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Discussione: Il Socialismo Liberale

  1. #1
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    Predefinito Il Socialismo Liberale

    Ancora una volta vi chiedo cosa sia...

    però mi piacerebbe avere una spiegazione semplice, non i copia ed incolla ...

    Grazie

  2. #2
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    Rosselli, Gobetti, Bobbio, Calogero, J. S. Mill, Rawls, Dworkin, Sen....non ti voglio togliere il piacere e la fatica della lettura.

    Come per il liberalismo, non c'è una corrente unitaria, con una specie di padre fondatore come avviene per il marxismo.

  3. #3
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    Predefinito Re: Il Socialismo Liberale

    In origine postato da danny78
    Ancora una volta vi chiedo cosa sia...

    però mi piacerebbe avere una spiegazione semplice, non i copia ed incolla ...

    Grazie
    non c'è contraddizione come sembrerebbe. E' solo il desiderio di unire due ideali parimenti importanti: l'amore per la libertà e la sete di giustizia sociale. Alieni ai dogmatismi, difensori della libertà e della democrazia, propugnatori di giustizia sociale.
    Consiglio Bobbio, Socialismo liberale

    Anche se non vuoi i copia ed incolla ti invio questo:

    L' insegnamento di un teorico della democrazia che criticò Marx e fu in contrasto con Kautsky e Turati

    Bernstein, l' eresia del socialismo liberale
    Il suo pensiero è il telaio per una politica riformista. Oltre i pregiudizi. Da Giustizia e Libertà a Norberto Bobbio. Perchè le tesi del pioniere tedesco tornano ancora d'attualità. Tutela dei più deboli e responsabilità diffusa: questa la lezione che un uomo di fine Ottocento consegna alla sinistra europea dopo il crollo del comunismo



    di Giuliano Amato
    26 maggio 1993


    Non è un esercizio da storici, e tanto meno da archeologi, la rilettura di Eduard Bernstein propostaci in un libro che consiglio a tutti di leggere, al di là del titolo, che sembra escludere i non addetti ai lavori (U. Ranieri e U. Minopoli, Il movimento è tutto. Rileggendo Eduard Bernstein, SugarCo). Gli autori sono infatti due riformisti del Pds, che attraverso Bernstein raccontano se stessi: raccontano la loro battaglia contro quel "pregiudizio antiriformista" che tanto ha pesato nel congelare la grande forza elettorale e politica dei comunisti italiani; e raccontano la loro ricerca nel socialismo liberale di un telaio di pensiero sufficientemente robusto da guidare la politica riformista lontano dal Dio che è fallito, ma anche oltre la casualità della gestione quotidiana.

    Perchè per far questo ritornano proprio a Bernstein, quel grande polemista di fine Ottocento, che fu sempre in contrasto con il socialismo ufficiale del suo tempo, con gli stessi riformisti di allora, da Kautsky a Turati, e che anche nei decenni successivi rimase bollato dalla sua eresia, salva l'attenzione che non a c aso ricevette dai Rosselli di "Giustizia e Libertà"?

    Una prima risposta la danno loro stessi, rammentando che un risveglio d'attenzione su Bernstein c'è stato di recente anche in Germania, quando i socialdemocratici hanno capito che fra il vecchio e indifendibile welfare state, la resa al neoliberismo e la fuga nelle utopie futuribili un ubi consistam più saldo ha da esserci.

    Ma non c'è neppure bisogno di questa pur importante premessa. Basta rileggere Bernstein per cogliere tutta la preveggente attualità di una polemica in cui troviamo tanti degli argomenti che ci siamo scambiati negli ultimi anni. Vi ricordate quando Bobbio ci chiese--chiese per la verità ai comunisti--se la democrazia era un mezzo o era un fine? Bene, la stessa domanda--e la stessa risposta di Bobbio--le troviamo già in Bernstein, il quale nega che l'ordinamento democratico sia l'involucro del potere capitalista, capisce che i diritti da esso riconosciuti hanno una potenzialità universale, vede nelle sue procedure i veicoli di un processo su cui non alcuni soltanto, ma tutti possono contare per far valere le loro ragioni, per progredire, per riequilibrare il potere degli altri. E quindi, se è vero che "la classe operaia ha da realizzare un ideale, non una dottrina", la democrazia è il suo habitat naturale nel percorso di avvicinamento a quell'ideale; ed ogni passo che compie è già, ora e subito, una realizzazione di questo.

    Bernstein arriva a questa conclusione perchè pensa, a differenza di Marx, che il socialismo non sia destinato a nascere con la società che verrà dopo, partorita dalla ineluttabile necessità storica, che la farà scaturire dallo sviluppo e poi dalla morte della società capitalista. Per questo non crede che ci siano un presente, nel quale quel che conta è raccogliere la protesta e lasciare intanto che governino gli altri, e un futuro al quale invece riservare la propria forza e la realizzazione delle proprie promesse. No, la storia è un inesauribile processo, segnato non da svolte necessarie, ma da possibilità che bisogna saper cogliere.

    Da qui la sua critica all'Spd (il partito socialdemocratico tedesco) del suo tempo, solidamente radicato nel lavoro dipendente, rafforzato da una continua crescita elettorale, ma incapace di darle uno sbocco politico, perchè l'unica preoccupazione delle classi dirigenti socialiste era il mantenere intatta la forza organizzativa e la forza ideologica, in vista della "battaglia finale".

    Di qui la sua ostilità per l'attendismo, per l'aspettativa della crisi finale che Marx aveva promesso inducendo con ciò a collocare il proprio impegno al di là di transizioni che potranno non esserci mai. In questa polemica--notano i due autori--sono già segnate le linee su cui si verrà di varicando la storia della cultura e della politica socialista negli anni a venire. E si precostituiscono in essa atteggiamenti, predisposizioni, profonde sensibilità che peseranno anche al di fuori degli originari contenuti.

    Pensiamo ad oggi, ai comp ortamenti di oggi del Pds, partito postcomunista nato sulle ceneri del comunismo, delle leggi necessitate di Marx, della società del dopo che tutti hanno capito non esserci più. Ebbene, tanto è rimasto radicato in quel partito lo schema marxiano che esso ne sta mimando la presenza nella vicenda tutt'affatto diversa della evoluzione in corso nell'Italia di oggi. Si è messa la corruzione politica al posto della crisi finale del capitalismo, la si è legata al sistema elettorale e alla necessità del suo cambio e si è ricostruito attorno a questo cambio il "prima e il dopo" di Marx, ivi compresa una fase di transizione; solo così riuscendo a giustificare un proprio primo, parziale impegno nel governare il presente. Curiosa, ma riconoscibile meta morfosi del programma kautskiano di Erfurt.

    Spostiamoci una buona volta dalla parte di Bernstein--dicono i due autori--e ricomponiamo la frattura, alla quale egli inutilmente si oppose, tra liberalismo (visto allora come strumento del capitalismo ) e socialismo. "Non esiste idea liberale che non appartenga anche al contenuto ideale del socialismo", aveva detto Bernstein. E lo ripetono oggi Ranieri e Minopoli all'unisono in ciò con Biagio De Giovanni che la stessa cosa dice nella prefazione al libro.

    Si può dare così una base non effimera al pensiero e alla prassi progressista nella società di oggi? Personalmente sono convinto che è l'unica base possibile e che può funzionare. Società di oggi vuol dire società ricca di individualità che vanno riconosciute, di diritti che esigono rispetto, di pretese che vanno soddisfatte, imparando però ad avvalersi non di illimitate, ma di limitate risorse.

    Non ci si può affidare alle decisioni dei gruppi più forti, nè si può pensare a uno Stato p aterno che unifichi in sè la esclusiva responsabilità di un governo che coinvolge tante individualità ormai così interattive. Ecco allora la chiave, schiettamente liberale, della responsabilità diffusa nella società, che affida a ciascuno di noi un brandello di governo, in un sistema di cui lo Stato è solo ordinatore: mettendo chi non lo è nella condizione di divenire responsabile, affidando la tutela di chi lo è, per il lavoro alla sua forza contrattuale, per i bisogni previdenziali e sanitar i all'accantonamento del proprio risparmio. Nella cornice--questo sì--di una fondamentale solidarietà, che sia garantita dagli ingredienti essenziali dell'eguaglianza: protezione sociale per i deboli, limiti efficaci alla folle escursione dei reddi ti alti, trasparenza senza privilegi dei titolari di incarichi pubblici. L'unica cosa che potrei aggiungere è che alcune occasioni per saltare si sono già presentate in tempi recenti, ma diversi presunti riformisti hanno finto di non riconoscerle. O forse non le hanno viste davvero: nei fatti il pregiudizio antiriformista è più duro a morire che nelle parole.

  4. #4
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    Predefinito Re: Il Socialismo Liberale

    Il Soc. Lib. è pensare, tra i tanti patri nobili quivi citati omlti dei quali li ho studiati con grandepassione, che l'ntersandel singolo e l'interessa collettico (sociali) non siano in nautrale e spontanea contraddizione, o conflitto.

    Quesa è una mia interpretazione..... poi avevo letto paginoni su questo nel dizionaro di politica di N. Bobbio. Cercherò qualcosa.


    Questa discussione mi ha fatto ricordare Italo Calvino in "Una giornata da scrutatore". Scriveva Calvino: "In quegli anni il partito comunista s'era assunto, tra i molti altri compiti, quelli di un ideale, mai esistito, partito liberale. E così nel petto del singolo comunista potevano albergare due persone assieme, un rivoluzionario intransigente e un liberale olimpico.[...] Forse era segno che la vera natura di Amerigo - e di molti di lui - sarebbe stata, se lasciata a se stessa, quella liberale, e che solo un processo di identificazione - appunto - con diverso poteva dirsi comunista."

    A me piace credere, anzi sono convinto, che ormai è tempo che quelle due persone siano un tutt'uno.

  5. #5
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    Predefinito Re: Re: Il Socialismo Liberale

    In origine postato da willy
    non c'è contraddizione come sembrerebbe. E' solo il desiderio di unire due ideali parimenti importanti
    Non c'è? spiegami come coniughi "economia controllata" e "libertà di impresa".

  6. #6
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    Predefinito Re: Re: Il Socialismo Liberale

    In origine postato da willy
    non c'è contraddizione come sembrerebbe. E' solo il desiderio di unire due ideali parimenti importanti: l'amore per la libertà e la sete di giustizia sociale. Alieni ai dogmatismi, difensori della libertà e della democrazia, propugnatori di giustizia sociale.
    Consiglio Bobbio, Socialismo liberale

    Anche se non vuoi i copia ed incolla ti invio questo:

    L' insegnamento di un teorico della democrazia che criticò Marx e fu in contrasto con Kautsky e Turati

    Bernstein, l' eresia del socialismo liberale
    Il suo pensiero è il telaio per una politica riformista. Oltre i pregiudizi. Da Giustizia e Libertà a Norberto Bobbio. Perchè le tesi del pioniere tedesco tornano ancora d'attualità. Tutela dei più deboli e responsabilità diffusa: questa la lezione che un uomo di fine Ottocento consegna alla sinistra europea dopo il crollo del comunismo



    di Giuliano Amato
    26 maggio 1993


    Non è un esercizio da storici, e tanto meno da archeologi, la rilettura di Eduard Bernstein propostaci in un libro che consiglio a tutti di leggere, al di là del titolo, che sembra escludere i non addetti ai lavori (U. Ranieri e U. Minopoli, Il movimento è tutto. Rileggendo Eduard Bernstein, SugarCo). Gli autori sono infatti due riformisti del Pds, che attraverso Bernstein raccontano se stessi: raccontano la loro battaglia contro quel "pregiudizio antiriformista" che tanto ha pesato nel congelare la grande forza elettorale e politica dei comunisti italiani; e raccontano la loro ricerca nel socialismo liberale di un telaio di pensiero sufficientemente robusto da guidare la politica riformista lontano dal Dio che è fallito, ma anche oltre la casualità della gestione quotidiana.

    Perchè per far questo ritornano proprio a Bernstein, quel grande polemista di fine Ottocento, che fu sempre in contrasto con il socialismo ufficiale del suo tempo, con gli stessi riformisti di allora, da Kautsky a Turati, e che anche nei decenni successivi rimase bollato dalla sua eresia, salva l'attenzione che non a c aso ricevette dai Rosselli di "Giustizia e Libertà"?

    Una prima risposta la danno loro stessi, rammentando che un risveglio d'attenzione su Bernstein c'è stato di recente anche in Germania, quando i socialdemocratici hanno capito che fra il vecchio e indifendibile welfare state, la resa al neoliberismo e la fuga nelle utopie futuribili un ubi consistam più saldo ha da esserci.

    Ma non c'è neppure bisogno di questa pur importante premessa. Basta rileggere Bernstein per cogliere tutta la preveggente attualità di una polemica in cui troviamo tanti degli argomenti che ci siamo scambiati negli ultimi anni. Vi ricordate quando Bobbio ci chiese--chiese per la verità ai comunisti--se la democrazia era un mezzo o era un fine? Bene, la stessa domanda--e la stessa risposta di Bobbio--le troviamo già in Bernstein, il quale nega che l'ordinamento democratico sia l'involucro del potere capitalista, capisce che i diritti da esso riconosciuti hanno una potenzialità universale, vede nelle sue procedure i veicoli di un processo su cui non alcuni soltanto, ma tutti possono contare per far valere le loro ragioni, per progredire, per riequilibrare il potere degli altri. E quindi, se è vero che "la classe operaia ha da realizzare un ideale, non una dottrina", la democrazia è il suo habitat naturale nel percorso di avvicinamento a quell'ideale; ed ogni passo che compie è già, ora e subito, una realizzazione di questo.

    Bernstein arriva a questa conclusione perchè pensa, a differenza di Marx, che il socialismo non sia destinato a nascere con la società che verrà dopo, partorita dalla ineluttabile necessità storica, che la farà scaturire dallo sviluppo e poi dalla morte della società capitalista. Per questo non crede che ci siano un presente, nel quale quel che conta è raccogliere la protesta e lasciare intanto che governino gli altri, e un futuro al quale invece riservare la propria forza e la realizzazione delle proprie promesse. No, la storia è un inesauribile processo, segnato non da svolte necessarie, ma da possibilità che bisogna saper cogliere.

    Da qui la sua critica all'Spd (il partito socialdemocratico tedesco) del suo tempo, solidamente radicato nel lavoro dipendente, rafforzato da una continua crescita elettorale, ma incapace di darle uno sbocco politico, perchè l'unica preoccupazione delle classi dirigenti socialiste era il mantenere intatta la forza organizzativa e la forza ideologica, in vista della "battaglia finale".

    Di qui la sua ostilità per l'attendismo, per l'aspettativa della crisi finale che Marx aveva promesso inducendo con ciò a collocare il proprio impegno al di là di transizioni che potranno non esserci mai. In questa polemica--notano i due autori--sono già segnate le linee su cui si verrà di varicando la storia della cultura e della politica socialista negli anni a venire. E si precostituiscono in essa atteggiamenti, predisposizioni, profonde sensibilità che peseranno anche al di fuori degli originari contenuti.

    Pensiamo ad oggi, ai comp ortamenti di oggi del Pds, partito postcomunista nato sulle ceneri del comunismo, delle leggi necessitate di Marx, della società del dopo che tutti hanno capito non esserci più. Ebbene, tanto è rimasto radicato in quel partito lo schema marxiano che esso ne sta mimando la presenza nella vicenda tutt'affatto diversa della evoluzione in corso nell'Italia di oggi. Si è messa la corruzione politica al posto della crisi finale del capitalismo, la si è legata al sistema elettorale e alla necessità del suo cambio e si è ricostruito attorno a questo cambio il "prima e il dopo" di Marx, ivi compresa una fase di transizione; solo così riuscendo a giustificare un proprio primo, parziale impegno nel governare il presente. Curiosa, ma riconoscibile meta morfosi del programma kautskiano di Erfurt.

    Spostiamoci una buona volta dalla parte di Bernstein--dicono i due autori--e ricomponiamo la frattura, alla quale egli inutilmente si oppose, tra liberalismo (visto allora come strumento del capitalismo ) e socialismo. "Non esiste idea liberale che non appartenga anche al contenuto ideale del socialismo", aveva detto Bernstein. E lo ripetono oggi Ranieri e Minopoli all'unisono in ciò con Biagio De Giovanni che la stessa cosa dice nella prefazione al libro.

    Si può dare così una base non effimera al pensiero e alla prassi progressista nella società di oggi? Personalmente sono convinto che è l'unica base possibile e che può funzionare. Società di oggi vuol dire società ricca di individualità che vanno riconosciute, di diritti che esigono rispetto, di pretese che vanno soddisfatte, imparando però ad avvalersi non di illimitate, ma di limitate risorse.

    Non ci si può affidare alle decisioni dei gruppi più forti, nè si può pensare a uno Stato p aterno che unifichi in sè la esclusiva responsabilità di un governo che coinvolge tante individualità ormai così interattive. Ecco allora la chiave, schiettamente liberale, della responsabilità diffusa nella società, che affida a ciascuno di noi un brandello di governo, in un sistema di cui lo Stato è solo ordinatore: mettendo chi non lo è nella condizione di divenire responsabile, affidando la tutela di chi lo è, per il lavoro alla sua forza contrattuale, per i bisogni previdenziali e sanitar i all'accantonamento del proprio risparmio. Nella cornice--questo sì--di una fondamentale solidarietà, che sia garantita dagli ingredienti essenziali dell'eguaglianza: protezione sociale per i deboli, limiti efficaci alla folle escursione dei reddi ti alti, trasparenza senza privilegi dei titolari di incarichi pubblici. L'unica cosa che potrei aggiungere è che alcune occasioni per saltare si sono già presentate in tempi recenti, ma diversi presunti riformisti hanno finto di non riconoscerle. O forse non le hanno viste davvero: nei fatti il pregiudizio antiriformista è più duro a morire che nelle parole.
    Mi pare ti avesse chiesto una TUA spiegazione; non un copia incolla...

  7. #7
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    sul serio, dire unire libertà e giustizia sociale.. lo posso dire anche io che non sono un liberalsocialista..... in sintesi..quali sono i "progetti" concreti dei liberalsocialisti.... lasciamo gli autori e le teorie da altre parti....

    proviamo ad intavolare una discussione seria...

  8. #8
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    In origine postato da danny78
    sul serio, dire unire libertà e giustizia sociale.. lo posso dire anche io che non sono un liberalsocialista..... in sintesi..quali sono i "progetti" concreti dei liberalsocialisti.... lasciamo gli autori e le teorie da altre parti....

    proviamo ad intavolare una discussione seria...
    messaggio ancora valido

  9. #9
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    In origine postato da danny78
    sul serio, dire unire libertà e giustizia sociale.. lo posso dire anche io che non sono un liberalsocialista..... in sintesi..quali sono i "progetti" concreti dei liberalsocialisti.... lasciamo gli autori e le teorie da altre parti....

    proviamo ad intavolare una discussione seria...
    Secondo me per capire una dottrina si puo solo studiare i suoi padri fondatori. Cmq il liberalsocialismo spiega i suoi progetti perfettamente con guido calogero e il suo manifesto(stupendo)!!!!
    PEr quel che mi riguarda i presupposti della politica blairiana e parte dei risultati sono quello che vorrei...
    Cose concrete? Dimmi argomenti e ti rispondo...cosi senza base nn mi piace parlare...vengono fuori pasticci inutili

  10. #10
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    C'è un libro facile e abbastanza interessante:
    Umberto Ranieri, La sinistra e i suoi dilemmi, I Grilli, Marsilio.

    Più che altro va bene per orientarsi nei vari meandri sinistrorsi (Bernstein, Marx, Turati, Rosselli... fino a D'Alema) e capirne un po' di più.

 

 
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