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    Predefinito Nicola Calipari, morte di un agente segreto

    Nicola Calipari, morte di un agente segreto: “Un agguato forse no, ma un attacco ben pianificato si"
    di Roberto di Nunzio
    14 Mar 2005

    Roma, 14 Marzo 2005. Domenico Leggero è il responsabile del comparto difesa dell’Osservatorio Militare, nato nel 1997. Domenico Leggero è un militare, esperto di questioni militari. e in particolare è uno degli uomini che cerca di affrontare e risolvere i problemi che attualmente pesano sulla nostre forze armate. Un esercito che si trova ad affrontare, spesso impreparato, crisi internazionali di origine politica e indecifrabile soluzione. Uomo prudente e preparato, Domenico Leggero era amico di Nicola Calipari, con il quale aveva a lungo collaborato. Nell’intervista che ha concesso in esclusiva a Reporter Associati rivela cosa è andato storto a Baghdad in quella drammatica notte della liberazione di Giuliana Sgrena…

    Parliamo subito di Nicola Calipari, è la prima volta, forse, che un funzionario del SISMI viene descritto da ogni schieramento politico come una persona competente, prudente e che concepiva il suo lavoro in modo trasparente…

    …mi permetta una considerazione iniziale: chi lavora nei servizi è obbligato a lavorare nell’ombra e proprio per questo spesso l’opinione pubblica è portata a credere che i nostri agenti siano specializzati solo in “lavori sporchi”. Ma non è così, almeno non sempre. E’ frequente che i funzionari dei servizi fungano da parafulmine per riparare i danni causati da decisioni politiche sbagliate. Il modo di lavorare di Nicola Calipari era sempre “evidente”, rispettoso delle regole democratiche.

    Lei conosceva Nicola Calipari?

    Sì certo, lo avevo conosciuto alla Questura di Roma quando diregeva l’ufficio stranieri. In quel periodo è iniziata la nostra collaborazione.

    Lei era presente all’aereoporto di Ciampino all’arrivo della salma di Nicola Calipari?

    Sì, sono partito con la mia auto da Firenze e sono arrivato a Roma poco prima dell’arrivo del C-130 proveniente da Baghdad. Non sono andato però sulla pista insieme alle altre autorità, ho preferito aspettare Nicola nella sala stampa. Mi sembrava il posto più tranquillo, meno esposto. Ricordo tutta quella pressione…le telecamere delle Tv, le autorità, molti di loro non avevano neppure mai conosciuto Nicola…Sono comunque riuscito a salutare la moglie Rosa e i figli. Poi sono andato via.

    Una domanda che non posso non farle: secondo lei, secondo la sua esperienza militare e conoscendo la prudenza e le capacità del funzionario del SISMI cosa potrebbe essere accaduto quella notte nella quale Calipari ha perso la vita?

    Guardi, missioni come quella nella quale era impegnato Nicola Calipari vengono sempre pianificate con un unico compito irrinunciabile: “aprire una finestra”. Attivarsi attraverso l’unico referente presente sul campo dell’operazione, in questo caso il referente era un’ufficiale della CIA. Nicola Calipari non doveva rivolgersi ad altri che a quel referente e lo ha fatto certamente aprendo, appunto, una “finestra”.

    Cosa intende per “aprire una finestra”?

    Le faccio un esempio: quando un aereo “amico” deve sorvolare un territorio considerato ostile si indica un orario del sorvolo, e in quell’area, e nelle ore indicate la contraerea non spara. Al suolo nessuno deve essere a conoscenza del passaggio…solo così il veivolo passerà indenne.

    Nicola Calipari avrà quindi comunicato con l’ufficiale della CIA suo referente, spiegando dettagliatamente il motivo della sua missione, a quell’ora, su quella strada, con un ex ostaggio appena liberato in macchina? O si sarà limitato a una comunicazione generica basata solo sul rapporto di fiducia che lo legava al referente?

    Quello di Calipari è un tipo di lavoro dove non si è tenuti a dare nessun tipo di spiegazione, neppure a un referente tanto importante, come era l’ufficiale della CIA in quel teatro di operazione. Comunque avrà certamente comunicato con l’ufficiale della CIA. Su questo non ho dubbi.

    Il fatto che Nicola Calipari si trovasse a bordo di un’auto civile con targa irachena, e per quanto se ne sa, senza neppure una vettura di appoggio potrebbe avere in qualche modo influenzato l’incidente con la pattuglia di soldati Usa che si è poi verificato?

    No, non credo.Un’auto di appoggio poteva rivelarsi in realtà molto più pericolosa che non di sostegno all’operazione in corso. Per quanto riguarda il fatto che l’auto fosse civile e con targa irachena neppure questo è un dettaglio particolarmente significativo…

    Scusi lei mi sta forse dicendo che sè Nicola Calipari ha comunque comunicato i suoi spostamenti (se pure in forma generica) e che sarebbe transitato quella sera sulla strada dell’aeroporto di Baghdad dobbiamo pensare che la mancanza di comunicazione successiva, quella diretta ai militari in presidio lungo la strada, la dobbiamo addebitare all’ufficiale di raccordo americano?

    Guardi, dobbiamo sempre partire dalla scena del crimine, bisogna esaminare il quadro della situazione. Il gruppo di fuoco dei militari Usa impegnati in quel momento su quella strada ha compiuto un attacco contro l’auto dove si trovavano Nicola e Giuliana Sgrena che definirei come “goffo”. Probabilmente la causa è stata un’interruzione sulle comunicazioni che avrebbero dovuto mettere sull’avviso proprio quei militari. Questo mi fa ritenere che quel presidio di soldati americani non avesse ricevuto alcuna comunicazione sul transito di un auto che avrebbero dovuto seguire ma non impedire. I militari Usa hanno immediatamente aperto il fuoco contro quel veicolo, che deve esser apparso sospetto, mettendo in pratica gli ordini e le procedure di ingaggio ricevute dal loro comando.

    Secondo lei è ipotizzabile che dietro l’incidente ci possa essere stata l’intenzione deliberata di voler colpire i servizi italiani perché rappresentanti di un governo che ha scelto la strada del pagamento dei riscatti per arrivare alla liberazione dei propri ostaggi in Iraq?

    Io so solo che Nicola Calipari era un funzionario abilissimo, intelligente e scaltro. Quanto agli americani li ritengo sufficientemente pragmatici per comprendere – al di là delle questioni geo-politiche espresse ufficialmente – che il denaro, in alcune situazioni limite come quelle degli ostaggi occidentali in Iraq, è l’unica arma che può rivelarsi determinante.

    Quindi secondo lei per la liberazione di Giuliana Sgrena, è stato pagato un riscatto?

    No. E non credo neppure che sia stato pagato un riscatto per la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta. Sono stati sequestri strani questi, atipici direi, quasi che una qualche regia occulta volesse comunicare al mondo intero come sono “sporchi brutti e cattivi” gli iracheni. Sono assolutamente convinto che si è trattato di sequestri politici…molto politici.

    Come forse lei saprà gira insistente la voce, un rumor potremmo dire, che Nicola Calipari, così scrupoloso e attento nel suo lavoro avesse organizzato le fasi della liberazione di Giuliana Sgrena seguendo esattamente le regole e le procedure messe a punto con i suoi referenti e collaboratori, tanto a Baghdad quanto a Roma, ma improvvisamente, proprio nell’ultimissima fase, quella del “prelievo” di Giuliana lasciata bendata, ma libera, dentro l’auto dei suoi sequestratori, Calipari possa aver percepito un pericolo, una smagliatura nell’organizazione…come se improvvisamente non si fosse più fidato di qualcuno o qualcosa... E abbia deciso all’istante di cambiare il piano e dirigersi in tutta fretta verso l’aeroporto in compagnia del solo maggiore dei carabinieri che si trovava alla guida della loro auto…

    E’ normale che non ci si fidi di nessuno se non dell’amico in quelle circostanze tanto particolari e in qualche modo estreme. Comunque se pur era previsto di portare Giuliana Sgrena nella nostra ambasciata di Baghdad ben avrebbe fatto Nicola e il suo fidatissimo maggiore a cambiare programma. L’ambasciata, in quelle circostanze, era decisamente il luogo più pericoloso dove portare Giuliana. Calipari ha fatto la cosa corretta e giusta. Questi sono casi dove non sempre si possono seguire burocraticamente le procedure.

    Se può mi risponda con franchezza: considera la morte di Nicola Calipari l’effetto di un incidente, un agguato o è avvenuto qualcosa che è ancora da decifrare?

    Questo è un punto davvero inquietante, io sono portato a escludere l’incidente così come ci è stato presentato fin dai minuti immediatamente successivi alla sparatoria, non so neppure se sia corretto parlare di un agguato nel senso letterale del termine, ma certo è che la dinamica dei fatti fa pensare quanto meno ad un attacco pianificato…ben pianificato. Servirà molto lavoro e molta trasparenza per arrivare alla verità.

    Che opinione si è fatto della Commisione mista italo-americana voluta dal governo italiano e accettata in linea di principio dalla Casa Bianca?

    Mi riesce molto difficile pensare e credere che gli americani metteranno a disposizione e condivideranno tutti gli elementi in loro possesso.

    C’è il rischio che la responsabilità dell’incidente venga addossata a un qualsiasi caporale Smith, una giovane recluta che avrebbe perso la testa?

    Sì questa eventualità è da mettere in conto.

    Secondo la sua esperienza cambierà qualcosa nella nostra presenza militare in Iraq dopo questo tragico episodio?

    Stia pur tranquillo che non cambierà nulla. Deve capire che c’è una grande differenza tra noi e gli inglesi nel gestire l’alleanza con gli Stati Uniti. La differenza sostanziale è che Londra è un alleato alla pari degli Usa, mentre l’amministrazione Bush considera noi italiani poco più di “personale di servizio”. Ubbidienti…

    Come definirebbe la presenza delle truppe straniere in Iraq? Una situazione di occupazione o di presenza di militari in missione di pace come sostiene il governo italiano?

    Missione esclusivamente di pace direi proprio di no…forse un’inedita via di mezzo tra guerra e pace. Ma certamente anche di guerra, questo è chiaro. Di occupazione e di controllo manu militari del territorio. In Iraq, non dimentichiamolo mai, c’è il petrolio e questo è l’oro del mondo. A Nassirya, dove sono le nostre truppe, c’è la più grande raffineria di petrolio dell’intero territorio iracheno. E questa è la contro partita che ci chiedono gli americani: se il petrolio vi piace e lo volete anche per voi allora proteggetelo insieme a noi…

    Quindi la presenza italiana in Iraq, in pratica, non potrà avere termine senza il consenso della Casa Bianca e del Pentagono? Siamo totalmente subordinati…

    Si, sì..siamo subordinati... Ad esempio leggerei la recente vendita degli elicotteri Augusta all’amministrazione Usa proprio in questo senso: un premio di fedeltà concesso al governo per l’industria italiana.

    Secondo lei di fronte ai rapimenti avvenuti in Iraq, e non dimentichiamo quello ancora non risolto della giornalista francese di "Liberation" Florence Aubenas, le mobilitazioni dell’opinione publica italiana e europea in favore della pace e contro l’occupazione dell’Iraq possono avere un qualche effetto sui sequestratori o sulle “centrali” che li ispirano?

    Direi di no. Né sui sequestratori né sui loro ispiratori.

    Per concludere possiamo dire che Nicola Calipari prima di rimanere vittima del fuoco amico, abbia concluso con successo la sua ultima missione?

    Sì, certamente si.

    Roberto di Nunzio
    direttore@reporterassociati.org

    (con la collaborazione di Barbara Galeazzi-Lisi)

  2. #2
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    Predefinito

    "La dinamica dei fatti fa pensare quantomeno a un attacco pianificato"

    Ma che "nazicomunisti" questi militari!

 

 

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