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Discussione: Tutte balle

  1. #21
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    Chissà se anche il caro congiunto Scolari in realtà "non ha mai detto che volevano ucciderla"...

  2. #22
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    In origine postato da Blue Jay
    ...rincrescimento causato dal malaugurato incidente....
    Come è buono lei....

  3. #23
    SENATORE di POL
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    dal quotidiano LIBERO di oggi, 9 marzo 2005

    " Tutte le bugie della Sgrena

    di TOMMASO MONTESANO

    La Farnesina smonta punto per punto le parole della cronista ROMA - « La mia verità » . Così Giuliana Sgrena ha chiamato il racconto della sua prigionia e della sua liberazione pubblicato sulle pagine del Manifesto. Un atto di accusa contro gli americani ( « è stato un agguato » ) che però, sulla base degli elementi finora raccolti dal governo e ieri resi noti in Parlamento da Gianfranco Fini, ministro degli Esteri, fa acqua da tutte le parti. A sera, intervistata nella trasmissione Ballarò, ha cambiato di nuovo versione. « Non ho mai detto che volevano uccidere me » , ha spiegato. « Ho solo detto che la meccanica dell'attacco era quella di un agguato. Tutto il resto deve essere accertato » . E sul numero passeggeri: « Davanti a noi c'era un agente che faceva anche da autista. Non c'era una quarta persona » . Poche ore prima, la versione era diversa. « Gli americani la volevano uccidere per paura delle informazioni che Giuliana ha raccolto in Iraq » , ha detto il suo compagno Pier Scolari. Parole avallate dalla Sgrena, che ha descritto così lo scontro a fuoco: « Una luce ci acceca, cominciano a sparare all'impazzata, da destra. Calipari lo colpiscono subito. Il fuoco continua e l'autista non riesce a farsi capire. Urla: " Siamo italiani ! ?. Ma non serve a niente » . Una versione smentita da Fini: « L'ipotesi di un agguato per uccidere è palesemente infondata » . Per il capo della Farnesina « si è trattato certamente di un incidente determinato da una serie di circostanze e casualità più o meno fatali » . Ma non è l'unica ricostruzione che fa a pugni con quanto raccontato dall'inviata del Manifesto. Per Fini i militari statunitensi, dopo aver capito che a bordo dell'auto c'erano gli agenti del Sismi e Giuliana Sgrena, hanno interrotto il fuoco e « due giovani soldati si sono avvicinati al nostro funzionario e, con fare sconfortato, hanno ripetutamente chiesto scusa per l'accaduto » . Le versioni della giornalista e del governo non coincidono neppure sui colpi sparati. Mentre Scolari ha parlato di « 2- 300 colpi » esplosi dagli americani « all'impazza - ta » , Fini ha riferito di « un'azione di fuoco della durata di circa 10- 15 secondi » . Ma chi ha visto l'auto afferma che i colpi sparati contro la vettura sono stati circa una dozzina. Secondo la Sgrena il sedile dell'auto era pieno di proiettili: « Ho raccolto con le mani grappoli di pallottole » . Scolari: « Giuliana ha raccolto decine di proiettili a manciate » . Da Montecito- rio, una nuova smentita. Fini ha riferito che contro l'auto italiana, « a circa metà della curva, è stata accesa una luce molto forte, simile a un faro, in una posizione sopraelevata rispetto all'autovettura e a una distanza di circa dieci metri » . È verosimile, dunque, che anche i militari autori degli spari fossero in quella posizione. Ma i bossoli - non le pallottole - ricadono entro un'area di due metri dal tiratore. Le ricostruzioni della Sgrena e del governo cozzano anche sul momento in cui gli americani hanno saputo della liberazione dell'ostaggio. Per la giornalista, gli Usa erano a conoscenza del suo rilascio: « Un elicottero sorvolava a bassa quota proprio la zona in cui ci eravamo fermati » . Per Fini, invece, gli americani hanno capito che « la donna trasportata era la giornalista rapita » solo alla fine della sparatoria.
    ".

    Saluti liberali

  4. #24
    Moderatori anghe noi...
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    Un ordine dei giornalisti serio non esiterebbe un solo istante, a questo punto, a cacciare la signorina Sgrena dalle sue fila.

    E additare alla pubblica gogna il fidanzatino, amante, convivente romanticamente definito "il compagno di Giuliana".

    Non succederà nulla di tutto questo. Anzi, la signorina, che non tornerà più in Iraq per sua stessa ammissione, ce la ritroveremo ben presto appiccicata sui santini elettorali.

    E qualche gonzo la voterà pure.

    E intanto un uomo ci ha lasciato la pelle...

  5. #25
    SENATORE di POL
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    Già...l'Ordine dei Giornalisti.......... un governo liberale coerente l'avrebbe già soppresso. Purtroppo siamo in ritardo su tante cose.
    Però c'è sempre Serventi Longhi.....un nome e una garanzia.....


    Saluti liberali

  6. #26
    SENATORE di POL
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    da www.corriere.it

    " Le forze Usa non sapevano del rilascio

    La testimonianza del generale italiano: avvisò il collega americano solo della presenza di Calipari e del carabiniere

    ROMA - Quando Nicola Calipari e il maggiore dei carabinieri in forza al Sismi sono giunti all’aeroporto di Bagdad, intorno alle 16.30 di venerdì 4 marzo, hanno incontrato il generale Mario Marioli. Il generale è il numero due della catena di comando delle forze armate della Coalizione. A Bagdad non rappresenta l’Italia ma l’autorità militare dell’alleanza guidata dagli Stati Uniti. A lui Calipari ha spiegato il motivo della sua presenza in città. E ha detto che doveva riportare a casa la giornalista del manifesto da un mese in mano ai suoi rapitori. Marioli, dunque, sapeva tutto. Ma all’ufficiale di collegamento tra italiani e americani, il capitano Green, presente anch’egli all’aeroporto, il generale non ha specificato il lavoro che i due agenti segreti italiani dovevano portare a termine. Per Green, ufficialmente, si trattava solo della missione di due funzionari italiani, senza ulteriori dettagli. Se è Green che doveva a sua volta informare le autorità americane, quindi, da lì poteva venire solo un’informazione generica, senza riferimenti al caso Sgrena. La nuova testimonianza sulla tragica liberazione dell’ostaggio italiano è agli atti dell’inchiesta della magistratura romana. Il generale Marioli ha inviato la sua relazione sullo svolgimento dei fatti di una settimana fa, dov’è contenuto questo particolare: il capitano Green non sapeva della specifica natura della missione italiana. «Per motivi di sicurezza» avrebbe precisato Marioli nel suo resoconto. E’ un altro tassello del mosaico che dovrebbe aiutare a rispondere alla domanda sul se e quanto le autorità statunitensi sapevano di ciò che stavano facendo Calipari e il suo collega. Per questa via si arriverebbe a una risposta positiva ma generica: sapevano, ma non tutto. In particolare non sapevano della Sgrena. Almeno per il tramite del capitano Green. Nella relazione non è scritto se poi Marioli ha informato con maggiori dettagli il suo superiore, cioè il comandante delle forze della Coalizione.
    Ma le comunicazioni non si fermano alle «istituzioni militari americane». Il ministro degli Esteri Fini ha riferito che «l'attività italiana in corso era stata resa nota anche all’ intelligence statunitense». A questo dovrebbe aver pensato il capo centro del Sismi a Bagdad, il «terzo uomo» dell’operazione, dopo Calipari e il carabiniere. Le notizie delle prime ore sulla presenza di un altro italiano ferito si riferivano a lui. Ma adesso la versione ufficiale del governo è che «non vi era un terzo funzionario dei Servizi se non all’aeroporto» come ha affermato Fini. Se e che cosa abbia detto il capo centro ai suoi omologhi statunitensi, agli atti dell’inchiesta non è ancora specificato. E Marioli, nella sua relazione, non affronta l’argomento. Così come non spiega se Calipari abbia discusso con lui le modalità dell’operazione che si apprestava a compiere, con una sola macchina, due pistole e un lasciapassare ottenuto proprio attraverso Marioli. Poiché non ne parla, c’è da ritenere che il generale si sia limitato a recepire decisioni già prese.
    Il racconto di Marioli riferisce invece delle telefonate avute con Calipari mentre la Toyota Corolla con l’ostaggio appena liberato a bordo si dirigeva verso l’aeroporto. Il funzionario del Sismi ha informato del ritardo e dell’andamento del viaggio e ha anche fatto cenno al problema che la Sgrena non aveva il passaporto, per facilitare le operazioni d’imbarco. Ma quella complicazione s’è risolta da sola, poiché la giornalista aveva con sé il documento. Anche Giuliana Sgrena, nel nuovo interrogatorio di ieri, ha detto che Calipari ha effettuato alcune rapide chiamate, tra cui quelle con Roma, senza mai pronunciare il nome della donna nelle conversazioni. Ulteriori elementi potranno venire dai tabulati dei telefonini; anche i satellitari sembra siano stati rintracciati e presto dovrebbero arrivare in Italia.
    Alla ricerca di chiarezza su altre persone o macchine coinvolte nell’operazione, inquirenti e investigatori hanno nuovamente chiesto alla giornalista dell’eventuale presenza sulla Toyota di qualcuno che non fossero Calipari e il maggiore dell’Arma. La Sgrena ha detto di no, così come ha detto di non aver notato macchine né davanti né dietro alla loro. Davanti non le ha viste, dietro non ha guardato, ma non ha nemmeno notato Calipari o il carabiniere voltarsi o cercare nello specchietto retrovisore.
    Solo due persone armate a bordo di un’auto con targa irachena presa in affitto con l’ostaggio appena liberato, dunque. Proprio il motivo di questa scelta resta forse il primo mistero di questa storia, a prescindere dal suo drammatico epilogo e nonostante le spiegazioni governative. Insieme all’altro, confermato dalla testimonianza del generale Marioli: la ragione per cui, almeno a liberazione della Sgrena avvenuta se non prima, gli Stati Uniti sono stati tenuti all’oscuro del vero motivo della missione italiana.

    Giovanni Bianconi
    "


    Saluti liberali

  7. #27
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    dal quotidiano LIBERO di oggi 13 marzo 2005:

    " Nicola ha riscattato l'immagine dell'Italia »
    di GLAUCO MAGGI

    NEW YORK - « Ma quale complotto! Per noi italiani d'America è una bestemmia pensare che un soldato americano sia deumanizzato al punto di sparare su un civile. Ma è un'accusa assurda anche per gli americani più anti- Bush. Il New York Times non l'ha neppure riportata nel suo editoriale, che avvalora invece la tesi dell'errore tragico » . Berardo Paradiso, campano, 57 anni e dal 1978 negli Stati Uniti, si accalora nel commentare la tragica morte « del nostro militare » , come lo chiama lui. « È stato un incidente, uno sbaglio, e bisogna pensare di fare il possibile perchè non ne accadano altri; ma ricordiamoci che questi sono ragazzi dai 18 ai 25 anni che hanno un codice da seguire, e al primo punto c'è come difendersi. Ho parlato con tanta gente in questi giorni, italiani e statunitensi, banchieri, avvocati e imprenditori. Siamo tutti dell'idea che non esiste proprio, che è assurdo pensare che un marine possa trasformarsi in un cecchino verso chi non sia un nemico » . Paradiso è presidente della Camera di Commercio italo- americana di New York ( 500 aziende associate) e rappresentante di tutte le 10 Camere di Commercio dell'area Nafta ( Usa, Messico, Canada) in seno all'Assocamere estere di Roma. L'azienda di cui è presidente è la International Tool Manufacturing Usa, che ha migliaia di dipendenti in 18 fabbriche nel mondo. Come tanti italiani che vivono qui ed hanno contatti quotidiani con la comunità americana, il manager è commosso. « Siamo tutti rattristati per la morte dell'agente, ma anche orgogliosissimi. Lui si è sacrificato per la difesa della libertà e della dignità umana, e la storia ricorderà il suo atto di coraggio a favore della vita di un'altra persona. È un eroe che ha dimostrato di esserlo con il suo massimo sacrificio, ma non è diverso dagli altri 3000 militari italiani che sono oggi in Iraq » . Paradiso racconta di aver ricevuto tantissimi messaggi e parole di condoglianze dagli americani. « L'immagine dell'Italia ne è uscita valorizzata, perchè abbiamo mostrato di avere veri eroi. Si è parlato troppo a mio avviso della giornalista, a cui va ovviamente la mia solidarietà, e troppo poco, in proporzione, dell'atto di grande amore dell'agente segreto, che ha dimostrato il più alto senso della patria e della civiltà dell'uomo. Ma la storia ricorderà quest'azione di eroismo, che già oggi spero possa unire l'Italia, senza dare spazio a speculazioni politiche » . Per gli italo- americani, Paradiso in testa, Roma deve restare amica ed alleata di Washington. « L'Italia deve rimanere con i suoi militari in Iraq, perchè ritirarsi oggi sarebbe come dire: americani, non siamo più con voi. La permanenza del contingente è un atto di fiducia nei valori degli Stati Uniti, che non sono certo da mettere in discussione oggi, e di avvallo dell'amicizia tra i nostri due Paesi, e tra i nostri due governi » , dice Paradiso. Che aggiunge, ricordandosi di essere un businessman oltre che un italiano: « Dobbiamo essere all'altezza della situazione, e andarsene sarebbe dare uno schiaffo a Bush, che ha dimostrato di recente la sua amicizia decidendo di assegnare alla italiana Agusta il contratto per la fornitura dell'elicottero presidenziale. La Casa Bianca che non sceglie una compagnia americana per una commessa tanto delicata sul piano industriale quanto su quello della sicurezza e dell'immmagine è stato il suggello di una familiarità nei rapporti con l'Italia che non s'era mai vista » .
    "


    Saluti liberali

  8. #28
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    Italiani d'America?

    Bah, poco più che mafiosi per i sinistrati nostrani...

  9. #29
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    mafiosi e soggiogati dalle lobby ebraiche ......per i nazi-idioti nostrani, per i quali i sinistrati raccolgono pure le firme.....


    Shalom

 

 
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