Gli Usa e la diplomazia della violenza: intervista a M.Blondet

Maurizio Blondet: «Gli Stati Uniti vedono avanzare la Cina a grandi passi e sanno che rischiano di perdere la supremazia militare ed economica, quindi stanno accelerando i tempi. Dopo l’Iraq, toccherà a Iran e Siria diventare bersagli della politica aggressiva americana»

«Gli Stati Uniti sanno che entro i prossimi 15 anni rischiano di perdere la supremazia militare ed economica globale e quindi stanno accelerando i tempi. Dopo l’Iraq, tocca all’Iran e alla Siria diventare bersagli della politica aggressiva americana. E se Putin non farà il “bravo”, anche la Russia finirà nel mirino di Washington. Le avvisaglie ci sono già state, dalla Georgia all’Ucraina».

Maurizio Blondet, inviato di Avvenire e scrittore, quando parla di politica internazionale, non ama nascondere il proprio pensiero in nome della Realpolitik o del quieto vivere e parla chiaro, molto chiaro. Per lui gli Usa sono impegnati in una “politica di saccheggio” nei confronti degli Stati mediorientali che non si dimostrano sudditi fidati dell’Impero a stelle e strisce. «Soltanto i babbei possono credere in buona fede che gli americani mandino le truppe in giro per il mondo per salvaguardare o imporre la democrazie e la libertà - dichiara il giornalista al nostro settimanale -. Gli Usa perseguono una politica di potenza e sanno che all’orizzonte si sta profilando l’emergere del gigante cinese che potrebbe cercare un’alleanza con la Russia di un Putin che vende armi all’Iran e alla stessa Cina».
Quindi cosa dobbiamo attenderci? Una prossima invasione Usa dell’Iran, area strategica fondamentale?
«La politica estera americana sta seguendo le direttive pubblicate negli anni Ottanta su riviste militari e di geopolitica americane e israeliane. Israele teme di essere circondata da Stati islamici ostili e non può che chiedere l’intervento statunitense in quell’area. Gli interessi di Washington collimano perfettamente con quelli di Tel Aviv, anche se gli obiettivi americani puntano ben oltre la difesa del fedelissimo alleato israeliano. Prima dovranno sistemare la questione irakena, poi passeranno ad altri Stati canaglia”».
Quale sarà il destino dell’Iraq?
«Verrà smantellato in tre entità etniche, le elezioni di fine gennaio hanno confermato che la frattura tra sciiti e sunniti è insanabile e per evitare la guerra civile gli americani dovranno necessariamente imporre l’idea dello smantellamento dell’entità statuale unitaria irachena».
Intanto cominciano a uscire sui giornali americani, e naturalmente su quelli di tutto Europa, articoli assai critici nei confronti dell’Iran.
Si prepara l’opinione pubblica a un futuro intervento militare contro Teheran?
«L’accusa è quella che l’Iran si sta facendo la bomba atomica. Vedremo se tali accuse faranno la fine delle armi segrete di distruzione di massa mai trovate nell’Iraq di Saddam Hussein… Ma anche se fosse vero, bisogna rendersi conto che l’Iran è circondato da vicini che un arsenale atomico ce l’hanno, dall’India al Pakistan. E comunque non dimentichiamo che l’Iran islamico non ha mai attaccato nessuno, semmai è stato attaccato da Saddam nel 1980, quando il raìs, di Bagdad era foraggiato e sostenuto proprio dagli Usa in funzione anti-Khomeini».
Anche la Siria è nel mirino, Blondet?
«Indubbiamente sì. Mi pare peraltro che l’attentato che ha fatto fuori a Beirut l’ex premier Hariri puzza di losco lontano un miglio. Sembra che chi lo ha ammazzato abbia cercato la spettacolarizzazione dell’attentato, per dare un chiaro segnale alla Siria».
Il Medio Oriente è zona petrolifera per eccellenza, è normale che una superpotenza come quella americana tema che l’instaurarsi dell’islamismo in quelle zone possa creare presto problemi energetici enormi per il mondo occidentale che si rifornisce di petrolio, non crede?
«Però se tu vai a casa di altri sfondando la porta e aggredendo il padrone di casa, non è che quello poi ti offre la cena, no? Una volta esisteva l’arte della diplomazia, adesso invece c’è chi usa la prepotenza e la forza bruta. Perché sa di non avere tanto tempo a disposizione».
Gli Usa temono l’avanzata della Cina?
«Certamente. Dal 2003 la Cina ha superato gli Usa nei consumi di alcune materie, la carne ad esempio. La Cina consuma ormai il doppio della carne degli Usa. E Pechino sta rinforzando i buoni rapporti con Mosca. Putin ha venduto alla Cina 200 missili anti-portaerei, i “Sunborn”, che sono all’avanguardia della tecnologia militare mondiale. Questi missili volano a pelo d’acqua, una volta lanciati per la portaerei nel mirino non c’è praticamente scampo. I cinesi questi missili russi li hanno piazzati davanti a Formosa. E anche l’Iran ne ha comprato qualcuno della Russia, mettendoli sulle coste iraniane del Golfo Persico».
Ma come? E tutte le pacche sulle spalle tra Vladimir e George?
«Il clima tra Mosca e Washington non è più cordiale come pochi anni fa, però il presidente russo va avanti per la sua strada ed è riuscito persino a chiudere il debito contratto da Eltsin con il Fondo monetario internazionale. Ha rifiutato così il prestito offerto dalla Banca mondiale, evitando il ricatto che la Banca mondiale è solita fare una volta prestato denaro agli Stati in difficoltà. La Russia indipendente dal punto di vista economico rappresenta un grosso problema per gli strateghi americani e per le lobbies di potere internazionali. E anche in quel settore Putin ha usato il pugno di ferro, come con il caso della Yukos, che vale oggi 19 miliardi di dollari, e il cui proprietario oligarca è finito in galera».
Secondo lei, l’Unione europea dovrebbe guardare a Mosca per tessere rapporti commerciali e di cooperazione militare?
«L’Ue farebbe bene a guardare a Mosca anche sul versante petrolifero. Putin sembra sempre più deciso a farsi pagare il petrolio estratto in Siberia in euro e non più in dollari. Un chiaro segnale rivolto agli europei».
Il Governo italiano però è convinto della necessità di restare fedelmente ancorato all’alleanza con gli Usa sul versante della politica internazionale. Berlusconi sbaglia, secondo lei?
«No, Berlusconi non sbaglia a mantenere ottimi rapporti con Bush e con gli Usa. A differenza di altri Stati europei, come la Francia, l’Italia non è in grado di difendersi qualora venisse attaccata da un’ondata di terrorismo e quindi l’alleanza con gli Usa ci dovrebbe garantire un certo tipo di protezione. Ma è evidente che non è un destino, né per noi né per tutta l’Europa, quello di dover rimanere in eterno legati alle decisioni strategiche americane anche quando non sono favorevoli ai nostri interessi. E la nascita del Progetto spaziale europeo Galileo, che entrerà in funzione nel 2008, e di cui nessuno incredibilmente parla, dimostra che l’Ue può smarcarsi da una certa tutela americana e cominciare a camminare con le proprie gambe».

Gianluca Savoini

"Il Federalismo-Sole delle Alpi"