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    Thumbs up Quando la Lega “sdoganò” il protezionismo

    OGGI TUTTI NE PARLANO



    Bossi e Tremonti lanciarono il tema in un discorso tenuto in un convegno a Pesaro nell’autunno del 2002. E non era di quelli definibili politically correct, eppure «ci sono venuti gli applausi», ricordava l’allora ministro dell’Economia.
    All’incontro si parlava di tutela del territorio e l’argomento affrontato riguardava l’introduzione di barriere commerciali a difesa dei prodotti che vengono all’estremo oriente.
    Il leader della Lega, con l’amico Giulio, aveva visto giusto: aveva capito che il “fattore cinese” e la globalizzazione stavano uccidendo le piccole e medie imprese del Paese, spina dorsale dell’economia italiana. Oggi, grazie soprattutto allo sforzo della Lega, la proposta ha cominciato a circolare nelle sedi internazionali più importanti. Tremonti ne parlò addirittura al G7. Quindi portò per la prima volta il tema in Europa. E così fino alle sue dimissioni nell’estate 2004. E se non fosse stato per il partito di Bossi, l’argomento sarebbe scomparso dall’agenda di governo. Oggi invece tutti parlano di dazi. O meglio di misure anti-dumping, quasi a voler “taroccare” i pregi del Carroccio. In queste ore il problema è stato sollevato, su spinta della Lega (con Roberto Cota, sottosegretario alle Attività produttive e Roberto Maroni, numero uno del Welfare del Lavoro), dal ministro competente in materia Antonio Marzano, che in una lettera al commissario europeo al commercio Peter Mandelson, ha esternato l’esigenza del nostro governo, di adottare misure di salvaguardia e dazi antidumping per arginare l’avanzata cinese nell’export del tessile-abbigliamento e del calzaturiero.
    Proprio ieri le aziende del comparto hanno scioperato. Il settore si trova in una fase delicatissima: da più di un anno e mezzo «cerchiamo di spiegare la gravità della situazione. Non ha molta importanza la definizione che si vuole dare dei dazi, antidumping, compensativi, straordinari, usiamo l’aggettivo che preferiamo, ma la sostanza non cambia: le misure devono servire a rendere più leale la concorrenza della Cina». Così Rossano Soldini, presidente dell’Anci, associazione dei calzaturieri italiani, ieri parlava della concorrenza sleale cinese.
    Non meno preoccupato il presidente dell’Unione industriali pratesi Carlo Longo, secondo cui «dazi o blocco completo contro il suo dumping sono l’unica possibilità per salvare le nostre aziende».
    Insomma, la Lega con Bossi ha visto bene ancora una volta. Ma bisogna fare in fretta. La fotografia è impietosa: dai rubinetti agli occhiali, dal tessile al cuoio dove entra la Cina esce l'Italia. Non è che gli imprenditori e i lavoratori italiani sono diventati incapaci, è che «sono entrati operatori che distruggono perchè operano a costo zero», diceva Tremonti. Dove per loro il commercio non ha regole. E la difesa della produzione può essere europea: dazi, controlli di quantità e di qualità, rapporti di cambio tra euro e valuta cinese. ma anche nazionale: sul confine contro contraffazioni, frodi, abusi sul marchio.
    Sim. Gi.
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    [Data pubblicazione: 09/03/2005]
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    ASSE COMUNE FRA LE TRE PROVINCE A TUTELA DELL'OCCUPAZIONE
    Varese, Milano e Como per il rilancio del settore


    Un asse comune fra Milano, Varese e Como per proteggere il settore tessile moda e abbigliamento sotto pressione per la concorrenza asiatica dopo la completa liberalizzazione del mercato approvata in sede Wto-World trade organization. È quanto è stato deciso ieri, in occasione dello sciopero nazionale di 4 ore proclamato dai lavoratori tessili, dai presidenti delle Province di Milano, Filippo Penati, Como, Leonardo Carioni, e Varese, Marco Reguzzoni, che hanno convocato per i primi di aprile una riunione di tutti gli europarlamentari eletti in Lombardia per concertare le iniziative da portare avanti in sede di Parlamento europeo e di Commissione Ue a difesa del made in Italy.
    Di fronte all’aumento delle importazioni tessili dalla Cina le tre Province hanno mostrato tutta la loro preoccupazione per la perdita di quote di mercato delle imprese nazionali e dei posti di lavoro. Per questo hanno ritenuto fondamentale dare il via ad un’azione comune per fare pressing sulla Commissione Ue affinché assuma un impegno forte per sostenere il settore, nel rispetto di regole certe e condivise in tutto il mercato.
    I presidenti delle tre Province considerano prioritarie le seguenti mosse: il governo nazionale e l’Ue devono attivarsi affinché anche nei paesi asiatici siano tutelati i diritti dei lavoratori e salvaguardato l’ambiente; sia effettuato un serio monitoraggio dell’andamento del settore dopo la liberalizzazione del mercato; siano intensificati gli sforzi a sostegno del made in Italy mediante l’introduzione nella Ue dell’obbligo di etichettatura “made in …” su tutti i prodotti tessili, di abbigliamento e anche calzature provenienti dai paesi terzi; siano inasprite le sanzioni contro la contraffazione dei marchi.
    «E’ importante puntare sull’innovazione – ha detto l’assessore provinciale al lavoro, economia e Alto Milanese, Luigi Vimercati – e sulla formazione professionale per dare un futuro al settore e una prospettiva di occupazione stabile ai lavoratori».
    «Non possiamo - ha affermato il presidente della Provincia di Varese, Marco Reguzzoni - e non vogliamo accettare il declino di un settore che è la nostra storia ma anche il nostro presente. Era ora che si creassero le condizioni per un intervento che possa non solo salvare ma anche rilanciare questo importante patrimonio».
    «Contro il dumping sociale della Cina – ha sostenuto a sua volta il presidente della Provincia di Como, Leonardo Carioni – chiediamo alla Ue di intervenire per un’effettiva tutela in quel paese dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, e per il pieno rispetto delle regole di concorrenza leale».
    La Provincia di Varese starebbe inoltre lavorando con le Province di Milano e Como perché il Salone del Tessile (la cui prima edizione si è tenuta alla fine di gennaio al centro esposizioni MalpensaFiere di Busto Arsizio) possa diventare un’esposizione permanente e itinerante fra i tre territori provinciali.




    [Data pubblicazione: 09/03/2005]
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    Der Wehrwolf

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    Scende in piazza la voglia di dazi
    Sciopero generale dei tessili per difendere il made in Italy dalla concorrenza sleale cinese

    SIMONE GIRARDIN
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    «Si parla di libero mercato, ma per essere libero un mercato deve avere regole identiche per tutti. Stati Uniti e Cina applicano dazi rispettivamente del 15 e del 40% alle nostre merci, mentre da noi si ritengono i dazi antistorici. Vogliamo che vengano adottate le stesse clausole di salvaguardia già vigenti in Francia e Germania, che permettono di contingentare le importazioni quando mettano in ginocchio interi settori produttivi».
    Non importa quale lavoratore o imprenditore abbia pronunciato queste parole. Perchè sono state il leit motive dello sciopero generale di otto ore dei tessili. Tutti le condividono. Come gli oltre 700 mila dipendenti (su 870 mila totali) di un comparto che sta attraversando la crisi più nera dell’ultimo decennio che ieri hanno sfilato in ogni piazza d’Italia. Negli ultimi cinque anni sono stati persi 100 mila posti di lavoro. E «senza una svolta, si rischia un declino inarrestabile», ha detto un preoccupato Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, ieri a Biella, uno dei poli produttivi del comparto, dove si è svolta la manifestazione più numerosa.
    Ma la soluzione la Lega Nord l’ha proposta da tempo: dazi, o se piace la parola, misure anti-dumping per contrastare la concorrenza sleale dei paesi asiatici.
    Del pericolo “gigante giallo” per le nostre Pmi ne parlò Bossi per la prima volta ad inizio legislatura. Lo presero per matto. Oggi la musica è cambiata. Lo dimostrano le oltre 700 mila persone scese in strada a chiedere che il Governo intervenga a difesa del “Made in Italy” e a tutela dei posti di lavoro. In piazza, ieri, è sceso il popolo dei dazi.
    Perché il commercio o è regole o non è commercio. Al di là delle differenze di salario (un operaio in Cina guadagna 80 euro al mese), non puoi competere se tu hai la 626 e il tuo competitore inquina, se tu hai regole ferree sul lavoro minorile mentre il tuo avversario se ne infischia a obbliga i bambini a stare negli scantinati per dieci ore al giorno a fare cappellini o calze.
    E nel lungo andare le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti: caduto l’accordo multifibre, l’invasione cinese ha assunto aspetti drammatici. E anche l’illusione che l’Oriente si fermi ai prodotti di bassa tecnologia è sfumata. Salirà vertiginosamente nella scala della tecnologia e si ripeterà quello che è già successo con il Giappone.
    Ieri la Lega ha puntato i piedi: o i dazi anti-dumping o il provvedimento sulla competitività non passa.
    La difesa della produzione può essere soprattutto europea: forme di protezionismo, controlli di quantità e di qualità, rapporti di cambio tra euro e valuta cinese. Resta poi lo spazio per una difesa nazionale sul confine contro contraffazioni, frodi, abusi sul marchio.
    Oggi gli obiettivi degli industriali e dei lavoratori sono comuni: servono interventi concreti del governo e dell’Europa. Ricerca, innovazione ammortizzatori sociali, dazi. A Prato, dove oltre 3.000 persone hanno partecipato al corteo sindacale, il segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta, ha ricordato le richieste del sindacato al Governo: «serve una politica industriale che rilanci e sostenga il settore». «Più che i dazi nei confronti dei grandi competitori come la Cina - ha aggiunto il leader della Cisl - è necessario chiedere reciprocità di comportamenti e quindi il riconoscimento del ruolo del sindacato». In compagnia di Pezzotta, ma di tutt’altro parere, c’era il presidente dell’Unione industriali pratesi, Carlo Longo: «Oggi - ha detto Longo -, nei confronti delle importazioni dalla Cina, dazi o blocco completo contro il suo dumping sono l’unica possibilità per salvare le nostre aziende».
    Il ministro del Welfare Roberto Maroni ha parlato di «un segnale che viene dai sindacati e dalle imprese. Ora, superate le ritrosie iniziali, si comincia a parlare di dazi. Il Governo italiano si deve muovere».
    Una curiosità: la difesa del prodotto d’impresa e del lavoro viene da un Governo di centrodestra. Assordante, invece, il silenzio dei sindacati.


    [Data pubblicazione: 09/03/2005]
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