Il Gazzettino
Venerdì, 25 Marzo 2005
FEDERALISMO IMPERFETTO
Di Massimo Fini
La Riforma Costituzionale varata in prima istanza dal Parlamento (ce ne vorrà una seconda, ex articolo 138 della Costituzione, come per ogni legge che modifichi la carta) non è grave perché mette in pericolo l'unità nazionale e porta al "disfacimento del Paese" come scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di ieri e come pensano in molti, a sinistra ma anche, sia pur sottotraccia per disciplina di partito, a destra.
I poteri forti conferiti al premier (che vengono, in modo contraddittorio, contestati dalla sinistra, sempre in nome di quell'unità nazionale e di quell'amor di Patria di cui, per decenni, imbevuta dell'internazionalismo marxista, non le è importato nulla) servono proprio a bilanciare il nuovo assetto federale, un po' come avviene negli Stati Uniti dove ogni Stato ha le sue leggi ma l'unità della Nazione è garantita e gestita dal Presidente eletto direttamente dal popolo.
Inoltre gli idolatri dell'unità nazionale (fra cui non mi annovero) ritenendo a dir poco vergognosa la storia dell'Italia nei centrotrent'anni della sua unità e invece straordinaria, da ogni punto di vista, a cominciare da quello artistico e culturale (la sua storia pre-unitaria, dell'Italia dei Comuni e delle Repubbliche) devono rassegnarsi a un progressivo indebolimento e, alla lunga, alla scomparsa dello Stato nazionale in Europa.
Quando l'Europa sarà veramente unita, oltre che economicamente anche politicamente e militarmente, lo Stato nazionale troppo piccolo e debole per assicurare da solo la difesa, troppo grande e poco coeso per rispondere alle esigenze identitarie dei localismi, non avrà più alcun senso.
La debolezza della riforma sta nell'aver spalmato il federalismo su ventuno Regioni. Ciò impedirà a ciascuna Regione qualsiasi politica di ampio respiro e porterà a uno spezzettamento legislativo ridicolo e foriero di intoppi e di inefficienze (non ha alcun senso, per esempio, che il Veneto e la Lombardia che sono molto simili orograficamente, economicamente, socialmente, culturalmente, abbiano una legislazione diversa). In questo modo andrà a finire fatalmente che alla burocrazia dello Stato centrale si aggiungeranno le burocrazie delle ventuno Regioni, in una sommatoria di poteri invece che in un loro snellimento e decentramento.
La riforma federale utile, ragionevole e necessaria era quella proposta dalla Lega alle sue origini delle tre "macroregioni", Nord, Centro e Sud, coese dal punto di vista orografico, economico, sociale, culturale ed etnico, e sufficientemente ampie per poter impostare politiche localistiche di buon respiro. Inoltre, in prospettiva, le "macroregioni" sarebbero state i punti di riferimento periferici di un'Europa realmente unita al posto dello Stato nazionale del malo tempo che fu di cui oggi sono nostalgici quasi solo i 60-80enni e i cultori di un Risorgimento che fu opera di élites ristrettissime che lo imposero all'italiano (ai plebisciti unitari partecipò il 4 per cento della popolazione) e di una Resistenza che non c'è mai stata, cioè i nostri fasulli miti fondativi.
Il premierato forte, come dicevo, è coerentemente il contrappeso all'assetto federale. Certo che se il presidente del Consiglio assomma ulteriori poteri controlla anche tutte le televisioni nazionali, il determinante settore pubblicitario con il quale può condizionare anche l'informazione di carta stampata, e vasti comparti dell'economia, allora è vero che il premierato può trasformarsi in una "dittatura del premier". Ma questo è un problema che è legato alla figura di Silvio Berlusconi e che, con lui premier, ci sarà nell'Italia di domani, riformata, esattamente come c'è già da tempo in quella di oggi.
Massimo Fini