Segretario, nei giorni scorsi anche lei ha partecipato al tavolo di Palazzo Chigi sulla competitività. Che impressione si è fatta?
«Il documento che il governo ci ha presentato in alcuni punti è positivo mentre in altri è ancora da migliorare. A tal proposito nei prossimi giorni sono stati convocati incontri ad hoc per analizzare il testo nel dettaglio. Con piacere noto che in alcuni passaggi, nel concreto in quelli che fanno riferimento al prestito per l’accensione di mutui da parte dei co.co.co. e dei lavoratori precari, e in quello relativo alla modifica della legge 488 del ’92 - che prevedeva incentivi a fondo perduto per gli imprenditori del Sud - si nota la nostra impronta. L’esecutivo ha cioè accolto alcune nostre segnalazioni portandole all’attenzione di tutte le parti. Nonostante questo continuerò a ribadire che l’unica medicina realmente in grado di guarire il nostro Paese è quella dei Dazi doganali».
Il Sindacato Padano, insomma, continua sulla strada dei Dazi portata avanti anche dalla Lega Nord?
«Assolutamente sì. Eppure sono perplessa. Perplessa perché nonostante la crisi che colpisce il nostro sistema manifatturiero, dal tessile alle ceramiche passando per i calzaturifici, c’è chi sembra fare finta di nulla. Eppure questa crisi è perfettamente riconducibile alla concorrenza asiatica. Piaccia o non piaccia, questo è il vero problema. Da parte loro il presidente Ciampi e il numero uno di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, hanno detto che la Cina può essere una risorsa. Sicuramente una risorsa per la grande industria, ma non per la piccola impresa. Se poi pensiamo che l’economia del nostro Paese per il 75% è riconducibile alle Pmi, le conclusioni dovrebbero essere chiare a tutti. Non so quale sia in proposito il punto di vista dei vertici delle Pmi, ma credo che forse c’è un po’ di miopia che porta a non vedere quell’abbraccio mortale destinato a strangolare la piccola impresa».
La stessa Triplice, però, nei giorni scorsi ha manifestato in favore di nuove misure di tutela per il settore tessile.
«È verissimo. Abbiamo ancora ben nitida davanti agli occhi la manifestazione di Cgil, Cisl e Uil davanti al Pirellone in difesa dei dipendenti del settore tessile. A Roma, però, seduti a quel tavolo dove si prendono le decisioni, tutti sembrano avere paura di fare qualcosa per curare il Paese».
C’è poi il problema del costo della manodopera.
«Non esiste nessun Paese in grado di competere con il costo della manodopera cinese. Non dimentichiamoci che un operaio con gli occhi a mandorla ha un costo orario pari a 0,45-0,50 centesimi l’ora. In Europa, per lo stesso lavoro, un operaio costa tra i 10 e i 13 euro. Nonostante sotto l’albero non ci sia nulla di nuovo, da parte di alcuni, purtroppo, non vedo ancora risposte concrete. Non dobbiamo poi cadere nel tranello di credere che esista solo un “problema Asia”. Ne esiste anche uno che riguarda l’India e che non è certo indifferente. Al tavolo della competitività abbiamo chiesto all’esecutivo di non dare più finanziamenti a chi investe all’estero, ma di aiutare chi riporta la produzione nel nostro Paese. Dobbiamo fermare in fretta l’emorragia causata dalle aziende che oggi “scappano” all’estero in cerca di condizioni migliori. Se vogliamo mettere mano a questa situazione e “curare” la malattia dobbiamo mettere in campo un intervento forte. Un intervento che non riguarda solo questo Paese, ma che non possiamo fingere di non vedere».
Simone Boiocchi
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[Data pubblicazione: 01/03/2005]