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    Predefinito 4° Domenica di Quaresima o Domenica Laetare

    Dai Discorsi di sant’Agostino, Sermo CXXX, 1-2. PL 38, 725-727

    Fu operato un grande miracolo quando furono saziati cinquemila uomini con cinque pani e due pesci, oltre alle dodici ceste di pezzi avanzati. Grande il miracolo, ma esso non ci meraviglia molto se consideriamo chi l'ha compiuto. Ha moltiplicato i cinque pani tra le mani di coloro che li dividevano colui che moltiplica i semi che germinano sulla terra, tanto che si gettano pochi granelli e si riempiono i granai. Ma, poichè lo ripete ogni anno, nessuno se ne stupisce. Non è la mancanza di risalto nell'evento a togliere la meraviglia, ma la continuità.
    D'altra parte, il Signore, quando operava queste cose, si esprimeva, per chi stava ad intenderlo, non solo a parole, ma anche attraverso gli stessi miracoli. I cinque pani significano i cinque libri della Legge di Mosè. La legge antica è orzo rispetto al grano evangelico. Quei libri contengono grandi misteri in ordine a Cristo. Pertanto egli stesso affermò: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto.

    Come nell'orzo l'interno è nascosto sotto la pula, così Cristo si cela sotto il velo dei misteri della legge. Quando come pane i misteri della legge sono presentati ed esposti, assumono un'ampiezza imprevista; così anche quei pani si espandevano quando venivano spezzati. Anch’io vi ho spezzato del pane ed è ciò che vi ho esposto.
    Ma rivolgiamoci all'autore di questo miracolo; egli è il pane disceso dal cielo, pane che fa ristorare e non si può consumare, pane che può nutrire e non si può esaurire. Anche la manna era figura di questo pane, per cui il salmista cantò: Diede loro pane dal cielo: l’uomo mangiò il pane degli angeli. Chi, se non Cristo, è il pane del cielo? Ma perché l'uomo potesse mangiare il pane degli angeli, il Signore degli angeli si fece uomo. Se tale non si fosse fatto, non avremmo il suo corpo, non mangeremmo il pane dell'altare. Affrettiamoci a ricevere l'eredità, perché grande è il pegno che ne abbiamo.

    Fratelli miei, desideriamo la vita di Cristo, perché abbiamo con noi il pegno della sua morte. Come non ci darà i suoi beni egli che soffrì i nostri mali?
    In questa terra, in questo mondo malvagio, che cosa abbonda se non il nascere, il tribolare, il morire? Scrutate le vicende umane e smentitemi, se non sono sincero. Osservate se tutti gli uomini sono in questo mondo per un fine diverso dal nascere, tribolare e morire. Tali sono i prodotti della nostra regione e vi sovrabbondano.
    Per avere di tali merci, quel Mercante vi è disceso. Ora ogni mercante dà e riceve, dà quel che possiede e riceve quel che non possiede; quando acquista qualcosa dà il denaro e riceve quello che ha comprato. Anche Cristo, in questo commercio, ha dato e ha ricevuto. Ma che ha ricevuto? Ciò che qui abbonda: il nascere, il tribolare, il morire. E che cosa ha dato? Il rinascere, il risorgere, il regnare per l'eternità.
    O Mercante buono, acquistaci! Che sto a dire "acquistaci", quando dobbiamo rendere grazie perché ci hai già comprati? Tu ci paghi il nostro riscatto: beviamo il tuo sangue, ci distribuisci il nostro prezzo.

    Noi leggiamo il vangelo che è l'atto di acquisto che ci riguarda. Siamo tuoi servi, siamo tua creatura; ci hai creati, ci hai redenti.
    Ognuno può acquistarsi uno schiavo, quanto a crearlo non può. Il Signore, invece, ha creato e redento i suoi servi. Li ha creati perché esistessero, li ha redenti perché non fossero prigionieri per sempre. Eravamo incappati nel principe di questo mondo, che sedusse Adamo rendendolo servo e cominciò a possederci come schiavi in casa propria.
    Ma venne il nostro Redentore e il seduttore fu vinto. E il nostro Redentore come trattò chi ci aveva resi schiavi? Per il nostro riscatto tese come trappola la sua croce; vi pose come esca il suo sangue. Il seduttore però poté spargere il sangue divino, ma non meritò di berlo.
    E per il fatto stesso che sparse il sangue di chi nulla gli doveva, fu obbligato a rilasciare i colpevoli. Il Signore ha versato il suo sangue appunto per cancellare i nostri peccati; perciò chi ci teneva schiavi è stato distrutto dal sangue del Redentore. Infatti soltanto i vincoli dei nostri peccati ci legavano al demonio. Ma venne Cristo, legò il forte con le catene della sua passione; entrò nella dimora di lui, cioè nei cuori degli uomini, dove quello abitava e gli portò via i vasi suoi. Siamo noi i vasi. Il demonio li aveva colmati della sua amarezza. Anche al nostro Redentore, nel fiele, dette da bere tale amarezza. Ma quei vasi che il demonio aveva colmati di sé, nostro Signore glieli strappò e facendoli propri li vuotò dell'amaro e li colmò di dolcezza.

  2. #2
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    Predefinito Dalle Omelie e di san Beda il Venerabile

    Hom.21 in Quadragesima. PL 94, 110-114.

    Chi comprende davvero i miracoli del Salvatore quando li ascolta o ne legge il racconto, non si ferma tanto al loro lato spettacolare, ma piuttosto fissa l'attenzione sull'insegnamento spirituale e mistico che racchiudono.
    Si avvicinava la Pasqua, la grande festa dei Giudei; il Signore rinvigoriva quelli che lo seguivano con la parola di salvezza e le guarigioni che operava. Luca infatti riferisce: Prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure (Lc 9, 11). Allorché quella folla fu nutrita con la dottrina e sanata dai mali, il Signore la saziò in sovrabbondanza valendosi di cinque pani di orzo e due pesci.
    Anche per noi, fratelli, si sta avvicinando Pasqua, la festa della nostra redenzione. Uniamoci dal fondo del cuore a quella moltitudine di fratelli che seguono il Signore. Fissiamo lo sguardo vigile e ardente sull'itinerario delle opere che Cristo percorse per saper calcare le sue orme.

    Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato (1 Gv 2, 6). Se notiamo in noi qualche letale ignoranza, annulliamola mediante l'ascolto frequente della Parola. Percepiamo in noi i disastri della tentazione spirituale?
    Chiediamo la guarigione all'irrefrenabile amore di Dio.
    Imploriamo sempre la sua grazia, quand'anche ci sentissimo uniti a lui nella dolcezza della vita beata.
    Supplichiamolo di colmarci della compunzione tanto necessaria e del dono delle altre virtù spirituali. Così il giorno della sua santissima risurrezione, potremo ricevere i sacramenti della nostra salvezza, ornati di dentro e di fuori da vesti splendenti, cioè nella purezza del corpo e del cuore.
    Dopo questa rapida introduzione, permettetemi ora di esporre alla vostra carità l'insegnamento spirituale che possiamo scoprire nell'intero arco del sacro testo.

    Il vangelo ci dice: Alzati gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva a lui. Questa frase ci insegna come la tenerezza divina si fa incontro a coloro che la cercano. La luce dello Spirito li illumina perché non debbano smarrirsi. Lo sguardo di Gesù sta infatti ad indicare, in senso mistico, i doni dello Spirito Santo, come lo attesta l'Apocalisse di san Giovanni: Vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra (Ap 5, 6).
    Il Maestro disse allora per mettere alla prova Filippo: Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Gesù non interroga il discepolo per sapere qualcosa che gli sarebbe sfuggita, ma perché Filippo riconosca la sua mancanza di fede e se ne corregga davanti al miracolo operato.
    Infatti Filippo non avrebbe dovuto domandarsi in che modo la folla avrebbe potuto essere saziata, giacché si trovava alla presenza del Signore che trae dalla terra il vino che allieta il cuore dell'uomo e il pane che sostiene il suo vigore (Sal 103, 15).

    Alla vista del prodigio che Gesù aveva compiuto, le genti dicevano: Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!
    Avevano ragione di definire il Signore come grande profeta che annunziava al mondo la salvezza definitiva. Gesù stesso, d'altronde, si attribuì il titolo di profeta quando dichiarò: Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme (Lc 13, 33).
    Eppure la fede della gente non era completa, perché non sapevano che quel profeta era anche il Signore. La nostra fede invece è più lucida, e quando contempliamo il mondo creato da Gesù e i prodigi che vi ha sparso a piene mani, possiamo dire: Questi è davvero il mediatore fra Dio e gli uomini, colui che riempie il mondo con la sua divinità. L'universo fu creato da lui, egli è venuto nella sua proprietà a cercare il genere umano e a salvare quanto era perduto, al fine di restaurare la prima creazione. Egli rimane con i suoi fedeli sino alla consumazione dei tempi mediante la presenza della sua divinità. Tornerà alla fine del mondo con la sua umanità per dare a ciascuno secondo le sue opere. Allora getterà empi e peccatori nel fuoco eterno, ma introdurrà i giusti nella vita perfetta in cui egli vive con il Padre, nell'unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

  3. #3
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    Harmenszoon van Rijn Rembrandt, Il ritorno del figliol prodigo, 1669 circa, Hermitage, San Pietroburgo

    Harmenszoon van Rijn Rembrandt, Il figliol prodigo in una taverna, 1635 circa, Gemäldegalerie, Dresda

    Guercino, Il ritorno del figliol prodigo, 1619, Kunsthistorisches Museum, Vienna

    Gustave Dorè, Il pentimento del figliol prodito ed Il ritorno del figliol prodigo

  4. #4
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    Gerrit van Honthorst, Il figliol prodigo, 1622, Alte Pinakothek, Monaco

    Gerrit van Honthorst, Il figliol prodigo, 1623, Staatsgalerie, Schleissheim

    George La Tour, Il portafortuna, ovverosia il figliol prodigo, 1632-35, Metropolitan Museum of Art, New York

    Salvator Rosa, Il pentimento del figliol prodigo, 1640 circa, Hermitage, San Pietroburgo


  5. #5
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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 586-592

    QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

    La Domenica della gioia.


    Questa Domenica chiamata Laetare, dalla prima parola dell'Introito della Messa, è una delle più celebri dell'anno. In questo giorno la Chiesa sospende le tristezze della Quaresima; i canti della Messa non parlano che di gioia e di consolazione; si fa risentire l'organo, rimasto muto nelle tre Domeniche precedenti; il diacono riveste la dalmatica e il suddiacono la tunicella; è consentito sostituire i paramenti violacei coi paramenti rosa. Gli stessi riti li abbiamo visti praticare durante l'Avvento, nella terza Domenica chiamata Gaudete. Manifestando oggi la Chiesa la sua allegrezza nella Liturgia, vuole felicitarsi dello zelo dei suoi figli; avendo essi già percorso la metà della santa quaresima, vuole stimolare il loro ardore a proseguire fino alla fine [1].

    La Stazione.

    La Stazione è, a Roma, nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme, una delle sette principali chiese della città eterna. Disposta nel IV secolo nel palazzo Sessoriano, per cui venne pure chiamata Basilica Sessoriana, essa fu arricchita delle più preziose reliquie da sant'Elena, la quale voleva farne come la Gerusalemme di Roma. Con questo proposito, ella vi fece trasportare una grande quantità di terra prelevata sul Monte Calvario, e depositò in questo tempio, insieme ad altri cimeli della Passione, l'iscrizione sovrapposta sulla testa del Salvatore mentre spirava sulla Croce; tale scritta ivi ancora si venera sotto il nome del Titolo della Croce. Il nome di Gerusalemme legato a questa Basilica ravviva tutte le speranze del cristiano. perché gli ricorda la patria celeste, la vera Gerusalemme dalla quale siamo ancora esiliati. Per questo fin dall'antichità i sovrani Pontefici pensarono di sceglierla per l'odierna Stazione. Fino all'epoca della residenza dei Papi in Avignone veniva benedetta fra le sue mura la rosa d'oro, cerimonia che ai nostri giorni ha luogo nel palazzo dove il Papa ha la sua attuale residenza.

    La Rosa d'oro.

    La benedizione della Rosa è dunque ancora oggi uno dei particolari riti della quarta Domenica di Quaresima, per la quale ragione viene anche chiamata la Domenica della Rosa. I graziosi pensieri che ispira questo fiore sono in armonia coi sentimenti che oggi la Chiesa vuole infondere nei suoi figli, ai quali la gioiosa Pasqua presto aprirà una primavera spirituale, in confronto della quale la primavera della natura non è che una pallida idea. Anche questa istituzione risale ai secoli più lontani. La fondò san Leone IX, nel 1049, nell'abbazia di S. Croce di Woffenheim; e ci resta un sermone sulla Rosa d'oro, che Innocenzo III pronunciò quel giorno nella Basilica di S. Croce in Gerusalemme (PL 217, 393). Nel Medio Evo, quando il Papa risiedeva ancora al Laterano, dopo aver benedetta la Rosa, seguiva in corteo tutto il sacro Collegio, verso .a chiesa della Stazione, portando in testa la mitra e in mano questo fiore simbolico. Giunto nella Basilica, pronunciava un discorso sui misteri rappresentati dalla Rosa per la sua bellezza, il suo colore e il suo profumo. Quindi si celebrava la Messa; terminata la quale, i1 Pontefice ritornava al palazzo Lateranense, attraversando la pianura che separa le due Basiliche, sempre con la Rosa in mano. Arrivato alla soglia del palazzo, se nel corteo era presente un principe, toccava lui reggere la staffa ed aiutare il pontefice a smontare dal cavallo; in ricompensa della sua cortesia riceveva la Rosa, oggetto di tanto onore.

    Ai nostri giorni la funzione non è più così imponente; ma ne ha conservati tutti i principali riti. Il Papa benedice la Rosa d'oro nella Sala dei Paramenti, la unge col sacro Crisma e sopra vi spande una polvere profumata, conforme il rito d'un tempo; e quando arriva il momento della Messa solenne, entra nella Cappella del palazzo, tenendo il fiore fra le mani. Durante il santo Sacrificio la rosa viene posta sull'altare e fissata sopra un rosaio d'oro fatto a questo scopo; finalmente, terminata la Messa, la si porta al Pontefice, il quale all'uscire dalla Cappella la tiene sempre fra le mani fino alla Sala dei Paramenti. Molto spesso il Papa suole inviare la Rosa a qualche principe o principessa che intende onorare; altre volte è una città oppure una Chiesa che vien fatta oggetto di una tale distinzione.

    Benedizione della Rosa d'oro.

    Daremo qui la traduzione della bella preghiera con la quale il sovrano Pontefice benedice la Rosa d'oro: essa aiuterà i nostri lettori a meglio penetrare il mistero di questa cerimonia, che aggiunge tanto splendore alla quarta Domenica di Quaresima: "O Dio, che tutto hai creato con la tua parola e la tua potenza, e che ogni cosa governi con la tua volontà, tu che sei la gioia e l'allegrezza di tutti i fedeli; supplichiamo la tua maestà a voler benedire e santificare questa Rosa dall'aspetto e dal profumo così gradevoli, che noi dobbiamo oggi portare fra le mani, in segno di gioia spirituale: affinché il popolo a te consacrato, strappato al giogo della schiavitù di Babilonia con la grazia del tuo Figliolo unigenito, gloria ed allegrezza d'Israele, esprima con sincero cuore le gioie della Gerusalemme di lassù, nostra madre. E come la tua Chiesa, alla vista di questo simbolo, sussulta di felicità per la gloria del Nome tuo, concedigli, o Signore, un appagamento vero e perfetto. Gradisci la sua devozione, rimetti i suoi peccati, aumentane la fede; abbatti i suoi ostacoli ed accordagli ogni bene: affinché la medesima Chiesa ti offra il frutto delle sue buone opere, camminando dietro ai profumi di questo Fiore, il quale, uscito dalla pianta di Gesse, è misticamente chiamato il fiore dei campi e il giglio delle convalli; e ch'esso meriti di godere un giorno la gioia senza fine in seno alla celeste gloria, in compagnia di tutti i Santi, col Fiore divino che vive e regna teco, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen".

    La moltiplicazione dei pani.

    Veniamo ora a parlare d'un altro appellativo che si da alla quarta Domenica di Quaresima, e che si riferisce alla lettura del Vangelo che la Chiesa oggi ci presenta. Questa Domenica infatti, in parecchi antichi documenti, è indicata col nome di Domenica dei cinque pani; il miracolo ricordato da questo titolo, mentre completa il ciclo delle istruzioni quaresimali, aumenta anche la gioia di questo giorno. Dimentichiamo per un istante la Passione imminente del Figlio di Dio, per occuparci del più grande dei suoi benefici: perché sotto la figura di questi pani materiali moltiplicati dalla potenza di Gesù. la nostra fede scopra quel "pane di vita disceso dal cielo che dà al mondo la vita" (Gv 6,33). La Pasqua s'avvicina, dice il Vangelo, e fra pochi giorni lo stesso Salvatore ci dirà: "Ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua" (Lc 22,15). Prima di lasciare questo mondo per il Padre, egli vuole sfamare la folla che segue i suoi passi, e per questo si appella a tutta la sua potenza. Con ragione voi rimanete ammirati davanti a questo potere creatore, cui bastano cinque pani e due pesci per dar da mangiare a cinque mila uomini, così che dopo il pasto ne avanza da riempire dodici sporte. Un sì strepitoso prodigio basta senza dubbio a dimostrare la missione di Gesù; ma voi vi vedete solo un saggio della sua potenza, solo una figura di ciò che sta per fare, non una o due volte solamente, ma tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli; e non in favore di cinque mila persone, ma di una moltitudine innumerevole di fedeli. Contate sulla faccia della terra i milioni di cristiani che prenderanno posto al banchetto pasquale; colui che abbiamo visto nascere in Betlemme, la Casa del pane, sta per dare se stesso in loro alimento; e questo cibo divino mai si esaurirà. Sarete saziati come furono saziati i vostri padri; e le generazioni che verranno dopo di voi saranno, come voi, chiamate a "gustare e a vedere quanto è soave il Signore" (Sal 33,9).

    È nel deserto che Gesù sfama questi uomini, figura dei cristiani. Tutto un popolo ha lasciato il chiasso della città per seguirlo; bramando d'udire la sua parola, non ha temuto né la fame, né la stanchezza; ed il suo coraggio è stato ricompensato. Similmente il Signore coronerà le fatiche del nostro digiuno e della nostra astinenza al termine di questo periodo, di cui abbiamo già passato la metà. Rallegriamoci, dunque, e passiamo questa giornata confidando nel prossimo nostro arrivo alla mèta. Sta per arrivare il momento in cui l'anima nostra, saziata di Dio, non si lamenterà più delle fatiche del corpo; perché, insieme alla compunzione del cuore, queste le avranno meritato un posto d'onore nell'immortale banchetto.

    L'Eucarestia.

    La Chiesa primitiva non mancava di presentare ai fedeli il miracolo della moltiplicazione dei pani come l'emblema dell'inesauribile alimento eucaristico: ed anche nelle pitture delle Catacombe e sui bassorilievi degli antichi sarcofaghi cristiani lo si riscontra frequentemente. I pesci dati a mangiare insieme ai pani, pure apparivano in questi antichi monumenti della nostra fede, essendo soliti i primi cristiani figurare Gesù Cristo sotto il simbolo del Pesce, perché in greco la parola Pesce è formata di cinque lettere, ognuna delle quali è la prima delle parole: Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.

    In questo giorno, ultimo della settimana Mesonèstima, i Greci onorano san Giovanni Climaco, celebre Abate del monastero del Monte Sinai, del VI secolo.

    MESSA

    EPISTOLA (Gal 4,22-31). - Fratelli: Sta scritto che Abramo ebbe due figlioli: uno dalla schiava e uno dalla libera; e mentre quello della schiava nacque secondo la carne, quello della libera nacque in virtù della promessa. Queste cose hanno un senso allegorico. Rappresentano le due alleanze: una del monte Sinai che genera schiavi, e sarebbe Agar: infatti il Sinai è un monte dell'Arabia, ed ha molta relazione con la Gerusalemme attuale, che è schiava coi suoi figlioli. Ma la Gerusalemme superiore è libera, essa è la nostra madre; sta scritto infatti: Rallegrati, o sterile che non partorisci, prorompi in grida di gioia, tu che non divieni madre, perché molti sono i figlioli dell'abbandonata, e più numerosi di quelli di colei che ha marito. Quanto a noi, o fratelli, siamo come Isacco, figlioli della promessa, e come allora quello nato secondo la carne perseguitava colui che era nato secondo lo spirito, così pure succede ora. Ma che dice la Scrittura? Caccia la schiava e il suo figliolo, perché non dev'essere il figlio della schiava erede col figlio della libera. Pertanto, o fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della libera, per quella libertà con la quale Cristo ci ha liberati.

    La vera libertà.

    Rallegriamoci, figli di Gerusalemme e non più del Sinai ! La madre che ci ha generati, la santa Chiesa, non è schiava, ma libera; ed è per la libertà che ci ha dati alla luce. Israele serviva Dio nel timore; il suo cuore, sempre inclinato all'idolatria, aveva bisogno d'essere incessantemente frenato, con un giogo che doveva pungolare le sue spalle. Ma noi, più fortunati, lo serviamo nell'amore; e per noi "il suo giogo è soave, e leggero il suo carico" (Mt 11,30). Noi non siamo cittadini della terra: solo l'attraversiamo; la nostra unica patria è la Gerusalemme di lassù. Lasciamo quella di quaggiù al Giudeo, che non gusta se non le cose terrene, e nella bassezza delle sue speranze, misconoscendo il Cristo, si prepara a crocifiggerlo. Troppo tempo abbiamo strisciato con lui sulla terra, schiavi del peccato; ma più le catene della sua schiavitù si appesantivano sopra di noi, più aspiravamo d'esserne liberi. Arrivato il tempo favorevole ed i giorni della salvezza, docili alla voce della Chiesa, abbiamo avuto la sorte di entrare nei sentimenti e nelle pratiche delle santa Quarantena. Oggi il peccato ci sembra come il giogo più pesante, la carne come un peso pericoloso, il mondo come un crudele tiranno; cominciamo a respirare, e l'attesa della prossima liberazione c'infonde una viva contentezza. Ringraziarne con effusione il nostro liberatore, che, togliendoci dalla schiavitù di Agar, ci risparmia i terrori del Sinai, e sostituendoci all'antico popolo, ci apre col suo sangue le porte della celeste Gerusalemme.

    VANGELO (Gv. 6,1-15). In quel tempo: Gesù andò al di là del mare di Galilea, cioè di Tiberiade; e lo seguiva gran folla, perché vedeva i prodigi fatti da lui sugl'infermi. Salì pertanto Gesù sopra un monte ed ivi si pose i sedere con i suoi discepoli. Ed era vicina la Pasqua, la solennità dei Giudei. Or avendo Gesù alzati gli occhi e vedendo la gran turba che veniva a lui, disse a Filippo: Dove compreremo il pane per sfamare questa gente? Ma ciò diceva per metterlo alla prova; egli però sapeva quanto stava per fare. Gli rispose Filippo: Duecento danari di pane non bastano neanche a darne un pezzetto per uno. Gli disse uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che è questo per tanta gente? Ma Gesù disse: Fateli mettere a sedere. C'era lì molta erba. Si misero pertanto a sedere in numero di circa cinque mila. Allora Gesù prese i pani, e, rese le grazie, li distribuì alla gente seduta; e così pure fece dei pesci, finché ne vollero. E, saziati che furono, disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzi, che non vadano a male. Li raccolsero adunque; e riempirono dodici canestri dei pezzi che erano avanzati a coloro che avevan mangiato di quei cinque pani d'orzo. Or quegli uomini, visto il prodigio fatto da Gesù, dicevano: Questo è davvero il profeta che deve venire al mondo. Ma Gesù, accortosi che stavano per venire a rapirlo per farlo re, fuggì di nuovo solo sul monte.

    Regalità spirituale del Cristo.

    Questi uomini che il Salvatore aveva sfamati tanto amorosamente e con una potenza così miracolosa, hanno un solo pensiero: proclamarlo loro re. Una tale potenza e bontà riunite in Gesù lo fanno giudicare degno di regnare sopra di loro. Che faremo allora noi cristiani, che abbiamo sperimentato questo doppio attributo del Salvatore incomparabilmente meglio dei poveri Giudei? Perciò invochiamolo che presto il suo regno venga dentro di noi. Abbiamo visto nell'Epistola ch'egli venne a portarci la libertà, col liberarci dai nostri nemici. Ora tale libertà non la possiamo conservare, se non entro la legge. Gesù non è un tiranno, come il mondo e la carne; l'impero suo è dolce e pacifico, e noi siamo più figli suoi che sudditi. Alla corte di questo gran re, servire è regnare. Veniamo quindi ai suoi piedi a dimenticare tutte le passate schiavitù; e se c'impediscono ancora delle catene, affrettiamoci a romperle; la Pasqua è infatti la festa della liberazione, e già l'alba di questo giorno spunta all'orizzonte. Camminiamo decisi verso la mèta; Gesù ce ne darà il riposo e ci farà ristorare sull'erbetta, come fece alla moltitudine del Vangelo; e il Pane che ci avrà preparato ci farà subito dimenticare ogni fatica sostenuta durante il cammino.

    PREGHIAMO

    Fa', o Dio onnipotente, che noi, giustamente afflitti a causa delle nostre colpe, respiriamo per l'abbondanza della tua grazia.

    -----------------------------------------------------------------------------
    NOTE

    [1] Siccome anticamente la Quaresima non cominciava il Mercoledì delle Ceneri, ma la prima Domenica di Quaresima, ne seguiva che la quarta Domenica segnava esattamente metà del periodo quaresimale. Era la Domenica di Metà-Quaresima. Più tardi si anticipò la Quaresima di quattro giorni, e la Metà-Quaresima venne trasportata dalla Domenica al Giovedì. Ma niente di tutto ciò figurava nei testi liturgici.

  6. #6
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    Predefinito Dai "Discorsi" di san Francesco di Sales.

    La storia che la Chiesa ci presenta nel vangelo odierno è un dipinto dai mille soggetti interessanti atti a stimolare la nostra ammirazione e a immergerci nella lode dell'Altissimo. In modo particolare, il vangelo di oggi è il quadro della Provvidenza che Dio ha per tutti gli uomini: non solo per chi lo ama e vive da autentico cristiano, adeguandosi alla sua volontà, ma anche per tutti gli altri, chiunque sia, non credente o ateo. Se non fosse così, alcuni si perderebbero in modo irrimediabile.
    La Provvidenza divina abbraccia tutti gli umani, in generale. Sappiamo però che Dio ha uno sguardo di predilezione per i figli suoi, intendo per i cristiani. Tra di essi vi è poi sempre qualche gruppetto che merita dal Signore una cura più attenta, una provvidenza specialissima. Lo attesta appunto il vangelo di oggi. Costoro sono quelli che mirano direttamente alla santità, non si limitano ad andare dietro al Signore lungo la via piana delle consolazioni; hanno invece il coraggio di seguirlo nel deserto. di arrampicarsi con lui in vetta al monte scosceso della perfezione.

    Parecchi avevano visto nostro Signore istruire le folle, sanare i malati. Eppure non lo seguirono. Non pochi, vedendolo, lo seguirono, ma soltanto fino ai piedi del monte, limitandosi ad accompagnarlo in pianura, per i luoghi facili e agevoli. Però mille volte più fortunati furono coloro che lo videro, lo seguirono non solo fino all'inizio della salita, ma divorati d'amore per lui, ascesero insieme, mossi dall'unica ambizione di piacergli. Così meritarono che il Salvatore avesse cura di loro e imbandisse il miracoloso banchetto della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci. Il Signore ebbe timore che potessero venir meno d'inedia, giacché a lungo lo avevano seguito senza toccare né cibo né bevanda per l'estrema gioia di ascoltarlo e contemplarne i miracoli. Nonostante la reale necessità di riposo e di cibo, quella folla non ci badava, neppure lo lasciava trasparire.
    Queste genti che seguono Cristo sono mirabili per il loro completo abbandono nelle mani della Provvidenza divina. Non c'è il rischio che manchino di qualcosa, perché il Signore se ne prenderà cura, lui ne avrà compassione.

    Vi prego di considerare la folla che segue il Salvatore fino sul monte: che pace, che tranquillità d'animo in questa gente che va dietro al Salvatore! Non si ode nessun lamento, nessuna critica, eppure sono sfiniti, stretti dai morsi della fame. Soffrono molto, ma non vi badano, tanto sta loro a cuore seguire Cristo dovunque vada.
    Chi mira alla perfezione dovrà imitarli con cura, bandendo crucci e ansietà per la propria crescita spirituale. Deve smettere di lamentarsi vedendosi sempre imperfetto. Dio mio! Abbiamo percorso un breve tratto di cammino e ci sentiamo subito esausti; ci sembra che non arriveremo mai abbastanza presto al convito di delizie che nostro Signore ha promesso lassù, in cima al monte celeste. Vorrei suggerire un po' di pazienza a chi è tanto frettoloso di conseguire la santità. Lascia un po' l'ansia per te stesso; non trepidare che ti manchi qualcosa. Affidati a Dio, perché egli ha cura di te (cfr. 1 Pt 5, 7), ti procurerà i mezzi necessari per avanzare nella perfezione. Non è mai stato deluso nessuno che si sia abbandonato alla divina Provvidenza.

    Certe povere donne a cui è morto il marito credono sempre che la loro sciagura sia più grande di quella altrui. Lo stesso succede a chi è afflitto spiritualmente. Disgusto, aridità, ripugnanza per il bene, tedio sono le prove che sperimentano i più progrediti. Costoro assomigliano ad Andrea quando disse a Gesù: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos 'è questo per tanto gente? Ahimè - gemono questi afflitti, in preda all'aridità interiore - posso sì valermi di libri sostanziosi, di una buona predica, ho tempo per pregare, persino talvolta il cuore si accende d'affetto. Ma che è mai tutto ciò?
    Stranezze della mente umana! Che vorresti di più? Che Dio ti mandi un angelo a consolarti? Non lo farà, perché non hai ancora digiunato vari giorni per seguirlo nel deserto e sul monte della perfezione. Vi giungerai se ti dimentichi, lasci a Dio la cura di consolarti come piacerà a lui, preoccupandoti soltanto di una cosa: ascoltare la sua Parola.
    Cosi faceva la moltitudine dì cui ci parla oggi il vangelo.

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    Predefinito Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

    Tratt. 34, 8-9, in CCL 36, 315-316

    Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un'altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell'esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
    Hai domandato un consiglio di vita. Di quale vita, se non di quella di cui è stato detto: «E' in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
    Dunque mettiamoci subito all'opera, seguiamo il Signore: spezziamo le catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà spezzare tali catene, se non ci aiuta colui al quale fu detto: «Hai spezzato le mie catene»? (Sal 115, 16). Di lui un altro salmo dice: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore rialza chi è caduto» (Sal 145, 7. 8).
    Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre»? (Gv 8, 12). Si, perché il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» Sal 84, 12) ed egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
    Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso. Chi oserebbe, infatti, sperare ciò che Dio non si fosse degnato o di promettere o di dare?
    Vedremo faccia a faccia. L'Apostolo dice: Ora conosciamo in modo imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (cfr. 1 Cor 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.
    Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? Se il Signore tuo Dio ti avesse detto: Io sono la verità e la vita, tu, desiderando la verità e bramando la vita, cercheresti di sicuro la via per arrivare all'una e all'altra. Diresti a te stesso: gran cosa è la verità, gran bene è la vita: oh! se fosse possibile all'anima mia trovare il mezzo per arrivarci!
    Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.
    Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!
    Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.
    Tu replichi: Si, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.

  8. #8
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    Carl Heinrich Bloch, Cristo guarisce il cieco nato





    Simone Dewey, Dalle tenebre alla luce

    Duccio di Buoninsegna, Cristo guarisce il cieco nato, 1308-11, National Gallery, Londra

  9. #9
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    El Greco, Cristo guarisce il cieco nato, 1570 circa, Galleria nazionale, Parma

    El Greco, Cristo guarisce il cieco nato, 1570 circa, Gemäldegalerie, Dresda

    El Greco, Cristo guarisce il cieco nato, 1577-78, Metropolitan Museum of Art, New York

    Lucas van Leyden, Cristo guarisce il cieco nato, 1531, Hermitage, San Pietroburgo

    Pieter Pieterszoon Lastman, Cristo guarisce il cieco nato, 1623

    Nicholas Poussin, Cristo guarisce il cieco di Gerico, particolare, Musee du Louvre, Parigi

  10. #10

 

 
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