Revisionismo storico e libertà di ricerca

di Carlo Lottieri

Era inevitabile. È bastato uscisse un libro non appiattito sulla retorica egemone, ma invece ricco di spunti critici, perché l’intellighenzia ufficiale ne decretasse la condanna. E così il Breve corso di storia patria ad uso dei non politicamente corretti promosso dal Cidas di Torino e pubblicato da Leonardo Facco editore (15 euro, leofacco@tin.it) ha conosciuto l’altro giorno la sua fucilazione ufficiale: una condanna senza appello decretata da Nicola Tranfaglia su L’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci.

Al centro della stroncatura c’è un sofisma, che muove da una frase dell’introduzione di Sergio Ricossa: “La storia patria ci viene solitamente offerta in una visione ‘ufficiale’ e politicamente ‘corretta’ per cui il bene e il male sono nettamente separati e il male supremo è il Fascismo, il bene supremo è la Resistenza”. Qualche riga dopo lo storico dell’Unità afferma che il volume vorrebbe riscrivere la vicenda italiana “secondo una vulgata che riabilita l’esperienza fascista, fa dell’opposizione al fascismo come della Resistenza un fatto negativo in quanto dominato dai comunisti, degli italiani un popolo capace di apprezzare la dittatura e non la democrazia”.

Le cose non stanno così, ma non ci si può aspettare molto da un dibattito culturale nel quale il termine ‘revisionismo’ serve a identificare le tesi di quanti negano i campi di sterminio nazisti… Eppure la ricerca procede solo grazie a revisioni, dato che Galileo ha corretto le tesi dei propri predecessori, e lo stesso hanno fatto Newton o Einstein.

La censura che grava su ogni prospettiva revisionista ci aiuta a capire che tutti siamo prigionieri di versioni ‘ufficiali’, la cui funzione è proteggere determinati assetti istituzionali. Che si parli del Risorgimento come della Resistenza, uno storico non conformista finisce per minacciare – almeno potenzialmente – i miti fondativi con cui il ceto politico legittima il proprio dominio.

In altri paesi la questione assume toni ancor più drammatici. Lo si è visto chiaramente nel 1989, in Francia, quando si è trattato di ‘festeggiare’ il bicentenario della Rivoluzione. Quanti hanno cercato di evidenziare come il Terrore giacobino sia stato il progenitore dei totalitarismi sono stati intimiditi; e stesso destino è toccato a chi ha ricordato come all’indomani della guerra di Vandea l’esercito rivoluzionario sia stato protagonista, nel Nord-Ovest, dello sterminio sistematico di un terzo della popolazione civile. Il dibattito è stato chiuso sul nascere affinché le manifestazioni officiate da François Mitterrand potessero svolgersi senza la minima discussione.

La situazione non è del tutto diversa negli Stati Uniti. Paradossalmente, il grande successo di pubblico che sta conoscendo il recente volume di Tom Woods (The Politically Uncorrect Guide to American History) mostra come anche oltre Oceano si avverta la necessità di fare luce su una storia ‘di regime’ che presenta solo una galleria di eroi: da Lincoln a Wilson, da F.D. Roosevelt a Kennedy. Il fatto che questi quattro presidenti abbiano trascinato gli americani in guerre sanguinose non pare sufficiente a metterne in discussione l’immagine. E quando il libertario Thomas DiLorenzo ha smontato il mito di Lincoln, democratici e repubblicani si sono schierati come un sol uomo contro chi aveva osato ricordare che la Guerra Civile ha causato la morte di più di 600 mila morti e ha ridotto per anni il Sud in una condizione semi-coloniale.

Ben vengano, allora, libri come questo del Cidas, che include brani di Vittorio Mathieu, Francesco Perfetti, Paolo Nello e altri importanti studiosi. Tanto più che grazie a Giuseppe Parlato (già allievo di Renzo De Felice) il libro ci offre uno squarcio interessante su taluni aspetti della Resistenza, accendendo i riflettori su avvenimenti rappresentativi: le quattro giornate di Napoli, la strage di Sant’Anna di Stazzema e l’attentato di via Rasella. Quest’ultimo è un episodio che non solo costò la vita a più di 40 persone (soldati altoatesini e civili romani), ma scatenò la prevedibile reazione dei nazisti. I quali trucidarono una parte rilevante della Resistenza romana: tra cui 52 azionisti, 30 monarchici e ben 68 militanti di Bandiera Rossa, un gruppo comunista avverso al Pci.

Anche solo per queste pagine ‘fuori dal coro’ il volume del Cidas merita tutto il nostro rispetto. La speranza è che altre ricerche coraggiosamente revisioniste tengano viva la nostra aspirazione la conoscere la verità sul passato. Che questo piaccia o meno ai potenti di turno.

(Pubblicato su L'Indipendente in data 18 marzo 2005.)