Sulla controriforma costituzionale
Prodi finalmente si sveglia ma non ha il coraggio di dire che siamo già in regime neofascista
Era un Prodi insolitamente allarmato e deciso, quello che venerdì 11 marzo è sceso in Senato, dove è in discussione la legge di controriforma costituzionale della Casa del fascio, e ha convocato i segretari e i capigruppo dei partiti dell'Unione per leggere loro un durissimo documento in cui spara a zero contro il progetto della maggioranza e i suoi propositi dittatoriali e chiama tutta l'opposizione a mobilitarsi, "non solo in parlamento", per affossarlo.
Sottolineando con enfasi la particolare importanza della riunione e di essere ben consapevole del peso delle parole da lui usate, Prodi esordiva dicendo senza mezzi termini che con il progetto della maggioranza "siamo di fronte a un mutamento radicale della nostra Carta costituzionale", un provvedimento che "mina alle fondamenta la nostra convivenza civile, mette in crisi la legalità costituzionale intesa come grande patto comune su cui si basa la convivenza della comunità", e che i metodi usati dalla Cdl per farlo passare in parlamento "se dovessimo leggerli oggi sui libri di storia come accaduti in un'altra epoca ci farebbero rabbrividire".
"Di fronte a tanta protervia sarà inevitabile ricorrere al referendum e chiamare tutto il popolo a raccolta", proseguiva il leader dell'Unione. "Ma - precisava - non possiamo rimandare a domani, alla inevitabile prova referendaria, la nostra più fiera opposizione". Occorre una risposta "forte, non più confinata solo alle Aule parlamentari o alle iniziative importantissime di molti amici a noi vicini". Qui Prodi sembra aver voluto fare un appello alla piazza, come se ammettesse per la prima volta che le cose sono andate troppo avanti per sperare di affossare la controriforma costituzionale della maggioranza solo con la lotta parlamentare e senza la scesa in campo delle masse popolari.
Più oltre egli spiega quali sono nello specifico i pericoli per la democrazia che questo progetto minaccia di realizzare: la devoluzione federalista di stampo leghista, da lui definita "uno pseudofederalismo che mette in crisi la nostra stessa unità di popolo e di nazione", e il "premierato assoluto", che così com'è disegnato, denuncia Prodi, "rischia di creare la dittatura di maggioranza. Una dittatura di maggioranza che in un contesto in cui il Presidente del Consiglio ha sostanzialmente un diritto forte di vita o di morte sulla stessa maggioranza rischia di diventare quasi necessariamente una dittatura del Premier".
Alla fine esorta i leader e i capigruppo parlamentari dell'Unione a "fare tutto ciò che è in nostro potere per avvisare il nostro popolo dei pericoli che incombono su di noi. Batterci in ogni modo perché nessuno possa dire domani che non sapeva, che non vedeva, che non capiva".
Le reazioni rabbiose, insultanti e derisorie da cui è stato immediatamente subissato dalla Casa del fascio dimostrano che con questo discorso Prodi ha messo il dito sulla piaga. Il neoduce Berlusconi ha cercato di liquidarlo con una battuta strafottente ("si vede che sono in vena di freddure"), ma Prodi ha replicato che si trattava invece di "un discorso molto serio". In un'intervista al direttore de "l'Unità", Furio Colombo, il leader dell'Unione ha anzi rimarcato che il suo non era nemmeno un discorso: "Ho letto un intervento meditato sul quale avevo lavorato a lungo per definire ogni aspetto. Non c'è nulla di improvvisato e nulla che non fosse pensato su una terminologia appropriata e scientifica sugli aspetti costituzionali".
Dunque, il tecnocrate democristiano Prodi si è svegliato e si è finalmente accorto di trovarsi in un regime neofascista con il volto di Berlusconi? Ha forse deciso di smettere la porpora cardinalizia e di indossare i panni di capopolo per incitare a buttare giù il nuovo Mussolini con la lotta di piazza? Andiamoci piano.
Intanto ci sarebbe da chiedergli come mai si è accorto solo ora della pericolosità della controriforma costituzionale della Casa del fascio, quando i suoi capisaldi neofascisti, presidenzialisti e federalisti erano perfettamente chiari e scritti nero su bianco almeno fin dalla sua prima stesura che risale all'estate del 2003. Quando siamo già alla sua terza lettura (la prima, sempre al Senato, risale ormai a un anno fa), e quando alla seconda votazione, alla Camera nell'autunno scorso, l'Ulivo si astenne scandalosamente sull'articolo 1, quello che istituisce il Senato federale. Non risulta che Prodi avesse avuto allora nulla da ridire.
In secondo luogo, nel suo stesso discorso, anch'egli ripete e sostiene la necessità di modifiche istituzionali, "anche urgenti" e "anche di rango costituzionale", arrivando perfino a esaltare - sia pure parlando di "luci e ombre" - la controriforma federalista del titolo V attuata dal "centro-sinistra" alla fine della scorsa legislatura. E poi: egli assicura che sul suo documento "c'è assoluta unanimità". Ma a giudicare dal gelido silenzio con cui è stato accolto da Rutelli e Fassino, non pare proprio che gli altri leader della Fed abbiano molta voglia di seguirlo su questa strada. A ben vedere questa sembra piuttosto un'alzata d'ingegno personale del professore democristiano, forse per tentare di recuperare consensi elettorali a sinistra con un'esternazione di sapore movimentista e antiberlusconiana: subito dopo, guarda caso, la clamorosa prosternazione della Fed in parlamento, che con il discorso di Amato e gli applausi all'operato del governo sul caso Sgrena-Calipari ha regalato al neoduce un insperato e gratuito spot elettorale.
Ma soprattutto l'arringa di Prodi non è credibile perché egli non ha il coraggio di andare fino in fondo alla sua denuncia e dire che siamo già in pieno regime neofascista, e che Berlusconi è il nuovo Mussolini che ha rimesso la camicia nera all'Italia. Non è, come dice il tecnocrate democristiano, che ci sia "il rischio" di regime. Il regime c'è già. Ma egli su questo si mantiene reticente, così come lo negava esplicitamente quando, all'inizio dei movimenti dei girotondi antiberlusconiani, questa parola aveva cominciato a circolare tra le masse.
Non capisce, il leader dell'Unione della "sinistra" borghese, o finge di non capire, che il presidenzialismo nella Costituzione - la "dittatura del premier" che egli paventa - non è lo spartiacque oltrepassato il quale si potrà parlare di regime; ma soltanto la sanzione ufficiale del regime neofascista già imperante di fatto. Allo stesso modo dei "poteri speciali" con cui Mussolini blindò definitivamente il regime fascista, dopo quasi tre anni che questo era stato instaurato con il colpo di Stato e cresceva indisturbato come un tumore all'interno del moribondo regime parlamentare borghese.

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