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    Predefinito II Domenica dopo Pasqua

    Dalla «Prima Apologia e favore dei cristiani» di san Giustino, martire (Cap. 66-67; PG 6, 427-431)

    A nessun altro è lecito partecipare all'Eucaristia, se non a colui che crede essere vere le cose che insegniamo, e che sia stato purificato da quel lavacro istituito per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e poi viva così come Cristo ha insegnato.
    Noi infatti crediamo che Gesù Cristo, nostro Salvatore, si è fatto uomo per l'intervento del Verbo di Dio. Si è fatto uomo di carne e sangue per la nostra salvezza. Così crediamo pure che quel cibo sul quale sono state rese grazie con le stesse parole pronunciate da lui, quel cibo che, trasformato, alimenta i nostri corpi e il nostro sangue, è la carne e il sangue di Gesù fatto uomo.
    Gli apostoli nelle memorie da loro lasciate e chiamate vangeli, ci hanno tramandato che Gesù ha comandato così: Preso il pane e rese grazie, egli disse: «Fate questo in memoria di me. Questo è il mio corpo». E allo stesso modo, preso il calice e rese grazie, disse: «Questo è il mio sangue» e lo diede solamente a loro.
    Da allora noi facciamo sempre memoria di questo fatto nelle nostre assemblee e chi di noi ha qualcosa, soccorre tutti quelli che sono nel bisogno, e stiamo sempre insieme. Per tutto ciò di cui ci nutriamo benediciamo il creatore dell'universo per mezzo del suo Figlio Gesù e dello Spirito Santo.
    E nel giorno, detto del Sole, si fà l'adunanza. Tutti coloro che abitano in città o in campagna convengono nello stesso luogo, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti per quanto il tempo lo permette.
    Poi, quando il lettore ha finito, colui che presiede rivolge parole di ammonimento e di esortazione che incitano a imitare gesta così belle.
    Quindi tutti insieme ci alziamo ed eleviamo preghiere e, finito di pregare, viene recato pane, vino e acqua. Allora colui che presiede formula la preghiera di lode e di ringraziamento con tutto il fervore e il popolo acclama: Amen! Infine a ciascuno dei presenti si distribuiscono e si partecipano gli elementi sui quali furono rese grazie, mentre i medesimi sono mandati agli assenti per mano dei diaconi.
    Alla fine coloro che hanno in abbondanza e lo vogliono, danno a loro piacimento quanto credono. Ciò che viene raccolto, è deposto presso colui che presiede ed egli soccorre gli orfani e le vedove e coloro che per malattia o per altra ragione sono nel bisogno, quindi anche coloro che sono in carcere e i pellegrini che arrivano da fuori. In una parola, si prende cura di tutti i bisognosi.
    Ci raduniamo tutti insieme nel giorno del Sole, sia perché questo è il primo giorno in cui Dio, volgendo in fuga le tenebre e il caos, creò il mondo, sia perché Gesù Cristo nostro Salvatore risuscitò dai morti nel medesimo giorno. Lo crocifissero infatti nel giorno precedente quello di Saturno e l'indomani di quel medesimo giorno, cioè nel giorno del Sole, essendo apparso ai suoi apostoli e ai discepoli, insegnò quelle cose che vi abbiamo trasmesso perché le prendiate in seria considerazione.

    Gustave Doré, Cristo appare agli apostoli sul lago di Tiberiade

    Raffaello Sanzio, La pesca miracolosa, 1515, Victoria and Albert Museum, Londra

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    Predefinito

    Dalle «Omelie sui vangeli» di san Gregorio Magno papa (Homilia XIV, 3-6 in Evangelium; PL 76, 1129-1130)

    Il motivo per cui il mercenario fugge sta proprio nel fatto di essere prezzolato. Non può affrontare il pericolo con il gregge chi ne assume la custodia non per amore ma solo per desiderio di lucro. Impegnato a ricevere onori, tutto lieto per i vantaggi terreni, teme di affrontare il pericolo nel quale potrebbe perdere ciò che gli sta davvero a cuore.

    Il nostro Redentore ha però smascherato le colpe del falso pastore e ha proposto il modello a cui ci si deve conformare, dicendo: Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore, cioè le amo, e le mie pecore conoscono me. Come per dire: c'è vicendevole amore e mi seguono. Chi infatti non ama la verità, non l'ha ancora minimamente conosciuta.

    Avete udito, fratelli, i pericoli che incombono su di noi; riflettete ora su quelli che vi riguardano sulla scorta della Parola divina. Chiedetevi se siete le pecore del buon pastore, se lo conoscete, se vi è nota la luce della verità. Non parlo della conoscenza che proviene dalla fede, ma di quella basata sull'amore e che si attua non tanto nel fatto di credere quanto attraverso le opere. Infatti lo stesso evangelista Giovanni, di cui stiamo meditando la parola, afferma: Chi dice di conoscere Dio e non ne osserva i suoi comandamenti, è bugiardo.

    Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore. Il che significa: Conosco il Padre e sono conosciuto da lui, appunto perché do la vita per il mio gregge. Dimostro la grandezza del mio amore per il Padre attraverso la carità che mi spinge a morire per le pecore.

    Ma Cristo è venuto per portare a salvezza non solo i giudei ma anche i pagani, per cui aggiunge: E ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Parlando delle altre pecore da ricondurre al gregge, il Signore vedeva compiersi la redenzione per noi, che proveniamo dal mondo pagano. Potete constatare, fratelli, che ciò avviene ogni giorno e anche oggi si verifica con la riconciliazione dei pagani. Il Signore ha costituito un solo ovile come da due greggi, perché ha congiunto il popolo giudaico e quello pagano nella fede verso di lui, come attesta Paolo con queste parole: Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo. Eleggendo per la vita eterna i semplici dai due popoli, li conduce come pecore al proprio ovile.

    Di questo gregge dice ancora il Signore: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna. Delle pecore poco prima Gesù aveva detto: Se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Entrerà alla fede e passerà da questa alla visione, cioè dal credere al contemplare e troverà i cibi del banchetto eterno.

    Le pecore del Signore troveranno i pascoli, perché chi lo segue in semplicità di cuore trova un alimento di eterna freschezza. Cosa sono i pascoli di queste pecore se non gli intimi gaudi della bellezza paradisiaca? Sì, pascolo degli eletti è la presenza del volto di Dio, e, mentre se ne compie l'incessante contemplazione, l'anima si nutre senza sosta del cibo della vita.

    In questi pascoli gioiscono di sazietà eterna quanti si sono sottratti ai lacci dei piaceri terreni. Ivi si incontrano i cori osannanti degli angeli; la compagnia dei cittadini del cielo; la dolce, festosa presenza di chi torna dall'ardua fatica di questo pellegrinaggio; le schiere dei profeti illuminati sul futuro; il gruppo degli apostoli costituiti giudici; l'esercito vittorioso di martiri senza numero, in sovrumana letizia dopo le persecuzioni subite sulla terra; i testimoni della fede, la cui pazienza è ricompensata; i fedeli, che le voluttà del secolo non riuscirono a smuovere dalla fermezza dei propositi; le donne sante, vittoriose sul mondo e sulla fragilità della loro natura; i fanciulli, vissuti sulla terra con virtù ben superiori alle forze della loro età; i vecchi, resi deboli sulla terra dal peso degli anni ma sempre saldi nel compiere il bene.

    La suprema letizia dell'adunanza festosa di tanti eletti sia per noi un invito. Quando la gente celebra una fiera, o accorre per la solenne dedicazione di una chiesa, ci affrettiamo tutti per trovarci insieme; ognuno fa in modo di essere presente, rammaricandosi come di un grave danno se non riesce ad assistere alle gioiose espressioni della comune letizia.

    Ecco allora celebrata nelle sedi celesti la gioia degli eletti e il vicendevole gaudio per esservi tutti riuniti: E noi, tiepidi nell'amore verso le realtà eterne, non sentiamo l'ardore del desiderio e ci diamo ben poco da fare per essere chiamati a tale tripudio: ci troviamo privi di quella gioia, eppure riusciamo a sentirci lieti. Infervoriamo perciò il nostro animo, o fratelli, rinsaldiamo la fede in ciò in cui abbiamo creduto, e si infiammi in noi l'anelito verso le realtà celesti: questo amore è già come essere in cammino. Nessuna avversità ci allontani dalla gioia della celebrazione interiore, perché se uno desidera giungere alla mèta agognata non vi sarà asprezza di cammino tale da fargli cambiare proposito.

    Nessuna prosperità ci seduca col suo fascino, perché è ben stolto il viandante che ferma lo sguardo ai prati ameni lungo il viaggio, e non può così raggiungere la mèta fissata. Lo spirito aneli, dunque, in pienezza di desiderio, alla patria eterna; non abbia bramosie terrene, visto che tutto dovrà ben presto essere lasciato.

    Se siamo davvero nel gregge del Pastore celeste e riusciamo a non farci incatenare dalla seduzione di ciò che incontriamo per via, avremo la gioia suprema, giunti ai pascoli eterni.

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    Predefinito Allocuzione di papa Pio XII

    Alle alunne dell'Istituto del Buon Pastore, 8 aprile 1945, in Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, Ed. Vita e Pensiero, Milano, 1946, t. 7, 21-25.

    Voi ben sapete con quale dolce compiacenza il divino Maestro amava presentarsi nella fìgura del buon Pastore e con quale profondo accento egli manifestava questo suo sentimento: Io sono il buon pastore - egli diceva -, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. E ancora: Le pecore ascoltano la voce del pastore e lo seguono. E, ciò che è anche più commovente: Il buon pastore offre la vita per le pecore (Cf. Gv 10, 14.4.11). Molte volte voi avete letto e udito queste parole e avete appreso a gustarne l'incanto. Ma bisogna che esse siano per voi quasi faro di fede e di amore che vi guidi in ogni passo della vostra vita.

    Che altro dunque potremmo raccomandarvi e inculcarvi se non di corrispondere a così amabili inviti del buon Pastore? Ascoltando la sua voce per meglio conoscerlo e amarlo; abituandovi a seguirlo docilmente; mettendo in lui tutta la vostra fiducia.

    Adoperatevi a meglio conoscere e amare il Salvatore. Voi, è vero, non udite sensibilmente la sua voce divina come i fanciulli che lo avvicinavano sulla terra. Ma egli vi parla con arcana tenerezza nell'intimo del vostro cuore; vi parla anche per bocca di quelli che tengono per voi il suo luogo quaggiù.

    La voce del Maestro e pastore delle anime vostre non è forse dolce, quando esclama: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero? (Mt 11,28.30) Questa voce non è benigna quando dice alla peccatrice entrata nella casa di Simone: Ti sono perdonati i tuoi peccati. La tua fede ti ha salvata; va' in pace? (Lc 7,48.50)

    Questa voce non è amabile quando annunzia a Marta: Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno? (Gv 11,25‑26)

    Ecco ciò che il buon Pastore vuol donarvi: il perdono delle colpe, il suo amore, la pace del cuore, la risurrezione e la vita eterna.

    Dolce è la voce del buon Pastore, ma di una dolcezza ben diversa dalle altre; non è quella dolcezza che lusinga, che inebria e che turba., quella dolcezza che promette i piaceri dell'orgoglio e dei sensi, ma non lascia nello spirito e nel cuore che tenebre e amarezza. La voce del buon Pastore è grave; mostra il dovere, austero talvolta, sano sempre; insegna a portare la croce, ma diffonde intorno a sé un'aura di pace calma e serena. Essa ammonisce e corregge, ma senza asprezza, con una bontà infinita; riprende ed emenda, ma per amore e per il bene, il vero bene, precorritore della vera felicità. Non riconoscete voi forse, sulle labbra dei superiori, un'eco di questa voce del buon Pastore, che vi parla, vi insegna ad essere buoni, ad amare e desiderare ciò che può farvi realmente felici? Non la riconoscete teneramente materna persino nei rimproveri, che deve talvolta rivolgervi?

    La voce del buon Pastore è la voce di colui che dà la vita per le sue pecore, la voce di colui che va in cerca della pecora smarrita e, ritrovatala, se la pone sulle spalle e la riconduce al pascolo o all'ovile.

    Non avete voi stessi sentito questo amore del divino Pastore dopo una buona confessione, nel fervore della santa comunione, nelle ore felici, in cui un'intima soavità dello spirito e l'ardore dei vostri salutari propositi vi danno in qualche modo la consapevolezza di essere nella sua grazia?

    Le vostre debolezze non vi intimidiscano; esse sono per il cuore di Gesù, fornace ardente di carità, un'occasione dì far maggiormente risplendere la sua bontà e la sua potenza. Non dimenticate le parole di lui: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano (Gv 10, 27-28).

    Quale promessa più bella di questa? Quale assicurazione più solenne e degna di fiducia?

    Bartolomé Esteban Murillo, Cristo Buon Pastore, 1660 circa, Museo del Prado, Madrid

    Simon Dewey, Ad acque tranquille (Il Buon Pastore)

    Simon Dewey, Il Signore è il mio Pastore

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    Predefinito Dalle "Omelie al Popolo Antiocheno" di san Giovanni Crisostomo.

    Ad Populum Antiochenum hom. XVI, 6; XVIII, 1-2, in PG 49, 170.181-183.

    Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. Parole brevi, ma cariche di grande incoraggiamento. E cosa significa: Nessuno vi potrà togliere la vostra gioia? Vediamolo.
    Sei ricco? Molti possono toglierti la felicità della ricchezza: ladri che abbattono muri, schiavi che trafugano i beni loro affidati, l'imperatore che li confisca, gente invidiosa che ti calunnia.
    Sei potente? Molti potranno toglierti la gioia che ne deriva. Scaduto il mandato della magistratura, termina anche la soddisfazione; e finché dura, molti contrasti pieni di difficoltà e di preoccupazioni ti tolgono l'entusiasmo.
    Hai una costituzione robusta? Viene una malattia ed è finita la gioia della salute.
    Sei dotato di bellezza e di attrattiva? Arriva la vecchiaia, la bellezza appassisce e la felicità sfuma.
    Ti stai godendo un lauto banchetto? Sopraggiunge la sera e il piacere del pasto sontuoso è svanito.
    Tutti i beni terreni sono facili a dissiparsi e non riescono mai a procurarci una gioia duratura.

    La pietà e le virtù interiori operano tutto l'inverso. Se fai elemosina nessuno te ne potrà togliere il merito. Congiurino pure eserciti e sovrani, ladri e delatori a migliaia, le ricchezze già depositate in cielo non saranno mai oggetto di rapina. Resterà eterna la gioia. Sta scritto infatti: Egli dona largamente ai poveri, la sua giustizia rimane per sempre. È così! Hai chiuso i tuoi tesori nei forzieri del cielo dove il ladro non ruba, il brigante non rapisce e la tignola non consuma.
    Hai elevato preghiere continue e attente? Nessuno potrà togliertene il frutto, perché è frutto radicato in cielo, libero da qualunque insidia. Resterà inafferrabile. Hai beneficato chi ti ha fatto del male? Hai sopportato la maldicenza? Hai benedetto chi ti oltraggiava? Questi sono guadagni che ti dureranno per sempre. Nessuno te ne toglierà la gioia. Ogni volta che ti verranno in mente, proverai letizia e soddisfazione, cogliendone un forte piacere.

    Chi è ben disposto interiormente e si cura della propria anima, non si rattrista mai; da qualsiasi evento sa ricavare gioia pura e ininterrotta. Che ciò sia vero ascoltatelo da Paolo che oggi ci consola e ci dice: Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. So che pare cosa inattuabile. Come sarebbe possibile - si dice - che un uomo possa godere senza interruzione? Rallegrarsi non è difficile, ma rallegrarsi continuamente sembra impossibile date le tante occasioni di tristezza che ci assediano.
    Il tale ha perduto il figlio o la moglie o l'amico sincero, caro più di ogni congiunto; oppure ha subito una grave perdita, è caduto malato, ha dovuto sopportare difficoltà di ogni genere: offese indegne, fame, peste, esazioni insopportabili, guai familiari. Chi del resto può contare tutti i mali pubblici e privati che ci sogliono affliggere? Come è possibile dunque essere sempre contenti?
    Sì, è possibile, o uomo, e se non fosse possibile, Paolo non ci avrebbe esortato, non ce l'avrebbe consigliato, lui così pieno di celeste sapienza.

    Senza molte parole o lunghi discorsi, riflettendo soltanto sul detto di Paolo troveremo la via che conduce alla felicità. Paolo non dice semplicemente: Rallegratevi sempre, ma aggiunge il motivo della continua gioia, dicendo: Rallegratevi nel Signore, sempre.Qualsiasi cosa succeda, questa gioia non potrà mai abbandonare chi gode nel Signore. Tutti gli altri motivi di felicità sono mutevoli e caduchi. Non solo: finché durano, non potranno mai procurarci una felicità capace di vincere le pene che per altre cause ci opprimono.
    Il timore di Dio invece possiede queste due proprietà: è sicuro e incrollabile e fa sbocciare tanta gioia che non ci lascia neppure sentire gli altri dolori. Chi teme Dio e in lui confida come si deve, ha trovato la radice della beatitudine, possiede la fonte di ogni gioia.
    Come una scintilla caduta nell'immensità dell'oceano subito si spegne, così ogni tristezza che tocca il cuore di chi teme Dio, scompare quasi inghiottita dall'oceano sterminato della felicità.
    Ma la meraviglia più bella è che pur sotto il peso del dolore egli rimane lieto. Se non subisse afflizioni, non stupirebbe che possa gioire sempre. Ma di fronte all'incubo di mille pene mantenersi su una sfera più alta e in mezzo alle sofferenze conservare la gioia, ecco ciò che sorprende.

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    Predefinito Dai Discorsi di Giovanni Taulero.

    IV pour l'Ascension. Sermons de Tauler, trad. Hugueny, Thèry, Corin, "La vie spirituelle", Parigi, 1927, t. I, 352-356.

    Figli cari, il nostro Capo è salito in cielo; è conveniente perciò che le membra seguano il loro Capo e non fissino consolazione o dimora in questo mondo; lo seguano invece con amore e desiderio, e camminino per la via che egli ha così dolorosamente percorsa. L'evangelista Luca infatti ci dice: Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? (Lc 24, 26). Seguiamo allora l'amabile Capo che ha portato davanti a noi la bandiera. Prenda ciascuno la sua croce e lo segua, per giungere dove egli è.
    Vedete bene che molti uomini seguono il mondo a motivo di vani onori, per cui sanno rinunziare alle comodità, alla famiglia e agli amici, e vanno in guerra per acquistare dei beni. Perciò è normale che noi pratichiamo una completa rinuncia per il puro bene che si chiama ed è Dio, e che seguiamo il nostro amabile Capo.

    Molti uomini sarebbero volentieri testimoni di Dio nella pace, purché tutto andasse a loro talento. Essi vorrebbero essere santi, se ciò non fosse duro negli esercizi e nel lavoro ascetico; vorrebbero gustare, bramare e conoscere le dolcezze divine, senza dover attraversare alcuna amarezza, senza fatica e senza desolazione. Non appena incappano in tentazioni o tenebre, non appena non sentono né gustano più Dio e si sentono derelitti internamente ed esternamente, essi si distolgono da Dio: non sono allora veri testimoni.Tutti gli uomini cercano la pace, e la cercano in ogni loro opera, con ogni mezzo e in ogni dove. Quanto a noi, cerchiamo la pace nella lotta, - là solo nasce la vera pace che resta e che dura. Colui che s'ingegna per trovare altrove la pace, sbaglia strada.

    Cerchiamo la pace nei tormenti, la gioia nella tristezza, la semplicità nella molteplicità, la consolazione nell'amarezza. Così diventeremo veri testimoni di Dio. Gesù continuò a promettere la pace ai suoi discepoli prima di morire, e anche quando fu risorto. I discepoli però non ottennero mai la pace esteriore, furono interrogati, giudicati e condannati, ma conquistarono l'amore nella sofferenza, la vita nella morte e la pace nella lotta. Così furono i veri testimoni. Talvolta ho incontrato non pochi uomini che avevano conosciuto le dolcezze spirituali nel corpo e nell'anima al punto da esserne penetrati fin nelle midolla e nelle vene. Ma se allora sopraggiungevano la sofferenza, le tenebre, lo scoraggiamento del cuore e l'abbandono da parte degli altri, costoro non sapevano dove andare, si arrestavano bruscamente, e da tali prove, non veniva fuori nulla di buono.

    Gli autentici testimoni di Dio stanno fermi in Dio, ancorati alla sua volontà nella gioia e nel dolore, senza vacillare, sia che Dio doni, sia che tolga. Se uno trovasse la strada per lodare Dio in qualunque evenienza, bella o brutta, interna o esterna, avrebbe imbroccato giusto. Credetemi che se costui sapesse rioffrire ogni cosa a Dio con cuore riconoscente, sarebbe un sicuro e vero testimone. Riporta dunque, figlio mio, ogni cosa nel fondo da cui è scaturita e non indugiare in nulla di creato, ma riversati tutto quanto in quel fondo. Là nasce la vera lode di Dio e porta davvero frutto: là fiori e frutto sono una sola e medesima realtà; là c'è Dio in Dio, la luce nella luce.Porta dunque lì, in quel fondo, le tue prove e i tuoi pensieri qualunque essi siano, e da ovunque vengano; riportali a Dio e riporta insieme anche te stesso.

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    Predefinito Dall'Esortazione apostolica "Gaudete in Domino" di papa Paolo VI

    E' importante cogliere bene il segreto della gioia ìnscrutabile che dimora in Gesù e gli è propria. Specie il vangelo di Giovanni ne solleva il velo affidandoci le parole intime del Figlio di Dio fatto uomo. Se Gesù irradia una tale pace, una tale sicurezza e gioia, una tale disponibilità, ciò dipende dall'amore ineffabile di cui si sa amato dal Padre.
    Ed ecco che i discepoli, e tutti coloro che credono in Cristo, sono invitati a partecipare a questa gioia. Gesù vuole che essi abbiano in sé stessi la pienezza della sua gioia. "E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore col quale mi hai amato sia in essi e io in loro" (Gv 17, 13). Questa gioia di dimorare nell’amore di Dio inizia fin da quaggiù. E' quella del Regno di Dio. Ma è concessa su per una via scoscesa, che richiede totale fiducia nel Padre e nel Figlio, oltre alla preferenza data al Regno. Il messaggio di Gesù promette anzitutto la gioia, questa gioia esigente; non sono forse le beatitudini a schiuderne l'accesso? "Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete" (Lc 6, 20-21).

    In modo misterioso, Cristo stesso, per sradicare dal cuore umano il peccato di presunzione e manifestare al Padre un'obbedienza intatta e filiale accetta di morire per mano di empi, di morire in croce. Ma il Padre non permise che la morte lo trattenesse in suo potere. La risurrezione di Gesù è il sigillo posato dal Padre sul valore del sacrificio del Figlio, è la prova della fedeltà del Padre, secondo il voto formulato da Gesù prima della sua passione: "Padre, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te" (Gv 17, 1). D'ora innanzi, Gesù è per sempre vivo nella gloria del Padre: perciò i discepoli furono radicati in una gioia senza fine, al vedere il Signore, la sera di Pasqua. Ne deriva che quaggiù, la gioia del Regno portato a compimento scaturirà soltanto dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. E' il paradosso della condizione cristiana, che proietta una luce singolare su quella umana; né la prova, né la sofferenza sono eliminate, ma esse acquistano un significato nuovo, nella certezza di condividere la redenzione operata da Cristo e partecipare alla sua gloria. Perciò il credente, sottoposto alle comuni difficoltà dell'esistenza, non è ridotto tuttavia a cercare la sua strada a tastoni, né a vedere nella morte la fine delle proprie speranze.

    L'Exultet pasquale canta un mistero attuato oltre le speranze profetiche; nell'annuncio glorioso della risurrezione la pena stessa dell'uomo è trasfigurata, mentre la pienezza della gioia sgorga dalla vittoria del Crocifisso, dal suo Cuore trafitto, dal suo Corpo glorificato, e rischiara le tenebre delle anime: "Per me le tenebre son come luce" (Sal 138, 11).
    La gioia pasquale non è solo quella di una possibile trasfigurazione; è quella della nuova presenza di Cristo risorto, che elargisce ai suoi lo Spirito Santo, perché rimanga con loro. Cosi lo Spirito Consolatore è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa di Cristo glorificato. Il Paraclito richiama alla memoria, mediante il ministero di grazia e di verità esercitato dai successori degli Apostoli, l'insegnamento stesso del Signore. Suscita in essi la vita divina e l'apostolato. E il cristiano sa che questo Spirito non verrà mai spento nel corso della storia. La sorgente di speranza apparsa a Pentecoste non si esaurirà.

    Lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, dei quali è il reciproco amore vivente, è comunicato d'ora in poi al popolo della nuova Alleanza, ad ogni cuore disponibile alla sua intima azione. Egli fa di noi la sua dimora: "Dolce ospite dell'anima" (Sequenza “Veni, Sancte Spiritus”), canta la nota sequenza. Insieme con lui il cuore dell'uomo è abitato dal Padre e dal Figlio. Lo Spirito suscita in noi una preghiera filiale, che sgorga dal più profondo del cuore e si esprime nella lode, nel rendimento di grazie, nella riparazione e nella supplica. Sicché possiamo gustare quella gioia davvero spirituale, frutto dello Spirito Santo. Essa consiste nel fatto che lo spirito dell'uomo trova la quiete e l'intima soddisfazione nel possesso di Dio Trinità, conosciuto mediante la fede e amato con la carità che viene da lui. Questa gioia caratterizza, a partire di qui, tutte le virtù cristiane. Le umili gioie umane, semi di una realtà più alta in seno alla nostra esistenza, vengono trasfigurate. Quaggiù una tale gioia includerà sempre più o meno la prova dolorosa della donna nel parto, oltre ad un certo apparente abbandono, simile a quello dell'orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei discepoli, che è secondo Dio e non secondo il mondo, sarà prontamente mutata in gioia spirituale che nessuno potrà loro togliere.

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    Predefinito Dalle "Omelie"sul Cantico dei Cantici di san Gregorio di Nissa.

    Dove vai a pascolare, o buon Pastore, tu che porti sulle spalle tutto il gregge? Quell'unica pecorella rappresenta tutta la natura umana che hai preso sulle tue spalle. Mostrami il luogo del tuo riposo, conducimi all'erba buona e nutriente, chiamami per nome, perché io, che sono tua pecorella, possa ascoltare la tua voce e con essa possa avere vita eterna. "Dimmi, o amore dell'anima mia" (Ct 1, 7). Così infatti ti chiamo; perché il tuo nome è sopra ogni nome e ogni comprensione, e neppure tutto l'universo degli esseri ragionevoli è in grado di pronunziarlo e di comprenderlo. Il tuo nome, dunque, nel quale si mostra la tua bontà, rappresenta l'amore della mia anima verso di te. Come potrei infatti non amare te, quando tu hai tanto amato me? Mi hai amato tanto da dare la tua vita per il gregge del tuo pascolo.
    Non si può immaginare un amore più grande di questo. Tu hai pagato la mia salvezza con la tua vita.

    "Come sei bello, mio diletto, quanto grazioso!" (Ct 1, 16). Da quando nulla d'altro mi sembra bello, da quando mi sono distaccata da tutto ciò che annoveravo fra il bello, mai il mio giudizio sulla bellezza si è sviato al punto da farmi trovare bello qualcosa d'altro se non te, fossero la lode degli uomini, la gloria, la fama, la potenza di questo mondo. Tutte queste cose hanno un'apparenza di bellezza per chi guarda soltanto con i sensi, ma non sono ciò che si può credere. E quel che è onorato in questo mondo esiste solo nel pensiero di chi crede che ciò esista.
    Invece tu, tu sei veramente bello. Anzi, non sei soltanto bello, sei l'essenza stessa del bello; tu permani eternamente uguale a te stesso, sei da sempre quello che sei; non fiorisci in un tempo per avvizzire in un altro, ma il tuo principio si estende a tutta l'eternità della vita. Tu hai per nome: amore degli uomini.

    Fammi sapere dove dimori, perché io possa trovare questo luogo salutare e riempirmi di celeste nutrimento, poiché chi non mangia dì esso, non può entrare nella vita eterna. Fa' che accorra alla fonte fresca e vi attinga la divina bevanda, quella bevanda che tu offri a chi ha sete. Fa' che l'attinga come dalla sorgente del tuo costato aperto dalla lancia. Per chi la beve, quest'acqua diventa una sorgente che zampilla per la vita eterna (Gv 4, 14).
    Se tu mi ammetti a questi pascoli, mi farai riposare sicuramente al meriggio, quando dormendo in pace, riposerò nella luce che è senz'ombra. Davvero il meriggio non ha ombra, quando il sole splende verticale. Nel meriggio tu fai riposare coloro che hai nutrito, quando accoglierai con te nelle tue stanze i tuoi figli.

    Nessuno è stimato degno di questo riposo meridiano se non è figlio della luce e figlio del giorno. Colui che si è tenuto ugualmente lontano dalle tenebre della sera e del mattino, cioè dal male con il suo inizio e la sua fine, questi viene posto dal sole di giustizia nel "meriggio", perché in esso possa riposare.
    Spiegami dunque come bisogna riposare e pascere, e quale sia la via del riposo "meridiano", perché non avvenga che mi allontani dalla guida della tua mano per l’ignoranza della verità, e mi unisca invece a greggi. estranei.
    Questo dice la sposa dei cantici, tutta sollecita della bellezza che le è venuta da Dio e avida di imparare a custodire questa grazia per l'eternità. Però essa non è ancora giudicata degna di udire la voce dello Sposo, perché Dio ha disegni più grandi su di lei. Egli vuole che il preludio del suo gaudio accenda l'amore di lei d'un desiderio più veemente, perché anche la sua gioia cresca con il desiderio che la divora.

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    Da dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, 127-133

    SECONDA DOMENICA DOPO PASQUA *

    Domenica del Buon Pastore.


    Questa Domenica viene designata con l'appellativo popolare di "Domenica del Buon Pastore" perché, alla Messa, vi si legge il brano evangelico di san Giovanni in cui nostro Signore stesso si chiama in questo modo. Un vincolo misterioso unisce tale testo al tempo nostro, poiché è in questi giorni che il Salvatore degli uomini, stabilendo e consolidando la sua Chiesa, cominciò a darle quel Pastore che dovrà governarla fino alla consumazione dei secoli.

    Secondo l'eterno decreto, l'Uomo-Dio, tra qualche giorno, non sarà più visibile quaggiù. La terra lo rivedrà solamente alla fine del tempo, quando verrà a giudicare i vivi e i morti. Nondimeno egli non può abbandonare questa umanità, per la quale si è sacrificato sulla croce, che ha vendicato della morte dell'inferno, uscendo vittorioso dal sepolcro. Egli resterà dal cielo il suo Capo; ma cosa avremo noi, per supplire alla sua presenza sulla terra? Avremo la Chiesa. Alla Chiesa lascerà tutta la sua autorità sopra di noi; è nelle mani della Chiesa che depositerà tutte le verità che ha insegnato; è lei che stabilirà quale dispensatrice di tutti i mezzi di salvezza, che ha destinati per gli uomini.

    I membri della Chiesa.

    Questa Chiesa è una grande società nella quale tutti gli uomini sono chiamati ad entrare: società composta di due generi di membri, gli uni governanti e gli altri governati, gli uni insegnanti e gli altri catechizzati, gli uni santificatori e gli altri santificati. Questa società immortale è la Sposa del Figlio di Dio: è per suo mezzo che genera i suoi eletti. Essa è l'unica madre fuori del cui grembo non vi sarà salvezza per nessuno.

    Pietro costituito Pastore.

    Ma come sussisterà questa società? Come farà a traversare i secoli ed arrivare così sino alla fine del mondo? chi le darà l'unità e la coesione? quale sarà il legame visibile tra le sue membra, il segno palpabile che la designerà vera Sposa di Cristo, nel caso in cui altre società pretendessero fraudolentemente di rubarle l'onore legittimo? Non avremmo corso nessun rischio se Gesù fosse potuto restare in mezzo a noi, poiché dove c'è lui, c'è anche la verità e la vita; ma "egli se ne va", ci dice, e noi non possiamo ancora seguirlo.

    Ascoltate, dunque, e imparate su quale base ha stabilito la legittimità della sua unica Sposa. Durante la sua vita mortale, stando un giorno nel territorio di Cesarea di Filippo, insieme ai suoi Apostoli radunati intorno a lui, li interrogò sull'idea che avevano della sua persona. Uno di loro, Simone, figlio di Giovanni, o Giona, e fratello di Andrea, prese la parola e gli disse: "Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivente". Gesù ricevette con bontà questa testimonianza che non era stata suggerita a Simone da nessun sentimento umano, ma che proveniva dalla sua coscienza, in quel momento divinamente ispirata; e dichiarò all'Apostolo beato che, d'ora in avanti, non sarebbe più stato Simone, ma Pietro. Cristo era stato designato dai Profeti sotto il carattere simbolico della pietra (Is 28,16). Attribuendo così solennemente al suo discepolo questo stesso titolo particolare, dato al Messia, Gesù faceva ben comprendere che Simone avrebbe con lui rapporti diversi da quelli esistenti con gli altri Apostoli. Ma egli continuò il suo discorso: aveva detto a Simone: "Tu sei Pietro" ed ora aggiunse: "e su questa pietra io fonderò la mia Chiesa". Pesiamo le parole del figlio di Dio: "Fonderò la mia Chiesa". Ha dunque un progetto: quello di fondare una Chiesa. Questa Chiesa, però, non è adesso, che egli la fonda; l'opera è ancora differita; ma ciò che sappiamo già con certezza, è che questa Chiesa sarà fondata su Pietro. Pietro ne sarà il fondamento, e chiunque non si appoggerà su Pietro, non farà parte della Chiesa. Ma ascoltiamo ancora: "E le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa". Nello stile ebraico le porte significano le potenze; perciò la Chiesa di Gesù sarà indistruttibile, nonostante tutti gli sforzi dell'inferno. Perché? perché stabile ne è il fondamento. Il Figlio di Dio continua: "Ti darò le chiavi del Regno dei Cieli". In lingua ebraica le chiavi significano il potere di governare, e nelle parabole del Vangelo il Regno di Dio significa la Chiesa che deve essere fondata da Cristo.

    Dicendo a Pietro, che non si chiamerà più Simone, "Ti darò le chiavi del Regno dei Cieli", Gesù si esprime come se gli dicesse: "Ti farò Re di questa Chiesa, della quale tu sarai nello stesso tempo il fondamento". Nulla di più evidente; ma non dimentichiamo che tutte queste magnifiche promesse riguardano l'avvenire (Mt 16).

    Adesso, quest'avvenire è divenuto il presente. Eccoci giunti alle ultime ore di Gesù sulla terra. Il momento è arrivato in cui egli adempirà la sua promessa e fonderà il Regno di Dio, questa Chiesa che doveva costruire quaggiù. Fedeli agli ordini che gli Angeli avevano loro trasmesso, gli Apostoli si sono trasferiti nella Galilea. Il Signore si manifesta sulle rive del lago di Tiberiade, e dopo aver consumato un pasto, che egli stesso aveva loro preparato, mentre stanno attentamente ascoltando le sue parole, chiede improvvisamente al suo discepolo: "Simone, figlio di Giovanni, m'ami tu?".

    Rimarchiamo che in quel momento non si rivolse a lui chiamandolo col nome di Pietro; si riporta a quella volta in cui gli disse: "Simone, figlio di Giona, tu sei Pietro"; vuole che i discepoli sentano il legame che unisce la promessa alla sua realizzazione. Pietro con la solita prontezza, risponde all'interrogazione del Maestro: "Sì, Signore, tu sai che io ti amo". E Gesù, riprendendo la parola con autorità: "Pasci i miei agnelli" dice al discepolo. Poi ripete ancora la domanda: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?" Pietro si meraviglia dell'insistenza con la quale il Maestro sembra incalzarlo; nondimeno risponde con la stessa semplicità: "Sì, Signore, tu sai che io ti amo". Dopo questa risposta, Gesù torna a dire le stesse parole d'investitura: "Pasci i miei agnelli". I discepoli ascoltano rispettosamente questo dialogo: capiscono che, ancora una volta, Pietro è trattato in modo particolare; che, in questo momento, egli riceve qualcosa che essi non avrebbero ricevuto. I ricordi di Cesarea di Filippo tornano loro alla mente e si sovvengono dello speciale riguardo che il Maestro, dopo quel giorno, ha sempre avuto per Pietro. Ma non è ancora tutto finito. Per la terza volta Gesù interpella Pietro: "Simone, figlio di Giovanni, m'ami tu?". A questo punto l'Apostolo non regge più. Questi tre appelli al suo amore, fatti da Gesù, hanno risvegliato in lui il triste ricordo dei tre dinieghi davanti alla serva di Caifa. Sente un'allusione alla sua infedeltà ancora così recente, ed è chiedendo grazia, che questa volta risponde con maggiore compunzione che sicurezza: "Signore, tu sai tutto; tu conosci che io ti amo".

    Allora il Signore, mettendo l'ultimo suggello all'autorità di Pietro, pronuncia quelle parole: "Pasci le mie pecore" (Gv 21).

    Ecco dunque Pietro eletto Pastore da colui stesso che ci disse "Io sono il buon Pastore". Il Signore per prima cosa, e per ben due volte, ha dato al suo discepolo l'incarico di curare i suoi "agnelli"; non era ancora l'elezione a Pastore; ma quando l'incarica di pascere anche "le pecore", tutto l'intero gregge viene posto sotto la sua autorità.

    Si manifesti, ora, la Chiesa; che ella si elevi, che si propaghi! Simone, il figlio di Giovanni, ne è proclamato il capo visibile. È un edificio, questa Chiesa? egli ne è la Pietra fondamentale. È un Regno? egli ne possiede le Chiavi, ossia lo scettro. È un ovile? egli ne è il Pastore. Sì, sarà un ovile, la Chiesa che Gesù sta organizzando in quel momento, e che nel giorno della Pentecoste si rivelerà. Il Verbo di Dio è disceso dal Cielo "a fine di radunare insieme i dispersi figli di Dio" (Gv 11,52). E si avvicina il momento nel quale non vi sarà più che "un solo ovile e un solo Pastore" (ivi 10,16). Noi ti benediciamo, ti ringraziamo, o divino nostro Pastore! Questa Chiesa da te fondata in quei giorni, per mezzo tuo sussiste, ed attraversa i secoli, raccogliendo e salvando tutte le anime che a lei si affidano. La sua legittimità, la sua forza, la sua unità, le vengono da te, Pastore suo onnipotente e misericordioso. Noi ti benediciamo e ti ringraziamo pure, o Gesù, per la previdenza con la quale hai provveduto a mantenere questa legittimità, questa forza, questa unità, dandoci Pietro tuo vicario; Pietro, nostro Pastore in te e per te Pietro, al quale pecore e agnelli devono ubbidienza; Pietro, in cui tu dimorerai visibilmente fino alla consumazione dei secoli.

    Nella Chiesa greca, la seconda Domenica dopo Pasqua che chiamiamo del "Buon Pastore" è designata sotto il nome di Domenica delle sante mirofore o porta-profumi. Vi viene particolarmente celebrata la pietà delle pie donne che portarono i profumi al Sepolcro, per imbalsamare il corpo del Salvatore. Giuseppe di Arimatea ha pure la sua parte, nei cantici di cui si compone l'officio della Chiesa greca durante questa settimana.

    MESSA

    EPISTOLA (Pt 2,21-25). - Carissimi: Cristo ha sofferto per noi, lasciandovi l'esempio, affinché ne seguiate le orme. Egli, che non commise peccato, né ebbe mai frode sulla bocca, venendo maledetto non malediceva, strapazzato non minacciava, si rimetteva nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava. Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sopra la croce, affinché, morti al peccato e sanati dalle sue piaghe, viviamo alla giustizia. Eravate infatti pecore erranti, ma ora siete ritornati al pastore e vescovo delle anime vostre.

    L'esempio di Cristo.

    Il Principe degli Apostoli, il Pastore visibile della Chiesa, ci ha fatto ora udire la sua parola. Osservate come nella fine di questo brano Pietro orienta il nostro pensiero sul Pastore invisibile, di cui è il vicario. Con quanta modestia evita qualsiasi allusione a se stesso. È il medesimo Pietro che, guidando Marco, il discepolo, nella compilazione del suo Vangelo, non volle che vi raccontasse l'investitura che Cristo gli diede su tutto il gregge, ed invece non omettesse niente nel riferire il triplice diniego presso Caifa.

    Con quale tenerezza l'Apostolo ci parla qui del suo Maestro, delle sofferenze da lui sopportate, della sua pazienza, della sua dedizione, fino alla morte, verso le povere pecorelle erranti che dovevano formare il suo ovile! Queste parole, un giorno troveranno applicazione in Pietro stesso. Verrà l'ora in cui sarà anche lui affisso ad una croce, in cui si mostrerà paziente come il suo Maestro in mezzo agli oltraggi ed ai maltrattamenti. Gesù glielo aveva predetto: poiché, dopo avergli affidato pecore e agnelli, aggiunse che sarebbe venuto il tempo in cui Pietro "divenuto vecchio stenderebbe le sua mani" sulla croce e che la violenza dei carnefici si sarebbe praticata sulla sua debolezza (Gv 21). E ciò accadrà non soltanto per la persona di Pietro, ma ad un numero notevole dei suoi successori, che fanno una sola cosa con lui, e che si vedranno, durante i secoli, perseguitati, esiliati, imprigionati, messi a morte. Seguiamo anche noi le tracce di Gesù, soffrendo volentieri per amore della giustizia; noi lo dobbiamo a Colui che, uguale nella gloria a Dio Padre, da tutta l'eternità, si è degnato scendere sulla terra per essere "il Pastore e il Vescovo delle anime nostre".

    VANGELO (Gv 10, 11-16). - In quel tempo: Gesù disse ai Farisei: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecorelle. Il mercenario invece, e chi non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, e lascia le pecore e fugge, e il lupo le azzanna e disperde. Il mercenario fugge perché è mercenario e non gl'importa delle pecore. Io sono il buon pastore e conosco le mie pecorelle, e le mie (pecorelle) conoscono me; come il Padre conosce me ed io conosco il Padre; e per le mie pecorelle do la vita. E ho delle altre pecorelle che non sono di quest'ovile; anche quelle bisogna che raduni, e daranno ascolto alla mia voce, e si avrà un solo ovile e un solo pastore.

    La sottomissione all'unico Pastore.

    O Pastore divino delle anime nostre, come è grande il tuo amore per le pecorelle! Arrivi fino a dare la vita, affinché esse siano salve! Il furore dei lupi non ti fa fuggire; tu ti offri vittima per distogliere da esse il dente mortale che vorrebbe divorarle; sei morto in nostra vece perché eri nostro Pastore. Noi non ci meravigliamo più che tu abbia voluto da Pietro un amore più grande di quello che aspettavi dai suoi fratelli: volevi stabilirlo loro e nostro Pastore.

    Pietro ha risposto con assoluta sicurezza che ti amava, e tu gli hai conferito quel titolo che ti apparteneva, e il potere di esercitare le tue mansioni, perché egli ti rimpiazzasse quando saresti sparito dai nostri sguardi. Sii benedetto, Pastore divino, poiché hai provveduto ai bisogni del tuo ovile, che non poteva conservarsi Uno, se avesse avuto molti pastori senza quello Supremo. Per conformarci ai tuoi ordini, c'inchiniamo con amore e sottomissione avanti a Pietro, baciamo con rispetto i suoi sacri piedi; poiché è, per suo mezzo, che noi raggiungiamo te, e che siamo le tue pecorelle. Conservaci, Gesù, nell'ovile di Pietro, che è il tuo. Allontana da noi il mercenario, che vorrebbe usurpare il posto e i diritti del Pastore. Con profana violenza egli diviene un intruso nell'ovile, dandosi delle arie da maestro, ma non conosce le pecore e queste non conoscono lui. Attirato, non dallo zelo, ma dalla cupidigia e dall'ambizione, fugge all'avvicinarsi del pericolo. Quando non si è mossi che da interessi umani, non si sacrifica la propria vita per gli altri; il pastore scismatico ama se stesso; non ama le tue pecorelle; perché allora darebbe la sua vita per loro?

    Liberaci da questi mercenari, o Gesù! Ci separerebbero da te, staccandoci da Pietro, che tu hai stabilito tuo Vicario. E noi non ne vogliamo riconoscere altri. Anatema chiunque volesse comandarci in tuo nome, e non fosse inviato da Pietro! Falso pastore, non si appoggerebbe sulla pietra fondamentale, e non avrebbe le chiavi del Regno dei Cieli; non potrebbe altro che perderci.

    Accordaci, o nostro buon Pastore, di restare sempre con te e con Pietro, di cui tu stesso sei il fondamento, come egli è il nostro; e allora noi potremo sfidare tutte le tempeste. Tu l'hai detto, Signore: "l'uomo prudente ha costruito la sua casa sopra la roccia. Cadde la pioggia a dirotto, i fiumi strariparono, soffiarono i venti e s'abbatterono su quella casa, ed essa non crollò, perché fondata sopra la roccia" (Mt 7,24-25).

    PREGHIAMO

    O Dio, che con le sofferenze del tuo Figlio, hai rialzato il mondo decaduto, concedi ai fedeli una perenne letizia e, dopo averli liberati dal pericolo della morte eterna, fa' loro godere l'eterna felicità.
    ----------------------------------------------------------------------
    NOTE

    * A seguito della riforma liturgica, quella che è attualmente la III Domenica di Pasqua era la II ed il tema era quello dell'attuale IV Domenica.

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