Firme truccate democrazia insidiatadi Piero Ostellino STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
Le vicende che hanno portato alla clamorosa esclusione del partitino di Alessandra Mussolini dalle elezioni regionali del Lazio e a Milano non sono solo un caso di ordinario «taroccamento » nella raccolta delle firme di cittadini- elettori che devono accompagnare la presentazione delle singole liste elettorali, già invano denunciato dai radicali. Sono anche, e soprattutto, uno dei tanti sintomi delle difficoltà che le vecchie regole del gioco che disciplinano, a tutti i livelli, il funzionamento della nostra democrazia incontrano a ragione dei cambiamenti nel frattempo avvenuti nel nostro sistema politico e nella stessa società civile.
L’obbligo di raccogliere le firme a corredo delle liste elettorali ha una funzione tecnico- politica e un significato ideologico. La funzione tecnico-politica ha come obiettivo di evitare la frammentarietà del quadro elettorale, scoraggiando le candidature di puro disturbo, senza sostegno popolare. Il significato ideologico consiste nel riconoscimento che il cittadino- elettore esercita, in tal modo, la sua sovranità democratica non solo nel momento del voto, ma anche in quello della presentazione delle liste che precede le votazioni.
Il sistema maggioritario, che favorisce la formazione di coalizioni in concorrenza per il governo del Paese e riduce il carattere rappresentativo dei singoli partiti, ha però conferito, di fatto, alle prime anche un potere di interdizione e di manipolazione nei confronti dei secondi. Potere che le coalizioni non solo esercitano, legittimamente, a sostegno della propria capacità di aggregazione, ma sono tentate di esercitare anche, come è stato nel caso della Mussolini, per facilitare la nascita di quelle candidature «di disturbo » che, frammentando il quadro politico avverso, riducono la capacità di aggregazione della coalizione concorrente.
Stando così le cose, il rischio che corre il funzionamento della competizione elettorale è che l’azione di disturbo, oltre che essere politicamente discutibile, da qualunque parte provenga, finisca anche con utilizzare mezzi illeciti, quali la presentazione di firme, come si suole dire, «taroccate». Il significato ideologico, se vogliamo, è sempre stato, di fatto, una finzione, in quanto il cittadino- elettore si limitava, ieri, a ratificare le liste che i partiti, in regime elettorale proporzionale, avevano già compilato e gli avevano sottoposto, e si limita, oggi, in regime elettorale maggioritario, a fare altrettanto, comprese quelle «di disturbo».
Le procedure e le istituzioni della democrazia liberale sono sempre il risultato di un processo storico. Esse possono, e debbono, perciò, essere cambiate per continuare a garantire le libertà individuali e l’esercizio dei diritti democratici pur nelle mutate condizioni storiche. Così non avviene, o avviene con ritardo, da noi, dove procedure e istituzioni sono pietrificate in una sorta di sacralità pre-politica e di continuità anti-storica. Il «caso» delle firme è, in fondo, solo un episodio minore, anche se significativo. Il Parlamento, tanto per fare l’esempio di un altro «caso» di questi giorni, è stato la sede naturale del dibattito politico quando la Politica era un fatto elitario. Nelle democrazie di massa e nella società della comunicazione, esso rimane, e deve rimanere, la sede dell’elaborazione politica, ma non è più quella del dibattito. Che si rivolge all’opinione pubblica e utilizza perciò le sedi che gli sono più proprie. Compresi i «salotti» televisivi.
20 marzo 2005
Corriere