesse passare per divina, dal momento che le usanze del suo culto avevano delle analogie con i fenomeni d'un mondo che, secondo la Rivelazione, Dio ha tuttavia creato solo per il Cristo e per la sua Chiesa. Noi cattolici troviamo la conferma della nostra fede proprio là dove questi uomini credettero per qualche istante di scorgere la sua rovina [1].

    In questo modo abbiamo dunque spiegato il mistero fondamentale di questi lieti quaranta giorni, svelando il grande segreto nascosto nella predestinazione eterna del venticinquesimo giorno del mese di dicembre a diventare il giorno della Nascita d'un Dio sulla terra. Scrutiamo ora rispettosamente un secondo mistero, quello del luogo in cui avvenne la Nascita.

    Il luogo della Natività.

    Questo luogo è Betlemme. È da Betlemme che deve uscire il capo d'Israele. Il profeta l'ha predetto (Mic 5,2); i Pontefici ebrei lo sanno e sapranno anche dichiararlo, fra pochi giorni, ad Erode (Mt 2,5). Per quale ragione questa oscura città è stata scelta fra tutte le altre per diventare il teatro di così sublime avvenimento? Osservate, o cristiani! Il nome di questa città di David significa casa del Pane: ecco perché il Pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,41) l'ha scelta per manifestarvisi. I nostri padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti (ivi 6, 49); ma ecco il Salvatore del mondo che viene a sostenere la vita del genere umano per mezzo della sua carne che è veramente cibo (ivi 56). Fino ad ora Dio era lontano dall'uomo; ma d'ora in poi essi non faranno più che una sola e medesima cosa. L'Arca dell'alleanza che custodiva solo la manna dei corpi è sostituita dall'Arca d'una alleanza nuova; Arca più pura, più incorruttibile dell'antica: l'incomparabile Vergine Maria, che ci presenta il Pane degli Angeli, l'alimento che trasforma l'uomo in Dio; poiché Dio l'ha detto: Chi mangia la mia carne rimane in me, ed io in lui (ivi 57).

    Gesù nostro Pane!

    È questa la divina trasformazione che il mondo attendeva da lungo tempo, e verso la quale la Chiesa ha sospirato durante le quattro settimane del Tempo di Avvento. È giunta infine l'ora e Cristo sta per entrare in noi, se vogliamo riceverlo (ivi 1,12). Egli chiede di unirsi a ciascuno di noi, come si è unito alla natura umana in generale, e per questo vuoi farsi nostro Pane, nostro cibo spirituale. La sua venuta nelle anime in questa mistica stagione, non ha altro scopo. Egli non viene per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato in lui (ivi 3,17), perché tutti abbiano la vita, ed una vita sempre più abbondante (ivi 10,10). Il divino amico delle anime nostre, non troverà dunque riposo fino a quando non si sia sostituito egli stesso a noi, di modo che non siamo più noi a vivere, ma egli che vive in noi; e perché questo mistero si compia con maggiore dolcezza, il dolce frutto di Betlemme si dispone dapprima a penetrare in noi sotto le sembianze d'un bambino, per crescervi quindi in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini (Lc 2,40).

    Quando poi, dopo averci così visitati con la sua grazia e con l'alimento d'amore, ci avrà cambiati in se stesso, allora si capirà un nuovo mistero. Diventati una stessa carne, uno stesso cuore con Gesù, Figlio del Padre celeste, diventeremo perciò stesso i figli del medesimo Padre; tanto che il Discepolo prediletto esclama: Figliuoli, osservate quale carità ha usato con noi il Padre, sì che siamo i figli di Dio, non soltanto di nome, ma di fatto (Gv 3,1). Ma parleremo altrove, e con più agio, di questa suprema felicità dell'anima cristiana, e dei mezzi che le sono offerti per mantenerla ed accrescerla.

    Liturgia del Natale.

    Ci resta da dire qualcosa sui colori simbolici che la Chiesa riveste in questo tempo. Il bianco è usato per i venti primi giorni che vanno fino all'Ottava dell'Epifania. Lo si cambia solo per onorare la porpora dei martiri Stefano e Tommaso di Canterbury, e per unirsi al lutto di Rachele che piange i suoi figli, nella festa dei santi Innocenti.

    All'infuori di queste tre ricorrenze, trionfa il bianco nei paramenti sacri, per esprimere la letizia alla quale gli Angeli hanno invitato gli uomini, lo splendore del sole divino che nasce, la purezza della Vergine Madre, il candore delle anime fedeli che si stringono attorno alla culla del divino Bambino.

    Negli ultimi venti giorni, le ricorrenze delle feste dei Santi esigono che le feste della Chiesa siano in armonia, ora con le rose dei Martiri, ora con i semprevivi che formano la corona dei Pontefici e dei Confessori, ora con i gigli che adornano le Vergini. Nei giorni di domenica, se non ricorre nessuna festa di rito doppio di seconda classe che imponga il colore rosso o bianco, e se la Settuagesima non ha ancora aperto la serie delle settimane che precedono la passione di Cristo, i paramenti della Chiesa sono di color verde. La scelta di questo colore indica, secondo i liturgisti, che con la Nascita del Salvatore, che è il fiore dei campi (Ct 2,1), è anche nata la speranza della nostra salvezza, e che dopo l'inverno della gentilità e del giudaismo ha iniziato il suo corso la verdeggiante primavera della grazia.

    Possiamo terminare così questa spiegazione mistica delle usanze generali del Tempo di Natale. Ci rimangono senza dubbio ancora parecchi simboli da svelare; ma poiché i misteri ai quali essi si ricollegano sono propri di alcuni speciali giorni piuttosto che di tutto l'insieme di questa parte dell'Anno Liturgico, li tratteremo in particolare giorno per giorno, senza ometterne alcuno.

    -----------------------------------------------------------------------------

    NOTE

    [1] Si è visto sopra che la festa di Natale non ha avuto in origine un posto uniforme nel diversi calendari della Chiesa. Molti autori pensano oggi che questa festa fu definitivamente fissata al 25 dicembre per distogliere i fedeli da una solennità pagana molto popolare, la festa del solstizio, che celebrava, nella notte dal 24 al 25 dicembre, il trionfo del sole sulle tenebre. Il procedimento, che consiste nell'opporre una festa cristiana a una festa pagana troppo vivace, è stato spesso usato dalla Chiesa nei primi secoli, e sempre con immediato successo.

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 102-113

    Capitolo Terzo

    PRATICA DEL TEMPO DI NATALE

    Imitare la Chiesa.


    È giunto il momento in cui l'anima fedele sta per raccogliere il frutto degli sforzi che ha compiuti durante il periodo laborioso dell'Avvento, per preparare una dimora al Figlio di Dio che vuol nascere in essa. Il giorno delle nozze dell'Agnello è giunto, la Sposa si è preparata (Ap 19,7). Ora, la Sposa è la santa Chiesa; la Sposa è ogni anima fedele. L'inesauribile Signore si da completamente e con particolare tenerezza, a tutto il suo gregge e a ciascuna delle pecorelle del gregge. Quali abiti vestiremo per andare incontro allo Sposo? Quali perle, quali gioielli adorneranno le anime nostre in questo fortunato incontro? La Santa Chiesa nella Liturgia, ci istruisce a questo riguardo; e non possiamo far di meglio che imitarla in tutto, poiché essa è sempre accetta, ed essendo la Madre nostra, dobbiamo ascoltarla sempre.

    Ma prima di parlare della mistica Venuta del Verbo nelle anime, prima di narrare i segreti di questa sublime familiarità del Creatore e delle creature, indichiamo innanzitutto, con la Chiesa, gli omaggi che la natura umana e ciascuna delle nostre anime deve offrire al divino Bambino che il cielo ci ha dato come una benefica rugiada. Durante l'Avvento, ci siamo uniti ai santi dell'Antica Alleanza per implorare la venuta del Messia Redentore; ora che egli è disceso, consideriamo quali omaggi sia giusto offrirgli.

    L'Adorazione.

    La Chiesa, in questo sacro tempo, offre al Dio Bambino il tributo delle sue profonde adorazioni, i trasporti delle sue gioie ineffabili, l'omaggio d'una riconoscenza senza limiti, la tenerezza d'un amore che non ha l'uguale. I quali sentimenti - adorazione, gioia, riconoscenza e amore - formano anche l'insieme degli omaggi che ogni anima fedele deve offrire all'Emmanuele nella sua culla. Le preghiere della Liturgia ne daranno l'espressione più pura e più completa; ma penetriamo la natura di questi sentimenti onde meglio concepirli e appropriarci ancor più intimamente la forma sotto la quale la santa Chiesa li esprime.


    Il primo dovere da compiere presso la culla del Salvatore è quello dell'adorazione. L'adorazione è il primo atto di religione; ma si può dire che, nel mistero della Natività, tutto sembra contribuire a rendere questo dovere ancora più santo. In cielo, gli Angeli si velano il volto e si annientano davanti al trono di Dio; i ventiquattro seniori abbassano continuamente i loro diademi dinanzi alla maestà dell'Agnello: che faremo noi peccatori, indegne membra della tribù riscattata, quando Dio stesso si presenta a noi umiliato e annientato per noi? Quando, per il più sublime rovesciamento, i doveri della creatura verso il Creatore sono adempiuti dal Creatore stesso? Quando il Dio eterno s'inchina, non più solo davanti alla maestà infinita, ma dinanzi all'uomo peccatore?

    È dunque giusto che alla vista di sì meraviglioso spettacolo ci sforziamo di offrire, con le nostre profonde adorazioni, al Dio che si umilia per noi, almeno qualcosa di quanto il suo amore per l'uomo e la sua fedeltà alle disposizioni del Padre gli sottrae. È necessario che sulla terra imitiamo, per quanto ci è possibile, i sentimenti degli angeli nel cielo, e non ci accostiamo al divino Bambino senza presentargli innanzitutto l'incenso d'una adorazione sincera, la protesta della nostra dipendenza, e infine l'omaggio di annientamento .dovuto a quella Maestà infinita, tanto più degna del nostro rispetto in quanto è per noi stessi che si umilia. Guai dunque a noi se, resi troppo familiari dalla apparente debolezza del divino Bambino, dalla dolcezza stessa delle sue carezze, pensiamo di poter tralasciare qualcosa di questo primo e più importante dovere, e dimenticare per un momento ciò che è lui e ciò che siamo noi!

    L'esempio della purissima Maria servirà potentemente a mantenere in noi l'umiltà. Maria davanti a Dio fu umile prima di essere Madre; divenuta Madre, diviene ancora più umile davanti al suo Dio e al suo Figlio. Noi dunque, vili creature, peccatori mille volte graziati, adoriamo con tutte le nostre forze Colui che da tanta altezza, discende fino alla nostra bassezza e sforziamoci di indennizzarlo, con il nostro abbassamento, della sua mangiatoia, delle sue fasce, dell'eclissi della sua gloria. Tuttavia, cercheremo invano di scendere fino al livello della sua umiltà; bisognerebbe essere Dio per raggiungere le umiliazioni di Dio.

    La Gioia.

    La santa Chiesa non si limita ad offrire al Dio Bambino il tributo delle sue profonde adorazioni; il mistero dell'Emmanuele, del Dio con noi, è per essa la fonte di una ineffabile gioia. Il rispetto dovuto a Dio si concilia mirabilmente, nei suoi sublimi cantici, con la gioia che hanno raccomandata gli Angeli. Si compiace di imitare la letizia dei pastori che vennero solleciti ed esultanti a Betlemme (Lc 2,16), e anche la gioia dei Magi quando, nell'uscire da Gerusalemme; videro nuovamente la stella (Mt 2,10). Da ciò deriva che tutta la cristianità, avendolo compreso, celebra la Nascita divina con canti lieti e popolari, conosciuti sotto il nome di Pastorali.

    Uniamoci, o cristiani, a questa gioia esultante; non è più tempo di sospirare, ne di versare lacrime: Ecco ci è nato un pargolo (Is 9,6). Colui che aspettavamo è finalmente venuto, ed è venuto per abitare con noi. Quanto è stata lunga l'attesa, tanto inebriante è la felicità del possesso. Verrà presto il giorno in cui il Bambino che oggi nasce, diventato uomo, sarà l'uomo dei dolori. Allora patiremo can lui; ora bisogna che godiamo della sua venuta, e cantiamo presso la sua culla con gli Angeli. Questi quaranta giorni passeranno presto; accettiamo a cuore aperto la gioia che ci viene dall'alto come un dono celeste. La divina Sapienza ci insegna che il cuore del giusto è in continua festa (Prov 15,16) perché in esso vi è la Pace: ora, in questi giorni ci è arrecata sulla terra la Pace, la Pace agli uomini di buona volontà.

    La Riconoscenza.

    A questa mistica e deliziosa gioia viene ad unirsi quasi di per sé il sentimento della riconoscenza verso Colui che, senza essere fermato dalla nostra indegnità né trattenuto dai riguardi dovuti alla suprema Maestà, ha voluto scegliersi una madre tra le figlie degli uomini, una culla in una stalla: tanto aveva a cuore di affrettare l'opera della nostra salvezza, di evitare tutto ciò che potesse ispirarci qualche timore o qualche timidità nei suoi riguardi, di incoraggiarci con il suo divino esempio nella via dell'umiltà in cui è necessario che camminiamo per risalire al cielo donde il nostro orgoglio ci ha fatti cadere.

    Riceviamo dunque con cuore commosso questo dono prezioso d'un Bambino liberatore. È il Figlio unigenito del Padre, di quel Padre che ha tanto amato il mondo da sacrificare il proprio Figlio (Gv 3,16); è quello stesso Figlio unigenito che ratifica pienamente la volontà del Padre suo, e che viene a offrirsi per noi perché vuole (Is 53,7). Forse che nel darcelo - dice l'Apostolo - il Padre non ci ha dato tutto con lui? (Rm 8,32). O dono inestimabile! Quale gratitudine potremmo offrire noi che possa uguagliare tanto beneficio, quando, dal profondo della nostra miseria, siamo incapaci di apprezzarne perfino il valore? Dio solo e il divino Bambino che dalla culla ne custodisce il segreto, sa quello che ci dona in questo mistero.

    L'amore.

    Ma, se la riconoscenza è sproporzionata al beneficio, chi dunque soddisfarà il debito? L'amore soltanto potrà farlo, poiché, per quanto finito, almeno non si misura e può crescere sempre. Perciò la santa Chiesa, davanti alla mangiatoia, dopo aver adorato, ringraziato, si sente presa da una indicibile tenerezza e dice: Come sei bello, o mio diletto! (Ct 1,15). Quanto è dolce alla mia vista il tuo sorgere, o divino Sole di giustizia! Quanto il tuo calore è vivificante per il mio cuore! Come è sicuro il tuo trionfo sulla mia anima, poiché tu l'attacchi con le armi della debolezza, dell'umiltà e dell'infanzia! Tutte le parole si cambiano in parole d'amore; e l'adorazione, la lode, il ringraziamento non sono nei suoi Cantici che l'espressione cangiante e intima dell'amore che trasforma tutti i suoi sentimenti.

    Anche noi, o cristiani, seguiamo la Chiesa Madre nostra, e portiamo i nostri cuori all'Emmanuele! I Pastori gli offrono la loro semplicità, i Magi gli portano ricchi doni; gli uni e gli altri ci insegnano che nessuno deve comparire davanti al divino Bambino senza offrirgli un dono degno di lui. Ora, teniamolo bene presente: egli disdegna ogni altro tesoro fuorché quello che è venuto a cercare. L'amore lo fa discendere dal cielo; commiseriamo il cuore che non gli restituisce l'amore!

    Questi sono dunque gli omaggi che le anime nostre debbono presentare a Gesù Cristo in questa prima Venuta in cui egli viene nella carne e nell'infermità - come dice san Bernardo - non per giudicare il mondo ma per salvarlo.

    Quanto riguarda la Venuta nella gloria e nella maestà terribile dell'ultimo giorno, l'abbiamo meditato abbastanza durante le settimane dell'Avvento. Il timore dell'ira futura avrebbe dovuto risvegliare i nostri cuori dal sonno in cui giacevano e prepararli nell'umiltà a ricevere la visita del Salvatore in questa Venuta intermedia che si compie segretamente nell'intimo delle anime, e di cui ci resta ancora da narrare l'ineffabile mistero.

    La Vita illuminativa.

    Abbiamo mostrato altrove come il tempo dell'Avvento appartenga a quel periodo della vita spirituale che la Teologia Mistica designa con il nome di Vita purgativa, e durante la quale l'anima si di stacca dal peccato e dai legami del peccato, per il timore dei giudizi di Dio, mediante la mortificazione e la lotta corpo a corpo contro la concupiscenza. Noi supponiamo dunque che ogni anima fedele abbia attraversato questa valle d'amarezza, per essere ammessa al banchetto a cui la Chiesa, per bocca del Profeta Isaia, convoca tutti i popoli nel nome del Signore, nel giorno in cui si deve cantare: Ecco il nostro Dio: l'abbiamo aspettato, ed egli viene finalmente a salvarci; abbiamo sopportato il suo ritardo; esultiamo di gioia nella salvezza che egli ci arreca (Sabato della seconda settimana di Avvento). È anche giusto dire che, come vi sono nella casa del Padre celeste parecchie dimore (Gv 14,2), così in questa grande solennità, la Chiesa vede tra la moltitudine dei suoi figli che si stringono in questi giorni alla tavola dove si distribuisce il Pane di vita, una grande varietà di sentimenti e di disposizioni. Gli uni erano morti alla grazia, e i soccorsi del sacro tempo dell'Avvento li hanno fatti rivivere; gli altri, che già vivevano, hanno con i loro sospiri ravvivato il proprio amore, e l'entrata in Betlemme è stata per essi come un rinnovamento della vita divina.

    Ora, ogni anima introdotta in Betlemme, cioè nella Casa del Pane unita a Colui che è la Luce del mondo (Gv 14,2), non cammina più nelle tenebre. Il mistero di Natale è un mistero di illuminazione, e la grazia che produce nell'anima nostra la stabilisce, se essa è fedele, in quel secondo stato della vita mistica che è chiamato Vita illuminativa. D'ora in poi non abbiamo più da affliggerci nell'attesa del Signore; egli è venuto, ci ha illuminati, e la sua luce non si spegne più. Deve anzi crescere man mano che l'Anno Liturgico si svilupperà. Che possiamo riflettere il più fedelmente possibile nelle anime nostre il progresso di questa luce, e pervenire con il suo aiuto al bene dell'unione divina che corona insieme l'Anno Liturgico e l'anima santificata da esso!

    Ma nel mistero di Natale e dei quaranta giorni della Nascita, la luce è ancora proporzionata alla nostra debolezza. È senza dubbio il Verbo, la Sapienza del Padre, che ci si propone a conoscere e ad imitare; ma questo Verbo, questa Sapienza appaiono sotto le sembianze dell'infanzia. Nulla dunque ci impedisca di avvicinarci. Non è un trono, ma una culla; non è un palazzo, ma una stalla; non si tratta ancora di fatiche, di sudori, di croce e di sepolcro; meno ancora di gloria e di trionfo; non si tratta che di dolcezza, di silenzio e di semplicità. Avvicinatevi dunque - ci dice il Salmista - e sarete illuminati (Sal 33,6).

    Chi potrebbe degnamente narrare il mistero dell'infanzia di Cristo nelle anime, e dell'infanzia delle anime in Cristo? Questo duplice mistero che si compie in questo sacro tempo è stato reso meravigliosamente da san Leone nel suo sesto Sermone sulla Natività del Salvatore, quando dice: "Benché l'infanzia che la maestà del Figlio di Dio non ha disdegnata abbia successivamente lasciato il posto all'età dell'uomo perfetto, e dopo il trionfo della Passione e della Risurrezione, tutto il seguito degli atti dell'umiltà di cui il Verbo si era rivestito per noi sia per sempre compiuta, la presente solennità rinnova per noi la Nascita di Gesù dalla vergine Maria; e adorando la nascita del nostro Salvatore, è la nostra stessa origine che noi celebriamo. Infatti, la generazione temporale di Cristo è la fonte del popolo, cristiano, e la nascita del Capo è insieme quella del corpo. Senza dubbio, ognuno dei chiamati ha il proprio posto, e i figli della Chiesa sono distinti gli uni dagli altri per la successione dei tempi; tuttavia l'insieme dei fedeli, uscito dal fonte battesimale, come è crocifisso con Cristo nella sua Passione, risuscitato nella sua Risurrezione, messo alla destra del Padre nella sua Ascensione, è anche generato con lui in questa Natività. Ogni uomo, in qualunque parte del mondo dei credenti abiti, è rigenerato in Cristo; la vecchiaia della sua prima generazione è troncata; egli rinasce in un uomo nuovo, e d'ora in poi non si trova più nella filiazione del proprio padre secondo la carne, ma nella natura stessa di quel Salvatore che si è fatto Figlio dell'uomo, affinché possiamo diventare figli di Dio".

    La nuova Natività.

    Eccolo, il mistero di Natale! È appunto questo che ci dice il Discepolo prediletto nel Vangelo che la Chiesa ci fa leggere alla terza Messa di questa grande festa. A quelli che l'hanno voluto ricevere, ha concesso di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo Nome, che non sono nati dal sangue ne dalla volontà dell'uomo, ma da Dio. Dunque, tutti quelli che dopo aver purificato la propria anima, dopo essersi liberati dalla servitù della carne e del sangue, dopo aver rinunciato a tutto ciò che conservano dell'uomo peccatore, vogliono aprire il proprio cuore al Verbo divino, a questa LUCE che risplende nelle tenebre e che le tenebre non hanno compresa, tutti questi nascono con Gesù il Cristo, nascono da Dio; cominciano una vita nuova, come il Figlio stesso di Dio in questo mistero.

    Quanto sono belli questi preludi della vita cristiana! Quanto è grande la gloria di Betlemme, cioè della santa Chiesa, la vera Casa del Pane, in seno alla quale in questi giorni, su tutte le terre si produce una così immensa moltitudine di figli di Dio! O perpetuità dei nostri Misteri che nulla esaurisce! L'Agnello immolato fin dall'inizio del mondo si immola per sempre dal tempo della sua immolazione reale; ed ecco che, nato una volta della Vergine Maria, trova la sua gloria nel rinascere continuamente nelle anime. E non pensiamo che l'onore della Maternità divina ne sia diminuito, come se ciascuna delle nostre anime raggiungesse d'ora in poi la dignità di Maria. "Lungi da ciò - ci dice il Venerabile Beda nel suo commento a san Luca - bisogna che alziamo la voce di mezzo alla folla, come quella donna del Vangelo che raffigura la Chiesa cattolica, e diciamo al Salvatore: Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che ti hanno allattato!". Prerogativa incomunicabile, infatti, e che stabilisce per sempre Maria Madre di Dio e Madre del genere umano. Ma non è detto con ciò che dobbiamo dimenticare la risposta che il Salvatore diede alla donna di cui parla san Luca: Più beati ancora - egli dice - quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica! (Lc 11,28).

    "Con questa sentenza - continua il Venerabile Beda - Cristo dichiara beata non più soltanto colei che ebbe il favore di generare corporalmente il Verbo di Dio, ma anche tutti coloro che si impegneranno a concepire spiritualmente quello stesso Verbo mediante l'obbedienza della fede, e che, praticando le opere buone, lo genereranno nel proprio cuore e in quello dei fratelli, e ve lo nutriranno con cura materna. Se dunque la Madre di Dio è chiamata giustamente beata perché è stata il ministro dell'Incarnazione del Verbo nel tempo, quanto più è beata per essere rimasta sempre nel suo amore!".

    Non è forse la stessa dottrina che ci propone il Salvatore in un'altra circostanza, quando dice: Colui che farà la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio fratello, mia sorella e mia madre? (Mt 12,50). E perché l'Angelo fu inviato a Maria in preferenza che a tutte le altre figlie d'Israele, se non perché essa aveva già concepito il Verbo divino nel proprio cuore, mediante l'integrità del suo amore, la grandezza della sua umiltà, l'incomparabile merito della sua verginità? E ancora, quale è la causa dello splendore di santità che riluce nella Madre di Dio fin nell'eternità, se non il fatto che la benedetta fra tutte le donne avendo una volta concepito e partorito secondo la carne il Figlio di Dio, lo concepisce e lo partorisce per sempre secondo lo spirito, mediante la sua fedeltà a tutti i voleri del Padre celeste, il suo amore per la luce increata del Verbo divino, la sua unione con lo Spirito di santificazione che abita in lei?

    Ma nessuno nella stirpe umana è privato dell'onore di seguire Maria, benché da lontano, nella prerogativa di questa maternità spirituale, ora che l'augusta Vergine ha adempiuto il glorioso compito di aprirci la strada con il parto temporale che celebriamo, e che è stato per il mondo l'iniziazione ai misteri di Dio. Nelle settimane dell'Avvento, abbiamo dovuto preparare le vie del Signore; ormai dobbiamo averlo concepito nelle nostre anime; affrettiamoci a darlo alla luce nelle opere, affinché il Padre celeste, non vedendo più noi stessi in noi, ma soltanto il suo Verbo che crescerà in noi, possa dire di noi, nella sua misericordia, come disse una volta nella sua verità: Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3,17).

    A tale uopo, prestiamo orecchio alla dottrina del serafico san Bonaventura, che ci dimostra eloquentemente come si operi nelle nostre anime la nascita di Gesù Cristo. "Questa lieta nascita ha luogo - dice il santo Dottore in una Esortazione per la festa di Natale - quando l'anima, preparata da una lunga meditazione, passa infine all'azione; quando, sottomessa la carne allo spirito, sopraggiunge a sua volta l'opera buona: allora rinascono nell'anima la pace e la gioia interiore. In questa natività, non vi sono né lamenti, né doglie, né lacrime; tutto è ammirazione, esultanza e gloria. Ma se questo partorire ti aggrada, o anima devota, pensa ad essere Maria. Ora, questo nome significa amarezza: piangi amaramente i tuoi peccati; significa ancora illuminatrice: diventa risplendente di virtù; significa infine padrona: sappi dominare le passioni della carne. Allora Cristo nascerà in te, senza doglie e senza fatica. È allora che l'anima conosce e gusta quanto è dolce il Signore Gesù. Essa prova tale dolcezza quando, con sante meditazioni, nutre il Figlio divino; quando lo bagna delle sue lacrime; quando lo avvolge dei suoi casti desideri; quando lo stringe negli abbracci d'una santa tenerezza; quando lo riscalda nel più intimo del suo cuore. O beata mangiatoia di Betlemme, in te trovo il Re di gloria; ma più beato di te è il cuore pio che racchiude spiritualmente Colui che tu hai potuto contenere solo corporalmente".

    Ora, per passare così dalla concezione del Verbo alla sua nascita nelle nostre anime, in una parola per passare dall'Avvento al Tempo di Natale, bisogna che teniamo continuamente gli occhi del cuore su colui che vuoi nascere in noi, e nel quale rinasce la natura umana. Dobbiamo mostrarci gelosi di riprodurre i suoi tratti nella nostra debole e lontana imitazione, tanto più che, secondo l'Apostolo, è l'immagine del Figlio suo che il Padre celeste cercherà in noi, quando si tratterà di dichiararci capaci della divina predestinazione (Rm 8,29).

    Ascoltiamo dunque la voce degli Angeli, e portiamoci fino a Betlemme. Ecco il vostro segno - ci vien detto: - troverete un bambino avvolto nelle fasce e posto in una mangiatoia (Lc 2,12). Dunque, o cristiani, bisogna che diventiate bambini; bisogna che conosciate di nuovo le fasce dell'infanzia; bisogna che scendiate dalla vostra altezza, e veniate presso il Salvatore disceso dal cielo, per nascondervi nell'umiltà della mangiatoia. Così, comincerete con lui una nuova vita; così la luce, che va sempre crescendo fino al giorno perfetto (Prov 4,18), vi illuminerà senza mai più lasciarvi; e, cominciando col vedere Dio in questo splendore nascente che lascia ancora il posto alla fede, vi preparerete per la felicità di quella UNIONE che non e più soltanto luce, ma la pienezza e il riposo dell'amore.

    La Conversione.

    Fin qui abbiamo parlato per le membra vive della Chiesa; abbiamo avuto di mira quelli che sono venuti al Signore nel sacro periodo dell'Avvento, e quelli che, viventi per la grazia dello Spirito Santo, quando finisce l'Anno Liturgico, hanno cominciato il nuovo nell'attesa e nella preparazione e si dispongono a rinascere con il Sole divino; ma non dobbiamo dimenticare quei nostri fratelli che hanno voluto morire; e che ne l'avvicinarsi dell'Emmanuele né l'attesa universale hanno potuto risvegliare dai loro sepolcri. Dobbiamo annunciare anche a loro, nella morte volontaria, ma guaribile da essi voluta, che la benignità e la misericordia del nostro Dio Salvatore sono apparse al mondo (Tit 3,4). Se dunque il nostro libro capitasse per caso fra le mani di qualcuno di coloro che, sollecitati ad arrendersi all'onnipotente Bambino, non l'avessero ancora fatto, e che, invece di tendere verso di lui nelle settimane che sono appena trascorse avessero passato quel santo periodo nel peccato e nella indifferenza, vorremmo ricordar loro l'antica pratica della Chiesa, attestata dal canone 15 del Concilio di Agda (506), nel quale è imposto a tutti i fedeli l'obbligo di accostarsi alla divina Eucaristia nella festa di Natale, come in quelle di Pasqua e di Pentecoste, sotto pena di non essere più considerati cattolici. Vorremmo descrivere loro il gaudio della Chiesa che in tutto il mondo, malgrado il raffreddamento della carità, vede ancora in quei giorni innumerevoli fedeli celebrare la Nascita dell'Agnello che toglie i peccati del mondo, con la partecipazione reale al suo corpo e al suo sangue.

    Sappiatelo, dunque, o peccatori: la festa di Natale è una festa di grazia e di misericordia, nella quale il giusto e l'ingiusto si trovano riuniti alla stessa tavola. Per la nascita del Figlio suo, il Padre celeste ha voluto accordare la grazia a molti colpevoli; e vuole anche non escludere dal perdono se non quelli che si ostinassero ancora a rifiutare la misericordia. Così e non altrimenti, deve essere celebrata la venuta dell'Emmanuele.

    Del resto, queste parole d'invito, non le diciamo di nostro arbitrio e avventatamente; ma nel nome della Chiesa stessa, che vi invita ad iniziare l'edificio della vostra vita nuova, nel giorno in cui il Figlio di Dio apre il corso della sua vita umana. Le prendiamo da un grande e santo Vescovo del medioevo, il pio Rabano Mauro, che in una sua Omelia, sulla nascita del Salvatore, non esitava ad invitare i peccatori perché, vanissero ad assidersi a fianco dei giusti, nella beata Stalla in cui gli animali privi di ragione seppero riconoscere il loro Padrone.

    "Vi supplico, diletti Fratelli - diceva - ricevete di buon cuore le parole che il Signore mi suggerirà per voi in questo dolcissimo giorno che da la compunzione agli stessi infedeli e ai peccatori, in questo giorno che vede il peccatore implorare il perdono nelle lacrime del pentimento, il prigioniero non disperare più del suo ritorno in patria, il ferito desiderare il proprio rimedio. È questo il giorno in cui nasce l'Agnello che toglie i peccati del mondo, Cristo Salvatore nostro: natività che è la fonte d'una gioia deliziosa per colui che ha la coscienza in pace; che ridesta il timore in colui che ha il cuore malato; giorno veramente dolce e pieno di perdono per le anime penitenti. Io ve lo prometto dunque, o figliuoli, e lo dico con sicurezza: a chiunque in questo giorno vorrà pentirsi, e non tornare più al vomito del peccato, tutto ciò che domanderà sarà accordato. Una sola condizione gli sarà imposta: che abbia una fede senza esitazioni, e che non cerchi più i suoi vani piaceri.

    Certo, oggi che il peccato del mondo intero è distrutto, come potrebbe il peccatore disperare? In questo giorno in cui nasce il Signore, promettiamo, fratelli carissimi, promettiamo a questo Redentore, e manteniamo le nostre promesse, come è scritto: Venite al Signore Dio vostro, e offritegli i vostri voti. Promettiamo nella pace e nella fiducia; egli saprà darci il modo di mantenere i nostri impegni. Tuttavia, comprendete bene che non si tratta qui di offrire cose periture e terrene. Ognuno di noi deve offrire quello che il Signore ha riscattato in noi, cioè la sua anima. E se mi dite: E come offrirò la mia anima al Signore, che già la tiene in suo potere? Vi risponderò: Offrirete la vostra anima mediante costumi pii, pensieri casti, opere vive, distogliendovi dal male, volgendovi verso il bene, amando Dio e amando il prossimo, usando misericordia perché siamo stati noi stessi miserabili prima di ricevere la misericordia; perdonando a coloro che peccano contro di noi, perché noi stessi siamo stati nel peccato; calpestando l'orgoglio, perché è appunto l'orgoglio che perde il primo uomo".

    Così si esprime la misericordia della santa Chiesa invitando i peccatori al banchetto dell'Agnello fino a che la sala sia piena (Lc 14,23). La Sposa di Gesù Cristo è nel gaudio per effetto della grazia di rinascita che le concede il Sole divino. Comincia per essa un nuovo anno, e deve essere come tutti gli altri fecondo di fiori e frutti. La Chiesa rinnova la sua giovinezza come quella dell'aquila; si dispone, a presiedere ancora una volta su questa terra allo sviluppo del Ciclo sacro, e ad effondere di volta in volta sul popolo fedele le grazie di cui il Ciclo costituisce il mezzo. Attualmente, è la conoscenza e l'amore del Dio bambino che ci vengono offerti; siamo docili a questa prima iniziazione, per meritare di crescere con il Cristo in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini (ivi 2,52).

    Il mistero di Natale è la porta di tutti gli altri; ma appartiene alla terra e non al cielo. "Noi non possiamo ancora - dice sant'Agostino nel suo xi Discorso sulla Nascita del Signore - non possiamo ancora contemplare lo splendore di Colui che è generato dal Padre prima dell'aurora (Sal 109,3); visitiamo almeno Colui che è nato da una Vergine nelle ore della notte. Non comprendiamo come il suo nome è prima del sole (Sal 81,17); confessiamo almeno che ha posto il suo tabernacolo in colei che è pura come il sole (Sal 18,6). Non vediamo ancora il Figlio unigenito che abita nel seno del Padre; pensiamo almeno allo Sposo che esce dalla sua camera nuziale (ibid.). Non siamo ancora maturi per il banchetto del Padre nostro; riconosciamo almeno la Mangiatoia di nostro Signore" (Is 1,3).

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 113-119

    IL SANTO GIORNO DI NATALE


    Il lieto giorno della Vigilia di Natale volge al termine. La santa Chiesa ha già chiuso i divini Uffici dell'Attesa del Salvatore con la celebrazione del grande Sacrificio. Nella sua materna indulgenza, ha permesso ai suoi figli di rompere, a mezzogiorno, il digiuno di preparazione; i fedeli si sono seduti alla tavola frugale, con una gioia spirituale che fa loro presentire quella che inonderà i loro cuori nella notte che darà loro l'Emmanuele.

    Ma una solennità sì grande come quella di domani deve, secondo l'usanza della Chiesa nelle sue feste, avere un preludio nel giorno che la precede tra pochi istanti, l'Ufficio dei Primi Vespri nel quale si offre a Dio l'incenso della sera, chiamerà i cristiani alla Chiesa; e lo splendore delle cerimonie, la magnificenza dei canti apriranno tutti i cuori alle emozioni d'amore e di riconoscenza che li debbono disporre, a ricevere le grazie del momento supremo.

    Aspettando il sacro segnale che chiamerà alla casa di Dio, impieghiamo gli istanti che ci restano a meglio penetrare il mistero di sì grande giorno, i sentimenti della santa Chiesa in questa solennità e le tradizioni cattoliche mediante le quali i nostri antenati la hanno così degnamente celebrata.

    Sermone di san Gregorio Nazianzeno.

    Innanzitutto, ascoltiamo la voce dei santi Padri che risuonò con un'enfasi e una forza capaci di ridestare qualsiasi anima. Ecco per primo san Gregorio, il Teologo, il Vescovo, di Nazianzo, che inizia così il suo trentottesimo discorso, consacrato alla Teofania, o nascita del Salvatore. Chi potrebbe ascoltarlo e rimanere freddo davanti alle sue parole?

    "Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore! E per riunire tutto in una sola parola: Si rallegrino i cieli ed esulti la terra, per Colui che è insieme del cielo e della terra. Cristo riveste la nostra carne: siate ripieni di timore e di gaudio: di timore a motivo del peccato; di gaudio a motivo della speranza. Cristo nasce da una Vergine: o donne, onorate la verginità per diventare madri di Cristo.

    Chi non adorerebbe Colui che era fin dal principio? chi non loderebbe e non celebrerebbe Colui che è nato? Ecco che le tenebre svaniscono; è creata la luce; l'Egitto rimane sotto le ombre, Israele è illuminata da una lucente nube. Il popolo che era seduto nelle tenebre dell'ignoranza, scorge il lume d'una scienza profonda. Le cose antiche sono finite; tutto è ridiventato nuovo. Fugge la lettera e trionfa lo spirito; le ombre sono passate, e la verità fa il suo ingresso. La natura vede le sue leggi violate: è giunto il momento di popolare il mondo celeste: Cristo comanda; guardiamoci bene dal resistere.

    Genti tutte, battete le mani; perché ci è nato un Bambino, ci è stato dato un Figlio. Il segno del suo principio è sulla sua spalla: perché la croce sarà il mezzo della sua elevazione; il suo nome è l'Angelo del grande consiglio, cioè del consiglio paterno.

    Esclami pure Giovanni: Preparate le vie del Signore! Per me, voglio far anche risuonare la potenza di sì gran giorno: Colui che è senza carne s'incarna; il Verbo prende un corpo; l'Invisibile si mostra agli occhi, l'Impalpabile si lascia toccare; Colui che non conosce tempo prende un principio; il Figlio di Dio è diventato figlio dell'uomo. Gesù Cristo era ieri, è oggi, e sarà sempre. Si senta pure offeso il Giudeo; se ne rida il Greco; e la lingua dell'eretico si agiti nella sua bocca impura. Crederanno quando lo vedranno, questo Figlio di Dio, salire al cielo; e se anche in quel momento si rifiutano, crederanno quando ne discenderà e comparirà sul tribunale di giudice.

    Sermone di san Bernardo.

    Ascoltiamo ora, nella Chiesa Latina, il devoto san Bernardo, che effonde una soave letizia in queste melodiose parole, nel iv sermone per la Vigilia di Natale.

    "Abbiamo ricevuto una notizia piena di grazia e fatta per essere accolta con trasporto: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. La mia anima si è sciolta a queste parole: lo spirito ribolle in me, spinto come sono ad annunciarvi tanta felicità. Gesù significa Salvatore. Che cosa è più necessario di un Salvatore a quelli che erano perduti, più desiderabile a degli infelici, più vantaggioso per quelli che erano accasciati dalla disperazione? Dov'era la salvezza dov'era perfino la speranza della salvezza, per quanto debole, sotto la legge del peccato, in quel corpo di morte, in mezzo alla perversità, nella dimora d'afflizione, se questa salvezza non fosse nata d'un tratto e contro ogni speranza? O uomo, tu desideri, è vero, la tua guarigione; ma, avendo coscienza della tua debolezza e della tua infermità, temi il rigore del trattamento. Non temere dunque: Cristo è soave e dolce; la sua misericordia è immensa; come Cristo, egli ha ricevuto in eredità l'olio, ma per effonderlo sulle tue piaghe. E se ti dico che è dolce, non temere che il tuo Salvatore manchi di potenza; perché è anche Figlio di Dio. Esultiamo dunque, riflettendo in noi stessi, e facendo risplendere al di fuori quella dolce sentenza, quelle soavi parole: Gesù Cristo. Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda!".

    Sermone di sant'Efrem.

    È dunque veramente un grande giorno quello della Nascita del Salvatore: giorno atteso dal genere umano per migliaia di anni, atteso dalla Chiesa nelle quattro settimane dell'Avvento che ci lasciano così cari ricordi; atteso da tutta la natura che riceve ogni anno sotto i suoi auspici, il trionfo del sole materiale sulle tenebre sempre crescenti. Il grande Dottore della Chiesa Sira, sant'Efrem, celebra con entusiasmo la bellezza e la fecondità di questo giorno misterioso; prendiamo qualche brano dalla sua divina poesia, e diciamo con lui:

    "Degnati, o Signore, di permettere che celebriamo oggi il giorno stesso della tua nascita, che la presente solennità ci ricorda. Quel giorno è simile a tè; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino che è nato. Ogni anno, ci visita e passa; quindi ritorna pieno di attrattive. Sa che la natura umana non potrebbe fare a meno di lui; come te, esso viene in aiuto alla nostra razza in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest'anno simile a tè, e porti la pace fra il cielo e la terra. Se tutti i giorni sono segnati della tua liberalità, non è giusto forse che essa trabocchi in questo?

    Gli altri giorni dell'anno traggono la loro bellezza da questo, e le solennità che seguiranno debbono ad esso la dignità e lo splendore di cui brillano. Il giorno della tua nascita è un tesoro, o Signore, un tesoro destinato a soddisfare il debito comune. Benedetto il giorno che ci ha ridato il sole, a noi erranti nella notte oscura; che ci ha recato il divino manipolo dal quale è stata diffusa l'abbondanza; che ci ha dato la vite che contiene il vino della salvezza che deve dare a suo tempo. Nel cuore dell'inverno che priva gli alberi dei loro frutti la vigna si è rivestita d'una divina vegetazione; nella stagione glaciale, un pollone è spuntato dal ceppo di Jesse. È in dicembre, in questo mese che trattiene nel grembo della terra il seme che le fu affidato, che la spiga della nostra salvezza, spunta dal seno della Vergine dove era disceso nei giorni di primavera, quando gli agnelli vanno belando nei prati".

    Non è dunque da stupire che questo giorno il quale è caro a Dio stesso sia privilegiato nell'economia dei tempi; e conforta vedere le genti pagane presentire nei loro calendari la gloria che Dio gli riservava nella successione delle età. Abbiamo visto del resto che i Gentili non sono stati i soli a prevedere misteriosamente le relazioni del divino Sole di giustizia con l'astro mortale che illumina e riscalda il mondo; i santi Dottori e tutta la Liturgia sono molto prodighi riguardo a questa ineffabile armonia.

    Il battesimo di Clodoveo.

    Per incidere più profondamente l'importanza di un giorno così santo nella memoria dei popoli cristiani dell'Europa, stirpi preferite nei consigli della misericordia divina, il supremo Signore degli eventi ha voluto che il regno dei Franchi nascesse appunto il giorno di Natale (496) allorché nel Battistero di Reims, tra le pompe di tale solennità, Clodoveo, il fiero Sicambro, divenuto mite come l'agnello, fu immerso da san Remigio nel fonte della salvezza, dal quale uscì per inaugurare la prima monarchia cattolica fra le monarchie nuove, quel regno di Francia, il più bello -è stato detto - dopo quello dei cieli.

    La conversione dell'Inghilterra.

    Un secolo più tardi (597), era la volta della razza anglosassone. L'Apostolo dell'Isola dei Bretoni, il monaco sant'Agostino, dopo aver convertito al vero Dio il re Eteiredo, avanzò alla conquista delle anime. Essendosi diretto verso York, vi fece risuonare la parola di vita, e un intero popolo si unì per chiedere il Battesimo. Il giorno di Natale è fissato per la rigenerazione di quei nuovi discepoli di Cristo; e il fiume che scorre sotto le mura della città viene scelto per servire da fonte battesimale a quell'armata di catecumeni. Diecimila uomini, non contando le donne e i bambini, scendono nelle acque la cui corrente deve portar via l'immondezza delle loro anime. Il rigore della stagione non arresta i nuovi e ferventi discepoli del Bambino di Betlemme che appena pochi giorni prima ignoravano perfino il suo nome. Dalle acque gelide esce piena di gaudio e risplendente d'innocenza tutta un'armata di neofiti; e nel giorno stesso della sua nascita, Cristo conta una nazione di più sotto il suo impero.

    Ma non era ancora abbastanza per il Signore che vuole onorare il giorno della nascita del suo Figliuolo.

    L'incoronazione di Carlo Magno.

    Un'altra illustre nascita doveva ancora abbellire questo lieto anniversario. A Roma, nella basilica di San Pietro, nella solennità di Natale dell'800, nasceva il Sacro Romano Impero al quale era riservata la missione di propagare il regno di Cristo nelle regioni barbare del Nord, e di mantenere l'unità europea, sotto la direzione del Romano Pontefice. In quel giorno, san Leone III poneva la corona imperiale sul capo di Carlo Magno; e la terra attonita rivedeva un Cesare, un Augusto, non più successore dei Cesari e degli Augusti della Roma pagana, ma investito di quei titoli gloriosi dal Vicario di Colui che si chiama, nei santi Oracoli, il Re dei re, il Signore dei signori.

    La gloria del giorno di Natale.

    Così Dio ha fatto, risplendere agli occhi degli uomini la gloria del regale Bambino che nasce oggi; così egli ha preparato, di epoca in epoca attraverso i secoli, ricchi anniversari di quella Natività che da gloria a Dio e pace agli uomini. Il susseguirsi dei tempi farà vedere al mondo in che modo l'Altissimo si riserva ancora di glorificare, in questo giorno, se stesso e il suo Emmanuele.

    Nell'attesa, le nazioni dell'Occidente, colpite dalla dignità di tale festa, e considerandola con ragione come il principio di tutte le cose nell'era della rigenerazione del mondo, contarono a lungo gli anni cominciando dal Natale, come si vede su antichi Calendari, sui Martirologi di Usuardo e di Adone, e su un gran numero di Bolle, di Costituzioni e di Diplomi. Un concilio di Colonia, nel 1320, ci dimostra che tale usanza ancora esisteva a quell'epoca. Parecchi popoli dell'Europa cattolica, soprattutto gli Italiani, hanno conservato l'usanza di festeggiare il nuovo anno alla Natività del Salvatore. Si augura il buon Natale come altrove al primo gennaio il buon anno. Ci si scambiano i complimenti e i regali; si scrive agli amici lontani: preziose vestigia delle antiche usanze, di cui la fede era il principio e il baluardo invincibile.

    Ma è tale agli occhi della santa Chiesa la gioia che deve riempire i fedeli nella Nascita del Salvatore che, associandosi con una particolare indulgenza a così legittima allegrezza, abolisce per il giorno di domani il precetto dell'astinenza dalla carne, se il Natale cade il venerdì o il sabato. Questa dispensa risale al Papa Onorio III, che occupava la sede di Pietro nel 1216; ma già fin dal IX secolo san Nicola I, nella sua risposta ai quesiti dei Bulgari, aveva mostrato simile condiscendenza, per incoraggiare la gioia dei fedeli nella celebrazione non solo della solennità di Natale, ma anche nelle feste di santo Stefano, di san Giovanni Evangelista, dell'Epifania, della Assunzione della Vergine, di san Giovanni Battista e dei santi Pietro e Paolo. Ma questa indulgenza non fu universale, e l'abolizione non si è conservata che per la festa di Natale di cui accresce la popolare allegrezza.

    La legislazione civile medievale intese, a suo modo, mettere in risalto l'importanza di questa festa così cara a tutta la cristianità concedendo ai debitori la facoltà di sospendere il pagamento dei loro creditori durante tutta la settimana di Natale, che appunto per questo era, chiamata settimana di remissione, come quelle di Pasqua e della Pentecoste.

    Ma sospendiamo per un poco questi ricordi familiari, che ci piace raccogliere sulla gloriosa solennità il cui avvicinarsi commuove così dolcemente i nostri cuori. È tempo di dirigere i nostri passi verso la casa di Dio, dove ci chiama l'Ufficio solenne dei Primi Vespri. Durante il tragitto, rivolgiamo il pensiero a Betlemme, dove Giuseppe e Maria sono già arrivati. Il sole materiale volge rapidamente al tramonto; e il divino Sole di giustizia rimane nascosto ancora per qualche istante sotto la nube, nel seno della più pura delle vergini. La notte è vicina; Giuseppe e Maria percorrono le strade della città di David, cercando un asilo per mettersi al riparo. Che i cuori fedeli siano dunque attenti, e si uniscano ai due incomparabili pellegrini. È giunta ormai l'ora in cui il canto di gloria e di riconoscenza deve levarsi da ogni bocca umana. Accogliamo con sollecitudine, per la nostra, la voce della santa Chiesa: essa non è certo inferiore a così nobile compito.

    Jusepe de Ribera, Adorazione dei pastori, 1650, Musée du Louvre, Parigi

    Carl Bloch, I pastori nei campi, ovvero L'annuncio ai pastori

 

 
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