di Giulietto Chiesa







Le guerre dell’Impero sono guerre senza fronti di combattimento. Parlo delle ultime tre che abbiamo visto. Le altre non dovevamo vederle, ma queste dovevamo vederle perché erano paradigmatiche, servivano di esempio e di ammonizione. Kosovo, Afghanistan, Irak, Servivano per personificare il Male e per dimostrare al grande pubblico degli utenti mercificati che il Male può essere annientato...
E chi lo annienta è l’Impero. Così sono usciti di scena Milosevic, Osama bin Laden, Saddam Hussein. Il prossimo sarà un ayatollah.
Queste guerre – s’è detto - devono essere viste. Ma esclusivamente attraverso il filtro dell’Impero. Chi è fuori dal filtro – testimone importuno, anomalo - non deve raccontare nulla, vedere nulla. Servono, per questo, schiere di giornalisti embedded, pronti a ogni nequizia, e manipoli di direttori di giornale e telegiornale che hanno già superato ogni soglia di arrendevolezza nei confronti del potere. Embedded gli uni e gli altri: i primi in prossimità della battaglia, gli altri nei loro comodi uffici.

E poiché non c’è una linea del fronte, poiché la guerra viene portata in mezzo ai civili, o viene realizzata vigliaccamente dall’alto, bombardando preferibilmente i civili, mentre gli assassini in divisa rimangono al di sopra della portata delle contraeree avversarie, inattingibili all’aviazione nemica, ecco che chi vuole raccontare le guerre dell’Impero deve rischiare la vita, come la rischiano i civili del paese attaccato, vecchi, donne, bambini.

Bisogna farlo? Bisogna, perché altrimenti saremo sommersi dalla manipolazione. Ma bisogna sapere che si rischia la vita. Giuliana pensa così. L’essenziale è prendere le precauzioni necessarie, usare e astuzie possibili, in modo da ridurre al minimo il rischio. Ma il minimo non è uguale a zero.

Giuliana ha dimostrato molte volte di sapere come e cosa fare, ma i pericoli sono ormai più alti di ogni calcolo. In Cecenia, da tempo, chi vi si avventura non ha modo di ripararsi. Questo accade quando entrambi i contendenti usano i testimoni scomodi per fare soldi o per fare politica. Allora entrare in quel carnaio è come puntare sul numero di una roulette, perché non ci sarà squadra di guardie del corpo di cui si sia certi che non ti userà come pedina.

In Irak, ogni giorno che passa, è peggio.

Guerra senza fronti significa anche che – se sono interessanti come paradigmi – vi operano avventurieri di ogni sorta. Sono ricettacoli di tutte le bande possibili. Sono campo privilegiato d’azione di tutti i servizi segreti. E, per definizione, tutti operano dentro la società civile, nei suoi anfratti, nelle sue ombre. Te li trovi al fianco, senza saperlo. Sono mimetizzati perfettamente, assai meglio di te che, per raccogliere notizie, immagini, devi scoprire il tuo ruolo. E, se non sai la lingua, non puoi evitare di essere individuato.

E, poiché devi trasmettere, sarai controllato passo dopo passo. Il tuo telefono, prima di tutto, sarà ascoltato minuto per minuto. Sapranno dove vai, chi incontri, cosa scrivi. Vale per la Cecenia, dove il servizio segreto è uno, valeva per l’Afghanistan dove era un altro, vale per l’Irak, dove ce ne sono diversi in azione, vicini e lontani.

I testimoni che non fanno parte del filtro sono i primi a essere tenuti “d’orecchio”. Ed ecco che può diventare utile ucciderli, senza perdere tempo, oppure prenderli, rapirli. E catturarli può essere utile una volta a questo gruppo, un’altra a questo spezzone di servizio segreto, una terza a una squadra di killer sguinzagliata sul territorio proprio allo scopo di eliminare i testimoni incontrollabili.

Ho il sospetto che almeno alcuni dei rapimenti e delle uccisioni che hanno toccato gl’italiani in Irak abbiano fatto parte di questa casistica assai complicata. Complicata anche dal fatto che non c’è gruppo, o formazione militare, paramilitare, terroristica, spionistica, che non sia in collegamento con altre, che non sia infiltrata, inquinata non meno che inquinante.

Le trattative sono possibili (e si fanno) proprio perché esiste questo tipo di contiguità. E questa, a sua volta, dovrebbe fare giustizia di tutte le semplificazioni che i giornali (quegli stessi giornali e tv embedded che santificano la guerra tutti i giorni con quella che, giustamente, Ennio Remondino ha definito “idealpolitik”) ci vendono disinvoltamente, assegnando a questo o quel gruppo “terroristico” ogni rapimento. Troppo semplice. Purtroppo non è così. I bugiardi professionali devono vendere sensazioni, banalità, spiegazioni facili. E sono pronti a sacrificare perfino la decenza.

Figuriamoci se si lasciano distrarre dall’umanità.
Per questo chi si avventura in queste guerre senza linea del fronte, in queste guerre bugiarde, in queste guerre vili, rischia la vita. Non solo perché ci sono molte forze su quei campi minati, che possono usarli ai loro scopi, ma anche perché, nelle rispettive patrie (e l’Italia è una di esse) c’è chi è pronto a venderli per proprio vantaggio, a coprirli d’infamia, a lasciarli soli, magari a salvargli la vita, se serve ai suoi sporchi interessi, oppure ad abbandonarli al loro destino (se si accorge che questo servirà meglio ai suoi sporchi interessi).

Certo che bisogna rischiare, per raccontare un po’, almeno un po’, di questa triste menzogna che ci assedia ormai da ogni parte. Anche perché questa menzogna si sta dilatando, assieme alla guerra, e ci incalza da ogni parte. E presto, se non potremo fermarla, anche dire la verità qui da noi sarà rischioso come non lo era mai stato prima.