Roma. Il punto è che il centrodestra queste regionali le ha perse e in malo modo. All’ora in cui questo giornale va in stampa si tratta tutt’al più di stabilire l’entità delle botte prese: “Se è andata male e basta, se è andata malissimo oppure se è un disastro completo”, come dice un dirigente di Forza Italia. Capire – e comunque non è poco – se finirà con un undici a due per l’Unione ovvero se gli elettori avranno evitato alla Casa delle libertà l’umiliazione di lasciare sul campo anche Lazio e Puglia oltre a Liguria, Calabria, Abruzzo e quasi certamente il Piemonte. Come gli exit poll, anche i primi dati apprezzabili ieri pomeriggio certificavano infatti che per la Casa delle libertà il risultato di queste regionali si profila disastroso.
Prima di mostrare segnali di recupero timidi e insufficienti nel Lazio, e altri più illudenti in Puglia, la coalizione di Silvio Berlusconi sembra aver mantenuto soltanto due regioni sulle otto conquistate cinque anni fa. E dunque la sua dote elettorale resiste soltanto nelle due roccaforti strategiche del nord.
Nella Lombardia di Roberto Formigoni (oltre dieci punti sopra il candidato dell’Unione Riccardo Sarfatti) e nel Veneto governato da Giancarlo Galan (in vantaggio di oltre cinque punti sull’ulivista Massimo Carraro).
Anche in Lombardia e Veneto comunque il Polo sconta qualche voto in uscita, e con quello che è accaduto altrove quasi non si nota.
Per il resto non è affatto inverosimile immaginare che nella notte venga ufficialmente ammessa dai leader della Cdl una sconfitta senza appello.
Temuta alla vigilia e politicamente pesantissima una disfatta che avrà conseguenze nelle regioni che fino a ieri sera venivano considerate ancora in bilico. Malissimo sarà, e pare che ci siano pochi dubbi in proposito, se in Piemonte la sfidante dell’Unione Mercedes Bresso confermerà il sorpasso sull’uscente Enzo Ghigo. Non molte chance in più nel Lazio dove in serata Francesco Storace era sotto di oltre un punto rispetto a Piero Marrazzo (vicino al 51 per cento, e se questa sarà in effetti la sua percentuale a Storace non sarà possibile neanche invocare a sua scusa il nome dell’odiata Alessandra Mussolini).
Quanto alla Puglia, è stato un testa a testa lungo e sorprendente tra Nichi Vendola e Raffaele Fitto. Per qualche ora, il candidato di Rifondazione sembrava avercela fatta comodamente contro il governatore polista. Poi la rincorsa di Fitto si è fermata. Contando anche le sconfitte – preventivate – in Calabria (dove l’ulivista Agazio Loiero ha avuto gioco facile su Sergio Abramo) in Abruzzo (dove il presidente uscente Giovanni Pace era dato sconfitto in partenza contro Ottaviano Del Turco) e nella Liguria di Sandro Biasotti (espugnata senza difficoltà da Claudio Burlando), se è vero che la maggioranza di centrodestra ha lasciato all’Unione undici regioni su tredici, da ieri sera, voti alla mano, il Polo potrebbe essere minoranza nel paese. Anche perché il centrosinistra si è ovviamente affermato con percentuali alte nelle regioni in cui la sua prevalenza non pare mai essere in discussione. In Emilia l’uscente Vasco Errani viene riconfermato attestandosi al 61,9 per cento sul candidato del centrodestra Carlo Monaco, fermo al 36. Così anche Claudio Martini in Toscana, oltre il 56,6 per cento contro il 33 e qualcosa dello sfidante polista Alessandro Antichi (e malgrado Rifondazione abbia corso da sola con Luca Ciabatti). Anche nelle Marche successo scontato di Gian Mario Spacca sul rivale di centrodestra Francesco Massi; e così pure in Umbria dove Maria Rita Lorenzetti sfiora il 60 per cento dei consensi (con quasi venticinque punti di distacco da Pietro Laffranco della Cdl). In Campania Antonio Bassolino si conferma governatore malgrado non abbia sfigurato il concorrente polista Italo Bocchino.
L’affluenza bassa, ma non troppo
Di certo c’è che l’affluenza alle urne è stata del 71,4 per cento, 1,7 per cento in meno rispetto alle ultime consultazioni. Dunque una flessione non tanto forte come si temeva alla vigilia e che non può aver modificato chissà quali equilibri. Non esattamente buona, ma forse quanto basta per risultare decisiva, invece, la performance della lista guidata dalla Mussolini, Alternativa sociale. La nipote del duce non incassa i consensi che auspicava in Campania, nel Lazio e al nord. Ma contando le sue percentuali –oscillanti dall’uno e qualcosa al due per cento – e sommandole a quelle ottenute dalla neonata Democrazia cristiana di Gianfranco Rotondi, si può pensare che il pacchetto di voti sarebbe stato decisivo per la Cdl in Piemonte e Puglia. Lo ha riconosciuto da subito il coordinatore vicario di An, Ignazio La Russa, quando ha commentato in televisione i primi e più preoccupanti exit poll. Quanto ai partiti del centrodestra, complessivamente Forza Italia continua a perdere elettori (nell’ordine del punto e mezzo percentuale) e soprattutto al sud. Fa notare qualche esponente forzista: “E’ venuta a mancare la tanto attesa svolta che avrebbe dovuto innescare nel movimento il ritorno alla politica sul territorio di Claudio Scajola”. La linea difensiva dei forzisti, affidata a Fabrizio Cicchitto e Sandro Bondi è nota: per tutta la coalizione ha pesato il fatto che Berlusconi non sia sceso in campagna elettorale. In più, molto ci sarà da discutere con gli alleati che hanno posto veti su Mussolini e Rotondi, mentre il centrosinistra si compattava e ingrossava le sue preferenze. La Lega nord risulta decisiva nella conservazione del Veneto e della Lombardia. Il che consente a Umberto Bossi, per bocca di Roberto Calderoli, di affermare:
“Per noi è facile commentare i risultati perché la Lega cresce in ogni regione, sia rispetto alle politiche che alle ultime europee”.
Non sembra brillare particolarmente An. Non crescerebbe o crescerebbe poco e con discontinuità l’Udc. Il che non impedisce ad alcuni centristi d’indicare in Silvio Berlusconi e nella sua linea di governo la causa di una maggioranza franante. Lo ha detto Bruno Tabacci, aggiungendo: “Negli
ultimi anni, quando ha affrontato la prova elettorale, la Cdl non è andata mai bene. E dire che Berlusconi non si è speso in campagna elettorale è sbagliato”.
Quindi la conclusione del suo ragionamento: “Gli italiani hanno interpretato il voto come un referendum su Berlusconi, è qualcosa di molto delicato”.
Ironico il capogruppo dell’Udc a Montecitorio, Luca Volontè: “Per vincere le elezioni non è sufficiente dire che i comunisti mangiano i bambini”.
E’ probabile che anche i figiani respingeranno le accuse di aver posto veti e diktat penalizzanti. Ma non cercano
di minimizzare il colpo subìto. E’ possibile che provino a imputare la sconfitta di Storace a un contraccolpo generale riflettutosi anche sul buon lavoro dei governatori. Cauto ma sconsolato il commento del ministro dell’Agricoltura Gianni Alemanno:
“Il giudizio definitivo su queste elezioni lo potremo dare soltanto quando si saprà l’esito dei testa a testa. Però dobbiamo fare tutti quanti insieme con serietà e umiltà una profonda riflessione per capire dove correggere, e per gettare le basi per tornare a vincere”.
Toni preoccupati e richieste di autoanalisi per la coalizione anche dal ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri.
Prodi trionfante
Romano Prodi aveva annunciato che al centrosinistra sarebbe bastato strappare una regione al Polo per proclamarsi vincitore. Con questi presupposti e soprattutto con i dati largamente favorevoli a diposizione, oggi può esultare trionfante. “Abbiamo vinto in numero di voti e in numero di Regioni”, ha detto Prodi nella sede dell’Unione di piazza Santi Apostoli: “Con questo voto gli italiani ci chiedono di prepararci a governare”. Come Prodi anche il segretario dei Ds Piero Fassino, che parla di “uno spostamento di milioni di voti”. Fassino si è spinto fino a decretare che “il centrosinistra ha un consenso di 7-8 punti percentuali in più dell’alleanza di centrodestra”, mentre il leader della Margherita Francesco Rutelli sostiene che “l’Ulivo e la coalizione sono nettamente avanti nel voto popolare”. Esulta con discrezione Fausto Bertinotti. Ma il segretario di Rifondazione, a sinistra, incassa forse il risultato più dirompente grazie a Nichi Vendola. Infine il Cav. E’ rimasto silenzioso come il defilatissimo ministro degli Esteri e leader di An Gianfranco Fini. Come il vicepremier e leader dell’Udc, Marco Follini. Il premier ha seguito gli exit poll da lontano e si è limitato a telefonare per complimentarsi con Galan e Formigoni, unici candidati della Cdl festeggiabili ieri sera.
Il Foglio del 5 aprile
saluti