Un genio, due compari e un pollo

di Carlo Stagnaro

Hanno ucciso un uomo morto. Le reazioni alla dipartita di Gianfranco Miglio sono state poche e rade. E forse sarebbe stato meglio che non ve ne fosse stata alcuna: così, almeno, vorrebbe l'antico principio secondo cui è sempre meglio tacere dando l'impressione di essere stupidi (o meschini) che parlare togliendo ogni dubbio.

Certo, un pensiero, un saluto da coloro che gli erano stati più vicini era fortemente atteso. Era necessario, si potrebbe dire. Così, è con particolare attenzione e, devo dire, con un pizzico di speranza che ho cercato le dichiarazioni degli esponenti della Lega Nord. In passato lo avevano criticato, anche duramente; il capoccia lo aveva poco prosaicamente definito "una scoreggia nello spazio". Ma il rapporto tra Miglio e la Lega non è mai cessato: non fosse altro perché, a fronte degli attacchi di una dirigenza ottusa e tronfia della propria crassa ignoranza, l'amore della base per questo grand'uomo non è mai cessato.

Eppure, l'ultima pugnalata alla salma dell'ex ideologo è arrivata proprio dai suoi ex amici. Mario Borghezio, in teoria punto di riferimento dei secessionisti "duri e puri", presidente del Governo della Padania, europarlamentare, ultrà, chiamatelo come volete: "Oggi, quando finalmente si cominciano a tracciare con la devolution le linee di una trasformazione in senso federale dello Stato, vanno resi i dovuti onori, con un funerale di Stato, all'intellettuale che coraggiosamente osò sostenere per primo questi principi nell'Italia democratica". Già accomunare il nome di Miglio a quella pappetta riscaldata che è la devolution denuncia una scarsa frequentazione delle sue opere.

Ma i funerali di Stato, quelli no. Chiedere per Miglio funerali di Stato sarebbe come chiedere funerali nazisti per le vittime dell'Olocausto. E' troppo. Va al di là dell'umana comprensione. Sfugge ai limiti della pietas. Non si può onorare un uomo che ha combattuto l'Italia e lo Stato nazionale sbattendo nella sua tomba l'inno di Mameli e ostentando tricolori. Non si può. Non si può neppure pensarlo.

Eppure, non solo qualcuno - evidentemente - vi ha pensato e ha avuto l'ardire di avanzare l'indecente proposta a mezzo stampa. Vi sono anche persone che hanno preso sul serio Borghezio e hanno fatto propria la richiesta.

Viene allora da chiedersi se mai qualcuno abbia letto i libri, o almeno gli articoli, di Miglio. (Il Ministro della giustizia Roberto Castelli ha affermato di averne tratto "spunti interessanti": a dimostrazione dell'intenso lavoro che i suoi neuroni svolgono e dell'attenzione - di più: l'impegno - che l'onorevole lariano deve aver dedicato all'approfondimento delle tematiche federaliste).

Tra le dichiarazioni assortite degli ineffabili leghisti, spicca come sempre quella di Umberto Bossi. Il leader della Lega e Ministro delle riforme (il posto che doveva essere di Miglio nel 1994), senza sprezzo alcuno del ridicolo e con evidente tono di sfida nei confronti del buongusto, ha spiegato che la grandezza del professore comasco sta nell'aver saputo rivestire di "forma giuridica" le "mie" intuizioni rivoluzionarie. Come dire: Miglio era un "manovale" delle leggi, un bravo leguleo che ha trovato il modo di dare dignità parlamentare (e sintattica) al Bossi-pensiero. A questo punto, già che ci siamo, potremmo anche dire che Antonio Di Pietro è un maestro dell'arte oratoria e Ludwig van Beethoven come compositore era una pippa.

L'intera vicenda ha tratti surreali, ma ben rivela la levatura morale dell'armata Brancaleone a cui è stato affidato il non facile compito di ridisegnare le istituzioni del paese. Purtroppo, la morte di Gianfranco Miglio è giunta proprio nel momento in cui tutti noi avevamo bisogno della presenza, forte e vigile, del professore. Gli stessi leghisti, in realtà, speravano che egli potesse in qualche maniera svolgere per Bossi il ruolo che Virgilio ebbe per Dante.

Al contrario, il 10 agosto 2001 passerà alla storia come un giorno estremamente triste: non solo per la perdita di un grandissimo interprete della scuola neofederalista, ma anche per la definitiva scomparsa di un punto di riferimento e, si potrebbe dire, dell'uomo che rappresentava un vero e proprio polo del dibattito sul federalismo in Italia. D'altra parte, le parole dei maggiori esponenti leghisti a proposito di Miglio non sono in alcun modo incoraggianti, né lasciano liberi di guardare al futuro col cuore sereno e carico di speranze.

Miglio è stato, al di là di ogni ragionevole dubbio, un genio, e gli anni a venire non mancheranno di evidenziarlo sempre più - piaccia o no a Castelli, Borghezio e Bossi. Il vero dramma è che il federalismo, perso il suo maggiore teorico, è restato nelle mani di due compari e un pollo.

(Tratto da Enclave n. 13)