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Risultati da 1 a 3 di 3
  1. #1
    Araldo
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    Albese con Cassano-CO-
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    Predefinito Don Enrico Chiavacci, Uomo di Pace

    Don Enrico Chiavacci, Uomo di Pace
    Proseguendo nella memoria storica del mio Centro Evolutivo, ricordo il Personaggio Enrico Chiavacci, anch’esso Uomo di PACE, incontrato durante i Corsi di Studi Cristiani alla Cittadella d’Assisi…
    Fui presentato (senz’altro da sua richiesta), lo trovai un buon Uomo per la semplicità, affabilità, tranquillità e la purezza da fiorentino della parola, proprio da parroco umile aperto ai comuni mortali in cerca di Fede…
    Da Uomo di PACE, AMORE e ARMONIA, volle verificare in semplicità il mio pensiero d’AMORE per crescere… lasciandoci con gran rispetto reciproco nella propria Ascesi…
    Grazie Don Enrico Chiavacci
    AMORE PACE ARMONIA
    Pontiggia Lorenzo
    29/03/05

  2. #2
    W Charles A. Lindbergh 21.5.1927
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    la Terra, quarta via, presso l'Unione Nazionale per la Giustizia Sociale - Fronte Cristiano. NO AL NAZISMO DISUMANO; NO AL FASCISMO LIBERTICIDA; NO AL CAPITALISMO SFRUTTATORE; NO AL COMUNISMO ATEO.
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    http://www.adista.it/numeri/adista04/adi90/adi90-1.html
    N°90 del 25 dicembre 2004
    LAICITÀ – CRISTIANIZZAZIONE SENZA DIO. IL CONTRIBUTO DI DON ENRICO CHIAVACCI
    DOC-1589. ROMA-ADISTA. Al binomio laico-cristiano in molti casi sarebbe più appropriato sostituire quello clericale-anticlericale: "in esso si cela non tanto il problema di Dio o di Gesù Cristo, quanto il problema di accettazione della chiesa nel suo modo - passato e presente - di presentare il Vangelo di Gesù Cristo attraverso le sue strutture, regole, pronunciamenti, devozioni, predicazione". Enrico Chiavacci, parroco e professore emerito di teologia morale nella Facoltà teologica dell'Italia Centrale, interviene nel dibattito sul tema della laicità avviato da Adista sul n. 86. Per Chiavacci, alla radice del conflitto, recentemente riacutizzatosi, sul rapporto tra laicità e fede, c'è il lento processo (iniziato almeno a partire dal II millennio) di "clericalizzazione della Chiesa", di "accentramento dell'autorità presso un'unica istanza". Una trasformazione che è stata forse necessaria alla Chiesa per affrontare alcune fasi della sua storia, ma che ha lasciato "poco spazio a culture, tradizioni, filosofie, sensibilità storiche locali". Questa concezione è stata superata dall'approccio inclusivo contenuto nella Gaudium et Spes: secondo Chiavacci, è a partire da allora che nella Chiesa si è cominciato a prendere coscienza che "il contatto massiccio e costante con altre culture" non rappresenta una minaccia, ma offre alla Chiesa "nuove possibilità di comprensione e di vita evangelica". Per questa ragione, l'accentramento del potere ecclesiastico all'interno del tradizionale modello clericale è, oggi, "teoricamente e praticamente insostenibile per la credibilità della chiesa e anche del Vangelo". Di seguito il contributo di don Chiavacci.
    "D'ora in poi predicherò solo Cristo, e Cristo crocifisso", esclama Paolo (cfr. 1Cor 2,2). La fede in Cristo non è un 'bagaglio di valori', ma è l'assunzione di un unico valore che deve dominare la mia intera esistenza, esserne il senso ultimo su cui io scelgo di misurare me stesso in ogni mia scelta concreta (o, se si vuole, storica). Questo unico valore è fare della propria esistenza un dono offerto a tutti i fratelli in umanità, buoni o cattivi, bianchi o neri, amici o persecutori. "Questo corpo che è per voi, questo sangue versato per voi e per tutti": Gesù nella cena dichiara il senso del suo andare deliberatamente incontro alla croce, e con questo gesto supremo di dono accompagnare la storia, la vicenda intera della famiglia umana.
    Spesso però noi cristiani ci dimentichiamo che ogni essere umano è chiamato dal proprio interno a una 'vita morale' cioè all'assunzione di un significato unico e ultimo del proprio esistere e alla coerenza con esso in ogni situazione concreta. Tale assunzione può nascere da un'esperienza interiore indicibile, cioè non dimostrabile ad altri come l'unica vera; può anche avere una motivazione filosofica e nascere da una argomentazione, ma il mettersi ad argomentare o a interrogarsi sul senso della propria esistenza è già vita morale. Anche l'ateo, il laicista, il 'laico', l'anticlericale, l'aderente a qualunque fede religiosa non cristiana, ha in sé la chiamata a una vita morale: il che equivale al bisogno di dare un senso al proprio esistere.
    Ma noi cristiani crediamo che anche il non-cristiano, come ogni essere umano, trovi in se stesso una chiamata divina, e precisamente la chiamata di un dio, del Dio che ci è apparso in Nostro Signore. A Lui tutti dobbiamo rispondere, che lo conosciamo o no, e da Lui tutti abbiamo bisogno di perdono. Tutto ciò è espresso chiaramente in Paolo, Rm 2. Giovanni XXIII riprende il tema indirizzando a tutti gli uomini di buona volontà la grande enciclica Pacem in terris: se ne rilegga l'intestazione, il proemio, e tutta la V parte. E la Gaudium et spes esplicita il contenuto di questa esperienza morale che accomuna tutti gli uomini intorno al grande tema della pace. Si veda il n. 77, ma specialmente il n. 92. In esso la Chiesa si dichiara aperta al dialogo e alla cooperazione (che ne è lo scopo e la cercata conseguenza) con uomini di qualsiasi fede, con gli agnostici e gli atei, e paradossalmente anche con i propri persecutori: a tutti coloro che "praeclara animi humani bona colunt, eorum vero Auctorem nondum agnoscunt". E conclude dicendo che Dio Padre, principio e fine di tutti, ci chiama tutti a essere fratelli nella ricerca della pace: siamo tutti chiamati ad una stessa vocazione (hac eadem vocatione vocati: si noti che eadem in latino indica con precisione una stessa identica vocazione, unica per ogni essere umano). (È doveroso ricordare che un forte richiamo in questa direzione era già stato fatto dal padre H. De Lubac in Sur les chemins de Dieu, 1956. De Lubac doveva difendersi da molti critici per un opuscolo del 1945, e lo fa con una straordinaria documentazione patristica, teologica e filosofica: su 350 pagine, ben cento sono dedicate alle note).
    In questo quadro le espressioni del tipo 'laico' o 'laicista' non hanno necessariamente il significato di contrapposizione al cristianesimo: esse possono indicare l'assunzione degli alti valori vissuti e insegnati da Gesù Cristo, anche senza conoscerne o riconoscerne l'Autore. Nello stesso modo può avere un senso l'espressione 'cristianizzazione senza Dio': ma l'espressione è paradossale in quanto indica l'assunzione di valori assoluti evitando di riconoscere un assoluto a cui agganciarli. Io credo che in molti casi sarebbe più appropriato il binomio 'clericale-anticlericale': in esso si cela non tanto il problema di Dio o di Gesù Cristo, quanto il problema di accettazione della chiesa nel suo modo - passato e presente - di presentare il Vangelo di Gesù Cristo attraverso le sue strutture, regole, pronunciamenti, devozioni, predicazione. Il rifiuto della chiesa per i motivi ora detti può portare, e di fatto ha portato, al rifiuto in blocco del suo annuncio su Dio e/o su Gesù Cristo (si rilegga il n. 19 di GS). Lo stesso Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per gli errori del passato.
    A partire almeno dal II millennio, il potere decisionale nella chiesa - in tutti i campi - si è sempre più accentrato nelle mani del clero (si pensi che nell'area ortodossa anche il clero contava e conta poco: quelli che contano veramente sono i monaci e i monasteri). E almeno dal XVI sec. ogni potere decisionale si è sempre più accentrato, passando dal clero e anche dai vescovi alla Santa Sede. Un papato monarchico non solo temporale ma anche spirituale (dottrinale, giuridico, liturgico etc.) da un lato era forse necessario per combattere eresie o errori pericolosi, dall'altro ha generato una reazione sia dottrinale che spirituale. Clericalismo e anticlericalismo, azione e reazione: difficile dire chi ha sparato per primo. Non posso discuterne qui, e nessuno ha una risposta certa. Ma non dobbiamo mai dimenticare che senza una comunità dei credenti in Cristo organizzata, pur con tutti i suoi limiti storici e i suoi errori, il Vangelo non ci sarebbe giunto. Ricordiamo il celebre detto, attribuito al grande regista Buñuel: "Io sono ateo, grazie a Dio"; e ricordiamo anche che il film più fedele al Vangelo - e forse fino ad oggi l'unico fedele - è dovuto a P.P.Pasolini.
    Ma qui si deve aprire un altro discorso. Mi si domanda "che ne è del pellegrino che viaggia con solo l'essenziale nella sua bisaccia?". Rispondo che non può esistere tale pellegrino: non esiste e non può esistere un essere umano senza condizionamenti culturali e storici da un lato, e senza una sua fatica di ricerca dall'altro lato. La stessa chiesa apostolica per trasmetterci il Vangelo ci ha trasmesso quattro vangeli, ciascuno scritto con preoccupazioni, filosofie, sensibilità diverse. La trasmissione del Vangelo è poi avvenuta tutta all'interno della cultura e della filosofia occidentale, con arricchimenti spirituali grandiosi (si pensi a Dante) e con una forza propulsiva enorme in tutti i campi della riflessione umana, dalla scienza o all'arte in tutte le loro forme. Ma dopo il XV sec. è iniziato il contatto massiccio e costante con altre culture, e con esso la presa di coscienza che anch'esse offrivano nuove possibilità di comprensione e di vita evangelica; ma solo nel XX sec. tali possibilità sono state accolte e recepite ufficialmente con l'autorità di un Concilio Ecumenico (si rilegga il n. 44 di GS).
    E pertanto l'accentramento dell'autorità presso un'unica istanza tipicamente, e ancora, occidentale e tale da lasciare poco spazio a culture, tradizioni, filosofie, sensibilità storiche locali risulta ormai - teoricamente e praticamente - insostenibile per la credibilità della chiesa e anche del Vangelo. Se il cosiddetto 'senso comune' indica ciò che è socialmente ammesso e approvato nell'area occidentale, il suo controllo sulla vita religiosa è mortale per l'annuncio del Vangelo. L'individualismo nascosto - ma non tanto - nella destra liberale, italiana o straniera, mi sembra quasi il contrario dell'annuncio evangelico. Le preoccupazioni, anche giuste, per taluni problemi di bioetica mi sembrano spesso (non sempre) un paravento per mascherare con una pretesa passione evangelica la radicale antievangelicità delle tendenze dominanti in Occidente. La giustizia di Dio è sempre la giustizia resa al povero, e cioè al più socialmente debole, all'emarginato, allo straniero e anche a chi viene socialmente giudicato un 'peccatore'. Questa giustizia appare in tutta la vita e la parola del Signore: è la bontà misericordiosa del Padre che ci appare nel Figlio. E la GS dice, al n. 77, che la "vera et nobilissima pacis ratio" è rendere più umana la vita di ogni essere umano ovunque sulla faccia della terra. Così sia, almeno io spero per la mia chiesa.
    Prosit


  3. #3
    W Charles A. Lindbergh 21.5.1927
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    la Terra, quarta via, presso l'Unione Nazionale per la Giustizia Sociale - Fronte Cristiano. NO AL NAZISMO DISUMANO; NO AL FASCISMO LIBERTICIDA; NO AL CAPITALISMO SFRUTTATORE; NO AL COMUNISMO ATEO.
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    http://web.tiscali.it/outis-wolit/chiavacci.htm
    Enrico Chiavacci, quando l'economia uccide...

    Alla metà degli anni '80 la pubblicazione del tomo 3/1 della Teologia
    morale di Enrico Chiavacci (Teologia morale e vita economica, Cittadella,
    Assisi 1986) costituì un notevole contributo all'elaborazione ed alla
    diffusione di una cultura della pace (della solidarietà, della liberazione,
    dei diritti umani). Ricordo che subito mi parve che la sintesi che
    proponeva Chiavacci (e la bibliografia su cui si appoggiava) fosse di
    particolare penetrazione, efficacia, utilità, e da allora non persi
    occasione per consigliarne la lettura ad amici e compagni di lotta (spesso
    provocando qualche moto di sorpresa, poiché a chi mi chiedeva qualche libro
    utile per la lotta concreta contro il riarmo, contro l'imperialismo e per
    la liberazione dei popoli suggerivo come fondamentali anche gli scritti di
    uno psichiatra come Franco Basaglia, e addirittura un trattato di
    teologia...). E ricordo che impegnati a Viterbo lungo gli anni '80 e '90 a
    contrastare la penetrazione del potere mafioso nell'alto Lazio ed in
    particolare impegnati nella denuncia delle complicità politiche, economiche
    e finanziarie con i poteri criminali, spesso ripetemmo un lucido
    ragionamento di Chiavacci. Cosicché si può dire che da un bel po' di tempo
    Chiavacci è uno dei nostri autori, di quelli di cui si fa uso sia per
    riflettere sia nell'azione.
    Solo più tardi avemmo occasione di sentirlo parlare, essendo stato più di
    una volta invitato negli ultimi anni a tener conferenze a Viterbo
    nell'ambito delle encomiabili attività formative degli obiettori di
    coscienza della Caritas. Una di queste conferenze qui riproponiamo.
    La conferenza tenuta da Enrico Chiavacci a Viterbo il 10 gennaio 1995 (che
    qui si presenta riprendendola dall'opuscolo realizzato dagli obiettori di
    coscienza della Caritas di Viterbo che ne riproduce la registrazione non
    rivista dall'autore) faceva parte del ciclo "Quando l'economia uccide" che,
    dopo l'incontro del 10 gennaio su "Un mondo ridotto a mercato. I paradossi,
    le perversioni, le iniquità e l'insostenibilità etica dell'economia
    mondiale" (relatore appunto Enrico Chiavacci, docente di teologia morale
    presso l'Istituto Teologico Fiorentino), è proseguito con l'incontro del 20
    gennaio su "Diritti dell'uomo o diritti dell'economia? Quale visione di
    uomo e di progresso c'è dietro l'attuale modello di sviluppo?" (relatori:
    Giuliana Martirani, docente di Geografia Economica all'Università di Napoli
    e presidentessa del MIR; ed Achille Rossi, filosofo, collaboratore de
    "L'altrapagina", periodico di Città di Castello); con l'incontro del 24
    gennaio su "L'economia nella dottrina sociale della Chiesa" (relatore
    Fiorino Tagliaferri, allora vescovo di Viterbo); per concludersi con
    l'incontro del 27 gennaio su "Quando l'economia uccide... bisogna cambiare.
    Idee e proposte, concrete e percorribili, per una eventuale via d'uscita
    dal vicolo cieco dell'attuale economia mondiale" (relatori:
    l'indimenticabile Alexander Langer; Giulio Battistella, del movimento
    "Beati i costruttori di pace"; Paola Moreschini, consulente legale della
    Associazione Italiana Difesa Consumatori e Ambiente).
    La trascrizione ovviamente può contenere degli errori dovuti a
    fraintendimento della registrazione, il lettore è pregato di tenerne conto.
    Vorrei ringraziare una volta di più l'ottimo Sandro Ercoli, responsabile
    della formazione degli obiettori di coscienza in servizio civile presso la
    Caritas diocesana di Viterbo: e non solo per avermi fornito a suo tempo gli
    atti di quel ciclo di conferenze su supporto magnetico ed avermi
    autorizzato a riprodurli ed usarli ancora, ma soprattutto per aver
    organizzato quello ed altri analoghi cicli di conferenze con altrettanto
    illustri relatori come momento centrale delle attività formative che con
    gli obiettori di coscienza della Caritas realizza di anno in anno (e vorrei
    associare in questo ringraziamento anche don Roberto Burla e Mario Di
    Marco).
    Al testo della conferenza premettiamo una breve notizia biobibliografica.

    Peppe Sini
    responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo

    Viterbo, 25 luglio 2000

    Notizia biobibliografica su Enrico Chiavacci
    Profilo biografico: docente di teologia morale allo Studio Teologico
    Fiorentino, membro della Commissione dei diritti dell'uomo di Pax Christi
    International, Enrico Chiavacci è una delle figure più autorevoli della
    cultura della pace e della nonviolenza.
    Opere di Enrico Chiavacci: l'opera fondamentale ci sembra la sua Teologia
    morale, di cui sono sin qui usciti quattro tomi, presso la Cittadella di
    Assisi; si vedano anche: Proposte morali tra l'antico e il nuovo,
    Cittadella, Assisi 1973; Invito alla teologia morale, Queriniana, Brescia
    1995; e con Massimo Livi Bacci, Etica e riproduzione, Le Lettere, Firenze
    1995; una raccolta di saggi, conferenze e interventi sulla pace è Dal
    dominio alla pace, La Meridiana, Molfetta 1993. Alcuni suoi ampi e profondi
    interventi recenti possono esser letti nelle ultime annate della rivista
    "Rocca".

    Enrico Chiavacci: Un mondo ridotto a mercato
    L'idea di pace espressa da Gesù agli apostoli il giorno della resurrezione
    e nelle beatitudini, non era solamente l'assenza di guerra. Il concetto di
    pace in tutta la Bibbia è lo "shalom", sia nell'Antico che nel Nuovo
    Testamento. Esso indica sempre l'ordine voluto da Dio, la percezione della
    volontà divina, così come traspare da tutta la Scrittura.
    Si può riassumere il concetto di pace in due punti fondamentali. Il primo,
    come fine di ogni forma di oppressione, di dominio, di prevaricazione
    dell'uomo sull'uomo: e questo è il punto fondamentale. Il secondo, come
    fraternità universale, cioè una convivenza nella solidarietà. Il termine
    solidarietà oggi ha perso di significato, per questo si preferisce il
    termine "corresponsabilità": ognuno di noi è qui per gli altri, non prima
    per sé e quel che avanza per gli altri. Ognuno di noi è chiamato al mondo
    da Dio per vivere con gli altri e per gli altri. In questo senso si possono
    cogliere due significati: uno è il dovere morale, impegno contro ogni
    stato di cose oppressive, il secondo è questa fraternità universale che non
    conosce frontiere, né di lingua, né di razza, né di religione, tantomeno
    frontiere politiche create da uomini. In questo senso non esiste il
    concetto di frontiera, di limite, di voler bene a questi e non a quegli
    altri: Cristo è morto per tutti. Questa e molte forme dell'oppressione
    dell'uomo sull'uomo, per i bisogni e le urgenze della solidarietà,
    dell'esercizio di una vera corresponsabilità, variano però nella storia,
    perché è la condizione storica concreta a cambiare continuamente. Se oggi
    siamo arrivati, con gli strumenti tecnici che abbiamo, a certe
    distribuzioni di potere e di forza è perché siamo giunti ad una situazione
    del tutto nuova nella storia dell'umanità.
    L'oppressione dell'uomo sull'uomo oggi ha forme planetarie e strutture
    planetarie, con forme di oppressione e con relative strutture che coprono
    tutta la famiglia umana. Quando, ad esempio, uno Stato fa la sua guerra,
    tutti gli altri Stati sono interconnessi in qualche modo perché facenti
    parte di un unico sistema. Queste forme, queste strutture oppressive che
    oggi sono spaventose perché governano l'intera famiglia umana, sono
    fondamentalmente tre: l'oppressione politico-militare, che si esercita
    attraverso armi, guerre e stati sovrani che combattono fra di loro;
    l'oppressione economica; l'oppressione mediale che dagli ultimi venti anni
    si esercita attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Il discorso è
    complesso, e, soprattutto, bisogna allargarlo oltre i confini italiani
    perché le strutture hanno dimensioni ormai planetarie, cosicché i problemi
    italiani, anche se gravissimi, devono essere intesi in un quadro di
    oppressione planetaria, decisa da pochi centri di potere. Ecco allora che
    si pone il problema di comprendere quali siano queste forme oppressive e di
    vedere come si può reagire ed impegnarsi sulla terra per diminuire, ridurre
    fino ad eliminare questa tragica oppressione.
    E' vero che "l'economia uccide". Se ci furono 20-30 milioni di morti nella
    seconda guerra mondiale oggi ci sono 40-50 milioni di morti l'anno solo per
    stenti, fame e miseria. Per non parlare poi delle centinaia di milioni di
    persone che negli stenti e nella miseria ci vivono. Questa situazione è
    emersa negli anni Settanta ed ora è veramente tragica. Solo conoscendo e
    cercando in qualche modo di spiegare i meccanismi di questo sistema
    economico che uccide, possiamo poi combatterlo. Soprattutto è necessario
    conoscere le forme di oppressione dell'uomo sull'uomo nel campo
    dell'economia che sono fallimento delle idee di pace.
    Oggi i 4/5 della famiglia umana vivono in povertà e i 2/3 in miseria
    assoluta. Questa tragica realtà è stata descritta per la prima volta nel
    famoso Rapporto Brandt realizzato nel 1980 da una commissione paritetica di
    studiosi, economisti, sia di paesi ricchi che di paesi poveri, presieduta
    da Willy Brandt. Da allora le condizioni non sono cambiate, nonostante
    siano passati più di 14 anni. E ancora vale la considerazione che Brandt
    faceva in quegli anni: l'umanità in realtà non è una sola famiglia umana,
    ma sono due che vivono in condizioni abissalmente diverse.
    Mac Namara, che era il Ministro statunitense della Difesa ai tempi della
    guerra in Vietnam, parlava di questo come di una vera faglia che divide
    l'umanità in due, con una distanza terribile da una parte all'altra. Fu
    definito come "Nord" la parte ricca, 1/3 - 1/4 dell'umanità, che è composto
    dall'Europa, Russia compresa, Stati Uniti e Canada, Giappone, Australia e
    Nuova Zelanda. Tutto il resto è stato chiamato "Sud" del mondo. Questa
    distinzione tra Nord e Sud ha quindi un suo terribile fondamento.
    Nel '92 il Prodotto Interno Lordo - Prodotto Nazionale Lordo (PIL-PNL) pro
    capite del Nord era intorno ai 20-22 mila dollari l'anno e fino ad oggi non
    c'è alcuna variazione sostanziale. Per PIL-PNL pro capite si intende tutto
    quello che viene prodotto in qualunque forma all'interno di uno stato per
    un anno, espresso in dollari e diviso per gli abitanti. Quindi è mediamente
    più del salario, perché vi sono compresi servizi, strade, giustizia,
    esercito e tutto quello che viene in qualche modo prodotto e valutato in
    dollari. E' un indicatore abbastanza approssimato, ma comunque attendibile.
    In questo contesto ora non ha molto interesse approfondire la differenza
    tra PIL e PNL.
    In America Latina, invece, il Brasile aveva nel '92 un PIL pro capite di
    2200 dollari e nel '94 di 2450, cioè esattamente un decimo dei paesi del
    Nord nonostante il Brasile sia considerato un Paese ricco. In Honduras si
    abbassa a 850 dollari l'anno. In tutta l'America Latina il maggiore PIL
    pro capite si trova a Cuba, nonostante la dittatura di Castro.
    In Africa la situazione è spaventosa: nell'Africa Centrale il PIL pro
    capite scende addirittura a 100-200 dollari l'anno. Ciò vuol dire che una
    persona deve vivere con mezzo dollaro al giorno.
    L'Africa, tranne il Nord e il Sud Africa, è tutta in queste condizioni
    spaventose. Una situazione analoga si trova in Asia, dove, tranne
    l'eccezione delle cosiddette "quattro tigri", cioè Hong Kong, Singapore,
    Sud Corea e Taiwan che hanno una alta produzione, il Bangladesh ha 180-200
    dollari, mentre il Pakistan, l'India e la Cina si attestano sui 400 dollari
    ciascuna, ossia un dollaro al giorno o poco più. Ci sono comunque. Il
    problema grave, specifico dell'America latina, è la distribuzione della
    ricchezza, ossia il rapporto tra quanta ne possiede il 20% più povero della
    popolazione (il "quintile" più povero), e quanta ne possiede il 10% più
    ricco. In Brasile nel '92 questo rapporto era 2 a 46, ora è 1,4 a 51, cioè
    aumenta la ricchezza che va nelle mani del 10% più ricco e diminuisce
    quella che va nelle mani del 20% più povero. Per comprendere meglio: mentre
    in Europa, e nei Paesi del Nord, il rapporto fra il decimo più ricco e il
    quintile più povero va da 1 a 4, a 1 a 5, invece nel Sud lo stesso
    rapporto va da 1 a 20, 1 a 30 all'interno di uno stesso Paese. Utilizziamo
    il Brasile come esempio perché è un Paese considerato ricco, in cui in
    questo momento molti corrono ad investire da cui ne risulta una immagine di
    floridità economica. Il meccanismo è questo, simile in tutta l'America
    Latina. Il Brasile ha 150 milioni di persone con un PIL di 300-340 miliardi
    di dollari l'anno, cioè un po' sopra i 2000 dollari l'anno per persona. Ma
    di questi 300 miliardi di dollari, 150 vanno a 15 milioni di persone, e
    quegli altri 150 agli altri 135 milioni di persone. Di queste ultime poi il
    20%, cioè 30 milioni di persone, vivono con le briciole. Ecco, questa è la
    florida economia del Brasile: 30 -40 milioni di persone ( all'incirca la
    popolazione francese) ricche, ma il resto sta sempre peggio.
    Considerando un altro indicatore socio-economico quale la mortalità nel
    primo anno di vita per 1000 bambini, ossia i bambini che muoiono nel primo
    anno di vita su mille nati (senza poi considerare quelli che muoiono anche
    negli anni successivi), si ha che nel Nord la media è sotto il 10/1000. In
    tutti i Paesi dell'America Latina (eccetto Cuba, che ha una media simile a
    quelle europee), la media è invece circa 60/1000. In Africa la mortalità
    media è circa 150/1000.
    L'economia uccide? Certo che uccide. Quando poi parliamo di fame nel mondo
    intendiamo questo: rispetto al minimo valore di calorie necessario per
    vivere, calcolato dalla FAO, nel Nord c'è sempre una disponibilità
    sovrabbondante, mentre in tutti i Paesi del Sud (eccetto Cuba dove, per la
    sua politica economica, nonostante tutto, la gente non muore di fame), e in
    tutta l'Asia (eccetto l'Indonesia, dove per ragioni climatiche ci possono
    essere 2 o 3 raccolti l'anno), è sempre sotto il minimo FAO. Se poi si
    considerano altri problemi quali l'alfabetizzazione, la situazione
    demografica ed energetica, il quadro diventa sempre più tragico.
    Questa non è una situazione occasionale: la Bosnia, la Cecenia, la Somalia,
    cosÏ come gran parte della famiglia umana, vivono questa come situazione
    normale di vita. Quindi non è una condizione congiunturale, derivante cioè
    da un terremoto, un'esplosione di un vulcano, una carestia, ma è una
    situazione strutturale.
    Questa realtà, quotidiana ormai da decenni e che rimarrà attuale per la
    maggior parte della famiglia umana per altri decenni, ci dovrebbe
    commuovere più di tante catastrofi naturali. Questa situazione strutturale,
    stabile, è il prodotto di un sistema economico planetario, che trova in
    essa il suo punto di equilibrio. Questo stato di cose fu denunciato nel
    1980, 15 anni fa, e da allora niente è stato messo in opera a nessun
    livello, né governativo, né dall'ONU, per modificare la situazione che è
    rimasta tale e quale a quella che era 15 anni fa. Anzi, in alcuni casi è
    peggiorata.
    E' opportuno spiegare in breve che cose vuol dire economia: essa è
    sostanzialmente ogni attività umana di qualunque specie che mira a produrre
    beni di tutti i tipi capaci di servire (di venire incontro) a certi
    bisogni. I beni economici possono essere ad esempio i servizi sanitari, le
    agenzie di viaggio, le telecomunicazioni, le poste, le lezioni, i libri, le
    automobili, le bombe, ecc. Queste produzioni, a differenza di 30 anni fa,
    avvengono oggi su scala mondiale, cioè i singoli componenti sono prodotti
    in Paesi diversi e in particolare dove conviene farli, per disponibilità di
    materie prime o di lavoro qualificato o di manodopera a basso costo.
    Il sistema produttivo è unico nel mondo intero.
    Ma c'Ë un altro aspetto del problema: l'aspetto R-D, Research and
    Development (Ricerca e Sviluppo). Ogni prodotto nuovo ha bisogno di una
    ricerca di base specializzata, di uno studio, di un disegno, di un
    prototipo, poi di prove e di sperimentazioni fino a che non si arriva ad
    una produzione in serie. In genere questi sono processi di anni che
    richiedono capitali sterminati e che si possono fare a costi estremamente
    alti solo in pochissimi centri specializzati al mondo, unici posti in cui
    quindi si può fare la ricerca e lo sviluppo. Ad esempio, l'unica grande
    centrale dove si possono sperimentare i locomotori prototipi è in
    Cecoslovacchia, e non ce ne sono altre al mondo. Così è per le medicine
    come per tutte le altre cose.
    Ma il problema più grave è il problema finanziario: non si produce nulla
    senza capitale e i capitali si prendono in banca. Spesso l'istituto
    finanziario che presta capitali è una banca che a sua volta è una società
    con dei soldi e degli azionisti. Gli azionisti, in genere, sono poi anche
    le società finanziarie di grado superiore, di secondo livello, che non
    producono nulla e non danno soldi a nessun produttore, ma servono solo a
    controllare le finanziarie che poi danno i soldi agli imprenditori. Quindi
    le società finanziarie si arricchiscono solo spostando capitali. Mentre un
    imprenditore arricchisce anche una Banca e produce qualcosa, a questo
    secondo livello (oltre il quale ce ne è spesso un terzo, un quarto, ecc.)
    non c'è più nessun interesse a che cosa si produce e come si produce. La
    finanziaria pura che gestisce solo capitale non è interessata e non vuole
    nemmeno sapere cosa produce l'impresa o chi finanzia la banca. L'unico
    interesse di una vera finanziaria di alto livello è di produrre il massimo
    profitto possibile esclusivamente trasferendo capitali da un tipo di
    investimento ad un altro solo in cerca del massimo profitto; e non c'è
    altra logica che questa.
    Queste sono cose che accadono tutti i giorni a Roma, Zurigo, Milano, nei
    centri di brokeraggio, cioè dove si fanno le grandi transazioni economiche,
    dove passano velocissimi tutti i dati di tutti i possibili investimenti nel
    mondo, dove si sposta in tempo reale capitale da una parte all'altra della
    Terra, da una banca ad un'altra o da un istituto ad un altro, anche solo
    per alcune ore. Oggi tutte le banche, o quasi, sono telematizzate e questo
    significa che i soldi appena depositati possono essere subito dopo
    investiti da qualche altra parte del mondo. Si può spostare qualche
    migliaio di miliardi nel giro di 2 o 3 minuti da Hong Kong a Francoforte o
    a Milano, così come si può decidere di abbattere una valuta. Questi
    movimenti avvengono poi per decisioni di privati investitori, di
    grossissime ed enormi concentrazioni di capitali privati, senza che nessun
    governo possa farci assolutamente nulla, perché non sono controllabili.
    C'è quindi un enorme flusso di capitali che si sposta attraverso Internet,
    attraverso reti telematiche, e nessun governo può farci assolutamente
    niente; e lo stesso flusso di capitali non è d'altra parte affatto
    interessato a che cosa si farà di quel capitale: non interessa se può
    servire a produrre armi o produrre medicine, o quali medicine produrre, o a
    produrre droga, o a produrre beni culturali, ecc.. L'unico interesse è,
    come detto, mettere i soldi dove si trova il massimo profitto possibile. La
    realtà tragica con cui dobbiamo fare i conti è questa: la struttura
    finanziaria non è interessata in alcun modo a cosa si produce, né a
    sovvenire ai bisogni dei più poveri perché i poveri hanno pochi soldi e
    quindi, essendoci poco vantaggio economico, in genere non si investe per
    produrre cose che servono ai poveri. Le società finanziarie cercano solo di
    massimizzare il profitto e non possono fare altro che questo, non possono
    fare diversamente, perché altrimenti uscirebbero immediatamente dal giro
    del mercato e sarebbero perdute. Quindi il concetto di sviluppo che nasce è
    esclusivamente quantitativo, e non tanto in termini di massimizzazione
    della produzione, ma di massimizzazione del profitto che viene dal prodotto.
    Succede quindi che i veri bisogni essenziali dei più poveri non vanno
    nemmeno sul mercato, non diventano nemmeno domanda di vendita perché i
    poveri non hanno soldi per comprare e così nessuno produce per i poveri.
    Per chi si produce quindi, per chi si aumenta la produzione? Per chi ha
    soldi per pagare.
    Il mondo intero è ormai governato in questo modo, è un fenomeno planetario.
    E in questo sistema finanziario non esiste nemmeno un posto preciso dove
    avviene la regolazione del sistema economico-finanziario mondiale. Prima
    c'era la borsa di Londra, di New York; oggi no, perché le transazioni si
    operano attraverso sistemi di comunicazione di massa, attraverso i
    microchips, attraverso l'informatica e quindi, in realtà, non si sa chi
    siano i veri detentori del potere economico. Questi operano nel
    cyberspazio, nello spazio virtuale e non c'è più modo di andare a
    controllare dove sono, in che Stato sono e quali sono le loro centrali di
    potere. Così tutte queste concentrazioni di capitale sono spaventose. Non
    si sa dove siano e non si può individuare chi le gestisce. Una cosa sola è
    certa: che vengono sempre gestite per massimizzare il profitto ottenuto
    attraverso il passaggio di capitale da una parte all'altra del mondo.
    Ci vuole poco a fare una società e non sapere di chi è. Si prendono ad
    esempio tre persone e si fa una società di comodo in Lussemburgo, davanti
    ad un notaio. Vi si dà un capitale, si fa un consiglio di amministrazione
    fatto di tre burattini che non contano niente e la gestione della società
    si manda alle Bahamas, alle Antille o ad Hong Kong, o dove difficilmente
    può essere controllata dalla centrale europea. La società è così registrata
    in Lussemburgo, la parte operativa è ad Hong Kong, e in qualche parte, in
    qualche modestissimo studio notarile di Hong Kong, c'è una carta in cui
    questi tre burattini dicono che rinunciano a tutti i loro beni ed interessi
    della società in favore dei veri padroni. Nessuno saprà mai in quale
    cassetto polveroso di quale stanzetta di quale notaio di Hong Kong o di
    Nassau è nascosta quella carta. Quindi nessuno saprà chi controlla tutto
    questo sistema, ed il sistema ovviamente è uno. E questo unico sistema è in
    un equilibrio che è legato al concetto di mercato. Il mercato è il luogo
    dove ciascuno cerca di fare gli affari meglio che può.
    Tradizionalmente nel mercato c'era un'esigenza di chi vendeva le cose e
    un'esigenza di chi le comprava, ed il punto di incontro di queste due
    esigenze si chiamava, e si chiama ancora, il punto di equilibrio del
    mercato. Tutto questo va bene finché il mercato è fra soggetti che hanno
    mediamente le stesse potenzialità economiche; perché, se uno va sul mercato
    e può dettare il prezzo, gli equilibri non esistono più per tutti, ma
    esistono solo per chi decide il prezzo. Tutti si appellano oggi al
    Neoliberismo, ma quando Adam Smith parlava di mercato libero non parlava
    del mercato che c'è oggi: parlava del mercato all'interno dell'Inghilterra
    (non ha mai sognato un mercato di capitali e di merci con l'estero), fra
    gente che relativamente aveva sì poteri, ma non eccessivi.
    Il mercato di Smith, teorizzato dal liberismo, è un mercato in cui, per
    principio, nessuno deve avere tanto potere da poter da solo modificare il
    prezzo che trova sul mercato. Questa è la definizione di tutti i testi di
    economia. Quando il mercato è mondiale questo non succede piò perché è
    chiaro che ci sono tre o quattro centri di potere che hanno la possibilità
    di determinare da soli il prezzo del mercato. Oggi questo mercato a livello
    planetario, fra paesi poverissimi e debolissimi e paesi estremamente forti,
    non ha più senso perché vince sempre ed inevitabilmente il più forte e
    perde inevitabilmente il più debole. Questa è l'economia di mercato che ci
    si vuole vendere come mercato libero.
    Il mercato libero consiste in questo: se un Paese povero ha una
    monocoltura, il suo prodotto lo compriamo noi, Paesi ricchi, al prezzo che
    decidiamo noi. E a quel prezzo, qualunque esso sia, il Paese povero deve
    vendere per forza perché non ha altro per campare. Quando poi con quei
    pochi dollari presi vuole comprare manufatti da noi (perché nei paesi
    poveri di manufatti se ne fanno pochi) il prezzo glielo facciamo ancora
    noi. Cioè i Paesi poveri devono vendere al prezzo che il mercato del Nord
    impone perché non hanno altrove dove vendere, e devono comprare al prezzo
    che il mercato del Nord impone. Questo viene chiamato simpaticamente
    "mercato libero".
    Consideriamo, come esempio, l'evoluzione dell'industria manifatturiera dal
    secolo scorso al nostro secolo. A partire dalla metà del secolo scorso il
    prodotto manifatturiero nei Paesi poveri si è ridotto a zero, e solo ora si
    sta riprendendo per quei pochi paesi del Pacifico che stanno crescendo
    rapidissimamente, ma a caro prezzo. Questo significa che la gente di tutti
    i Paesi poveri, se vuole comprare un manufatto, normalmente lo deve
    comprare in dollari e per avere i dollari deve vendere, per forza di cose,
    tutto quello che può produrre da esportare (agricoltura, miniere, ecc.).
    Siccome gli unici compratori sono i Paesi ricchi, sono questi ultimi a fare
    sempre il prezzo senza possibilità di trattative.
    Un controllo di questo indicatore si ha considerando il consumo di energia.
    Il consumo dell'energia è la condizione per produrre manufatti, perché
    senza l'energia non si produce nulla. L'energia serve a produrre ed ai
    trasporti.
    I maggiori consumatori di energia sono gli Stati Uniti, la Germania, il
    Giappone, la Francia, l'Italia, l'Inghilterra; poi ci sono Taiwan e Sud
    Corea, che fanno parte di quell'eccezione di cui si parlava prima; dopo
    questi due si arriva ad un consumo di energia ridicolo (l'energia per
    persona è tradotta nella tipica unità di misura di tonnellate di petrolio
    equivalenti). Il consumo di energia per persona va dai 7-8 tonnellate
    equivalenti negli Stati Uniti, ai 3,5-4,5 in Europa, ai 2,5 in Sud Corea.
    Dopo si passa al Cile a circa 1, e poi all'India, Cina, Pakistan, Indonesia
    e Brasile attorno a 0,7. Questo è un indicatore importantissimo perché fa
    capire subito quale è la condizione del mercato. Questi ultimi Paesi, con
    questa disponibilità di energia, non potrebbero produrre nemmeno se
    volessero. E siccome la parte di famiglia umana che ha pochissima energia
    disponibile costituisce la grande maggioranza dei Paesi del mondo, se si
    volesse aumentare anche di poco, di qualche kilowatt a testa, l'energia
    disponibile per loro, senza comunque far loro raggiungere i nostri livelli,
    si produrrebbe nell'atmosfera un inquinamento d'aria insopportabile che in
    vent'anni diventerebbe irrespirabile e ammazzerebbe tutta l'umanità. Tanto
    più che il rendimento energetico dei Paesi più poveri e meno alfabetizzati
    è molto più basso di quello dei Paesi ricchi, ossia i primi consumano
    necessariamente più energia per avere lo stesso risultato, perché se ad
    esempio nel Nord si rompe l'iniettore di un diesel normalmente si porta ad
    accomodare alla filiale Fiat o Mercedes o altro, mentre nel Sud possono
    solo cercare di aggiustarlo con il martello, e non ci riescono. Ci sono
    fumi orribili in tutti i Paesi poveri. Bisognerebbe quindi aumentare di
    molto l'energia a disposizione di questa grande maggioranza dell'umanità
    per avere un minimo di rendimento energetico in più: e questo è impossibile
    a farsi e, se non si vuol morire tutti, bisogna stare cosÏ.
    Quando si parla di "fame nel mondo" non si parla quindi solo di un fenomeno
    episodico, ma si parla di un fenomeno cui non si rimedia con i pacchi dono,
    con i sussidi o con gli aiuti economici. E' proprio un modo di concepire,
    di controllare tutta la vita economica nella sua complessità di produzione,
    distribuzione, ricerca, scambio, investimenti, ecc., che produce
    inevitabilmente queste conseguenze. Questa è la tragedia.
    Il guaio è che questo succede anche da noi. Infatti da noi sta aumentando
    la disoccupazione, e questo era previsto da dieci anni, perché le nuove
    tecnologie servono a diminuire l'occupazione così come gli investimenti,
    che in genere non servono ad aumentarla, ma ad investire in macchinari che
    permettono di fare con un operaio quello che prima si faceva con cento
    operai. Oggi si produce con sistemi a sempre più elevata tecnologia: gli
    operai e i posti più qualificati, cosÏ come i loro guadagni, crescono,
    mentre quelli meno qualificati hanno una perdita terribile di guadagno
    rispetto a quegli altri, perché valgono poco. Si sta aprendo una forbice
    non solo nell'Italia, ma in tutta Europa, tutto il Nord, fra disoccupazione
    e sottopagamento di tutti i lavoratori non altamente specializzati, e quei
    pochi che invece sono altamente specializzati. Questa forbice creerà, li
    sta già creando, guasti sociali anche da noi nel Nord, e non si può
    cambiare una situazione così solo con provvedimenti temporanei. Questa
    stessa situazione è altamente preoccupante perché tutti i lavoratori
    "bottom" (la parte bassa della forbice) sono sostituibili con lavoratori
    non specializzati presi dai Paesi poveri, preferibili solo perché prendono
    salari più bassi.
    Consideriamo ad esempio il costo del lavoro dei lavoratori impiegati nel
    settore manifatturiero (cioè in tutti i settori fuorché l'agricoltura e le
    miniere) e vediamo quali bugie vengono sfacciatamente dette dai nostri
    padroni, anche in Italia. Per costo del lavoro intendiamo quello
    complessivo per il datore di lavoro, cioè non solo lo stipendio, ma anche i
    contributi, le assistenze, le pensioni, ossia inclusi tutti i costi "non
    salario". In Germania questo costo è di 25 dollari l'ora, in Italia circa
    di 15 dollari: è inutile quindi che si venga a dire di essere competitivi
    riducendo i salari, perché l'Italia, dove il padrone paga 15 dollari l'ora,
    già è più competitiva della Germania, dove ne paga 25.
    Taiwan, Singapore, Sud Corea e Hong Kong, ossia le "quattro tigri" già
    accennate, crescono economicamente, hanno grande potenziale economico e
    sono oggetto di molti investimenti, ma l'operaio non arriva a percepire che
    4-5 dollari l'ora (poi in effetti ne prende di meno perché questo è il
    costo complessivo). E' chiaro allora che, per chi investe, conviene
    produrre là. In Brasile poi si arriva a 2 dollari l'ora come costo globale
    per il datore di lavoro. Questa è la tragedia umana che si sta sviluppando
    e cresce continuamente: non conviene pagare i nostri lavoratori non
    specializzati, conviene mandare a fare la produzione in Polonia,
    Thailandia, Cina, India, Brasile, anche perché poi il costo del trasporto
    del bene prodotto per unità è irrisorio. Nel Nord si crea sempre più
    disoccupazione e salari bassissimi rispetto a lavoratori altamente
    qualificati che hanno invece salari crescenti. E questo è solo uno degli
    effetti boomerang di questo modello di sviluppo
    La conclusione può essere questa: per i cristiani credenti, portatori di un
    Vangelo che ci dice che la giustizia di Dio è sempre la giustizia verso il
    povero, il più debole, e che bisogna scegliere tra Dio e ricchezza, i beni
    terreni non dovrebbero avere nessun particolare significato, se non quello
    di aiutarci a meglio servire il prossimo. L'unico significato dei beni
    terreni per un cristiano non può essere che questo: prepararsi, avere gli
    strumenti per servire gli altri. Invece oggi si vive in una logica
    completamente opposta, per la quale l'aver di più, solo perché è di più, è
    un fine in sé. Quando ad esempio si mettono i risparmi in un conto
    corrente, in una banca, in buoni del tesoro, in fondi di investimento, si
    cerca evidentemente ciò che dà il massimo dell'interesse possibile. Per poi
    farci cosa, con questo interesse? Se uno è povero ci si compra da vivere,
    ma se uno possiede già ed è abbastanza ricco, allora quello che ha di
    interesse e di profitto serve a essere reinvestito per creare altro
    profitto che servirà ancora a creare altro profitto, e cosÏ all'infinito.
    Cioè il sistema è governato ormai dal valore in sé dell'avere di più, e
    questo sembra sfuggire ad ogni prescrizione etica.
    Siamo agli opposti del Vangelo che dice "Non si può servire due padroni" e
    "Se non siete fedeli ad una ricchezza giusta chi vi darà la ricchezza vera?
    ". Ricchezza che per i cristiani è solo il Signore ed il suo Regno, un
    regno di giustizia, di fraternità, di aiuto reciproco. Noi siamo portatori
    di questo Vangelo, ma noi nel mondo cristiano del Nord, e la parte Nord del
    mondo è quasi tutta cristiana, in un modo o in un altro, abbiamo lasciato
    maturare questa situazione. Questa è una tragedia enorme, è un fallimento
    dell'annuncio del Vangelo di cui noi in qualche misura, sia pur piccola,
    siamo anche responsabili. La ricchezza per noi non è mai un bene
    desiderabile in sé. E' desiderabile solo per poter lavorare meglio, servire
    e mettere a disposizione degli altri. Non è il fatto di avere introiti
    robusti che è peccato, altrimenti tutti i ricchi andrebbero all'inferno. E'
    che bisogna incominciare a investire laddove con certezza si sa che
    líinvestimento non sarà in armi, in droga, ecc. Allora ecco che diventa
    importante il Commercio Equo e Solidale, le MAG, e tutte queste iniziative
    che sono esperienze interessanti anche se ancora piccolissime, bricioline
    al confronto.
    Questo Vangelo noi dobbiamo portarlo in un mondo in cui tutta la vita umana
    in tutti i suoi aspetti è subordinata alla logica economica dominante, alla
    logica del mercato, della prevalenza del più forte sul più debole, della
    lotta per avere di più a spese degli altri. Oggi l'economia è fine a se
    stessa e tutto il resto della convivenza è subordinato a questo fine
    dell'economia, quando invece dovrebbe essere esattamente il contrario:
    l'economia, l'attività economica non è un fine in sé, perché per l'essere
    umano non é un fine in sé l'avere di più, e l'attività economica deve
    essere sempre pensata a finalità non economiche. Il che non vuol dire
    finalità antieconomiche, ma semplicemente altre finalità: quali l'essere
    umano, lo sviluppo degli esseri umani, la cultura, la società, la vita
    associata, la salute, che sono poi tutti beni essenziali. Lo sviluppo
    globale dell'uomo consiste sì nell'avere beni disponibili, di avere una
    certa libertà di usare dei propri soldi, dei propri guadagni, ma certamente
    i beni essenziali per un minimo di dignità della persona umana devono
    essere disponibili. Con questo sistema non sono disponibili: almeno due
    terzi della famiglia umana sulla faccia della terra oggi non ha
    disponibilità sufficiente di beni essenziali per il minimo di dignità di un
    essere umano. La gente delle favelas o dell'Africa Centrale vive non solo
    abbrutita totalmente per l'assoluta mancanza di beni, ma vive senza
    speranze, perché non ha niente, non ha nessuna dignità, non sa nemmeno
    perché è al mondo. E' una cosa spaventosa.
    Questa è la condizione della maggior parte della famiglia umana. Sono
    umiliati e offesi, da noi. E' gente senza speranze, senza dignità, senza
    più niente. Bisognerebbe andarci qualche volta e, invece di andare in giro
    per turismo, ci si potrebbe mettere d'accordo con un gruppo missionario e
    fare un viaggio e vedere, viverci in mezzo, allora si capisce la realtà.
    Basta andare in un posto e poi sono tutti uguali. Andare alla periferia di
    Giacarta è come andare alla periferia di Rio de Janeiro o di Città del
    Messico. Questa è la degradazione totale dell'essere umano ridotto a non
    avere più nessun orizzonte di fronte a sé, nessuna speranza per i propri
    figlioli, nessuna dignità di fronte agli altri.
    L'attività economica dovrebbe essere indirizzata, come ha scritto Paolo VI
    nella grande enciclica Populorum Progressio, allo sviluppo di tutto l'uomo,
    globale, in tutte le sue componenti: questo è il compito enorme. Al numero
    77 della Gaudium et Spes viene descritta la nuova e nobilissima concezione
    della pace, che consiste nel rendere più umana la vita di ogni essere umano
    ovunque sulla faccia della terra". Questa è l'idea di pace che il Concilio
    Vaticano II ci ha dato, e da un Concilio indietro non si torna. Ebbene, la
    situazione attuale che noi "sponsorizziamo" con le nostre scelte, a volte
    con il nostro stile di vita, con la nostra vastità di impegno sociale,
    culturale, politico, tradisce completamente la nostra missione di essere
    operatori di pace. E solo chi è operatore di pace, dice il Vangelo, sarà
    chiamato figlio di Dio, cioè colui che veramente segue la logica di suo
    Padre. Questo è il figlio di Dio, quello che ragiona come il Padre, e solo
    chi è operatore di pace lo è.
    Il quadro presentato è dunque un quadro triste, sembra senza speranze, ma
    non è vero, ci sono possibilità. Ci sono anche forze, non prevalenti in
    questo momento, ma che comunque potranno prevalere prima o poi, ma certo
    non succederà se tutti ce ne stiamo fermi a vedere quello che ci succede
    attorno. Fermi a vedere la distruzione di speranze umane, di famiglie
    umane. Questo impegno è possibile, è finalizzabile solo con scopi precisi
    quali la testimonianza di vita personale, l'uso dei propri beni, l'impegno
    nel sociale, l'impegno nella cultura, l'impegno nella politica. Non si può
    far molto, ma qualcosa si può fare all'interno di uno Stato o di un governo
    mettendo sempre al primo posto la preoccupazione per i miseri della terra.
    Guai ad uscire da questo binario.
    [Testo non rivisto dall'autore]
    Prosit


 

 

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