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    Predefinito 1° gennaio - Ottava di Natale - Circoncisione del Signore

    Martirologio tradizionale (1° gennaio): Ottava della Natività di nostro Signore Gesù Cristo. Circoncisione dello stesso Signor nostro Gesù Cristo.

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    Predefinito Dalla "Mistica Città di Dio" della Ven. Suor Maria di Gesù Agreda

    Libro IV, Cap. 12, §§ 500-512

    CAPITOLO 12

    Quello che venne nascosto al demonio nel mistero della nascita del nostro Salvatore, e ciò che avvenne sino alla circoncisione.


    500. Per tutti i mortali fu una grande fortuna e felicità la venuta nel mondo del Verbo eterno fatto uomo, mandato da Dio Padre, perché egli venne per dar vita e luce a tutti noi che vivevamo nelle tenebre e nell'ombra della morte. Se i reprobi e gli increduli inciamparono e inciampano in questa pietra angolare, cercando la loro rovina dove potevano e dovevano trovare la risurrezione alla vita eterna, ciò non fu colpa di questa pietra, ma di chi la rese pietra di scandalo inciampando in essa. Solo per l'inferno fu terribile la nascita del bambino Gesù, l'invincibile che con potenza veniva a spogliare del suo tirannico impero colui che, facendosi forte della menzogna, custodiva il suo castello con indisturbato, ma ingiusto possesso da così lungo tempo. Per detronizzare il principe del mondo e delle tenebre, fu giusto che gli venisse nascosto il mistero di questa venuta del Verbo, poiché non solo era indegno per la sua malizia di conoscere i misteri della Sapienza infinita, ma anche conveniva che la divina provvidenza facesse in modo che l'astuzia perversa di questo nemico lo accecasse e ottenebrasse, perché egli con essa aveva introdotto nel mondo l'inganno e la cecità della colpa, rovesciando tutto il genere umano di Adamo nella sua caduta.

    501. Per questa disposizione divina vennero nascoste a Lucifero ed ai suoi ministri molte cose che naturalmente avrebbero potuto conoscere alla nascita di Gesù e nel corso della sua vita santissima. Infatti, se avesse conosciuto con certezza che Cristo era vero Dio, è chiaro che non gli avrebbe procurato la morte, anzi l'avrebbe impedita, come dirò a suo tempo. Del mistero della nascita, egli conobbe solo che Maria santissima, non avendo trovato alloggio da nessuna parte, aveva partorito un figlio in povertà e in una grotta abbandonata. Dopo ebbe conoscenza della circoncisione di Gesù e di altre cose, che, considerata la sua superbia, potevano più oscurargli la verità che rivelargliela. Non seppe però in che modo avvenne la nascita, né che la felice Madre restò vergine dopo il parto così come lo era prima. Ignorò gli annunci degli angeli ai giusti ed ai pastori, i loro discorsi, ed anche l'adorazione che prestarono al divino bambino. Non vide neanche la stella, né comprese la causa della venuta dei Magi e, anche se li vide mentre erano in viaggio, giudicò che ciò fosse per altri fini temporali. Nemmeno i demoni conobbero la causa del mutamento avvenuto negli elementi, negli astri e nei pianeti, anche se videro i cambiamenti che subirono. Nonostante ciò, il fine rimase loro nascosto, come anche il colloquio che i Magi ebbero con Erode, il loro ingresso nella capanna, l'adorazione che resero al bambino Gesù e i doni che offrirono. Sebbene conobbero il furore di Erode, che ancor più cercarono di aizzare, contro i bambini, non compresero allora il suo depravato intento, e perciò fomentarono la sua crudeltà. Anche se Lucifero immaginò che egli intendesse prendere di mira il Messia, ciò gli parve comunque una pazzia e si burlava di Erode, perché nel suo superbo giudizio era follia pensare che il Verbo venuto ad assoggettare il mondo, avesse fatto ciò in modo nascosto ed umile; anzi, supponeva che dovesse eseguire ciò con grandiosa potenza e maestà, dalla quale invece era lontano il divino bambino, nato da madre povera e disprezzata dagli uomini.

    502. Trovandosi Lucifero in tale inganno, e avendo saputo alcune notizie riguardanti la nascita di Gesù, riunì i suoi ministri nell'inferno, e disse loro: «Non trovo ci sia da temere per ciò che abbiamo visto nel mondo, perché la donna che abbiamo tanto perseguitato ha sì partorito un figlio, ma questi è nato in condizioni di estrema povertà ed è così sconosciuto, che non hanno trovato alloggio nell'albergo. Noi ben conosciamo quanto sia distante dal potere che ha Dio e dalla sua grandezza. Se deve venire contro di noi, come ci è stato mostrato ed abbiamo compreso, non sono forze, quelle che costui ha, tali da resistere alla nostra potenza. Non vi è dunque da temere che questi sia il Messia, tanto più che vedo che lo si dovrà circoncidere come gli altri uomini, cosa che non spetta a colui che deve essere il Salvatore del mondo, mentre questi ha bisogno del rimedio per la colpa. Tutti questi segni sono contrari all'intento di una venuta di Dio nel mondo, per cui mi pare che possiamo essere sicuri che egli non è ancora venuto». I ministri del male approvarono tale giudizio del loro capo dannato, e restarono persuasi che non fosse venuto il Messia, perché tutti erano complici nella loro malizia che offuscava le loro menti. Non entrava nella vanità e superbia implacabile di Lucifero l'idea che la maestà e grandezza divina potesse umiliarsi. Dato che egli ambiva l'applauso, l'ostentazione, la venerazione e la magnificenza e che, se avesse potuto ottenere che tutte le creature lo adorassero le avrebbe obbligate a farlo, non entrava nel suo modo di ragionare il pensiero che Dio, avendo il potere di costringerle a ciò, permettesse che avvenisse l'opposto, e si assoggettasse all'umiltà che egli, satana, tanto aborriva.

    503. O figli della vanità, che esempi sono questi per il nostro disinganno! Molto ci deve attirare e spronare l'umiltà di Cristo nostro bene e maestro. Se però questa non ci muove, almeno ci trattenga ed impaurisca la superbia di Lucifero. O vizio e peccato formidabile sopra ogni ponderazione umana, che accecasti in tal maniera un angelo pieno di scienza, che perfino della stessa bontà infinita di Dio non poté formarsi altro giudizio, se non quello che fece di se stesso e della sua propria malizia! Or dunque, come ragionerà l'uomo che per se stesso è ignorante, se gli si aggiungono la superbia e la colpa? O infelice e stoltissimo Lucifero! Come potesti ingannarti in una cosa tanto piena di ragione e di bellezza? Che cosa vi è di più amabile dell'umiltà e della mansuetudine unita alla maestà ed al potere? Come ignori, o vile creatura, che il non sapersi umiliare è debolezza di giudizio, e nasce da un cuore meschino? Colui che è magnanimo e veramente grande non si appaga della vanità, né sa desiderare ciò che è vile, né lo può soddisfare ciò che è apparente e fallace. È evidente che sei tenebroso e cieco di fronte alla verità e guida oscurissima dei ciechi", poiché non giungesti a conoscere che la grandezza e la bontà dell'amore divino' si manifestava ed esaltava con l'umiltà e con l'ubbidienza, sino alla morte di croce.

    504. La Madre della sapienza e signora nostra osservava tutti gli abbagli e la pazzia di Lucifero nonché dei suoi ministri, e con degna ponderazione di misteri così profondi magnificava e benediceva il Signore, perché li nascondeva ai superbi e agli arroganti, e li rivelava agli umili e ai poveri, cominciando a vincere la tirannia del demonio. La pietosa Madre faceva fervorose orazioni per tutti i mortali, che per le loro colpe erano indegni di conoscere subito la luce, che era apparsa nel mondo per la loro salvezza, e presentava tutto al suo Figlio santissimo con incomparabile amore e compassione verso i peccatori. Ella trascorse in tali opere la maggior parte del tempo in cui dimorò nella grotta di Betlemme. Poiché quel luogo era scomodo e tanto esposto alle inclemenze del tempo, la grande Signora stava ancora più attenta a riparare il suo tenero e dolce bambino e, previdentissima, aveva portato con sé una mantellina, oltre alle fasce ordinarie, e con essa lo ricopriva, tenendolo continuamente sotto la sacra protezione delle sue braccia, tranne quando lo porgeva al suo sposo Giuseppe. Per renderlo più felice, volle infatti che anch'egli la aiutasse in ciò, servendo il loro Dio fatto uomo nel ruolo di padre.

    505. La prima volta che il santo sposo ricevette il bambino divino nelle braccia, Maria santissima gli disse: «Sposo e rifugio mio, ricevete nelle vostre braccia il Creatore del cielo e della terra, e godete della sua amabile compagnia e dolcezza, affinché il mio Signore e Dio trovi nella vostra deferenza le sue compiacenze e delizie. Prendete il tesoro dell'eterno Padre, e partecipate del beneficio del genere umano». Parlando poi interiormente col divino bambino, gli disse: «Amore dolcissimo dell'anima mia, luce dei miei occhi, riposate nelle braccia del vostro servo ed amico Giuseppe mio sposo: scambiate con lui le vostre delizie, e per esse perdonate le mie indelicatezze. Sento vivamente la vostra mancanza anche per un solo istante, ma a chi ne è degno, desidero comunicare senza invidia il bene che con cuore sincero ricevo». Il fedelissimo sposo, riconoscendo la sua nuova fortuna, si umiliò sino a terra, e rispose: «Signora e regina del mondo, sposa mia, come io, indegno, avrò l'ardire di tenere nelle mie braccia quello stesso Dio, alla cui presenza tremano le colonne del cielo? Come questo vile verme avrà animo di accettare un favore tanto raro? Io sono polvere e cenere, ma voi, o Signora, supplite alla mia scarsezza, e chiedete all'Altezza sua che mi guardi con clemenza, e mi assista con la sua grazia».

    506. Il santo sposo, fra il desiderio di ricevere il bambino Gesù ed il timore reverenziale che lo tratteneva, fece atti eroici di amore, fede, umiltà e profonda venerazione. Poi, con questo animo e con un prudentissimo tremore, s'inginocchiò e lo ricevette dalle mani della sua Madre santissima, spargendo dolcissime e copiose lacrime di gioia, tanto nuova per il fortunato santo, quanto nuovo era il favore. Il bambinello lo guardò affettuosamente e, nello stesso tempo, lo rinnovò tutto interiormente con effetti così divini che non è possibile esprimerli a parole. Il santo sposo formò nuovi cantici di lode, vedendosi arricchito con così magnifici favori e benefici. Avendo dunque il suo spirito goduto per qualche tempo degli effetti dolcissimi che provò tenendo nelle sue braccia quel medesimo Signore che nelle sue racchiude i cieli e la terra, lo restituì alla felice e fortunata madre, mentre entrambi, Maria e Giuseppe, stavano in ginocchio per darlo e per riceverlo. Con grande riverenza la prudentissima Signora lo prendeva sempre tra le braccia e lo porgeva al suo sposo, e altrettanto egli faceva, quando toccava a lui questa felice sorte. Prima di avvicinarsi a sua Maestà, la gran Regina e san Giuseppe facevano tre genuflessioni, baciando la terra con atti eroici di umiltà, culto e venerazione, ogni volta che lo ricevevano l'uno dalle braccia dell'altra.

    507. Quando la divina Madre giudicò che fosse giunto il tempo di dargli il latte, con umile riverenza ne domandò il permesso al suo stesso Figlio, e ciò perché, anche se lo doveva alimentare come figlio e vero uomo, guardava a lui sia come vero Dio sia come Signore, e conosceva la distanza tra l'essere divino infinito del Figlio e il suo di semplice creatura. Poiché tale conoscenza nella prudentissima Vergine era indefettibile e continua, non avvenne mai che incorresse neppure in una minima inavvertenza. Era sempre attenta in tutto, e comprendeva ed operava con pienezza ciò che era in sommo grado sublime e perfetto. Era diligente nell'alimentare, servire e custodire il suo bambino non con affannosa sollecitudine, ma con incessante attenzione, riverenza e prudenza, al punto di suscitare nuova ammirazione negli stessi angeli, la cui conoscenza non giungeva a comprendere le opere eroiche di una così giovane donna. Come le offrirono sempre la loro assistenza in tutto il tempo in cui dimorò nella grotta della natività, così la servivano ed aiutavano in tutte le cose, che erano necessarie per onorare il bambino Gesù e la sua stessa Madre. Tutti quanti questi misteri sono così dolci ed ammirabili e talmente degni della nostra attenzione e del nostro ricordo, che non possiamo negare che la nostra stoltezza di dimenticarceli sia molto riprovevole, e che noi siamo nemici di noi stessi quando ci priviamo del loro ricordo, nonché degli effetti divini che da esso ricevono i figli fedeli e riconoscenti.

    508. Tale è l'intelligenza che mi fu data della grande venerazione con cui Maria santissima e il glorioso san Giuseppe trattavano il divino bambino, e della riverenza dei cori angelici, che potrei prolungare molto questo discorso. Ma anche se così non faccio, voglio almeno confessare che, in mezzo a questa luce, mi ritrovo assai turbata e rimproverata, conoscendo la poca venerazione con la quale audacemente ho finora trattato con Dio, e le molte colpe, che quanto a questo ho commesso, mi sono state palesate. Tutti i santi angeli, che accompagnavano la Regina per assisterla in queste opere, rimasero in forma umana visibile dalla nascita di Gesù sino a quando la santa famiglia fuggì in Egitto, come poi dirò. La cura dell'umile ed amorosa Madre verso il suo bambino divino era così incessante, che soltanto quando doveva prendere qualche sostentamento lo passava dalle sue braccia alcune volte in quelle di san Giuseppe ed altre in quelle dei santi principi Michele e Gabriele, perché questi due arcangeli l'avevano pregata che, mentre essi mangiavano o san Giuseppe lavorava, lo consegnasse loro. Così, deponendolo nelle mani degli angeli, si adempiva mirabilmente ciò che disse Davide: «Sulle loro mani ti porteranno». La diligentissima Madre non dormiva, per custodire il suo figlio santissimo, sino a che era egli stesso a dirle di dormire e riposare, ed egli, in premio della sua vigilanza, le concesse un genere di sonno nuovo e più miracoloso di quello che ella sino allora aveva avuto. Pertanto, se in passato nel tempo in cui dormiva il suo cuore vegliava, senza che cessassero le rivelazioni interiori e la contemplazione divina, da questo giorno in poi il Signore aggiunse a questo un altro miracolo. La grande Signora infatti, dormendo quanto le era necessario, conservava un tale vigore nelle braccia da sostenere il bambino come se fosse stata nella veglia, e lo guardava con l'intelletto, come se lo avesse guardato con gli occhi del corpo, conoscendo così intellettualmente tutto quello che ella ed il bambino esteriormente facevano. Con questa meraviglia si compì ciò che si legge nel Cantico: Io dormo, ma il mio cuore veglia.

    509. Ora, come potrei, con così brevi espressioni e così limitati termini, spiegare gli inni di lode e di gloria che la nostra celeste Regina faceva al suo Dio fatto bambino, alternandone il canto con i santi angeli, ed anche col suo sposo Giuseppe? Anche solo di questo vi sarebbe molto da scrivere, perché tali inni erano assai frequenti, ed il loro canto infatti è riservato al godimento speciale degli eletti. Solo fra i mortali fortunatissimo e privilegiato fu in ciò il fedelissimo san Giuseppe, il quale molte volte ne era reso partecipe e li intendeva. Né questo era l'unico favore, ma godeva di un altro di singolare pregio e consolazione per l'anima sua, che la prudentissima sposa gli procurava, poiché ella molte volte, parlando con lui del bambino, lo chiamava loro figlio, non perché fosse figlio naturale di Giuseppe, colui che solo era Figlio dell'eterno Padre e della sola sua Madre vergine, ma perché, nel giudizio degli uomini, era ritenuto figlio di Giuseppe. Questo favore e privilegio era per il santo d'incomparabile stima e godimento, e perciò la divina Signora sua sposaglielo rinnovava frequentemente.

    Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

    510. Figlia mia, ti vedo santamente invidiosa della felicità delle mie opere, nonché di quelle del mio sposo e dei miei angeli, stando in compagnia del mio Figlio santissimo, perché noi l'avevamo sotto gli occhi come tu vorresti averlo, se fosse possibile. Ora voglio consolarti, indirizzando il tuo affetto a ciò che devi e puoi operare secondo la tua condizione, per conseguire nel grado possibile la felicità che vai considerando in noi e che ti rapisce il cuore. Considera dunque, o carissima, quel tanto che ti fu dato di conoscere delle differenti vie, per cui Dio conduce nella sua Chiesa le anime, che egli ama e cerca con paterno affetto. Tu hai potuto acquistare questa conoscenza mediante l'esperienza di tante chiamate e della luce particolare che hai ricevuto, poiché sempre alle porte del tuo cuore hai trovato il Signore, che bussava ed aspettava tanto tempo, sollecitandoti con replicati favori e altissima dottrina, sia per insegnarti ed assicurarti che la sua benignità ti ha disposta e destinata allo stretto vincolo del suo amore e dei suoi intimi colloqui, sia perché tu con attentissima cura acquisti la grande purezza che si richiede per questa vocazione.

    511. Tu non ignori affatto, poiché te lo insegna la fede, che Dio si trova in ogni luogo per essenza, presenza e potenza della sua divinità, e che a lui sono manifesti tutti i tuoi pensieri, nonché i tuoi desideri e gemiti, senza che gliene resti nascosto alcuno. Oltre ad essere ciò tanto vero, se tu t'impegnerai, da serva fedele, per conservare la grazia che ricevi per mezzo dei santi sacramenti e per altri canali divinamente disposti, il Signore starà con te in un altro modo di speciale assistenza, con la quale ti amerà e accarezzerà come sua sposa diletta. Ora, conoscendo tutto questo, se pur lo comprendi, dimmi che ti resta ancora da invidiare e desiderare, mentre ottieni il compimento dei tuoi desideri e dei tuoi sospiri? Ciò che ti rimane da fare, e che io voglio da te, è che così, santamente invidiosa, ti adoperi ad imitare la conversazione e le qualità degli angeli, nonché la purezza del mio sposo ed a copiare in te la forma della mia vita per quanto ti sarà possibile, affinché tu ti renda degna abitazione dell'Altissimo. Nel mettere in pratica questo insegnamento devi esercitare tutto quello sforzo, quella brama o santa invidia per cui avresti voluto ritrovarti con noi a vedere e adorare il mio Figlio santissimo nella sua nascita ed infanzia, perché se mi imiterai, puoi stare sicura che avrai me per tua maestra e rifugio, ed il Signore nell'anima tua con stabile possesso. In tal modo rassicurata, gli puoi parlare deliziandoti con lui e abbracciandolo come colei che lo ha con sé, poiché appunto per comunicare queste delizie alle anime pure egli prese carne umana e si fece bambino. Sebbene bambino però, sempre lo devi considerare come grande e come Dio, in modo che le carezze siano accompagnate da rispetto e l'amore dal timore santo, perché l'uno gli è dovuto e dell'altro egli si compiace per la sua immensa bontà e magnifica misericordia.

    512. Devi mantenerti continuamente in questa conversazione col Signore e senza intervalli di tiepidezza che lo disgustino, perché la tua occupazione legittima e perenne deve consistere nell'amare e lodare il suo essere infinito. Quanto a tutto il rimanente, voglio che tu ne usi molto di sfuggita, così che le cose visibili e terrene ti trovino per trattenerti solo un momento in esse. Tu devi considerarti sempre di passaggio, e che non hai altra cosa a cui attendere di cuore, fuori del sommo e vero Bene che cerchi. Devi imitare solamente me, e solo per Dio devi vivere; tutto il resto non deve esistere per te, né tu per esso. Voglio però che i beni e i doni che ricevi, tu li dispensi e comunichi a beneficio dei tuoi prossimi con l'ordine della carità perfetta, poiché essa non si estingue per questo, anzi ancor più cresce. In ciò devi osservare il modo che si addice alla tua condizione e al tuo stato, come altre volte ti ho detto ed insegnato.

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    Predefinito

    Libro IV, Cap. 13, §§ 513-529

    CAPITOLO 13

    Maria santissima conosce la volontà del Signore che il suo Figlio unigenito sia circonciso, e ne parla con san Giuseppe; viene dal cielo il nome santissimo di Gesù.


    513. Appena la prudentissima Vergine si trovò madre per l'incarnazione del Verbo nel suo grembo, incominciò a riflettere tra sé circa le tribolazioni e le pene che il suo Figlio dolcissimo veniva a patire. Poiché la sua conoscenza delle Scritture era molto profonda, comprendeva con essa tutti i misteri che queste contenevano, per cui andava prevedendo e calcolando con incomparabile compassione quanto egli doveva soffrire per la redenzione degli uomini. Questo dolore previsto e meditato con tanta sapienza fu un prolungato martirio della mansuetissima Madre dell'Agnello che doveva essere sacrificato. Tuttavia, quanto al mistero della circoncisione che doveva avere luogo dopo la nascita, la divina Signora non aveva ricevuto alcun ordine e non conosceva affatto la volontà dell'eterno Padre. Stando in tale incertezza, la compassione muoveva gli affetti e animava la dolce voce della tenera ed amorosissima Madre. Ella considerava con la propria prudenza che il suo Figlio santissimo veniva ad onorare la sua legge, dandole valore con l'osservarla e confermandola con l'adempimento, che inoltre veniva a patire per gli uomini, che il suo ardentissimo amore non ricusava il dolore della circoncisione e che anche per altri fini avrebbe potuto essere conveniente l'accettarla.

    514. D'altra parte l'amore e la compassione materna la spingevano a risparmiare, se possibile, al suo dolcissimo piccolo questa pena, anche perché la circoncisione serviva per purificare dal peccato originale, da cui il bambino Dio era del tutto libero, non avendolo contratto in Adamo. In sospeso tra l'amore per il suo Figlio santissimo e l'ubbidienza all'eterno Padre, la prudentissima Signora fece molti atti eroici di virtù, di cui sua Maestà si compiacque in modo incomparabile. Avrebbe potuto liberarsi da questo dubbio domandando subito al Signore ciò che doveva fare, ma, essendo tanto prudente ed umile, si tratteneva. Non interrogò neppure i suoi angeli, perché con ammirabile sapienza soleva attendere il tempo opportuno e conveniente, prefissato dalla divina Provvidenza in tutto, e non si affrettava mai con ansia o curiosità ad indagare qualcosa in modo soprannaturale e straordinario, soprattutto quando ciò doveva servire per alleviarle qualche pena. Quando si presentava una questione grave e dubbia, che potesse dare occasione di qualche offesa al Signore, o un caso urgente per il bene delle creature, in cui fosse necessario conoscere la volontà divina, ella domandava prima licenza di supplicarlo che le rivelasse il suo compiacimento e beneplacito.

    515. Ciò non è contrario a quello che ho già scritto in precedenza, cioè che Maria santissima non faceva niente senza interrogare sua Maestà. Questa consultazione per conoscere la volontà divina, infatti, non avveniva investigando con desiderio di una rivelazione straordinaria, perché in ciò aveva grande riserbo e prudenza, e in casi rari la domandava. Ciò che ella praticava era piuttosto il consultare senza nuova rivelazione la luce abituale e soprannaturale dello Spirito Santo, che la guidava ed indirizzava in tutte le sue azioni; sollevando qui la vista interiore, conosceva in essa la maggiore perfezione e santità nelle opere e nelle azioni comuni. Sebbene, infatti, sia vero che la Regina del cielo aveva diverse ragioni e come speciale diritto di chiedere al Signore in qualsiasi modo quale fosse la sua volontà, tuttavia, poiché era esempio di santità e discrezione, non si valeva di questo potere se non nei casi in cui così conveniva. Negli altri si regolava adempiendo letteralmente ciò che disse Davide: Come gli occhi della schiava, alla mano della sua padrona, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché abbia pietà di noia. Questa luce ordinaria, però, nella Signora del mondo era maggiore che in tutti i mortali presi insieme; e, attraverso di essa, la volontà divina domandava il suo «fiat».

    516. Il mistero della circoncisione era particolare ed unico; esso richiedeva, perciò, un'illuminazione speciale del Signore, che la prudente Madre attendeva nel tempo opportuno. Intanto, interpellando la legge, che la ordinava, diceva fra sé: «O legge comune, sei retta e santa, ma molto dura per il mio cuore, se lo devi ferire in colui che ne è la vita ed il vero Signore! Che tu sia inflessibile per purificare dalla colpa chi ne è infetto, è giusto; ma che tu debba usare la tua forza sull'innocente senza macchia sembra eccesso di rigore, se non ti sostiene il suo amore! Oh, se piacesse al mio diletto evitare questa prova! Ma come la ricuserà chi viene a cercare le pene, ad abbracciare la croce e ad adempiere e portare a compimento la legge? O strumento crudele, quanto meglio faresti se scaricassi il colpo sulla mia vita e non sul Signore che me l'ha data! Figlio mio, dolce amore e luce della mia anima, com'è possibile che così presto spargiate quel sangue che vale più del cielo e della terra? Il mio tormento di amore mi spinge ad evitare il vostro e ad esimervi dalla legge comune, che come suo autore non vi comprende. Il desiderio di adempiere questa legge, però, mi obbliga a consegnarvi al suo rigore, se voi, dolce mia vita, non commutate la vostra pena nella mia, disponendo che la patisca io al vostro posto. Vi ho dato io, Signore mio, la natura umana di Adamo, ma senza macchia di colpa; per questo la vostra onnipotenza mi ha dispensata dalla comune legge di contrarla. In quanto poi siete Figlio dell'eterno Padre ed impronta della sua sostanza per l'eterna generazione, siete infinitamente distante dal peccato. Come dunque, Signore mio, volete assoggettarvi alla legge della sua riparazione? Eppure io vedo, Figlio mio, che, essendo voi maestro e redentore degli uomini, dovete confermare l'insegnamento con l'esempio e non perderete neppure un iota o un segno in questo. O eterno Padre, se è possibile, adesso il coltello perda il suo acume e la carne la sua sensibilità. Tutto il dolore si riversi su questo vile vermiciattolo. Il vostro Figlio unigenito adempia la legge, ma sia io sola a sentire la dolorosa pena di essa. O crudele ed inumana colpa, che così presto eserciti la tua asprezza su chi non ti ha potuto commettere! O figli di Adamo, aborrite e temete il peccato, poiché per suo rimedio è necessario che sparga sangue e patisca lo stesso Dio e Signore».

    517. La pietosa Madre univa questo dolore alla gioia di vedere nato, e tra le sue braccia, l'Unigenito del Padre. Così passò i giorni che trascorsero fino alla circoncisione. Era partecipe di tale dolore il castissimo sposo Giuseppe, perché solo con lui parlò del mistero, sebbene le parole fossero poche per la compassione e per le lacrime di entrambi. Prima che fossero compiuti gli otto giorni dalla nascita, però, la prudentissima Regina, alla presenza del Signore, parlò con sua Maestà del suo dubbio e gli disse: «Altissimo re, Padre del mio Signore, ecco la vostra schiava con il vero sacrificio e con la vera ostia tra le mani. Il mio gemito e la sua causa non sono nascosti alla vostra sapienza. Fatemi conoscere, Signore, la vostra volontà divina in ordine a ciò che devo fare con il Figlio vostro e mio, per adempiere la legge. Se, patendo io i dolori derivanti dalla sua durezza ed anche altri maggiori, posso riscattare il mio dolcissimo bambino e Dio vero, ecco il mio cuore pronto ad abbracciarli; ed eccolo ugualmente disposto a non risparmiarlo, se per vostra volontà deve essere circonciso».

    518. L'Altissimo le rispose: «Figlia e colomba mia, non si affligga il tuo cuore perché devi sottoporre tuo Figlio al coltello ed al dolore della circoncisione, poiché io l'ho inviato al mondo per dare ad esso esempio e per mettere fine alla legge di Mosè adempiendola interamente. Se l'abito dell'umanità, che tu gli hai dato come madre, deve essere rotto con la ferita della sua carne e nel tempo stesso della tua anima, egli soffre anche nell'onore, essendo Figlio mio per eterna generazione, impronta della mia sostanza, uguale a me in natura, maestà e gloria; io, infatti, lo sottopongo alla legge ed al mistero che toglie il peccato, senza manifestare agli uomini che egli non ha né può avere colpa. Già sai, figlia mia, che per questa e per altre tribolazioni maggiori mi devi consegnare il tuo e mio Unigenito. Lascia, dunque, che sparga il suo sangue e mi dia le primizie della salvezza eterna degli uomini».

    519. La divina Signora si conformò a questo decreto dell'eterno Padre, come collaboratrice della nostra salvezza, con tale pienezza di santità che non può essere spiegata con ragionamento umano. Gli offrì subito con rassegnata ubbidienza e con ardentissimo amore il suo Figlio unigenito e disse: «Signore e Dio altissimo, vi offro la vittima e l'ostia del sacrificio a voi gradito insieme a tutto il mio cuore, benché pieno di compassione e di dolore nel considerare come gli uomini abbiano offeso la vostra bontà infinita a tal punto da rendere necessario che ne sia data soddisfazione da una persona che sia Dio. Eternamente vi lodo, perché guardate la creatura con infinito amore, non risparmiando il vostro medesimo Figlio per redimerla. Io, che per vostra degnazione sono Madre sua, devo più di tutti i mortali e delle altre creature abbandonarmi alla vostra volontà; così, vi offro il mansuetissimo Agnello che deve togliere i peccati dal mondo con la sua innocenza. Se, però, è possibile che l'acume di questo coltello si moderi sul mio dolce bambino aumentando nel mio cuore, il vostro braccio può operare ciò».

    520. Maria santissima uscì da questa preghiera e, senza manifestare a san Giuseppe ciò che in essa aveva inteso, con rara prudenza e con parole dolcissime lo preparò a disporre la circoncisione del bambino Dio. Come consultandolo e domandando il suo parere, gli disse che, avvicinandosi già il tempo stabilito dalla legge per la circoncisione` del divino neonato, sembrava necessario eseguirla, perché non avevano ordine di fare il contrario. Aggiunse che entrambi dovevano all'Altissimo più che tutte le creature insieme e, perciò, erano tenuti ad essere più puntuali nell'adempiere i suoi precetti, più disposti nel patire per suo amore in riconoscenza di un debito tanto incomparabile e più solleciti nel servire il suo Figlio santissimo, conformandosi in tutto al suo divino beneplacito. A queste ragioni il santissimo sposo rispose con somma venerazione e grande sapienza, dicendo che, non avendo saputo niente in contrario dal Signore, si conformava in tutto alla volontà divina manifestata con la legge comune e che il Verbo incarnato, sebbene come Dio non fosse soggetto alla legge, essendo vestito dell'umanità ed in tutto perfettissimo maestro e redentore, avrebbe gradito adempierla come gli altri uomini. Poi, domandò alla sua Sposa divina come le piaceva eseguire la circoncisione.

    521. Maria santissima rispose che, adempiendosi la legge nella sostanza, le sembrava che tutto dovesse avvenire come per la circoncisione degli altri bambini. Ella non doveva, però, lasciare e consegnare il Figlio ad un'altra persona; l'avrebbe portato e tenuto tra le sue braccia. Poiché la costituzione e la delicatezza del bambino Dio gli avrebbero fatto sentire il dolore più degli altri circoncisi, era conveniente che fosse preparata la medicina che si applicava solitamente alla ferita negli altri bambini. Inoltre, pregò san Giuseppe di procurarle subito una piccola caraffa di cristallo o di vetro in cui riporre la sacra reliquia della circoncisione del bambino Dio per conservarla presso di sé. Intanto, l'accorta Madre preparò i panni dove far cadere il sangue, che doveva cominciare ad essere versato in prezzo del nostro riscatto, in modo che non ne andasse perduta neppure una goccia e che ancora non se ne spargesse sulla terra. Preparato tutto ciò, là divina Signora dispose che san Giuseppe avvisasse e pregasse il sacerdote di venire alla grotta, affinché il bambino non uscisse di là e la circoncisione si effettuasse per mano di un ministro più conveniente e più degno di così grande ed arcano mistero.

    522. Nel medesimo tempo Maria santissima e san Giuseppe parlarono del nome che dovevano imporre al bambino Dio nella circoncisione. Il santo sposo disse: «Signora mia, quando l'angelo dell'Altissimo mi rivelò questo grande mistero, mi ordinò anche che chiamassimo Gesù il vostro sacro Figlio». Rispose la vergine Madre: «Dichiarò lo stesso nome a me, quando il Verbo eterno prese carne nel mio grembo. Poiché abbiamo saputo il nome dalla bocca dell'Altissimo per mezzo degli angeli suoi ministri, è giusto che con umile riverenza veneriamo gli occulti ed imperscrutabili giudizi della sua sapienza infinita in questo santo nome e che il mio figlio e Signore si chiami Gesù. Lo indicheremo al sacerdote, affinché annoti questo nome divino nel registro degli altri bambini circoncisi».

    523. Mentre la gloriosa Signora del cielo e san Giuseppe stavano in questa conversazione, scesero dalle altezze innumerevoli angeli in forma umana, con vesti bianche e risplendenti, nelle quali si scoprivano certi ricami color carne, di ammirabile bellezza. Portavano palme nelle mani e corone sulla testa, ciascuna delle quali emetteva raggi più vividi che molti soli; in comparazione con la bellezza di quei santi principi tutto ciò che è visibile e leggiadro nella natura sembra bruttezza. Ma ciò che più risaltava nella loro bellezza era uno stemma sul petto, che pareva scolpito o incastonato in esso, con sopra un cristallo, nel quale ognuno portava scritto il nome dolcissimo di Gesù; la fulgida luce di questo, che vibrava da ciascuno stemma, vinceva quella di tutti gli angeli insieme. Così, lo spettacolo di tanta moltitudine veniva ad essere così raro e singolare che non si può spiegare con parole né immaginare. Questi santi angeli si divisero in due cori nella grotta, contemplando tutti il loro re e Signore tra le braccia verginali della felicissima Madre. Venivano come capi di questo esercito i due grandi principi san Michele e san Gabriele, più risplendenti degli altri angeli, a preferenza dei quali portavano tra le mani il nome santissimo di Gesù, scritto con lettere più grandi e come in alcuni piccoli scudi di incomparabile splendore e bellezza.

    524. I due principi si presentarono singolarmente alla loro Regina e le dissero: «Signora, questo è il nome di vostro Figlio, che sta scritto nella mente di Dio da tutta l'eternità; la beatissima Trinità lo ha dato al vostro unigenito e Signore nostro con la potestà di salvare il genere umano. Lo colloca sulla sede e sul trono di Davide: egli regnerà su di esso, castigherà i suoi nemici, trionfando su di loro li umilierà sino a porli a sgabello dei suoi piedi e giudicando con giustizia innalzerà i suoi amici per collocarli nella gloria alla sua destra. Tutto questo, però, deve essere operato a costo di tribolazioni e di sangue; ora lo spargerà con questo nome, perché è nome di salvatore e redentore, e queste saranno le primizie di ciò che dovrà patire per ubbidire al suo eterno Padre. Tutti noi ministri e spiriti dell'Altissimo, che qui veniamo, siamo inviati e destinati dalla santissima Trinità per servire l'Unigenito del Padre e vostro, per assistere personalmente a tutti i misteri della legge di grazia e per accompagnarlo ed aiutarlo finché salga trionfante alla Gerusalemme celeste, aprendone le porte al genere umano; dopo ciò lo godremo con speciale gloria accidentale più degli altri beati, ai quali non è stato dato questo felicissimo incarico». Il fortunatissimo sposo san Giuseppe vide ed intese tutto ciò insieme alla Regina del cielo, ma la comprensione non fu uguale in entrambi. La Madre della sapienza penetrò altissimi misteri della redenzione; san Giuseppe ne conobbe molti, ma non come la sua divina sposa. Peraltro, entrambi furono ripieni di giubilo e meraviglia e con muovi cantici glorificarono il Signore. Quello, poi, che avvenne loro in vari ed ammirabili eventi, non è possibile esprimerlo a parole e non troverei termini per manifestare il mio pensiero.

    Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

    525. Figlia mia, voglio rinnovare in te l'insegnamento e la luce che hai ricevuto per trattare con sommo onore il tuo Signore e sposo, perché l'umiltà ed il timore riverenziale devono crescere nelle anime nella misura in cui ricevono favori più particolari e straordinari. Poiché molte di esse non hanno tale conoscenza, alcune si rendono indegne o incapaci di grandi benefici. Altre, che li ricevono, finiscono per incorrere in una pericolosa grossolanità, che molto offende il Signore; infatti, per la soavità dolce ed amorevole con la quale spesso concede loro grazie e le accarezza, tendono ad assumere un atteggiamento audace e puerilmente presuntuoso, trattando la Maestà infinita sen za la riverenza che le devono, e cominciano ad investigare con vana curiosità per vie soprannaturali ciò che è superiore al loro intelletto e non conviene loro sapere. Questo ardire nasce dal giudicare ed esercitare con ignoranza terrena un rapporto familiare con Dio, parendo loro che questo debba essere come quello che una creatura umana suole tenere con un'altra uguale a sé.

    526. In questo giudizio, però, l'anima s'inganna molto, misurando il rispetto che si deve alla Maestà infinita con la familiarità e con la confidenza che l'amore umano produce tra i mortali. Nelle creature razionali la natura è uguale, benché le qualità siano differenti; con l'amore e con l'amicizia può essere dimenticata la differenza che le fa disuguali, poiché entrambi conferiscono ai rapporti umani un tratto di assoluta familiarità. L'amore per Dio, però, non deve mai dimenticare l'eccellenza inestimabile dell'oggetto infinito, perché, se esso guarda alla bontà immensa e perciò non ha misura che lo limiti, tuttavia la riverenza guarda alla maestà dell'essere divino. Come in Dio sono inseparabili la bontà e la maestà, così nella creatura non si deve separare la riverenza dall'amore. Deve sempre precedere la luce della fede divina, che manifesta all'amante l'essenza dell'oggetto da lui amato; tale luce deve risvegliare e fomentare il timore riverenziale e dare peso e misura agli affetti disuguali, che l'amore cieco e sconsiderato suole generare, quando opera senza ricordarsi dell'eccellenza e della disuguaglianza dell'amato.

    527. Quando la creatura è di cuore grande ed è esercitata nel timore santo, non corre questo pericolo di dimenticarsi della riverenza dovuta all'Altissimo per la frequenza dei favori, benché siano grandi, perché non si abbandona tutta incautamente ai piaceri spirituali, né per essi perde la prudente attenzione alla suprema Maestà; anzi, la rispetta e venera tanto più quanto più la ama e conosce. Con queste anime il Signore tratta come un amico fa con un altro. Sia dunque regola inviolabile per te, figlia mia, quando godrai dei più stretti abbracci e favori dell'Altissimo, quella di stare tanto più attenta a rispettare la grandezza del suo essere infinito ed immutabile, ed a magnificarlo ed amarlo al tempo stesso. Ora, sapendo questo, conoscerai e pondererai meglio il beneficio che ricevi e non incorrerai nel pericolo e nell'audacia di quelli che con curiosa leggerezza vogliono in qualsiasi incontro, piccolo o grande, ricercare e domandare il segreto del Signore. Essi vorrebbero che la sua prudentissima provvidenza si volgesse con attenzione alla vana curiosità che li muove con qualche passione disordinata, nata non da zelo ed amore santo, ma da affetti umani e riprensibili.

    528. Considera in rapporto a questo la prudenza con la quale io operavo e che mi tratteneva nei miei dubbi, anche se nel trovare grazia agli occhi del Signore nessuna creatura può uguagliarmi. Eppure, nonostante ciò e sebbene io tenessi tra le mie braccia lo stesso Dio e fossi sua vera madre, non gli chiesi mai che mi dichiarasse cosa alcuna in modo straordinario, né per saperla, né per alleggerirmi di qualche pena, né per altro fine umano; tutto ciò, infatti, sarebbe stato fragilità naturale, curiosità vana o vizio riprensibile e niente di questo poteva avere luogo in me. Quando, però, la necessità mi obbligava per la gloria del Signore o l'occasione era inevitabile, prima chiedevo a sua Maestà licenza di proporgli il mio desiderio. Sebbene si mostrasse sempre molto propizio e mi rispondesse con grande amorevolezza domandandomi che cosa volessi dalla sua misericordia, io mi annientavo ed umiliavo sino alla polvere e chiedevo solo che m'insegnasse ciò che era più gradito ai suoi occhi.

    529. Figlia mia, scrivi nel tuo cuore questo insegnamento e bada di non volere mai indagare né sapere con desiderio disordinato e curioso cosa alcuna superiore alla ragione umana. Il Signore infatti non risponde a tale insipienza e, inoltre, il demonio sta assai attento a questo vizio nelle persone che conducono una vita spirituale. Come ordinariamente è lui l'autore di questa viziosa curiosità e la suscita con la sua astuzia, così con questa stessa suole rispondere mascherato da angelo di luce; ingannando gli imperfetti e gli incauti. Anche quando tali domande fossero suscitate solo dall'inclinazione naturale, non per questo si dovranno porre o si dovrà darsene pensiero; in un'attività così alta come il rapporto con il Signore, infatti, non si deve seguire il dettame della ragione mossa dalle sue passioni, poiché la natura infetta e depravata per il peccato si trova molto disordinata ed incline a movimenti privi di accordo e misura, che non è giusto ascoltare o avere come regola. Neppure per alleggerirsi dalle pene e dalle tribolazioni la creatura deve ricorrere alle rivelazioni divine. La sposa di Cristo ed il vero suo servo, infatti, non devono usare i suoi favori per fuggire dalla croce, ma per cercarla e portarla con lui e per abbandonarsi, quanto a quella che darà loro, alla sua divina disposizione. Io voglio da te tutto questo, moderando il tuo timore e piegandoti maggiormente verso l'estremo dell'amore, per allontanarti dal contrario. Da oggi in poi voglio che tu perfezioni le ragioni che ti muovono, operando in tutto per amore, che è la motivazione più perfetta. Questo non ha limitazione né modo; perciò, voglio che tu ami con eccesso e tema con moderazione quanto basti a non infrangere la legge dell'Altissimo ed a regolare con rettitudine tutte le tue azioni interiori ed esteriori. Sii in ciò diligente e sollecita, anche se ti costa molta tribolazione e pena, poiché io l'ho sofferta nel circoncidere il mio Figlio santissimo. L'ho fatto perché nelle leggi sante ci veniva dichiarata ed intimata la volontà del Signore, a cui in tutto e per tutto dobbiamo ubbidire.

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    Libro IV, Cap. 14, §§ 530-539

    CAPITOLO 14

    Circoncidono il bambino e gli pongono nome Gesù.


    530. A Betlemme, come nelle altre città d'Israele, c'era una sinagoga dove il popolo si riuniva per pregare - per questo si chiamava anche casa di orazione - e per ascoltare la legge di Mosè, che veniva letta e spiegata da un sacerdote dal pulpito a voce alta, affinché il popolo intendesse i suoi precetti. In detta sinagoga, però, non si offrivano sacrifici, perché essi erano riservati al tempio di Gerusalemme, salvo il caso particolare in cui il Signore avesse disposto altrimenti; ciò, infatti, non era lasciato alla libertà del popolo, come consta dal Deuteronomio, per evitare il pericolo dell'idolatria. Il sacerdote, che era maestro o ministro della legge, però, soleva esserlo anche della circoncisione, non per precetto obbligatorio, perché chiunque poteva circoncidere anche se non sacerdote, ma per la speciale devozione delle madri, delle quali molte erano mosse dall'idea che i loro bambini non avrebbero corso grande pericolo venendo circoncisi per mano di un sacerdote. La nostra munifica Regina non per questo timore, ma per la dignità del bambino, volle che il ministro della circoncisione fosse il sacerdote che stava in Betlemme; a tal fine questo fu chiamato dal felice sposo san Giuseppe.

    531. Il sacerdote giunse alla grotta della natività, dove lo attendevano il Verbo incarnato e la sua Madre vergine, che lo teneva tra le braccia; con il sacerdote vennero altri due ministri, che erano soliti aiutarlo nell'esecuzione della circoncisione. L'orrore dell'umile luogo recò stupore e disgusto al sacerdote. La prudentissima Regina, però, gli parlò e lo ricevette con tale modestia ed affabilità che efficacemente lo costrinse a mutare il rigore dello zelo in devozione e meraviglia per il contegno e la maestà onestissima della madre, la quale, senza che egli ne conoscesse la causa, lo mosse a riverenza e rispetto di così singolare creatura. Quando il sacerdote pose gli occhi sull'aspetto della madre e del bambino che ella teneva tra le braccia, sentì nel cuore un impulso nuovo, che lo inclinò a grande tenerezza e devozione, stupefatto di ciò che vedeva tra tanta povertà ed in un luogo tanto umile e disprezzato. Quando, poi, arrivò a toccare quella carne divina del neonato Dio, fu rinnovato tutto da una virtù nascosta che lo santificò e perfezionò e, infondendogli nuova grazia, lo innalzò sino ad essere santo e molto accetto all'Altissimo.

    532. Per eseguire la circoncisione con la riverenza esteriore che in quel luogo era possibile, san Giuseppe accese due candele di cera. Il sacerdote disse alla vergine Madre di appartarsi un po' e di consegnare il bambino ai ministri, affinché la vista del sacrificio non l'affliggesse. Questo comando causò qualche perplessità nella grande Signora, perché la sua umiltà e docilità la spingevano ad ubbidire al sacerdote, mentre dall'altra parte la trattenevano l'amore e la riverenza verso il suo unigenito. Per non mancare a queste due virtù, chiese con umile sottomissione al sacerdote di voler permettere, se era possibile, che ella assistesse alla circoncisione, perché l'aveva in grande venerazione e si sentiva anche il coraggio di tenere tra le braccia suo Figlio, non essendo facile in quel luogo lasciarlo ed allontanarsi; solo, lo supplicava che la circoncisione fosse fatta con tutta la pietà possibile, vista la delicatezza del bambino. Il sacerdote si disse disposto a ciò e permise che la madre stessa tenesse il bambino tra le braccia. Ella fu, perciò, il sacro altare sul quale si cominciarono a compiere le verità figurate dagli antichi sacrifici, offrendo questo, nuovo e mattutino, tra le sue braccia, affinché in tutti i modi fosse gradito all'eterno Padre.

    533. La divina Madre sciolse il suo Figlio santissimo dalle fasce in cui era avvolto e trasse dal petto una pezza bianca, che teneva pronta al calore naturale per mitigare il rigore del freddo; con tale panno prese tra le braccia il bambino, in modo che la reliquia ed il sangue della circoncisione venissero accolti in esso. Il sacerdote fece il suo ufficio e circoncise il bambino, vero Dio e vero uomo, il quale nel medesimo tempo offrì all'eterno Padre tre cose di tanto valore che ciascuna era sufficiente per la redenzione di migliaia di mondi. La prima fu l'accettare la forma di peccatore, pur essendo innocente e Figlio del Dio vivo, perché partecipava del mistero che si applicava per purificare dal peccato originale e si assoggettava alla legge cui non era tenuto. La seconda fu il dolore, poiché lo sentì come uomo vero e perfetto. La terza fu l'amore ardentissimo, con il quale incominciava a spargere il suo sangue come prezzo di riscatto per il genere umano. E rese grazie al Padre, perché gli aveva dato forma umana, nella quale patire per sua gloria ed esaltazione.

    534. Il Padre accettò questa preghiera e questo sacrificio di Gesù nostro bene ed incominciò - a nostro modo d'intendere - a considerarsi soddisfatto e pagato del debito del genere umano. Il Verbo incarnato offrì queste primizie del suo sangue come pegno della sua volontà di darlo tutto per compiere la redenzione ed annullare il documento scritto del debito dei figli di Adamo. La sua santissima Madre guardava tutti gli atti interiori dell'unigenito e comprendeva con profonda sapienza questo mistero, accompagnando il suo figlio e Signore in ciò che egli andava operando, in quanto a lei spettava. Il bambino pianse come uomo vero. E anche se il male provocato dalla ferita fu molto acuto, tanto per la delicata costituzione quanto per la durezza del coltello, che era di selce, il motivo delle sue lacrime non fu tanto il dolore ed il sentimento naturale, quanto la conoscenza soprannaturale con cui vedeva l'insensibilità dei mortali, più inamovibile e dura della pietra per resistere al suo dolcissimo amore ed alla fiamma che egli veniva ad accendere nel mondo e nei cuori di quanti professano la fede. Pianse anche la tenera ed amorevole Madre, come candidissima agnella che alza il belato insieme al suo innocente agnellino. Con reciproco amore e compassione, egli si ritrasse verso la madre ed ella dolcemente lo avvicinò con carezze al suo seno verginale e raccolse la sacra reliquia e il sangue sparso, che consegnò per il momento a san Giuseppe per poter attendere al bambino Dio ed avvolgerlo nei suoi panni. Il sacerdote si meravigliò un poco delle lacrime della Madre; ma, sebbene ignorasse il mistero, gli parve che la bellezza del bambino potesse con ragione causare tanto dolore ed amore in colei che lo aveva partorito.

    535. In tutte queste opere la Regina del cielo fu tanto prudente, pronta e magnanima che recò meraviglia ai cori degli angeli e diede sommo compiacimento al Creatore. In tutte rifulse la divina sapienza che la guidava, poiché in ogni opera agiva con la massima perfezione, come se avesse dovuto compiere quella sola. Si mostrò forte nel tenere il bambino nella circoncisione, diligente nel raccogliere la reliquia, compassionevole nel rattristarsi e piangere con lui sentendo il suo dolore, amorevole nell'accarezzarlo, attenta nel ripararlo, fervorosa per imitarlo nelle sue opere e sempre religiosa nel trattarlo con somma riverenza, senza interrompere questi atti e senza che l'uno turbasse l'attenzione e la perfezione dell'altro. Ammirabile spettacolo in una ragazza di quindici anni, che per gli angeli fu una specie di insegnamento e di meraviglia tutta nuova! Intanto, il sacerdote domandò che nome i genitori volessero dare al bambino circonciso e l'eccelsa Signora, sempre attenta al rispetto verso il suo sposo, disse a lui di dichiararlo. San Giuseppe con la venerazione dovuta si rivolse a lei, facendole capire che desiderava che uscisse dalla sua bocca così dolce nome. Per divina disposizione, però, dissero entrambi nello stesso momento: «Gesù è il suo nome». Il sacerdote rispose: «Molto concordi sono il padre e la madre ed è grande il nome che pongono al bambino». Quindi lo scrisse nel registro insieme agli altri. Nel farlo il sacerdote provò una grande commozione interiore, che l'obbligò a versare molte lacrime. Per questo, meravigliato di ciò che sentiva ed ignorava, disse: «Sono certo che questo bambino sarà un grande profeta del Signore. Abbiate grande cura della sua educazione e ditemi in che cosa posso sovvenire alle vostre necessità». Maria santissima e san Giuseppe risposero ringraziando umilmente il sacerdote e lo licenziarono, dopo avergli offerto delle candele ed altri oggetti.

    536. Maria santissima e Giuseppe rimasero soli con il bambino; di nuovo entrambi celebrarono il mistero della circoncisione, parlandone tra sé con calde lacrime e con cantici che composero al dolce nome di Gesù, la conoscenza dei quali - come si è detto di altre meraviglie - è riservata per la gloria accidentale dei santi. La prudentissima Madre curò il bambino Dio della ferita provocata dal coltello con le medicine che si è soliti applicare agli altri; quindi, per tutto il tempo in cui durarono la cura ed il dolore, non lo depose un istante dalle sue braccia, né di giorno né di notte. Le capacità umane non bastano per spiegare la sollecitudine piena di amore della divina Madre, perché in lei l'affetto naturale fu il più grande che una madre abbia mai portato ai suoi figli e quello soprannaturale sorpassò tutti i santi e gli angeli insieme. La riverenza ed il culto che gli rendeva non si possono comparare con alcun'altra cosa creata. Queste erano le delizie che il Verbo incarnato desiderava e si prendeva con i figli degli uomini', poiché, fra i dolori che sentiva per le azioni dette sopra, il suo cuore pieno di amore provava squisito diletto nell'eminente santità della sua Madre vergine. E anche se egli si compiaceva in lei sola più che in tutti i mortali e si riposava nel suo amore, l'umile Regina procurava di alleviargli la sofferenza pure con tutti gli altri mezzi possibili. A tale fine pregò i santi angeli che lo assistevano di cantare al loro Dio incarnato, bambino e addolorato. I ministri dell'Altissimo ubbidirono alla loro Regina e signora e con voci sensibili gli cantarono con celeste armonia i cantici che ella aveva composto, da sé e con il suo sposo, in lode del nuovo e dolce nome di Gesù.

    537. La divina Signora intratteneva il suo Figlio dolcissimo con questo così dolce inneggiare, in comparazione con il quale tutto quello degli uomini sarebbe una stucchevole confusione, e molto più con il diletto che gli dava l'armonia delle sue eroiche virtù, che nella sua anima santissima formavano cori di schiere, come disse lo stesso Signore e sposo nel Cantico dei Cantici. Duro è il cuore umano, e più che tardo e lento nel riconoscere ed apprezzare misteri tanto venerabili, ordinati per la sua salvezza eterna dall'immenso amore del suo Creatore e redentore. O dolce mio bene e vita dell'anima mia, che cattiva corrispondenza ti diamo per le attenzioni squisite del tuo eterno amore! O carità senza termine e misura, poiché non ti possono spegnere le grandi acque delle nostre ingratitudini tanto villane e sleali! La bontà e la santità per essenza non poté abbassarsi maggiormente per nostro amore, né usare degnazione più sublime che con il prendere forma di peccatore, applicando a se stesso, egli che era la stessa innocenza, il rimedio della colpa che non poteva toccarlo. Se gli uomini disprezzano questo esempio, se dimenticano questo beneficio, come oseranno ancora dire di avere senno? Come presumeranno e si vanteranno di essere saggi, cauti, intelligenti? Sarebbe prudenza, o uomo ingrato poiché non ti smuovono tali opere di Dio, affliggerti e piangere una così lacrimevole stoltezza e durezza di animo, vedendo che il gelo del tuo cuore non si dilegua a tanto fuoco di amore divino.

    Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

    538. Figlia mia, voglio che consideri con attenzione il beneficio e favore che tu ricevi, poiché ti faccio conoscere la delicata sollecitudine e la devozione con cui io servivo il mio santissimo e dolcissimo Figlio nei misteri di cui hai scritto. L'Altissimo non ti concede questa luce così speciale perché tu ti diletti nel conoscerla, ma affinché mi imiti in tutto come serva fedele e perché, essendo singolare nella conoscenza dei misteri di mio Figlio, tu sia tale anche nel riconoscere con gratitudine le sue opere. Considera dunque, carissima, quanto l'amore del mio figlio e Signore sia mal corrisposto dai mortali, e poco gradito e dimenticato anche dai giusti. Ritieni tuo dovere, nella misura possibile alle tue forze, riparare a questa grave offesa amandolo, ringraziandolo e servendolo per te e per tutti coloro che non lo fanno. A tal fine devi essere sollecita come un angelo nella prontezza, fervente nello zelo, puntuale nelle occasioni; e devi in tutto e per tutto morire a ciò che è terreno, sciogliendo e rompendo le catene delle inclinazioni umane, per sollevare il volo dove il Signore ti chiama.

    539. Già sai, figlia mia, quanta dolce efficacia abbia la viva memoria delle opere che il mio Figlio santissimo fece per gli uomini. Ora, anche se puoi aiutarti molto con questa illuminazione per essergli grata, affinché tu tema maggiormente d'incorrere nel pericolo della dimenticanza, ti avverto che i beati nel cielo, conoscendo alla luce divina questi misteri, si meravigliano di se stessi per la poca attenzione che vi posero mentre erano viatori. Se potessero essere capaci di pena, si rattristerebbero sommamente per la lentezza e negligenza che dimostrarono nell'apprezzare le opere della redenzione e l'imitazione di Cristo. Tutti gli angeli ed i santi, con una ponderazione nascosta ai mortali, si meravigliano della crudeltà che si è impossessata del cuore di costoro contro se stessi e contro il loro creatore e salvatore, poiché non hanno compassione di alcuno: né del Signore per ciò che pati, né di se stessi per le sofferenze che li sovrastano. Quando, però, con amarezza irrimediabile i reprobi conosceranno la loro spaventosa dimenticanza e sapranno di non avere posto attenzione alle opere di Cristo loro redentore, questa confusione e rabbia sarà per loro pena intollerabile ed essa da sola sarà un castigo superiore ad ogni immaginazione, poiché scorgeranno la grande redenzione da loro disprezzata. Ascolta, figlia, porgi l'orecchio ai miei consigli e ai miei insegnamenti di vita eterna. Distogli le tue facoltà da qualsiasi immagine ed affetto di creatura umana e rivolgi tutto il tuo cuore e la tua mente ai misteri ed ai benefici della redenzione. Abbandonati tutta ad essi; meditali, pensali, tornaci sopra e sii riconoscente per essi, come se tu fossi sola ed essi operati per te e per ciascuno degli uomini. In essi troverai la vita, la verità ed il cammino dell'eternità, seguendo il quale non potrai errare, anzi troverai la luce degli occhi e la pace.

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    Fra Filippo Lippi, Circoncisione di Gesù, 1460-65, Santo Spirito, Prato

    Michael Pacher, Circoncisione di Gesù, pannello dell'Altare di S. Wolfgang, 1479-81, Chiesa parrocchiale, Sankt Wolfgang

    Hans Leonhard Schaufelein, Circoncisione di Cristo, 1505-06, Christian Museum, Esztergom

    Cosme Tura, Circoncisione, Predella del Polittico Roverella, 1474, Isabella Stewart Gardner Museum, Boston

    Hugo van der Goes, Trittico con Adorazione dei Magi, Circoncisione e Strage degli innocenti, XV sec., Hermitage, San Pietroburgo

    Guercino, Circoncisione, 1646, Musée des Beaux-Arts, Lione

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    Predefinito Dai Discorsi sul Cantico dei cantici di san Bernardo.

    Sermones in cantica XV, 4-7, in PL 183, 845-847

    So qual è il nome di cui leggiamo nel profeta Isaia: I miei servi saranno chiamati con un altro nome [Is 65,15-16]. Infatti chi vorrà essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele.
    O nome benedetto, sei olio sparso dovunque. Dove? Dal cielo sulla Giudea e da lì su tutta la terra; e in tutto il mondo la Chiesa esclama: Olio sparso è il tuo nome [Ct 1,3 Volgata]. Veramente sparso, perché non solo dilagò in cielo e sulla terra, ma irrorò anche gli inferi, a tal punto che nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami [Fil 2,10]: Olio sparso è il tuo nome [Ct 1,3 Volgata]. Ecco Cristo, ecco Gesù: infuso negli angeli e sparso sugli uomini, per salvare quelli che erano andati totalmente in putrefazione come bestie nel loro letame; egli, che salva uomini e bestie, in quanti modi ha moltiplicato la sua misericordia su di noi!

    Quanto prezioso e quanto umile è questo nome! Umile, ma strumento di salvezza. Se non fosse stato umile, non si sarebbe lasciato spargere per me; se non fosse stato strumento di salvezza, non avrebbe potuto riscattarmi.
    Io sono partecipe del suo nome e lo sono anche della sua eredità. Sono cristiano, quindi fratello di Cristo. Se sono veramente quale son chiamato, sono erede di Dio, coerede di Cristo. Quale meraviglia, se è sparso il nome dello Sposo, dal momento che egli stesso è stato sparso? Egli infatti spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo [Fil 2,7]. E infine dice: Come acqua sono versato [Sal 21,15].
    La pienezza della Divinità abitando in forma umana sulla terra è stata sparsa, perché quanti siamo rivestiti di un corpo di morte fossimo ricolmi della sua pienezza e, fragranti del suo profumo di vita, esclamassimo: Olio sparso è il tuo nome [Ct 1,3 Volgata].

    C'è senza dubbio una certa analogia tra l'olio e il nome dello Sposo, e non senza motivo lo Spirito Santo li ha accostati. C'è - dico - e consiste nella triplice funzione dell'olio: illumina, nutre, unge. Alimenta la fiamma, nutre il corpo, lenisce il dolore: è luce, cibo, medicina. Lo stesso possiamo dire del nome di Cristo Sposo: annunziato illumina, meditato nutre, invocato lenisce e unge.
    Donde pensi che si sia diffusa in tutto il mondo una sì grande e repentina luce di fede, se non dalla predicazione del nome di Gesù? Non è forse con la luce di questo nome che Dio ci chiamò all'ammirabile sua luce? Da lui illuminati, alla sua luce vediamo la luce [Cf Sal 35,10], al punto che Paolo giustamente dice: Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore [Ef 5,8].

    All'apostolo Paolo fu ordinato di portare questo nome dinanzi ai re e alle genti, e agli stessi figli di Israele; ed egli lo portava come fiaccola che illuminava la patria, e andava gridando: La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno [Rm 13,12-13]. E a tutti mostrava la fiamma sul candelabro, annunziando in ogni luogo Gesù Crocifisso.
    Come brillò questa luce e come abbagliò gli occhi di tutti i presenti, quando, uscita come folgore dalla bocca di Pietro, consolidò le piante e le caviglie dello storpio e illuminò molti ciechi nello spirito! Davvero sparse fiamme quando disse: Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina! [At 3,6].

    Non è solo luce il nome di Gesù, ma anche cibo. Non ti senti confortato ogni volta che affiora alla tua mente? Quale cosa nutre meglio lo spirito di colui che lo medita? Chi è che calma così il tumulto dei sensi, rinvigorisce le virtù, sviluppa le abitudini buone e oneste, e nutre i casti affetti? Arido è all'anima ogni cibo, se non è cosparso di quest’olio; insipido se non è condito con questo sale. Se scrivi, non mi sa di niente se non vi leggo Gesù. Se parli o predichi, non provo alcun gusto se non odo il nome di Gesù. Gesù è miele alla bocca, melodia all’orecchio, giubilo al cuore.
    Infine, questo nome è un farmaco. Qualcuno fra di noi è triste? Il nome di Gesù gli venga in cuore e da lì gli salga sul labbro. Appena esso splende si dissipano le nuvole, torna il sereno.

    Qualcuno ha commesso una colpa grave e in preda alla disperazione corre verso la morte? Basterà che invochi il nome di vita e ritroverà il gusto di vivere.
    Di fronte a questo nome salvifico nessuno potrà mantenere la durezza di cuore abituale, la svogliatezza torpida, i rancori amari o il tedio che avvilisce mortalmente. Qualora la fonte delle lacrime si fosse inaridita, basterà invocare Gesù, perché subito essa riprenda a zampillare più dolce e abbondante. Chi nel pericolo è preso dal panico, se invoca questo nome potente, scaccia la paura, ritrova la fiducia. Chi, sballottato dal dubbio, non vedrà brillare fulminea la certezza invocando quel nome di luce? Non c'è nessuno che nell'ora della disgrazia, quando ormai sta per venir meno, non ritrovi il coraggio all'udire il nome che è aiuto.
    Queste sono le malattie dell'anima e questa è la medicina.

    La Scrittura offre la prova di quanto fin qui si è affermato: Invocami nel giorno della sventura: - canta il salmo - ti salverò e tu mi darai gloria [Sal 49,15]. Nulla come l'invocazione del nome di Gesù smonta l'ira, sgonfia la superbia, cicatrizza le piaghe dell'invidia; arresta il flusso dell'impurità e spegne l’incendio delle passioni, estingue la sete dell'avarizia, placa ogni voglia malsana.
    Quando dico "Gesù", mi vedo davanti un uomo mite e umile di cuore, pieno di bontà, sobrio, casto, misericordioso, eccelso per giustizia e santità. Al tempo stesso, mi trovo alla presenza del Dio onnipotente, il quale con l'esempio mi guarisce e con l'aiuto mi fortifica.
    Tutto questo mi canta dentro appena risuona al mio orecchio il nome di Gesù. Come uomo egli mi offre uno stile di vita, come Dio mi sostenta. Gli esempi sono essenze preziose, il soccorso divino ne aumenta il valore. Confeziono così un farmaco che nessun medico non potrà mai offrirmi.

    Anima mia, possiedi nel flacone di un solo vocabolo la medicina efficacissima per ogni tuo male: Gesù! Consérvatelo sempre in seno, a portata di mano, in modo che pensieri e atti siano senza sosta rivolti al Signore. Lui stesso ti invita: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, egli dice, come sigillo sul tuo braccio [Ct 8,6].
    Non mi dilungherò oltre: ormai hai il rimedio per sanare il tuo braccio e il tuo cuore. Sì, il nome di Gesù ti è dato per correggere le tue perversioni e perfezionare le tue incompletezze. In questo nome santissimo conserverai integri i sensi e gli affetti o li sanerai, se corrotti.

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    Predefinito Dalle Prediche di san Tommaso da Villanova

    De Circumcisione Domini Concio, 7-9. Op. Omn., Mediolani, 1760, t. II, 110-112.

    Questo nome non fu stabilito dalla Madre, nemmeno dall'angelo, ma il Padre lo inventò e lo impose al proprio Figlio. E non lo chiamò giudice, vindice o custode, ma gli diede il nome di Salvatore. La Vergine ha generato Gesù, ma il nome glielo ha dato il Padre dei cieli. Il vangelo odierno sottolinea che ciò fu per volontà dello Spirito Santo: Gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo, prima di essere concepito nel grembo della madre [Lc 2,21]. Il testo sacro non dice: Come era stato fissato dall'angelo, ma come era stato chiamato dall’angelo.
    L'aveva già profetizzato Isaia, dicendo: Ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà [Is 62,2]. Quasi a dire: il Signore fu il primo a trovare e imporre quel nome. Infatti Dio Padre sapeva molto bene con quale nome si dovesse chiamare il suo unico Figlio, quale nome fosse il più adeguato: appunto Gesù.
    Fa’ attenzione alla spiegazione dell’angelo, il quale specifica: Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati.

    Signore Gesù, questo tuo nome mi dà una fiducia sconfinata. Signore, sì, tu sei proprio Gesù. Riconosci il tuo nome, quello che il Padre ti ha imposto: sii Gesù per me. Io riconosco d’essere prigioniero, irretito nei lacci dei miei peccati, incatenato dalla mia cattiveria, stretto nei ferri della mia malvagità. Riconosco ciò che sono; anche tu, Gesù, riconosci ciò che sei.
    Di chi sei costituito il salvatore se non degli uomini perduti, dei prigionieri? Se non vi sono dei miseri, dei condannati da liberare, di chi sarai il Salvatore? Se io ti ho rinnegato, tu però, Signore, sei fedele e non puoi rinnegare te stesso.
    Fratelli miei, correte, affrettatevi a gettarvi ai piedi del Salvatore! Non abbiate nessuna paura, avvicinatevi con piena fiducia. Tenete bene in mente che egli è stato chiamato Gesù. È il Salvatore e non può respingere chi ha bisogno di salvezza. Se uno si perde, non è perché ha peccato, ma perché osò rifiutare una salvezza tanto potente, abbondante, certissima.
    Abbiamo dunque fiducia, invochiamo il suo nome, perché chiunque invocherà il nome del Signore, sarà salvato [At 2,21]. Ad una condizione, tuttavia: che lo invochiamo dal fondo di un cuore sincero.

    Sei la verità, Signore, e non puoi contraddire il tuo nome. Come ti potresti chiamare Salvatore se non ti curassi di salvarci? Come ti potremmo dire misericordioso, se a chi ti chiede pietà tu infliggessi una condanna? In Dio non c'è finzione, non è possibile l'inganno. Il tuo nome, Signore, è la tua identità. Ti chiami Gesù perché sei Gesù. Peccatore, avvicinati a lui: come attesta il suo nome, egli ha la missione di salvare il suo popolo dai suoi peccati. Noi siamo corrotti, egli è colui che purifica i peccatori e santifica le anime. Perché tremare? Non c'è nessun accento aspro, nessuna nota amara, nessun tono terribile nel nome di Gesù. Egli è tutto tenerezza e mansuetudine. La Sposa del Cantico celebra il suo nome dicendolo profumo cosparso [Ct 1,3]. Balsamo quindi, non aceto; versato, non tenuto in serbo. Dolgono le piaghe dei peccati? La coscienza rimorde? Ti tormenta il ricordo delle colpe? Fatti vicino; prendi il profumo, cospargilo su di te e l'angoscia che ti sconvolge cesserà.

    L'eccellenza e la dignità di questo nome si manifestano nella sua efficacia. Uno storpio giaceva presso la porta Bella. Ecco l'apostolo Pietro entrare di lì; egli disse allo sciancato: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava [At 3,6-8]. Che cosa è più potente o efficace di questo nome? All'udirlo i morti ritornano in vita, gli storpi camminano, i ciechi vedono e i malati sono guariti.
    Soppesa l'energia di questo nome. Considera i miracoli: quelli più certi e strepitosi sono sempre stati compiuti nel nome di Gesù. Chi mai oserà pronunziare senza sacro timore un nome così santo e potente? Solo a udirlo gli angeli si inchinano, gli uomini si inginocchiano, tremano i demoni. Questo nome mette in fuga Satana, dissipa le tentazioni più violente, penetra i cieli e tutto ottiene. Ne è garante il Signore stesso che ha dichiarato: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà [Gv 16,23]. E anche: Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò [Gv 14,14].

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    Predefinito Dai "Discorsi" di san Sofronio di Gerusalemme.

    Disc. 3, De Hypapante, 15-18, in PG 87, III, 3297-3299

    Il vecchio Simeone vide la salvezza di Dio e proruppe in azione di grazie. Portò in braccio la salvezza stessa del Padre, mediante la quale egli trasmetteva agli umani la possibilità di salvarsi e una stupenda redenzione. Poi Simeone si indirizzò alla Vergine che aveva concepito nella propria carne e messo al mondo il Redentore, e si rivolse pure a Giuseppe, stimato padre di tale Luce del mondo, e pur totalmente estraneo alla sua nascita. Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele. Per la caduta di chi serve la lettera, per la risurrezione dei figli della grazia; per la caduta di chi venera l'antico legalismo, per la risurrezione degli amici della novità evangelica; per la caduta di chi si vanta d'aver Abramo come padre secondo la carne, per la risurrezione dei figli nati al patriarca dalla fede; per la caduta di chi è paludato nella prudenza del vecchio Adamo, per la risurrezione di chi sa rivestirsi del nuovo Adamo.

    E' questi, o Madre rimasta vergine, il solo che fu generato da Dio secondo la natura ed è consustanziale a Dio Padre; solo lui ha Dio per Padre, solo lui è riconosciuto come l'Unigenito; eppure si è incarnato in te, o Vergine, da te nacque come uomo. Ma anche tu che contemplasti i misteri divini più alti, e desti al mondo questo tesoro di grazia, ti sentirai trafiggere l'anima da una spada; la spada penetrerà il tuo cuore e il tuo spirito sbigottito, quando vedrai coi tuoi occhi il Figlio volontariamente appeso in croce, innalzato fra due banditi mettere a morte la morte stessa, dalla quale eravamo uccisi. Allora lo vedrai darci la vita mentre giustamente stavamo agonizzando, lo vedrai incatenare legioni di demoni e svincolare l'uomo dalle catene del peccato, con cui satana da tanto tempo lo teneva imprigionato. Sì, sarai ferita alla vista di tutto ciò, ma non rimarrai a lungo sospesa. L'anima e lo spirito ti saranno trafitti da una spada, da prove enormi e orrende, ma il dubbio svanirà. Verrà strappato dal tempo e dallo spazio, ad opera del tuo concepimento senza unione, del tuo parto verginale.

    Nulla di più spaventoso di quelle prove, nulla di più difficile da credere per menti torpide. Saranno svelati i pensieri di molti, che non possono contemplare i tuoi misteri divini e abbaglianti, anzi neppure poterono vedere le potenze celesti. Perciò chi non crede a quel messaggio precipita in rovina; invece si rialza illuminato per la vita eterna chi crede al tuo Figlio, lo confessa Dio e riconosce in te, sua madre, la Madre di Dio. Così Cristo, nato da te sarà come segno di contraddizione per tutti quelli che non comprenderanno i tuoi misteri e rotoleranno in una caduta irrimediabile insieme con la pena dovuta a quel loro rifiuto di credere; costoro non contempleranno mai la risurrezione dai morti e la vita del cielo, per non aver prestato fede alla vita eterna.
    Poi, Simeone indugiò; aveva visto il regno della legge, anzi il legislatore in persona venire a presentarsi secondo le prescrizioni della legge. Nessuno potrà contraddire il pensiero di Paolo: Cristo è salvezza per chi crede, caduta e rovina per ogni mente infedele.

    Ecco Anna: avanza a passi stentati, come una vecchia. Il mistero la chiama, perché si compia la profezia e lei renda profetica testimonianza che il Signore ha manifestato la sua salvezza e ha rivelato la giustificazione davanti a tutti i popoli. Non c'è più la legge, venuta prima come ombra e immagine, a imporre agli umani intollerabili pesi, perché ormai la grazia è rivelata a tutti con il suo giogo dolce e il suo carico leggero. Non c'è più legge, perché tutti i profeti l'annunziano parlando di Cristo, quando egli è già lì, lui che ispirò le loro profezie e li inviò a profetizzare. Sì, Anna fu illuminata da grazia profetica e parlò a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Israele. Radicò nei cuori la consolazione divina: il Redentore dell'umanità era giunto, il Salvatore del mondo era apparso e voleva riscattare la sua immagine, bramava apportare salvezza all'uomo, sua creatura. Infatti Cristo si chiama Gesù e Gesù significa salvatore.

  9. #9
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    Predefinito

    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 177-183

    1° GENNAIO

    CIRCONCISIONE DI NOSTRO SIGNORE E OTTAVA DI NATALE

    Il mistero di questo giorno.


    L'ottavo giorno dalla Nascita del Salvatore è giunto; i Magi si avvicinano a Betlemme; ancora cinque giorni, e la stella a fermerà sui luogo dove riposa il Bambino divino. Oggi, il Figlio dell'Uomo deve essere circonciso, e segnare, con questo primo sacrificio della sua carne innocente, l'ottavo giorno della sua vita mortale. Oggi, gli sarà imposto un nome; e questo nome sarà quello di Gesù che vuoi dire Salvatore. I misteri riempiono questo grande giorno; accogliamoli, e onoriamoli con tutta la religione e con tutta la tenerezza dei nostri cuori.

    Ma questo giorno non è soltanto consacrato a onorare, la Circoncisione di Gesù; il mistero della Circoncisione fa parte di un altro ancora maggiore, quello dell'Incarnazione e dell'Infanzia del Salvatore; mistero che non cessa di occupare la Chiesa non solo durante questa Ottava, ma anche nei quaranta giorni del Tempo di Natale. D'altra parte, l'imposizione del nome di Gesù deve essere glorificata con una solennità speciale, che presto celebreremo. Questo grande giorno fa posto ancora a un altro oggetto degno di commuovere la pietà dei fedeli. Tale oggetto è Maria, Madre di Dio. Oggi, la Chiesa celebra in modo speciale l'augusta prerogativa della divina Maternità, e conferita a una semplice creatura, cooperatrice della grande opera della salvezza degli uomini.

    Un tempo la santa Romana Chiesa celebrava due messe il primo gennaio: una per l'Ottava di Natale, l'altra in onore di Maria. In seguito, le ha riunite in una sola, come pure ha unito nel resto dell'Ufficio di questo giorno le testimonianze dell'ammirazione per il Figlio alle espressioni dell'ammirazione e della sua tenera fiducia per la Madre.

    Per pagare il tributo di omaggi a colei che ci ha dato l'Emmanuele, la Chiesa Greca non aspetta l'ottavo giorno dalla Nascita del Verbo fatto carne. Nella sua impazienza, consacra a Maria il giorno stesso che segue al Natale, il 26 dicembre, sotto il titolo di Sinassi della Madre di Dio, riunendo queste due solennità in una sola, di modo che onora santo Stefano solo il 27 dicembre.

    La Maternità divina.

    Noi figli maggiori della santa Romana Chiesa, effondiamo oggi tutto l'amore dei nostri cuori verso la Vergine Madre, e uniamoci alla felicità che essa prova per aver dato alla luce il Signore suo e nostro. Durante il sacro Tempo dell'Avvento, l'abbiamo considerata incinta della salvezza del mondo; abbiamo proclamato la suprema dignità del suo casto seno come un altro cielo offerto alla Maestà del Re dei secoli. Ora essa ha dato alla luce il Dio bambino; lo adora, ma è la Madre sua. Ha il diritto di chiamarlo suo Figlio; e lui, per quanto Dio, la chiamerà con tutta verità sua Madre.

    Non stupiamo dunque che la Chiesa esalti con tanto entusiasmo Maria e le sue grandezze. Comprendiamo al contrario che tutti gli elogi che essa può farle, tutti gli omaggi che può tributarle nel suo culto, rimangono sempre molto al di sotto di ciò che è dovuto alla Madre del Dio incarnato. Nessuno sulla terra arriverà mai a descrivere e nemmeno a comprendere quanta gloria racchiuda tale sublime prerogativa. Infatti, derivando la dignità di Maria dal fatto che è Madre di Dio, sarebbe necessario, per misurarla in tutta la sua estensione, comprendere prima la Divinità stessa. È a un Dio che Maria ha dato la natura umana; è un Dio che essa ha per Figlio; è un Dio che si è onorato, di esserle sottomesso, secondo l'umanità. Il valore di così alta dignità in una semplice creatura non può dunque essere stimato se non riavvicinandolo alla suprema perfezione del grande Dio che si degna così di mettersi sotto la sua dipendenza. Prostriamoci dunque davanti alla Maestà del Signore; e umiliamoci davanti alla suprema dignità di colei che Egli si è scelta per Madre.

    Se consideriamo ora i sentimenti che tale situazione ispirava a Maria riguardo al suo divin Figlio, rimarremo ancora confusi dalla sublimità del mistero. Quel Figlio che essa allatta, che tiene fra le braccia, che stringe al cuore, lo ama perché è il frutto del suo seno; lo ama, perché è madre, e la madre ama il figlio come se stessa e più di se stessa; ma se passa a considerare la maestà infinita di Colui che si affida così al suo amore e alle sue carezze, trema e si sente quasi venir meno, fino a che il suo cuore di Madre la rassicura, al ricordo dei nove mesi che quel Bambino ha passato nel suo seno, e del sorriso filiale con il quale le sorrise nel momento in cui lo diede alla luce. Questi due grandi sentimenti, della religione e della maternità, si confondono in quel cuore su quell'unico e divino oggetto. Si può immaginare qualcosa di più sublime di questo stato di Maria Madre di Dio? e non avevamo ragione di dire che, per comprenderlo in tutta la sua realtà, bisognerebbe comprendere Dio stesso, il solo che poteva concepirlo nella sua infinita sapienza, e realizzarlo nella sua infinita potenza?

    Madre di Dio! Ecco il mistero per la cui realizzazione il mondo era nell'attesa da tanti secoli; l'opera che, agli occhi di Dio, sorpassava infinitamente, come importanza, la creazione di un milione di mondi. Una creazione non è nulla per la sua potenza; egli dice, e tutte le cose sono fatte. Al contrario, perché una creatura diventasse Madre di Dio, egli ha dovuto non soltanto invertire tutte le leggi della natura col rendere feconda la verginità, ma porsi divinamente egli stesso in apporti di dipendenza, in rapporti di figliolanza riguardo alla fortunata creatura che ha scelta. Ha dovuto conferirle diritti su se stesso, accettare doveri verso di lei; in una parola, farne la Madre sua ed essere suo Figlio.

    Da ciò deriva che i benefici di quella Incarnazione che dobbiamo all'amore del Verbo divino, potremo e dovremo, con giustizia, riferirli nel loro significato vero, benché inferiore, a Maria stessa. Se essa è Madre di Dio, è perché ha consentito ad esserlo. Dio si è degnato non solo di aspettare quel consenso, ma di farne dipendere la venuta del suo figlio nella carne. Come il Verbo eterno pronunciò il FIAT sul caos, e la creazione usci dal nulla per rispondergli; cosi, mettendosi Dio in ascolto, Maria pronunciò anch'essa il suo FIAT: sia fatto di me secondo la tua parola; e lo stesso Figlio di Dio ascese nel suo casto seno. Dobbiamo dunque il nostro Emmanuele dopo Dio, a Maria, la sua gloriosa Madre.

    Questa necessità indispensabile d'una Madre di Dio, nel piano sublime della salvezza del mondo, doveva sconcertare gli artefici di quell'eresia che voleva distruggere la gloria del Figlio di Dio. Secondo Nestorio, Gesù non sarebbe stato che un uomo; la Madre sua non era dunque se non la madre d'un uomo: il mistero dell'Incarnazione era annullato. Di qui, l'antipatia della società cristiana contro un così odioso sistema. All'unisono, l'Oriente e l'Occidente proclamarono il Verbo fatto carne, nell'unità della persona, e Maria veramente Madre di Dio, Deipara, Theotocos, poiché ha dato alla luce Gesù Cristo. Era dunque giusto che a ricordo della grande vittoria riportata nel concilio di Efeso, e per testimoniare la tenera venerazione dei cristiani verso la Madre di Dio, si elevassero solenni monumenti che avrebbero attestato nei secoli futuri quella suprema manifestazione. Fu allora che cominciò nella Chiesa greca e latina, la pia usanza di congiungere, nella solennità di Natale, la memoria della Madre al culto del Figlio. I giorni assegnati a tale commemorazione furono differenti, ma il pensiero di religione era lo stesso.

    A Roma, il santo Papa Sisto III fece decorare l'arco trionfale della Chiesa di S. Maria ad Praesepe, la meravigliosa basilica di S. Maria Maggiore, con un immenso mosaico a gloria della Madre di Dio. Quella preziosa testimonianza della fede del V secolo è giunta fino a noi; e in mezzo a tutto l'insieme sul quale figurano, nella loro misteriosa ingenuità, gli avvenimenti narrati dalle sacre Scritture e i simboli più venerabili, si può leggere ancora la nobile iscrizione con la quale il santo Pontefice dedicava quel segno della sua venerazione verso Maria, Madre di Dio, al popolo fedele: XISTUS EPISCOPUS PLEBI DEI.

    Canti speciali furono composti anche a Roma per celebrare il grande mistero del Verbo fattosi uomo da Maria. Magnifici Responsori e Antifone vennero a servire d'espressione alla pietà della Chiesa e dei popoli, e hanno portato quell'espressione attraverso i secoli. Fra questi brani liturgici, vi sono delle Antifone che la Chiesa Greca canta con noi, nella sua lingua, in questi stessi giorni, e che attestano l'unità della fede come la comunità dei sentimenti, davanti al grande mistero del Verbo incarnato.

    MESSA

    La Stazione è a S. Maria in Trastevere. Era giusto che si glorificasse questa Basilica che fu sempre venerabile fra quelle che la pietà cattolica ha consacrate a Maria. È la più antica fra le Chiese di Roma dedicate alla santa Vergine, e fu consacrata da san Callisto, fin dal secolo III, nell'antica Taberna Meritoria, luogo celebre presso gli stessi autori pagani per la fontana d'olio che ne scaturì, sotto il regno d'Augusto, e scorse fino al Tevere. La pietà dei popoli ha voluto vedere in quell'avvenimento un simbolo del Cristo (unctus) che doveva presto nascere; e la Basilica porta ancora oggi il titolo di Fons olei [1].
    EPISTOLA (Tit 2,11-15). - Carissimo: Apparve la grazia di Dio nostro Salvatore a tutti gli uomini, e ci ha insegnato a rinunziare all'empietà ed ai mondani desideri, per vivere con temperanza, giustizia e pietà in questo mondo, attendendo la beata speranza, la manifestazione gloriosa del gran Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo: il quale diede se stesso per noi, affine di riscattarci da ogni iniquità e purificarci un popolo tutto suo, zelatore di opere buone. Così insegna ed esorta: in Gesù Cristo Signor nostro.
    In questo giorno, nel quale noi facciamo cominciare l'anno civile, i consigli del grande Apostolo vengono a proposito per avvertire i fedeli dell'obbligo che hanno di santificare il tempo che è loro dato. Rinunciamo ai desideri del secolo; viviamo con sobrietà con giustizia e con pietà; e nulla ci distragga dall'attesa della beatitudine che tutti speriamo. Il grande Dio e Salvatore Gesù Cristo, che appare in questi giorni nella sua misericordia per ammaestrarci, ritornerà nella sua gloria per ricompensarci. Il progredire del tempo ci avverte che il giorno si avvicina; purifichiamoci e diventiamo un popolo accetto agli occhi del Redentore, un popolo intento alle opere buone.
    VANGELO (Lc 2,21). - In quel tempo: Come passarono gli otto giorni per la circoncisione del fanciullo, gli fu posto nome Gesù, com'era stato chiamato dall'Angelo prima che nel seno materno fosse concepito.
    Il Bambino è circonciso; non appartiene più soltanto alla natura umana, ma diventa, per tale simbolo, membro del popolo eletto e consacrato al divino servizio. Egli si sottomette a quella cerimonia penosa, a quel segno di servitù, per compiere ogni giustizia. Riceve in cambio il nome di Gesù, nome che vuoi dire Salvatore; egli ci salverà dunque, ma ci salverà con il suo sangue. Ecco la volontà divina accettata da lui. La presenza del Verbo incarnato sulla terra ha per fine un sacrificio, e questo sacrificio comincia già. Potrebbe essere pieno e perfetto con quella sola effusione del sangue d'un Dio-Uomo; ma l'insensibilità del peccatore, del quale l'Emmanuele è venuto a conquistare l'anima, è così profonda che i suoi occhi contempleranno troppo spesso, senza che egli si commuova, l'abbondanza del sangue divino che è scorso sulla croce. Le poche gocce del sangue della circoncisione sarebbero bastate alla giustizia del Padre, ma non bastano alla miseria dell'uomo; e il cuore del divino Bambino vuole soprattutto guarire questa miseria. Per questo appunto egli viene; e amerà gli uomini fino all'eccesso, perché non vuole portare invano il nome di Gesù.
    * * *
    Consideriamo, in questo ottavo giorno dalla Nascita del divino Bambino, il grande mistero della Circoncisione che si opera nella sua carne. Oggi la terra vede scorrere le primizie del sangue che deve riscattarla; oggi il celeste Agnello, che deve espiare i nostri peccati, comincia a soffrire per noi. Compatiamo l'Emmanuele, che si offre con tanta dolcezza allo strumento che deve imprimergli un segno di servitù.

    Maria, che ha vegliato su di lui con tanta sollecitudine, ha visto venire l'ora delle prime sofferenze del suo Figlio con una dolorosa stretta al suo cuore materno. Sente che la giustizia di Dio potrebbe fare a meno di esigere quel primo sacrificio, oppure accontentarsi del prezzo infinito che esso racchiude per la salvezza del mondo, e tuttavia, bisogna che la carne innocente del suo Figlio sia già lacerata, e che il suo sangue scorra sulle delicate membra.

    Essa vede, desolata, i preparativi di quella rozza cerimonia; non può ne fuggire ne considerare il suo Figlio nelle angosce di quel primo dolore. Bisogna che oda i suoi sospiri, il suo gemito di pianto, e veda scendere le lacrime sulle sue tenere gote. "Ma mentre egli piange - dice san Bonaventura - credi tu che la Madre sua possa contenere le lacrime? Essa stessa dunque pianse. E vedendola così piangere, il Figlio suo, che stava ritto sul suo grembo, portava la manina sulla bocca e sul viso della Madre, come per farle segno di non piangere, perché Colei che egli amava teneramente, la voleva vedere cessare di piangere. Similmente da parte sua la dolce Madre, le cui viscere erano fortemente commosse dal dolore e dalle lacrime del suo Figliuolo, lo consolava con i gesti e con le parole. Infatti, siccome era molto prudente, essa intendeva bene la sua volontà, per quanto ancora non parlasse. E diceva: Figlio mio, se vuoi che io smetta di piangere, smetti anche tu, perché non posso fare a meno di piangere anch'io se piangi tu. E allora, per compassione verso la Madre, il Figlioletto cessava di singhiozzare. La Madre gli asciugava quindi gli occhi, metteva il suo viso a contatto con quello di lui, lo allattava e lo consolava in tutti i modi che poteva" [2].

    Ora, che cosa renderemo noi al Salvatore delle anime nostre, per la Circoncisione che si è degnato di soffrire onde mostrarci il suo amore? Dovremo seguire il consiglio dell'Apostolo (Col 2,2) e circoncidere il nostro cuore da tutti i suoi affetti cattivi, sradicarne il peccato con tutte le sue cupidigie, vivere infine di quella vita nuova di cui Gesù Bambino ci reca dal ciclo il semplice e sublime modello. Cerchiamo di consolarlo di questo primo dolore, e rendiamoci sempre più disposti agli esempi che egli ci dà.
    PREGHIAMO

    O Dio, che per la feconda verginità della beata Vergine Maria hai procurato al genere umano il prezzo dell'eterna salvezza; concedici, te ne preghiamo, di sentire l'intercessione di Colei che ci offrì in dono l'autore della vita, nostro Signor Gesù Cristo.
    ---------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    [1] Fino all'VIII secolo, il primo giorno dell'anno si celebrava con una festa pagana. La Chiesa la sostituì, fra il 600 e il 657, con una festa cristiana, l'Octava Domini; era una nuova festa di Natale con uno speciale ricordo dedicato a Marla, Madre di Gesù, e la Stazione si faceva a S. Marla ad Martyres, il Pantheon d'Agrippa. Questa festa sarebbe, a giudizio di alcuni, la prima festa mariana della liturgia romana (Ephem. Liturg. t. 47, p. 430). I calendari bizantini dell'VIII e del IX secolo, e prima ancora il canone 17 del Concilio di Tours tenutosi nel 567 e il Martirologio gerominiano (fine del VI secolo) indicano, per il 1° gennaio, la festa della Circoncisione. Inoltre, nel paesi ielle Gallie si digiunava in quel giorno per distogliere i fedeli dalle feste pagane del 1° gennaio. Solo nel IX secolo la Chiesa Romana accetta la festa della Circoncisione: si ebbe allora doppio Ufficio e doppia Stazione, una delle quali a San Pietro.

    [2] Meditazioni sulla Vita di Gesù Cristo, Vol. I.

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