L’avvocato inglese Peter Benenson è morto lo scorso 25 febbraio, all’età di 83 anni, nell'ospedale Jonh Radcliffe di Oxford.
Sono milioni in tutto il mondo le vittime di persecuzioni e violazioni dei diritti umani che conservano un debito di riconoscenza nei suoi confronti. E' stata la sua ispirazione, nel 1961, a lanciare quella che sarebbe stata presto definita "la repubblica della coscienza", Amnesty International: un movimento globale di attivisti per i diritti umani, impegnati a denunciare le ingiustizie dei governi ed esprimere solidarietà verso le vittime.
L'intera vita di Peter Benenson è stata dedicata a combattere l'ingiustizia nel mondo. Racconta chi lo conosceva da vicino che all'età di 16 anni riuscì nell'impresa di coinvolgere la sua scuola in una campagna per il sostegno agli orfani della guerra civile spagnola. Lui stesso decise l’adozione a distanza uno dei bambini, restituendogli una vita dignitosa e prospettive per il futuro. Sempre a scuola si dedicò in quegli anni alla sorte di alcuni ebrei in fuga dalla Germania di Hitler: insieme con i suoi compagni di classe e con le loro famiglie, lanciò una sottoscrizione per la raccolta di fondi che permisero a due giovani ebrei di raggiungere la Gran Bretagna e salvarsi così la vita.
Dopo aver studiato storia all'Università di Oxford, Peter Benenson si arruolò nell'esercito inglese, per conto del quale svolse l'attività di addetto stampa. In seguito lasciò le forze armate ed iniziò ad esercitare la professione legale. Si iscrisse al Partito Laburista, divenendo un animatore colto ed impegnato della sua associazione degli avvocati..
All'inizio degli anni '50, il sindacato inglese decise di inviarlo in Spagna ad osservare i processi che si stavano celebrando contro alcuni sindacalisti locali. Benenson rimase sconvolto da ciò che vide e, con piglio professionale e forte impegno civile, decise di preparare una lista completa delle inadempienze legali da discutere con il giudice. Anche grazie alla sua intransigenza, la sentenza finale del processo fu di completa assoluzione. Una rarità nella Spagna franchista.
E' stato attraverso queste attività che Peter Benenson iniziò a conquistare una reputazione internazionale. A Cipro sostenne l'attività di alcuni avvocati greci impegnati a far prevalere il diritto contro le logiche perverse della burocrazia inglese; convinse poi suoi colleghi avvocati a recarsi in Ungheria come osservatori internazionali durante i fatti del 1956 e poi in Sudafrica, per seguire un importante processo sulle libertà civili. Il successo di questi interventi lo portò a decidere la costituzione dell’organizzazione inglese Justice.
E’ stata questa costante attività in favore dei diritti umani a gettare le fondamenta per quello che sarebbe stato il suo più eccezionale contributo, il significato di una vita intera spesa rincorrendo l’ideale di un mondo più giusto. Nel maggio del 1961, lesse dell'arresto di due giovani che in un caffè di Lisbona avevano brindato alla libertà delle colonie portoghesi. L’indignazione che suscitò in lui quel fatto lo portò a pubblicare su un settimanale di Londra un articolo intitolato "I prigionieri dimenticati". Era un appello per un campagna di 12 mesi dedicata alla liberazione di tutti i prigionieri per motivi di opinione: l'adesione entusiasta di migliaia di persone in tutto il mondo convinse Benenson a trasformare quella campagna in ciò che sarebbe divenuto il più importante movimento globale per i diritti umani. Da quel giorno, il termine “prigioniero di coscienza” divenne di uso comune e il logo del movimento, una candela con filo spinato intorno, un simbolo universale di speranza e libertà.
Nei primi anni di vita di Amnesty International, Peter Benenson lavorò instancabilmente alla riuscita della sua rivoluzionaria idea. Assicurò all'organizzazione il sostegno finanziario per muovere i primi passi, prese parte ad alcune missioni di ricerca, si occupò di tutte quelle incombenze necessarie a far crescere in dimensioni ed importanza la sua "creatura". Alcuni anni più tardi, avrebbe detto: “In quel periodo sperimentavamo dal nulla e cercavamo di imparare dai nostri errori. Provavamo ogni tecnica di pubblicità ed eravamo immensamente grati per l’aiuto che i giornalisti e le troupe televisive ci davamo in tutto il mondo, non soltanto inviandoci informazioni sui prigionieri, ma anche, ogni volta che era loro possibile, dando spazio alle loro storie. E’ la funzione di denuncia – io credo - che ha reso il nome di Amnesty così conosciuto, non solamente a tutti i lettori di quotidiani, ma ai governi. Ed è questo ciò che conta”.
Nel 1966 una crisi interna al movimento scoppiò a seguito della pubblicazione di un rapporto di Amnesty sulle torture commesse dalle forze armate inglese. Peter Benenson ipotizzò che i servizi segreti si fossero infiltrati all’interno del movimento e che Amnesty avrebbe dovuto quindi spostare gli uffici del suo Segretariato Internazionale in un paese neutrale. Un’indagine indipendente smentì questa supposizione e spinse Benenson a ritirarsi temporaneamente dall’organizzazione.
Ma non finì così il suo impegno per un mondo migliore. Negli anni ’80, divenne il presidente di una neonata Associazione di Cristiani contro la Tortura e, all’inizio del decennio successivo, dedicò tutte le sue energie ad organizzare soccorsi per gli orfani del regime di Ceaucescu, in Romania.
Eppure i primi amori non si scordano mai. Benenson non perse l’entusiasmo per Amnesty International e, alla metà degli anni ’90, tornò a svolgere un ruolo attivo nell’organizzazione, occupandosi di alcune importanti campagne di mobilitazione. Il 10 aprile 2001, il Daily Mirror lo insignì del premio “Orgoglio della Gran Bretagna”, a celebrazione del suo continuo impegno per la difesa dei diritti umani. Era il 40esimo anniversario dalla nascita di Amnesty International.
In tanti ricordano la sua passione profonda per le cose che faceva. In occasione dei 25 anni dalla fondazione di Amnesty International, ad una cerimonia che si tenne a Londra, fuori dalla chiesa St. Martin’s in the Fields, Benenson accese una candela vicino al punto esatto in cui ebbe l’idea che valse una vita. Con quelle stesse parole che oggi, in decine di lingue, sono riprodotte su poster, T-shirt e cartoline in tutto il mondo, recitò quello che ricorderemo come il suo testamento spirituale: "Questa candela non brucia per noi, ma per tutte quelle persone che non siamo riuscite a salvare dalla prigione, che sono state uccise, torturate, rapite, scomparse. Per loro brucia la candela di AI".
Peter Benenson credeva nel potere delle persone comuni di provocare straordinari cambiamenti: creando Amnesty International ha dato a ciascuno di noi l’opportunità di fare la differenza nella difesa dei diritti umani in tutto il mondo. Lo ricorderemo così.


Marco Bertotto
Presidente di Amnesty International Italia