Per una critica della filosofia politica


Par Denis CollinMorale et politique • Vendredi 06/11/2009




Impostazione del problema

Che cosa possono fare i filosofi in materia di politica? Che cosa la politica ha a che fare con la filosofia? È così che interpreto l’interrogazione a cui ci invita la rivista Koinè. E questo si può ancora tradurre diversamente: qual è lo status della filosofia politica?
L’espressione “filosofia politica” è problematica perché sembra un pleonasmo: la filosofia, fin dalla sua nascita in Grecia, fu politica. La filosofia di Platone è, da qualunque parte la si guardi, una filosofia politica. Nel Gorgia, Socrate lo dice chiaramente: “Sono uno fra i rari Ateniesi, per non dire il solo, che si dedichi all’arte politica” (521d). Ora, secondo Whitehead, “la filosofia occidentale non è altro che un seguito di note a pie’ di pagina ai dialoghi di Platone”; e, di fatto, non c’è un solo grande filosofo per cui la dimensione politica non sia fondamentale. Secondo Aristotele, la politica è la “scienza architettonica” che struttura l’etica.

Benché in questo componimento, si tenda a screditare la vita politica, la più grande opera di Agostino – La Città di Dio – è certamente la sua “filosofia politica”. Se la dimensione politica è evidente in Spinoza, Rousseau, Kant e Hegel, si può osservare che anche un filosofo come Descartes, pur aggirando con cura ogni esplicita presa di posizione nel campo politico (larvatus prodeo!), propone una filosofia le cui implicazioni politiche sono importanti.
Ogni filosofia è politica nella sua essenza, poiché, ponendo la domanda centrale della possibilità e dello statuto della verità, essa definisce le condizioni dell’enunciazione vera e, dunque, le condizioni e le forme del dibattito pubblico, anche se questo dibattito è limitato o deve limitarsi alla comunità dei dotti. La filosofia di Platone, nel suo feroce conflitto contro i sofisti e contro la tesi attribuita a Protagora secondo cui “l’uomo è la misura d’ogni cosa”, è una vera e propria battaglia filosofica, e perciò tutti i dialoghi di Platone sono politici e non solo La Repubblica, Il Politico, o Le leggi. Per le stesse ragioni, ma in senso inverso, la metafisica di Aristotele (con la teoria della conoscenza che è congiunta ad essa) esplicita ampiamente il giudizio che egli ha sul migliore dei governi, ed in particolare l’esigenza che esso venga composto largamente dal ceto medio.
Tutto un altro ordine di idee ha Descartes quando, nella sesta parte del Discorso sul metodo,annuncia che la nuova scienza che egli vuole fondare sarà principalmente utile e permetterà all'uomo di “diventare maestro e padrone della natura”, indicando così il programma politico della modernità.
Per quanto non si possa sopprimere ogni distinzione fra i diversi rami della filosofia, si può invece contestare la kantiana frattura fra la “ragion pura” nel suo uso teorico e la “ragion pratica”. Le norme della vita buona e della politica non scaturiscono, in modo univoco, dalla conoscenza che possiamo avere della nostra realtà e della realtà del mondo in cui viviamo. La prudenza pratica è chiamata al soccorso di una teoria che viene meno, anche se per uno spinozista, contestando l’esistenza di una facoltà della volontà diversa dall’intelletto: ciò che devo fare è sempre l’effetto adeguato a ciò che capisco, e così, in concreto, non posso concepire compiutamente la concatenazione delle idee così come esse sono prodotte “in Iddio”; ne consegue che, molto spesso, l’agire dipende dall’immaginazione e dall’opinione, più che direttamente dalla ragione.
Da questo presupposto, in qualsiasi modo si affronti il problema, si deve ammettere che ci sono buone ragioni per distinguere la filosofia politica dalla filosofia in genere, così come si può anche distinguere la riflessione normativa dalla teoria generale della vita sociale.
Col marxismo da un lato e lo sviluppo della scienza sociale dall’altro, il Novecento ha visto prima la relativa cancellazione della dimensione morale della filosofia e poi di quella politica. La conoscenza scientifica della società umana e quella della mente umana, non permetterebbero infatti di agire sull’uomo come si agisce sulle cose?
Michel Foucault conclude l’ultimo capitolo di Le parole e le cose, capitolo consacrato alle scienze umane, evocando la cancellazione dell’uomo “come sull’orlo del mare un volto di sabbia”. Se i comportamenti umani e le forme dell’organizzazione sociale sono di competenza della positività delle scienze umane, è la dimensione normativa del pensiero che è messa fuorigioco. Dal suo punto di vista, il marxismo classico conduce a una conclusione dello stesso genere. Le “leggi della storia” si impongono qualunque sia la volontà umana e i marxisti si difendono generalmente dicendo di non lottare contro il capitalismo per ragioni morali. Il capitalismo, a suo tempo, era “nel senso della storia”. I marxisti costatano che il tempo del capitalismo è ormai obiettivamente terminato e che esso deve lasciare il posto ad un migliore modo di produzione. Da qualsiasi lato la si guardi, l’epoca è “al di là del bene e del male”.
Il ritorno in auge della filosofia politica è ben chiaro dagli anni settanta, prendendo in contro-piede la filosofia delle scienza, il marxismo e la psicoanalisi, che sembravano aver dominato a tutto campo nella ricerca della Filosofia nel Novecento.
Nello stesso periodo, l’ultimo erede della Scuola di Francoforte, Jürgen Habermas, effettua una svolta, che lo allontana definitivamente da Marx e dalla teoria critica e torna ad un “kantismo” assai insipido e adattato al nuovo oggetto della riflessione habermasiana, ossia la «democrazia post-nazionale» che starebbe realizzandosi nell’Unione Europea. Hanno seguito questa via anche i filosofi italiani come Salvatore Veca oppure quelli Francesi come Jean-Marc Ferry (discepolo di Habermas).
In questo dibattito, si deve anche segnalare l’importante ruolo giocato dal’economista Amartya Sen.

Partendo dalla filosofia di John Rawls, di seguito dimostrerò che il tentativo di costruire una teoria politica pura, indipendente da ogni concezione sostanziale di vita buona, è una chimera. In secondo luogo, cercherò di mettere a fuoco i vicoli ciechi del marxismo classico, che conducono ad un malinteso del posto proprio della teoria politica – la quale non scaturisce automaticamente dall’analisi dello sfruttamento capitalistico. Infine, sosterrò la necessità di tornare ad una concezione globale della filosofia.

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