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Discussione: Libertà e democrazia

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    Predefinito Libertà e democrazia

    Libertà

    Roma. Il primo tintinnio della campanella della libertà è risuonato a Kabul, a ottobre, in mezzo alle lunghe file nella neve per andare a votare. Poi si è fatto più insistente, tanto che si è sentito nel mondo arabo, nelle ex Repubbliche sovietiche, ripetutamente.
    “Il muro è caduto”, ha detto il leader libanese dei drusi, Walid Jumblatt, rispondendo a chi sosteneva che la guerra in Iraq e la politica imperialistica americana avrebbero inasprito i rapporti con il resto del mondo, fomentando il terrorismo.
    “La dottrina di George W. Bush si è rivelata più realistica di quella dei suoi critici”, dice al Foglio Michael Novak, direttore del dipartimento di Studi sociali e politici dell’American Enterprise Institute e autore del recente libro “The hunger for liberty”.
    E ricorda che dal discorso d’inaugurazione di Bush, il 20 gennaio,
    “la libertà ha fatto il suo straordinario corso”.
    Molti quel giorno avevano criticato il presidente americano:
    “Troppo idealista, troppo slegato dalla realtà – racconta Novak – con la parola ‘libertà’ ripetuta fino allo sfinimento”.
    Eppure da quel momento è successo di tutto, da Baghdad a Beirut: “Prima gli iracheni con il loro inchiostro ‘purple’, poi l’evoluzione in medio oriente, l’Egitto che dice di voler fare elezioni con più candidati, le bandiere rosse e bianche in Libano che hanno determinato le dimissioni del governo, ma che ora non lasciano la piazza, perché vogliono che le truppe siriane abbandonino il paese”, elenca Novak, e teme di perdere il conto. Il punto di svolta è stato proprio quel discorso inaugurale, quando Bush ha esplicitato il legame esistente tra la tirannia e il terrorismo, “spiegato egregiamente” nel libro di Natan Sharansky, “The case of democracy”, cui il presidente americano ha più volte detto d’ispirarsi: “Non è un caso che il fondamentalismo si sia sviluppato sotto regimi dispotici – spiega Novak – perché dove non è garantito il diritto naturale alla libertà nasce l’estremismo”.
    Spezzando questa catena – tirannia-terrorismo – si vince la guerra: “Il realismo dell’Amministrazione sta tutto qui, nel fornire un’alternativa al dispotismo”, dice Novak e ricorda che il grande contributo di Bush alla storia americana è proprio l’aver inserito nella politica reale un concetto che sembrava astratto: la libertà. E’ proprio questo aspetto rivoluzionario della strategia statunitense che Novak celebrerà alla fine di questa settimana, a Roma, nel discorso per i dieci anni di Liberal – “la fondazione Liberal è un campione di libertà”, dice lo studioso – spiegando perché questa dottrina sia l’espressione di quella “right nation” che ha confermato Bush come suo leader.
    “La libertà è una nobiltà speciale che spetta a tutti gli uomini e riguarda prima di tutto il livello personale – dice Novak – ma per esercitarla è necessario avere una grande senso di responsabilità”.
    Da qui nasce il concetto di “compito” e di “missione” che caratterizza “gli americani ordinari, normali, quelli che hanno un negozio o una pompa di benzina” e che rintracciano i segni dell’impegno per la democrazia nella loro tradizione alla libertà. Secondo Novak, il legame tra libertà e responsabilità è completo se si aggiunge anche la “verità”, che, per un cattolico come lui, ritorna direttamente a Dio: “Non è un caso che nella nostra Costituzione la libertà sia anche e soprattutto libertà di culto, perché nessuno può dirti in che cosa credere, è una responsabilità personale”.
    L’Europa questo “triangolo” fa fatica a comprenderlo, secondo Novak perché gli europei sono portati a credere che gli Stati Uniti vogliano per forza ricondurre tutto a Dio:
    “Non è così, alla ‘verità’ ognuno può dare il suo significato, l’importante è però crederci”.
    Altrimenti prende piede l’incoerenza: a quel punto nessuno vuole più assumersi le sue responsabilità, e smette di essere libero. Anche l’America se n’è accorta “e ha deciso di svegliarsi”, di ritrovare nelle sue radici le motivazioni per la missione, “di tornare con serietà all’istinto originario di libertà”.

    Nessun intervento armato in vista
    Il rintocco della campanella della libertà è rivoluzionario, ma è necessario impegnarsi per tenerlo vivo.
    Pur con tutte le cautele, Novak è ottimista: “A Washington – racconta – sono sempre di più le persone convinte che l’effetto domino sia inarrestabile. C’è chi dice che in poche settimane la Siria toglierà le sue truppe dal Libano e che il regime degli ayatollah a Teheran resisterà al massimo fino all’estate”.
    A fare la differenza sarà “il consenso dei governati” che sta diventando un principio imprescindibile per i governi di molti paesi. Non è facile dire quanto tempo ci vorrà per consolidare questo processo di liberazione, perché il terrorismo cerca di fagocitare i rintocchi e perché alcuni governanti non vogliono arrendersi all’evidenza.
    “Come la Russia, che si sta rivelando pericolosa e che ha preso una direzione sbagliata”, dice Novak, che però confida nella russologa della Casa Bianca, Condoleezza Rice – “intelligente, dolce, genuina, chiunque vorrebbe averla come figlia” – e nella sua capacità di tenere sotto controllo sia il Cremlino – “un alleato indispensabile nella lotta al terrorismo” – sia la sua “tendenza storica all’autoritarismo”.
    Non ama fare previsioni, Novak, ma se ne concede una, in conclusione:
    “Non credo che ci saranno altri interventi militari nel secondo mandato di Bush. Il contagio democratico funziona bene da solo, meglio delle armi”.

    (p.ped) su Il Foglio del 2 marzo

    saluti

  2. #2
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    Predefinito

    Democrazia

    Si dice che un vecchio filosofo cinese insegnasse ai suoi studenti che una persona non può comprendere un evento semplicemente ricostruendo la catena di fatti che l’hanno determinato.
    Al contrario, è necessario immergersi nel contesto.
    Se questo vecchio saggio fosse vivo oggi e dovesse sintetizzare le caratteristiche di questo momento storico, parlerebbe di “rivoluzione”.
    Stiamo vivendo in un’era rivoluzionaria, cominciata più di un quarto di secolo fa, in Spagna, dopo la morte di Franco.
    Allora nessuno pensava che fosse possibile passare dalla dittatura alla democrazia senza troppa violenza, e molti spagnoli temevano che la terribile guerra civile del 1930 potesse ripetersi.
    Invece, grazie alla straordinaria generazione di leader politici, ad alcuni preti saggi e al sottovalutato re Juan Carlos, gli spagnoli passarono senza troppe scosse alla democrazia.
    Fu l’inizio dell’era della Seconda rivoluzione democratica.
    La Spagna ispirò il Portogallo. Spagna e Portogallo ispirarono l’America Latina, e, quando Reagan finì il suo mandato presidenziale, c’erano solo due governi non eletti sotto al Rio Grande: Cuba e Suriname.
    Queste rivoluzioni ispirarono i paesi satelliti dell’Urss e la rivoluzione democratica globale arrivò in Africa e Asia.
    Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo positivo in quasi tutte queste rivoluzioni, grazie a un presidente visionario, Reagan, e a una generazione di leader rivoluzionari in occidente: Walesa, Havel, Thatcher, Giovanni Paolo II, Bukovsky, Sharansky e altri.
    Successivamente si è verificata una pausa di una decina di anni.
    Otto mesi dopo l’inizio della prima presidenza di George W. Bush, gli islamofascisti ci hanno scioccato al punto da farci riprendere la nostra missione.
    Durante il mandato di Reagan, la rivoluzione iniziò ai margini della principale area di conflitto, nella penisola iberica.
    Dopo l’11/9, la rivoluzione scoppiò violentemente alla periferia del medio oriente, in Afghanistan. Dopodiché si diffuse in Iraq, riuscendo anche a determinare la liberazione dell’Ucraina, e ora minaccia l’egemonia della Siria sul Libano, se non lo stesso regime siriano, costringendo i regimi egiziano e saudita ad assumere perlomeno la parvenza di un cambiamento democratico.
    Si è spesso detto che la Guerra fredda è stata vinta senza sparare un colpo, ma non è vero: si è combattuto in Afghanistan, Grenada e Angola.
    Le ripetute sconfitte degli alleati sovietici (Angola, Grenada) e dell’Armata rossa (Afghanistan) sono state decisive per distruggere la leggenda secondo la quale le leggi della storia garantivano il trionfo finale del comunismo.
    Parimenti, la sconfitta dei fanatici in Afghanistan e in Iraq, seguita da libere elezioni, ha distrutto due miti: quello dell’inevitabilità della tirannia nel mondo musulmano e quello del successo garantito per volere divino del jihad.
    Una volta crollati questi miti, altri nella regione hanno perso la paura dei tiranni e sono ora disposti ad affrontare il rischio di un confronto diretto.
    La rivoluzione dei cedri ha sbaragliato le marionette siriane in Libano, e sarò stupito se in futuro non cominceremo a sentir parlare di rivoluzionari democratici in Siria, emulati da iraniani.

    Referendum di liberazione di massa
    Molti coraggiosi che affollano le strade arabe colpite dall’improvvisa ondata democratica s’ispirano all’America e a Bush.
    Dovremo aiutarli tutti, in qualunque modo.
    Gran parte dell’aiuto sarà di natura politica, ma parte dell’attività di supporto potrebbe essere militare, come l’attacco ai campi del terrore dove sono addestrati gli assassini di massa della regione. Il presidente lo sa, ma in uno dei più frustranti paradossi attuali, questa visione è più popolare in medio oriente che tra alcuni dei nostri responsabili decisionali.
    Suggerire al presidente, in questo periodo drammatico, di offrire una ricompensa all’Iran per la promessa di non costruire atomiche o di cercare una “soluzione” diplomatica per il ruolo che la Siria ha spesso dimostrato di avere nella guerra del terrorismo contro i nostri amici e soldati rappresenta un tradimento della sua visione e della popolazione di Iran, Israele, Libano e Siria. Tuttavia, tale idea reazionaria è sorprendentemente diffusa tra i membri direttivi dei comitati del Congresso, tra gli “esperti” falliti dello Stato e della Cia, e tra una parte del Consiglio per la sicurezza nazionale.
    Contro i tiranni, la più potente arma letale a nostra disposizione è la libertà, che ora si sta diffondendo sulle ali della rivoluzione democratica. Sarebbe tragico se ci tirassimo indietro proprio ora che la rivoluzione sta acquistando lo slancio necessario per conseguire una gloriosa vittoria. Dobbiamo essere inflessibili nel chiedere che la popolazione del medio oriente designi i propri sistemi di governo ed elegga i propri leader.
    Il primo passo è un referendum nazionale per scegliere la forma di governo.
    In Iran si dovrebbe chiedere alla popolazione se vuole una Repubblica islamica.
    In Siria, se desidera uno Stato baathista.
    In Egitto, Arabia Saudita e Libia, se vuole mantenere la forma di governo esistente.
    Non dovremmo farci scoraggiare dalle minacce dei cinici, secondo cui la libertà peggiorerà la situazione perché le masse ignoranti opteranno per il fantasmagorico califfato di Bin Laden, che perde smalto giorno dopo giorno.
    Sia Mubarak e Gheddafi sia Assad e Khamenei stanno arrestando democratici, non islamici, e probabilmente le donne saudite non vorranno tenere il velo per il resto della loro esistenza.
    Più in fretta, per favore.
    I sedicenti esperti si sbagliano da anni.
    Viviamo un momento rivoluzionario. Approfittiamone.

    Michael Ledeen (traduzione Studio Brindani) su Il Foglio del 2 marzo

    saluti

    saluti

 

 

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