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di Massimo Gramellini
Diritto al rovescio
24 febbraio 2005
Non passa giorno senza che si debba commentare una sentenza fuori dal mondo. Questa è della Cassazione: se un professore cerca di strappare il telefonino a una studentessa strafottente che si rifiuta di spegnerlo durante le lezioni è colpevole di tentata violenza privata e va condannato a una multa e al pagamento delle spese processuali, oltre che al possibile risarcimento danni per la «sensazione dolorifica» che la povera ha avvertito mentre quel bruto le toccava il polso, tirandole inavvertitamente un piercing.
Non occorre ubriacarsi di fantasia per ricostruire la scena, ribadita peraltro da tutti gli studenti: prof depresso che fa lezione a una platea di sbadigli, in un sottofondo di suonerie e di sms. Davanti all'ennesimo oltraggio si lascia sfuggire una reazione infelice, ma talmente innocua che il cellulare resta in mano a Sua Insolenza. A lui in compenso arriva la condanna, sia pure attenuata rispetto all'Appello, che per il pericoloso criminale aveva configurato addirittura il reato di percosse. D'ora in poi i professori avranno un'ottima ragione per avallare l'anarchia in classe.
Può darsi che condannare chi cerca di far lezione e risarcire chi glielo impedisce rappresenti una soluzione tecnicamente ineccepibile, un po' come scarcerare gli assassini di Falcone e rinviare a giudizio gli ammanettatori di Riina. Ma esiste un codice non scritto che tiene insieme le società più di cento Costituzioni. Si chiama senso comune e in certe epoche storiche, per esempio questa, troppi cervelli sembrano averlo smarrito.