User Tag List

Pagina 1 di 3 12 ... UltimaUltima
Risultati da 1 a 10 di 25
  1. #1
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito I tappeti orientali: icone anoggettuali della Chiesa d’Oriente.

    Gentili forumisti questo thread riporta estrapolazioni di una relazione interessantissima e revisionistica sugli studi condotti dal professor Volkmar Gantzhorn sull’arte dei tappeti annodati in oriente.

    Estrapolazioni dalla tesi su "IL TAPPETO CRISTIANO ORIENTALE" di Volkmar Gantzhorn:

    Le ricerche dell’autore mettono in una luce completamente nuova le conoscenze e il contesto di quanto sui tappeti orientali è stato finora affermato, operando una vera e propria revisione della storia del tappeto cristiano orientale e riuscendo a ricollegare i motivi dei tappeti dalle tradizioni della Frigia e di altri popoli all’artigianato armeno, mantenutosi fino a questo nuovo secolo. I tappeti come manifestazione del potere, della fede cristiana, come astratte icone tessili, ma sempre carichi di una profonda religiosità. Il tappeto cristiano orientale che non ha una radice nomade, nè proviene dall’Asia centrale, è prodotto di altre culture dell’antico Oriente e ha avuto origine nell’altopiano armeno alla confluenza delle più antiche vie commerciali tra EST e OVEST, NORD e SUD.

    La storia del tappeto orientale è una disciplina relativamente giovane della quale gia si pensa di sapere tutto, ma non è così. Tutte le ricerche sullo studio dei tappeti orientali furono infatti condizionate e falsate, costrette com’erano a presentare risultati svianti, non corrispondenti in alcun modo alla realtà effettiva. Una sorta di complotto storico-religioso che si è spinto fino a falsificare testi come “Il Milione” di Marco Polo e che ha trascinato per anni l’immaginario collettivo verso origini del tappeto orientale tutt’altro che veritiere.

    Come ci si doveva aspettare anche questa tesi ha trovato i suoi nemici; la compilazione di questo manoscritto ha sollevato polemiche e scomodato eminenze grigie nel campo della storiografia, della religione, del collezionismo e persino della politica. Boicottata anche nella pubblicazione e nella divulgazione è riuscita nonostante tutto a vedere la luce nel 1991, grazie all’aiuto di molti piccoli collezionisti, commercianti, studiosi, direttori di musei, e grazie al contributo della Facoltà di scienze della civiltà della Eberhard-Karls-Universitat di Tubinga che ha accettato questa scottante opera come tesi di università. Poco dopo la pubblicazione da parte della casa editrice Benedikt Taschen, la tesi del “Tappeto Orientale Cristiano” sparì quasi subito dagli scaffali delle librerie del mondo e solo pochi fortunati ne possiedono oggi come oggi una copia, con tutte le rivelazioni del caso.

    PS: il thread verrà costantemente aggiornato e all'interno di esso verranno presto postati interessantissimi documenti fotografici di inediti tappeti orientali raffiguaranti immagini sacre delle icone ortodosse, dipinti rinascimentali di arte sacra con all'interno tappeti perfettamente riporodotti, simbolismi condivisi dal mondo della tessitura dei tappeti orientali e quello della canonica classica ortodossa e bizantina.

  2. #2
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito La tesi su "IL TAPPETO CRISTIANO ORIENTALE" di Volkmar Gantzhorn

    Prefazione

    E’ intendimento dell’autore non soltanto di togliere al tappeto orientale la fatale aureola di rivestimento di suolo accessibile, calpestabile, che i “barbari” europei hanno rovinato con le loro scarpe, ma anche di risvegliare la coscienza che questi prodotti tessili dei fedeli cristiani sono “icone anoggettuali”, oggetti di culto delle chiese cristiane d’Oriente e che, assieme ad altri tessili, rappresentano il più importante contributo armeno alla storia dell’arte mondiale. Quest’opera vuol essere una sorta di riparazione per una popolazione che nel corso della sua storia più che bimillenaria, a causa della sua posizione geografica fra Oriente e Occidente, ha più di ogni altra sofferto innumerevoli spartizioni, saccheggi, spogliazioni, deportazioni, asservimenti, uccisioni, oltraggi, che è stata derubata della sua stessa arte, la cui paternità è stata attribuita in seguito ai conquistatori, in buona fede o attraverso manipolazioni. Il patrimonio di motivi del tappeto orientale è una componente dell’identità armena e come tale deve essere concepito.

  3. #3
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito

    "Il Milione" di Marco Polo

    Quante versioni esistono oggi de “Il Milione” di Marco Polo? Sicuramente a dozzine. E’ la conclusione alla quale giunge l’autore della tesi Volkmar Gantzhom che dopo ricerche approfondite individua nelle traduzioni susseguenti numerose e sostanziali differenze dall’originale. E’ il caso della “descrizione dei viaggi di Marco Polo”- un testo originario francese dell’anno 1298 ormai andato perduto – della traduzione in inglese di Yule del 1875 e quella del Pope, della versione italiana di Ramusio del 1559 e quella conservata a Firenze presso la Biblioteca Nazionale e conosciuta come il “manoscritto Ottimo”. Per finire a quella falsificata nel 1955 per mano dello studioso Kurt Erdmann e che influì pesantemente l’intera letteratura specialistica per gli ultimi 50 anni. Ma come è stato possibile tutto ciò? Il problema di fondo nasce dalla versione inglese de “Il Milione”, ossia quella di Yule che come quella del Pope è stata tradotta – Londra 1875 – non dal testo originale francese e neppure dal “manoscritto Ottimo”, ma bensì dalla versione italiana di Ramusio del 1559. Ulteriori traduzioni in diverse lingue europee hanno dato poi vita a dozzine di varianti de “Il Milione” e di conseguenza a differenti descrizioni dei viaggi di Marco Polo. Quando lo studioso Kurt Erdmann nel lontano 1955 intraprese un nuovo tentativo di delineare la storia del tappeto partendo proprio dalla traduzione di Yule e cercando nell’altopiano anatolico la soluzione dei problemi, Erdmann alterò alcuni passi delle citazioni così da poter dimostrare l’origine nomadico-turkmena dei tappeti. La storia del tappeto orientale prese così una strada assolutamente nuova e fuorviera, e a tutt’oggi assolutamente attuale. La tesi di Volkmar Gantzhom nasce per questo: assicuare la verità alla storia, e restituire all’Armenia la paternità del tappeto annodato orientale.

  4. #4
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito

    Prime estrapolazioni della tesi de "IL TAPPETO CRISTIANO ORIENTALE"

    Quando nel 1955 Kurt Erdmann intraprese un nuovo tentativo di delineare una storia del tappeto orientale – Der orientalische Knupfteppich, Tubinga 1955, 4° ed.1975 – cercando la soluzione ai problemi che gli apparivano insoddisfacenti in teritorio turco, indubbiamente era nel giusto.
    Ma la storia erdmanniana del tappeto parte da due premesse che la condizionano pesantemente: il mito dei tappeti selgiuchidi e, da questo dedotta, l’ipotesi della loro origine nomadico-pastorale.

    Avendo tali premesse condizionato a loro volta, la successiva letteratura specialistica, anche noi partiremo dal loro esame.

    Alla base di queste convinzioni, sembra esservi stata la relazione di Marco Polo, nella traduzione inglese di Yule, nota a Erdmann assieme all’interpretazione di Pope. Come mostrano le ricerche su Marco Polo, la traduzione di Yule, come del resto, anche la maggior parte delle traduzioni più recenti, non si è ripresa dal testo originale francese, bensì dalla versione italiana di Ramusio, del 1559. La traduzione tedesca moderna utilizzata dall’autore è tuttavia quella di H.E. Rubesamen –Die Reisen des Venezianers Marco Polo, Monaco 1983 - .


    “Della Turkmenia

    La popolazione della Turkmenia è composta di tre classi. I Turkmeni, che adorano Maometto e seguono le sue leggi, sono una popolazione rozza, del tutto incolta. Essi vivono sulle montagne e in luoghi difficilmente accessibili, dove trovano buoni pascoli per il loro bestiame, che costituisce il loro unico mezzo di sostentamento. Vi è qui una splendida razza di cavalli chiamati turchi e bei muli, che vengono venduti ad alto prezzo. Le altre classi della Turkmenia sono Greci e Armeni, che abitano in città e in luoghi fortificati e che vivono di commercio e di artigianato. Qui vengono fabbricati i tappeti migliori e i più belli, oltre a tessuti di seta cremisi e di altri straordinari colori. Fra le città più importanti vi sono Conia, Cesarea e Sevasta, dove San Biagio ottenne la corona gloriosa del martirio. Sono tutte soggette al gran Khan, signore dei Tartari orientali, che nomina i governatori delle loro città.”


    Per mantenersi coerente con le proprie premesse, Erdmann arrivò ad alterare alcuni passi della citazione, così da poter dimostrare l’origine nomadico-turkmena dei tappeti.

    Erdmann: op.cit 4, p.17:
    “Si crede al commerciante veneziano Marco Polo che nel 1271 viaggiò in Anatolia, dove scrisse che nella terra dei Selgiuchidi di Rum venivano fabbricati i migliori e i più bei tappeti del mondo. Se abbia visitato anche Conia, non è certo, ma i pezzi che vide a Sivas e a Kayseri non dovevano avere un aspetto diverso da quelli della Moschea di Aladino”.

    Erdmann: op. cit 5, p. 26:
    “Torniamo in tale circostanza ancora una volta alla relazione di Marco Polo. Questa viene riportata solitamente nella traduzione inglese di H.Yule, che così suona: ‘Nel Turkestan vi sono tre classi. Esse vivono nelle montagne e nelle pianure, dove trovano pascoli buoni per le loro mandrie. Le altre due classi sono gli Armeni e i Greci, che sono mescolati con i Turkmeni nelle città e nei villaggi e che si occupano di commercio e di artigianato. Essi (!) tessono i migliori e i più bei tappeti del mondo’.
    Nell’edizione migliore italiana del Ramusio per contro si legge: ‘Le altre classi sono gli Armeni e i Greci, che abitano nelle città e che vivono di commercio e di artigianato. Lì (!) [cioè nelle città] vengono fabbricati i migliori e i più bei tappeti del mondo’.
    Marco Polo non dice, come sembra nella traduzione di Yule, che l’arte dell’annodatura fosse nelle mani degli Armeni e dei Greci, bensì che i migliori e più bei tappeti del mondo venivano fabbricati nelle città dell’impero selgiuchide di Rum.
    Ciò non esclude naturalmente che gli annodatori fossero in parte di origine greca o armena. Ciò è del tutto verosimile. Gli Armeni e i Greci erano abilissimi artigiani, che sono giunti in tutti i tempi ai vertici della loro arte.
    Ma qui si esaurisce la loro importanza”.

    Nella citazione del testo di Yule si aggiunge la frase “mescolati ai Turkmeni”. Il confronto con la traduzione sopra citata chiarisce lo spostamento di significato.

    Ogni discussione sulla possibile ambiguità della versione di Ramusio appare superflua, esistendo importanti versioni precedenti, anche tedesche, del passaggi citato. La versione più antica del Milione è il cosiddetto manoscritto Ottimo, del 1309, conservato nella Biblioteca Nazionale di Firenze.

    Versione de Il Milione di Ulrich Koppen:

    “Che cosa posso dirvi della Turkmenia: la popolazione della Turkmenia si divide in tre gruppi. I Turkmeni sono maomettani con un modo di vita estremamente semplice ed un linguaggio assai rozzo. Essi vivono in regioni montuose e praticano l’allevamento del bestiame. Particolarmente apprezzati sono i loro cavalli e i bellissimi muli. Gli altri gruppi, Armeni e Greci, vivono in città e luoghi fortificati e vivono prevalentemente di artigianato e di commercio. Oltre ai tappeti, non superati in alcun luogo e dagli splendidi colori, vi si fabbricano tessuti di seta di ogni colore.Tutta questa terra, sulla quale vi sarebbe da dire molto di più, è soggetta al Khan dell’impero tartaro orientale”.

  5. #5
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito

    Nei testi sopra citati possiamo stabilire che i Turkmeni sono sempre descritti nello stesso modo: sono maomettani ed hanno una loro lingua e loro usi, sono una popolazione grossolana e primitiva, abitano nelle montagne e nelle valli, dove trovano buoni pascoli, vivono di allevamento del bestiame, hanno buoni cavalli e muli. C’è coincidenza anche per quanto riguarda i Greci e gli Armeni: essi vivono insieme nelle città e nelle fortezze, che sono numerose. Qui vengono fabbricati i tappeti migliori e i più belli del mondo e tessuti di seta, riccamente adorni d’oro, belli e piacevoli.

    Osserviamo ora che non si tratta tanto del problema se il punto indicato da Erdmann con (!) venga tradotto con “essi” o con “lì”. Il significato non cambia. Ma l’aggiunta di Erdmann “mescolati ai Turkmeni” cambia totalmente il significato. La colpa di quest’interpretazione errata è, una volta di più, la traduzione inglese di Yule, nota a Erdmann insieme all’interpretazione di Pope. Nel testo inglese si dice “mixt with the former”, nel testo tedesco “zussamen”, ed entrambi i testi si riferiscono soltanto alla convivenza di Greci e di Armeni, secondo quanto è ripreso non soltanto dai testi tedeschi di Marco Polo degli ultimi 600 anni, che Erdmann, curiosamente (o volutamente!) trascura. Non c’è infatti alcun’altra possibilità interpretativa. In tutte le versioni del testo di Marco polo viene asserito che nelle città i Greci e gli Armeni vivevano insieme e si dedicavano al commercio e alla manifattura. Vengono poi elencati, come si può correntemente osservare in tutto il testo di Polo, i prodotti più importanti della suddetta popolazione: per i Turkmeni si tratta di cavalli e di muli, per i Greci e per gli Armeni, invece di tappeti e di tessuto di seta lavorati con fili d’oro.

  6. #6
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito

    Le citazioni di Abulfèda e di Ibn Battuta

    Anche le citazioni di Abulfèda e di Ibn Battuta subirono lo stesso destino. Il significato del rapporto di quest’ultimo venne addirittura ribaltato, dicendosi in esso che i “tappeti di Aksaray” venivano esportati anche nel “paese dei turchi”.

    Erdmann fa citare anche da Abulfèda Ibn Sa’id, morto nel 1274 “ad Akasaray vengono fabbricati tappeti turkmeni, che vengono esportati in tutti i paesi” (4; p.26).
    Nel testo originale Albufèda non compare né “turkmeni” né la frase “Che venivano esportati in tutti i paesi”.
    Quest’ultima frase è presente tuttavia in Ibn Battuta che Erdmann cita come segue:
    “Anche Ibn Battuta, che viaggiò in Anatolia all’inizio del XIV secolo, li elogia e afferma che venivano esportati in Egitto, in Siria, in Irak, in Persia, in India e in Cina” (4; p.18)
    oppure
    “elogia anche i tappeti di Aksaray, che venivano esportati in Egitto, in Siria, in Irak, in India, in Cina e nella terra dei Turchi (con la quale intende la Persia)” (5;p.14).
    Il testo originale di Ibn Battuta, che viaggiò in Anatolia nel 1334, così suona: “Lì venivano prodotti tappeti di lana di pecora, che prendevano il nome da essa [da Akasaray; N.d.a], che non hanno trovato l’uguale in alcun paese e che vengono esportati da lì in Siria, Egitto, al-Irak [si tratta dell’impero degli Ilkhan, comprendente l’Iran, l’Irak e parte dell’Anatolia orientale, N.d.a], in India, in Cina e nella terra dei Turchi. Questa città appartiene al re dell’al-Irak” (H.A.R. Gibb:The Travels of Ibn Battuta, vol II, Cambridge 1962, p. 432).

    Il confronto con le citazioni di Erdmann mostra nuovamente sostanziali cambiamenti. Nella prima citazione manca l’accenno all’impero degli IlKhan (al-Irak), anche se vengono nominati l’Irak, la Persia, e alla terra dei Turchi. Nella seconda citazione al-Irak diventa semplicemente Irak, la Persia (Iran) manca, in quanto viene usata come chiarimento per il paese dei Turchi..

    Si deve prestare attenzione al termine “tappeti di Aksaray” trattandosi di una denominazione commerciale, che nulla aveva a che fare con Conia. Nel tredicesimo secolo, e forse anche nel quattordicesimo, Aksaray era la capitale dei khan mongoli nell’Anatolia centrale. Ad oggi non possediamo alcun elemento dal quale si possa dedurre che i Selgiuchidi fabbricavano tappeti in Anatolia e il fatto che se ne siano stati trovati alcuni nella moschea di Aladino a Conia, non costituisce una prova.

  7. #7
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito Analisi lessicale e contenutistica di alcune traduzioni inglesi e non solo

    È incomprensibile che Kurt Erdmann non abbia preso in considerazione le fonti più importanti per lo studio dei primi tappeti. Esiste una raccolta di materiale che, pubblicato periodicamente in ARS ISLAMICA negli anni 1942-1951, è di estrema importanza, avendo analizzato tutte le fonti dal sesto fino al tredicesimo secolo e inoltre, tutte quelle orientali, prevalentemente arabe:

    R.B. Serjeant: ISLAMIC TEXTILES
    Material for a history up to the Mongol Conquest

    Quest’opera è dunque importantissima, consentendo essa di relativizzare fonti spesso citate. Il materiale prevalentemente utilizzato è composto per lo più di testi arabi tradotti in inglese nel diciannovesimo secolo. Il termine “carpet” usato in tali versioni, tradotto automaticamente, dopo di allora, con “Teppich” dagli autori tedeschi, non è in alcun modo soddisfacente, trattandosi di un termine estremamente generico, significante tutto ciò che in qualsivoglia modo serve a ricoprire, rivestire e proteggere, cioè ogni tessile utilizzato come coperta, copritavolo o altro rivestimento, oltre agli arazzi parietali e a ogni tipo di tessile per il pavimento. Significati, tutti largamente coincidenti con quelli dell’inglese “carpet”. Queste ragioni sarebbero già di per sé, sufficienti a inficiare molti dati della letteratura, che si basano su traduzioni inglesi.

    Particolare attenzione meritano a questo proposito i collegamenti lessicali con la parola mahfùr, participio di “hafara”, che significa letteralmente “scavare, circondare di uno scavo, incidere”. Serjeant utilizzò nella traduzione “raised” e “in relief”. “Raised”, riferito a tessili, significa “garzato”, “in relief” significa in rilievo. Il termine “mahfùr” può avere un significato spaziale negativo e uno positivo, cosicché “circondato da uno scavo” può significare al tempo stesso “sollevato, alzato, garzato”. Poiché il collegamento lessicale “Armani mahfùr” è sinonimo di “Armeniatica stronglomaletaria”, “mahfùr”, riferito a un tessile, sarebbe traducibile anche con “a fibra lunga, a atrama alta”.

    Il termine mahfùr fu sempre utilizzato per distinguere e indicare i tessili da pavimento con superficie in rilievo, garzata, caratteristiche che si addicono soltanto ai tappeti annodati.

    Dubbi vengono anche suscitati dal termine “prayer-carpet”, cioè “tappeto da preghiera”, che sta per l’espressione araba “musallà”. L’espressione è altrettanto ambigua quanto “carpet” o “tappeto”. Un musallà può essere sia un ricamo, sia un velluto di broccato o qualsiasi tipo di tessile non annodato. Nell’opera di Serjeant non è individuabile alcun collegamento lessicale con “mahfùr”, cosicché non compaiono tappeti annodati da preghiera fino all’epoca dell’invasione mongola

  8. #8
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito Le più antiche citazioni storiche dei tappeti armeni nelle opere letterarie orientali

    Un analisi dell’opera di Serjeant alla luce di questi “mahfùrì” ci da un esatta panoramica della diffusione dei tappeti annodati dal sesto al tredicesimo secolo e inoltre troviamo qui con lbn Khaldun, la loro più antica menzione, e precisamente il riassunto dei ruoli delle imposte naturali, tratti da un’opera intitolata Djirab al-Dawla di Ahmed ibn ‘Abd al-Hamid, dell’epoca del governo di Ma’mun, alla fine dell’ottavo secolo: in tale riassunto si dice che gli Armeni erano tenuti a fornire ogni anno, a titolo d’imposta, venti tappeti (busut mahfùra) ai califfi di Bagdad. La notizia è integrabile a quella di Tha’alibi (prima del 1021) il quale riferisce che gli Armeni, a quell’epoca, dovevano fornire al sultano buydico, assieme ad altre imposte, ogni anno trenta tappeti (busut muhfùra). Nel 768, Tabari menziona un arminiya, cioè un tappeto armeno.

    Kàroly Gombos cita lo storico arabo Muhammed Barishini, il quale riferisce che l’emiro Yusuf abu-Sadsh nel 911 aveva inviato, insieme ad altri doni, al suo califfo Muhtashir sette tappeti armeni.

    Troviano una precocissima menzione di tappeti annodati armeni nell’Enziklopadie des Orientteppichs, in cui Iten- Maritz cita N.Adontz, il quale afferma che nell’813 il khan bulgaro Krum nelle sue scorrerie in Oriente aveva fatto bottino di Armeniatika Sronglomaletaria, cioè di tappeti di lana annodati armeni. La stessa fonte cita anche lo storico Bayhaki, il quale nel 1025 riferisce che Mahmoud di Ghazna aveva fatto omaggio al governatore del Turkestan orientale, Kadir khan, di pregiati tappeti armeni.

    In ISLAMIC TEXTILES altri tappeti annodati armeni vengono citati sia nell’Hudud al-‘Alam, sia da parte di Makdisi (mukkadisi) e di lbn Haukal, entrambi nel decimo secolo. Ibn Haukal precisa l’ubicazione dei centri di produzione degli Armanì mahfùr: essi vengono prodotti a Marand, Tabriz, Dabil (Dwin) e in altre province dell’Armenia. Nell’Hudud viene nominata anche la provincia di Shirvan e, come luogo di produzione dei mahfùrì, vengono specificate le località di Shirvan, di Khursan e di Derbent.

  9. #9
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito

    L'invasione selgiuchide e la diaspora armena



    L’invasione selgiuchide del 1071 sembra aver danneggiato e in gran parte distrutto la maggior parte dei centri di annodamento armeni. Nell’Armenia occidentale, l’unico centro di fabbricazione di tappeti annodati in tutta la regione del sultanato di Iconico, sembra essere Kalikala, l’attuale Erzorum, dal cui nome deriva il termine arabo Kali - hali in turco – designante il tappeto armeno. Nello spazio culturale dell’Armenia orientale, sopravvivono i centri di Dwin (Dabil), famoso per i tappeti porpora che vi si producevano, di Tabriz e la regione di Shirvan.

    Sono quelli gli unici dati disponibili circa la fabbricazione di tappeti annodati per il periodo che arriva fino all’Alto Medioevo ed essi coprono tutte le regioni dell’Oriente con le quali gli Arabi commerciavano, cioè l’Asia anteriore e l’Asia.

    Per quanto riguarda i paesi non orientali, Ibn Haukal riferisce che nel decimo secolo in Andalusia venivano fabbricati tappeti anodati (mahfùr) d’aspetto simile ai migliori tappeti annodati armeni di qualità superiore. Il centro di produzione era situato nella provincia di Murcia, nella città di Murcia, a Tantala e ad Alsh, corrispondente alla colonia grca di Hemeroskopeion, la futura provincia gotica occidentale di Theodemir, che, con il nome di Todmir, potè mantenere la propria indipendenza e la sede episcopale anche sotto gli Omayyadi.

    Tirando le somme da quanto si è detto, possiamo affermare che fino all’alto Medioevo venivano fabbricati tappeti annodati esclusivamente nello spazio culturale armeno, da un lato, e in Spagna, dall’altro. Gli storici antichi non riferisconodi alcuna produzione di tappeti nel Turkestan occidentale, come Erdmann afferma con certezza, anche se si conoscevano merci provenienti dalla Cina e dall’India.

    Per spazio “culturale armeno”si intende riferirsi alla zona insediativi geografico-etnologica degli Armeni prima del 1895 e non a un complesso di Stati.

    Oltre ai trasferimenti forzati, soprattutto verso la Persia meridionale e la Grecia settentrionale, nel primo secolo ebbero luogo due grandi ondate migratorie, con le quali gli Armeni misero piede non soltanto in Asia Minore, ma anche in Italia, in Francia e in Spagna. La minaccia dei Selgiuchidi portò all’emigrazione di gran parte della popolazione verso ovest, dove il Wilayet Sivas, la regione di Kayseri, Smirne (Izmir), i monti del Tauro e la Cilicia, la Grecia settentrionale e i territori dei Carpazi divennero centro d’insediamento armeno. Inoltre troviamo minoranze armene non soltanto in Siria, in Egitto e in tutte le città costiere del Mediterraneo, ma anche in Persia, in India, nelle isole Sonda e in Cina. Nel 1095, durante la prima Crociata, si formarono rapporti di parentela con la Francia e la Sicilia attraverso numerosi matrimoni.

  10. #10
    Nebbia
    Ospite

    Predefinito Il tappeto: simbolo di potere secolare e spirituale

    La seconda premessa di Erdmann è l’ipotesi nomadico-pastorale, quella cioè dell’origine dei tappeti a opera di nomadi. Il nucleo centrale del suo pensiero è che il tappeto annodato sarebbe stato scoperto dai pastori nomadi a imitazione del vello animale, a causa, da un lato, del numero insufficiente di pelli e, dall’altro della mancanza di tappeti di feltro disponibili. Entrambe le affermazioni sono chiaramente errate. Le popolazioni che si nutrivano degli animali che allevavano avevano abbondanza di pelli, in quanto sarebbero bastate quelle degli animali macellati per l’alimentazione a coprire e superare ampiamente il fabbisogno. Anche l’affermazione che i tappeti di feltro erano molto diffusi soltanto nelle regioni più orientali non è sostenibile dopo lo studio del materiale di Serjeant. Al contrario si deve riconoscere che essi erano presenti dall’Armenia fino alla Cina e la loro ipotetica assenza nel Turkestan occidentale non è sufficiente per spiegare la nascita del tappeto annodato.

    Nella saga del “vello d’oro” si può pensare a un’imitazione, ma in essa il sostituto del vello è un simbolo, un segno di potenza e di dominio, alla pari dei velli di belve con i quali gli dei e gli eroi dimostrano la loro forza e la loro superiorità nella pittura vascolare greca e nei mosaici.

    Una delle più antiche, seppur indirette, menzioni di tappeti sembra confermare queste interpretazione: all’ingresso di Gesù a Gerusalemme, i suoi discepoli, non disponendo di tappeti, stendono davanti a lui i loro mantelli e salutano il suo ingresso con l’acclamazione: “Ecco, arriva il Re dei Giudei”. Il tappeto come attributo regale è collegato a numerose immagini di sovrani, come ad esempio, Cosroe II.

    Di un passo più avanti ci porta il rapporto di Sharaf al-Din Ali Yazdi in “Zafar name”, che parla del tappeto imperiale e da trono di Tamerlano: in assenza di questi, il tappeto aveva funzione di sostituto e le legazioni straniere dovevano baciarlo e fargli atto d’ossequio.

    Le antichissime immagini di tappeti pervenuteci negli affreschi di Turfan, servivano alla rappresentazione della potenza religioso-spirituale, alla glorificazione del Buddha

    Nessun dubbio è più possibile: il tappeto ha lo status di simbolo di potere, secolare e spirituale.
    Gli armeni erano esperti tessitori che confezionavano vere e proprie icone anoggettuali che finirono col diventare oggetto di culto delle Chiese d’Oriente. La loro diaspora sancì la diffusione della loro arte e della loro cultura presso mezzo mondo, la tessitura d’oriente porta tutt’ora i segni di questa contaminazione cristiana. Una tesi confortata dalle mille iconografie dei tappeti orientali tutt’oggi attuali: dozzine di croci nelle svariate forge, dalle croci di Sant’Andrea a quelle Copte, da quelle stellate a quelle uncinate. Persino i tappeti da preghiera recano la distinguibilissima arcata della Chiesa Romanica erroneamente invece scambiata per il portale di una moschea e a questo scopo direzionata dai musulmani verso la Mecca nel momento della preghiera.


 

 
Pagina 1 di 3 12 ... UltimaUltima

Discussioni Simili

  1. blog sui tappeti orientali
    Di Abadir nel forum Arte
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 14-11-08, 13:13
  2. Risposte: 10
    Ultimo Messaggio: 21-12-05, 18:38
  3. Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 31-07-05, 17:52
  4. Risposte: 28
    Ultimo Messaggio: 19-07-03, 22:07
  5. Risposte: 5
    Ultimo Messaggio: 07-03-03, 14:33

Chi Ha Letto Questa Discussione negli Ultimi 365 Giorni: 0

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito