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    Predefinito La Cina Si Procura La Sicurezza Energetica

    Pechino ha lanciato un grande programma per la costruzione di 30 centrali nucleari nei prossimi 15 anni, ponendosi così all’avanguardia delle ricerca e sviluppo di centrali super-efficienti, che l’ecologismo occidentale ha bloccato senza speranza (1).
    Per un’economia come quella cinese, che cresce di oltre l’8% annuo, non è questione di “energie rinnovabili”, mulini a vento e pannelli solari: la domanda di energia cinese cresce annualmente del 16%. Già oggi, con una capacità produttiva di elettricità di 385 mila megawatt (la seconda dopo gli Usa), secondo le stime del ministero cinese competente, la domanda di elettricità resta inevasa per il 15-20%, sì che 100 milioni di cinesi non hanno accesso alla luce. Solo per tenere il passo con la sua crescita economica, la Cina stima di dover raddoppiare la capacità di generazione di elettricità ogni dieci anni.
    Oggi i due terzi dell’elettricità cinese è prodotta bruciando carbone. Ma è impossibile accrescere ancora la quota di questo combustibile: già oggi il 40% della capacità ferroviaria cinese è dedicata al trasporto di carbone, oltre un miliardo di tonnellate l’anno. La Cina è il sesto produttore mondiale di petrolio, ma da anni deve importare un terzo del greggio che le necessita. Il ricorso all’atomo è dunque imposto dal bisogno di diversificare la sua produzione energetica.

    Come in altri settori del suo sviluppo, la Cina ha adottato anche per l’atomo un programma di “copia e impara”. All’inizio ha importato centrali nucleari da Russia, Francia e Canada, sì da avere una rapida produzione energetica e da formare i quadri di ingegneri e operatori nucleari. Oggi il Paese ha in funzione nove centrali concepite all’estero, e due in costruzione, che forniscono il 2% del prodotto energetico totale cinese. D’ora in poi (ma il piano è stato concepito negli anni ’90) la Cina sceglierà un progetto di reattore nucleare unico, allo scopo di standardizzare l’intero settore, che soffre di diseconomie dovute alla varietà dei progetti e dei fornitori. In tal modo la Cina conta di sestuplicare la sua capacità nucleare (40 mila megawatt) entro il 2020, e di toccare i 150 mila nel 2050, equivalenti alla produzione di 150 grandi centrali. Le centrali atomiche nel mondo sono attualmente 440, di cui 103 negli Usa.
    E’ un piano d’urto, assai rapido (relativamente ai tempi lunghi di costruzione di una centrale, attorno ai 10 anni). La China National Nuclear Corporation (CNNC) ha scelto, per ragioni di rapidità, di aggiungere più reattori dello stesso progetto nei siti già in funzione; i nuovi reattori di generazione più avanzata saranno situati in siti nuovi. Per i prossimi quattro nuovi reattori, da iniziare nel 2007, sono stati già stanziati 8 miliardi di dollari da spendere in contratti – che probabilmente andranno a Francia o Russia (l’Italia, avendo abbandonato il nucleare, ha abbandonato anche questo mercato).

    Frattanto invece, Pechino sviluppa proprie capacità progettuali, con l’idea poi di vendere i propri “modelli”. Si sa che si tratta di progetti innovativi. I “vecchi” reattori, tipicamente, usano la fissione nucleare controllata per scaldare acqua che poi fa funzionare le turbine generatrici di elettricità. E’ il modo meno efficiente di usare l’uranio: due terzi dell’energia prodotta viene dispersa in forma termica. La generazione nuova a cui stanno lavorando i cinesi punta a surriscaldare il vapore fino a 100 gradi Farenheit (tre volte la temperatura dei vecchi reattori): in tal modo si ha energia di “alta qualità” che sarà usata non solo per le turbine, ma per estrarre idrogeno dall’acqua da usare come carburante (l’idrogeno sarà probabilmente il carburante più usato in futuro nelle macchine militari, specialmente gli aerei) e poi, a cascata, per la produzione di elettricità nelle turbine e per la desalinizzazione di acque.
    Un altro modello ad alta temperatura ha già cominciato la fase di prova termica nel 2000. Si chiama HTR-10 ed è fra l’altro autospegnente, quindi supersicuro. La novità consiste in un “letto” di 27 mila sfere di grafite della misura di una palla di biliardo fra cui è disperso l’uranio fissile. L’elemento raffreddante non è l’acqua (che richiede chilometri di tubature) ma gas elio, che sostiene temperature molto più alte. Tale reattore non deve essere spento per sostituire il combustibile nucleare, perché la palle di uranio “spente” vengono rimosse automaticamente, e sostituite con le nuove.
    La Cina non è la prima a costruire un simile impianto. Un prototipo fu avviato in Germania nel 1985, ma poi abbandonato per l’isteria dei Verdi. Ora la Cina conta di iniziare dal 2007 un reattore HTR-10 commerciale, da 155 megawatt, che costerà una somma relativamente modesta (300 mlioni di dollari); il prototipo per poi fabbricare “in serie” moduli simili, che saranno offerti sui mercati mondiali perché saranno facili da assemblare.

    La via nucleare è d’altra parte obbligata. Il 40 per cento della domanda aggiuntiva di greggio dal 2000 in poi viene dalla Cina, e Pechino ha un disperato bisogno di forniture energetiche certe, sottratte alle fluttuazioni e alle crisi provocate dagli Usa (che stanno accaparrandosi il controllo diretto delle fonti). Per questo, la Cina è pronta a sfidare competizioni e confronti politici che possono divenire militari.
    Il bisogno di avere fonti di greggio più vicine e sicure di quello del Medio Oriente ha già messo in linea di collisione Pechino con Tokio. Entrambe le capitali hanno corteggiato a lungo Putin, per strappargli il consenso a un oleodotto che porti il greggio russo sul Pacifico. Ma i progetti sono due, e contrastanti: la Cina ha proposto un oleodotto di 2400 chilometri da Angarsk (Siberia) a Daqing (nord cinese), e il Giappone un oleodotto di 4 mila chilometri da Taishet al porto russo di Nakhodka su Pacifico. E’ stato il progetto giapponese a vincere, nel 2004. Ma il gelo poi calato fra Mosca e Tokio a proposito delle Kurili (i due Paesi non hanno ancora firmato la pace per la seconda guerra mondiale) sta ritardando tutto, e la Cina non è ancora fuori gioco (2).

    Peggio: Tokio e Pechino proclamano ciascuna la sovranità su un’area del Mare Cinese Meridionale che comprende l’isola di Senkaku (che il cinesi chiamano Diaoyu) e il giacimento petrolifero sottomarino di Chunxiao, a nord di Taiwan, dove una prospezione giapponese ha scoperto, nel 1999, 200 miliardi di metri cubi di gas naturale. Tokio ha rifiutato l’offerta cinese di uno sviluppo congiunto del giacimento, e da allora la Cina ha cominciato le perforazioni. Il 10 novembre 2004, la disputa ha sfiorato lo scontro. Un sommergibile atomico cinese è penetrato nelle acque di Okinawa (pare per cercare petrolio) e la Marina nipponica l’ha inseguito in una caccia ostinata durata due giorni.
    Tokio sta abbandonando il suo storico pacifismo post-bellico. Ed è significativo che i suoi militari abbiano per la prima volta apertamente indicato la Cina come “minaccia alla sicurezza nazionale”. Il documento relativo (National Defense Program Outline, dicembre 2004) indica tre possibili casus belli: il problema delle risorse naturali del Mar Cinese Meridionale, la disputa sull’isola contestata di Senkaku e l’appoggio giapponese agli Usa in un eventuale conflitto contro la Cina per Taiwan.
    Quanto a Pechino, ha questioni territoriali aperte col Vietnam (culminate nel 1988 in una battaglia navale, con l’affondamento di tre navi vietnamite) e con le Filippine (culminato con l’occupazione cinese di una barriera corallina ad ovest di Palawan, isola filippina, a cui gli Usa hanno risposto con manovre navali nell’area).
    Inoltre, poiché l’80% del greggio arriva alla Cina su petroliere che devono percorrere lo stretto di Malacca, lungo 1008 chilometri e infestato dai pirati, Pechino vorrebbe tagliar fuori questa rotta continuamente insidiata con un oleodotto che passi lungo il Myanmar: e questo ha fatto diventare il Myanmar un potenziale teatro di conflitto fra Cina e India. Inoltre, nel marzo 2004, Pechino ha firmato un mega-contratto petrolifero con l’Iran (100 milioni di dollari per 25 anni di importazione di gas liquefatto): e l’Iran è il candidato del prossimo attacco israelo-americano. Come non bastasse, la Cina è andata a cercare greggio in Sudan, in Angola e in Venezuela, violando l’area di influenza americana.

    Ma Pechino non corre solo allo scontro. E’ in formazione un “triangolo strategico” fra Cina, Russia ed India (l’idea è stata lanciata da Evgeny Primakov, primo ministro di Mosca) sulla base di “comuni interessi” così dichiarati, in evidente funzione anti-Usa: il comune interesse per “un mondo multipolare”, il rispetto della sovranità e del non-intervento rispetto “ai rispettivi movimenti separatisti” (Cecenia, Kashmir e Taiwan) e il comune interesse di Cina e India alla sicurezza energetica. Mosca è già il quinto fornitore di petrolio alla Cina, e Mosca pare abbia offerto all’ente petrolifero cinese il 20 per cento delle azioni della Yukos, contro un prestito cinese di 6 miliardi di dollari che sono serviti a Putin per riscattare la Yukos stessa. In questo triangolo almeno, le relazioni diventano ogni giorno più forti.



    di Maurizio Blondet



    Note

    1)Marsha Freeman, “China’s 21st century nuclear energy plan”, IR, 1 marzo 2005.
    2)C. Bajpaee, “China’s quest for energy security”, ISN, 25 febbraio 2005
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

  2. #2
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    ....e inoltre la cina non è multirazziale e non ha bisogno di allogeni,vero?

 

 

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