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    Il vero è un momento del falso
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    Thumbs up Uruguay, è l’ora dell’allegria: l'inimmaginabile governa

    Montevideo, 28 Febbraio 2005. L’Uruguay volta pagina ed entra nell’era dell’impensabile. Per la prima volta, in decenni di storia caratterizzati da un bipartitismo obbligato, figlio minore di una obbedienza dovuta al gigante del nord, l’antica “Svizzera dell’America latina” cambia volto. Tabarez Vasquez, Presidente del nuovo Uruguay, eletto alla testa di una coalizione di sinistra è da oggi alla guida del Paese. A felicitarlo in tanti, tantissimi, praticamente tutta la sinistra del continente, che vede l’Uruguay aggiungersi ad Argentina, Brasile, Venezuela, Panama, nel blocco democratico latinoamericano.

    Fidel Castro e Chavez, Lula e Kirchner, Torrijos, nessuno dei capi di Stato latinoamericani ha voluto disertare la festa del rinascimento uruguayo. Vicini a loro Daniel Ortega e Schafick Handal, Comandanti delle rivoluzioni compiute e di quelle mai vincitrici, amici solidali nei momenti difficili ed amici oggi, nel momento dell’allegria.

    Le strade di Montevideo sono attraversate da un’allegria euforica. Si respira aria di nuovo, il grande freddo e’ alle spalle. Tabarez Vasquez ha stravinto le elezioni perché era l’unico tra i candidati alla Presidenza lontano da qualsivoglia sospetto di corruzione.

    Medico, grande comunicatore, moderato ma dai tratti inequivocabilmente progressisti, ha portato l’Encuentro Progresista-Frente Amplio-Nueva Mayoria, sigla che riunisce più di quindici organizzazioni e partiti, alla vittoria al primo turno con una maggioranza schiacciante. Per la prima volta nella sua storia, dopo aver conquistato negli anni scorsi per due volte la capitale e numerose altre città, ora la sinistra governa il Paese. Non sarà un’impresa facile. L’Uruguay è allo stremo.

    Vittima designata delle politiche neoliberiste che avevano trasformato uno dei principali esportatori di carne in uno di primi importatori di fame. L’indice proteico della popolazione sfiorava i livelli di denutrizione, ma l’indice di gradimento del Fondo Monetario e di Washington nei confronti dell’osceno Battle non conosceva flessioni. I dati parlano chiaro: infatuato dal neoliberismo più sfrenato, il governo ha ridotto le capacità produttive del Paese al minimo e ha portato il debito estero a superare il Pil, peraltro ridotto al 50% rispetto al passato.

    Solo due i dati (amaramente coerenti tra loro) in crescita: disoccupazione a livelli storici e il triste ruolo di terzo paese al mondo (e primo in America latina) per numero di suicidi. Del resto, quando il 30% della popolazione, che comprende il 60% dei bambini, si colloca sotto la soglia di povertà, le strade non sono molte. O si sceglie di rovesciare il tavolo, o si resta a guardarlo senza aspettare più neanche le briciole che da quel tavolo cadono. Il governo uscente aveva proposto continuità: un tunnel chiamato modello.

    Tabarez Vasquez ha indicato la fine di quel modello per l’uscita dal tunnel. E ha vinto. Con un programma chiaro e netto: si cambia per davvero. Qui le cose e la politica si chiamano con il loro nome. Nessun neologismo, tanto meno in inglese. Confronto aspro, duro, senza esclusione di colpi. Le maschere vengono fuori a carnevale, il resto dell’anno le facce richiamano la storia e la storia racconta le facce. E tra quelle dei lavoratori e quelle dei banchieri la differenza risulta evidente, come i sogni che esprimono e le aspettative che contengono. Socialista qui vuol dire socialista, conservatore vuol dire conservatore, comunista vuol dire comunista.

    Le forze politiche non si nascondono: le battaglie sono in nome di diverse idealità, diversi progetti e programmi, diversi uomini e donne che li rappresentano. Non ci sono pentiti del passato per aspiranti cariche future. Non esistono “liberal”, la polarizzazione è chiara e netta. Monetarismo da un lato, economia sociale di mercato dall’altra. Più mercato da un lato, più Stato dell’altra. Chi vuole privatizzare si schiera a destra, chi vuole nazionalizzare per ridistribuire a sinistra.

    Chi crede nella costruzione dell’unità politica latinoamericana e nella sua integrazione economica si schiera a sinistra, chi ritiene che si debba procedere con l’obbedienza a Washington si schiera a destra. Non ci sono trattini tra democratici e progressisti, tra socialisti e comunisti. Il centro è un luogo delle idee, non una calamita di voti. Non ci sono case che ospitano sotto lo stesso tetto apparenti socialisti e ripuliti fascisti e a sinistra non ci sono egemonie esercitate sugli alleati a fronte di educati e rispettosi dialoghi con gli avversari. Ognuno sta con i suoi, con le sue idee, nel suo campo.

    E si può proporre l’indipendenza dagli Stati Uniti senza sentirsi definire antiamericani, si possono proporre ricette economiche antiliberiste senza sentirsi dare degli statalisti. Si puo’ proporre che il fisco sia progressivo, che i ricchi paghino e gli evasori siano perseguiti. Si puo’ affermare che i diritti sono un investimento in democrazia e che la fiscalita’ generale debba essere il principale strumento per l’ampliamento delle tutele senza essere definiti dinosauri dell’economia. Addirittura, sembrerà poco moderno, qui la sinistra fa la sinistra.

    Non tollera che in un Paese dove ci sono due vacche per ogni abitante il 60% dei bambini non abbiano latte e il consumo proteico degli animali sia superiore a quello delle persone. Chiede un altro modello economico, un'altra collocazione internazionale, propone priorità sociali e pensa al Pil guardando in faccia uomini e donne privi di tutto. Cerca di tenere insieme il giusto e il possibile. Pensa alla rinascita del suo Paese attraverso l’unità degli ultimi con i penultimi. Ricolloca le terre di mezzo che a volte dividono le persone e gli affari, non confonde diritti con privilegi e non pensa di ridurre i primi e perdonare i secondi. Chi crede alla libertà assoluta negli affari quale termometro esclusivo della libertà di una nazione, lo dice senza infingimenti. E si schiera a destra.

    Chi pensa che la libertà riguardi gli amici e per gli altri ci sia solo la tolleranza zero, non nasconde nemmeno il suo passato, figuriamoci il presente. Succede anche che la sinistra di oggi sia diversa da quella passata quando, ospite controvoglia di galere ed esilio, imparò l’arte di resistere e cambiarsi per vincere e cambiare. Alcuni dei suoi capi Tupamaros, presiedono da qualche giorno Camera e Senato. Il più votato tra i votati, Pepe Mujica, antico capo guerrigliero, non ha partecipato a nessuna abiura pubblica, non mette sullo stesso piano torturatori e torturati degli anni della dittatura e non rilascia interviste per ritmare a tempo di strappi l’addio alle idee che tanto sangue costarono. Finita la dittatura, contro la quale si misurò in armi, venne la democrazia, con la quale si è misurato in voti. E ha vinto.

    L’inimmaginabile governa.

    L’ambasciata degli Stati Uniti, alla vigilia dell’insediamento di Tabarez, ha dato un ricevimento in onore dei congressmen statunitensi giunti a Montevideo per le celebrazioni. Pepe Mujica, neo Presidente del Senato, non figurava tra gli invitati. Devono aver considerato imbarazzante avere un ex-Tupamaro in mezzo a tante figure distinte in quella residenza che per decenni è stata la vera casa di governo. Pepe ha cenato bene lo stesso.

    Il cibo amaro stavolta era servito in ambasciata. Fuori si è cenato ad allegria...

    Fabrizio Casari

  2. #2
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    Predefinito

    Vedo che in SudAmerica il vento fischia più forte!

    E mò sò cazzi amari per gli yankees che l'hanno sempre coniderato il cortile di casa degli USA.

    Certo che cmq non possiamo fare di tutta l'erba un fascio.

    Ad esmpio Lula che aveva destato tanto entusiasmo nella sinistra nostrana stà deludendo il suo popolo e perde di giorno sempre più consensi.

    Sempre avanti, compagni!
    A pugno kiuso!

 

 

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