Il marmo con il nome dell'uomo che assassinò l'arciduca Francesco Ferdinando
nel 1914 è stato consegnato alla Bosnia Erzegovina
La lapide di Princip fa litigare italiani e austriaci
I soldati del nostro contingente trovano e ripuliscono la stele dedicata all
'«eroe serbo».
Vienna protesta: era un terrorista
Come lapide di marmo, non è un granché: macchiata, sbrecciata, lisa.
Nemmeno ha tutto questo valore storico, con la data troppo recente (marzo
1977), la firma troppo anonima («gli impiegati presso l'unità militare 2416
Sarajevo»), il testo da apologia dell'era titina: «In questo palazzo sono
stati imprigionati, torturati e condannati Gavrilo Princip e compagni,
appartenenti alla Mlada Bosna .
Il 28.6.1914 hanno alzato la mano contro gli occupanti.
Tanti di loro hanno dato la vita per gli ideali di libertà e per l'
indipendenza del nostro Paese».
Una stele bruttarella. Se l'erano dimenticata tutti, nell'inferno degli anni
'90, nel magazzino della caserma Maresciallo Tito di Sarajevo.
Mercoledì, appesi una coccarda tricolore e i nastri dell'Unione europea,
hanno provveduto i militari italiani a ripulire quel marmo. Rispolverando i
significati neri, i dolorosi ricordi, le polemiche mai cessate su quel che
Gavrilo Princip e Mlada Bosna , il gruppo serbo Giovane Bosnia, provocarono
nel 1914 con quei colpi di pistola: l'assassinio dell'arciduca d'Austria, i
18 milioni di morti della Prima guerra mondiale e poi, effetto a catena, le
rivoluzioni del comunismo, del fascismo, del nazismo, la Seconda guerra
mondiale che regolò i conti della Prima, un secolo aperto dall'attentato di
Sarajevo e finito col crollo dell'Urss.
E' stata una cerimonia rapida, in una saletta della vecchia caserma che oggi
ospita anche l'ambasciata italiana. Otto ufficiali del 7° Reggimento alpini
di Belluno, due rappresentanti del governo della Bosnia Erzegovina, su un
tavolo la stele recuperata e sull'altro i protocolli della donazione da
firmare.
Mezzo imbarazzati e mezzo felici, i sarajevesi: la memoria ancora divide e
sotto le granate serbe, dieci anni fa, accanto a chi portava fiori sul luogo
dell'attentato, ci fu chi fece «sparire» le impronte di Gavrilo, scolpite
nel marmo.
Se sotto Tito era normale definire Princip un eroe, l'Oberdan jugoslavo,
oggi nelle scuole bosniache lo si racconta più o meno come un terrorista:
Ramiz Kadic, viceassessore alla cultura, tre anni fa ha usato i fondi del
Comune per restaurare il monumento all'arciduca Francesco Ferdinando, non
quello al regicida.
Era il caso di riaprire l' affaire Gavrilo? «Era un peccato non restituire
la stele - si difende il capitano Luigi Usai, portavoce dei 1.100 soldati
italiani -. Ha un valore storico, a prescindere dai significati politici che
si possono dare».
Fra i militari del contingente austriaco che pattugliano la Bosnia
settentrionale, qualcuno non ha gradito: «Gli italiani possono consegnare
quello che vogliono - dice un diplomatico viennese -, ma perché devono farlo
usando la bandiera dell'Ue?».
Eroe per i serbi, Princip è considerato anche in Austria un terrorista.
Una questione tutt'altro che sepolta, come spiegò nel '97 lo scrittore Peter
Handke: «Noi austriaci, ovviamente non tutti, manteniamo ancora un grande
odio per l'assassino di Sarajevo.
Siamo convinti che fu mandato dal governo serbo e incolpiamo i serbi d'aver
fatto crollare l'impero asburgico, facendo dell'Austria un Paese così
piccolo.
Per questo, contro Belgrado, l'Austria è stata fra i primi a riconoscere l'
indipendenza di Slovenia e Croazia».
Le perplessità di bosniaci e austriaci sono comprensibili, dice lo storico
Giorgio Rumi: «Ci credo che se la sono presa! E' sempre delicato aprire il
tribunale della storia. Nel dubbio, meglio astenersi. Non si possono
celebrare i regicidi, specie nel caso di Francesco Ferdinando che fu ucciso
con la moglie. Perché riaprire queste ferite? Gavrilo fu un estremista, un
ultranazionalista serbo-bosniaco, l'assassino che creò quel buco nero, nei
Balcani, che ancora non abbiamo eliminato. Il giudizio su di lui è sospeso,
in una terra dove i nazionalismi sono attualissimi. E noi italiani stiamo
là, a Sarajevo, a ricordare eroi come questi? Una certa prudenza sarebbe
opportuna».