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  1. #21
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    In Origine Postato da uva bianca
    stò catastrofismo è di molto fuoriluogo
    Sarà fuori luogo per chi vuole tenere gli occhi bendati sugli orrori del mondo.
    Non per chi è vittima delle violenze di preti incapaci di uan vita regolata.

  2. #22
    memoria storica
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    sì ma quanti dei violentaori e stupratori sono gente sposata econ una famiglia o comunque non legati da voto di celibato?
    Non c'è alcuna correlazione tra l'essere un sacerdote e il praticare violenza sessuale!

  3. #23
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    In Origine Postato da uva bianca
    sì ma quanti dei violentaori e stupratori sono gente sposata econ una famiglia o comunque non legati da voto di celibato?
    Non c'è alcuna correlazione tra l'essere un sacerdote e il praticare violenza sessuale!
    fai una piccola indagine su internet mettendo come parole chiave prete e pedofilia.
    Ti renderai conto che tra i 50.000 preti italiani (meno di un italiano su mille) gli autori di violenze sessuali su minore saranno una percentuale per lo meno 200 volte più ampia di questa proporzione tar cittadini italiani e preti.
    Ovvero: un prete ha almeno 100-200 volte più probabilità di compiere violenze sessuali sui minori.
    Tu dici che non c'è un legame col celibato ecclesiastico?

  4. #24
    memoria storica
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    allora nei conflitti dei Balcani ci sono stati centinaia di migliaia di casi di stupro: c'è una correlazione tra l'essere bosniaco e l'essere un violentatore?

  5. #25
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    In Origine Postato da uva bianca
    allora nei conflitti dei Balcani ci sono stati centinaia di migliaia di casi di stupro: c'è una correlazione tra l'essere bosniaco e l'essere un violentatore?
    Qui non si discute degli stupri etnici, ma di quelli ad opera di religiosi.

  6. #26
    memoria storica
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    non c'entra, è che tu tendi a generalizzare quando non ce ne è la possibilità: non è detto che perchè alcuni sacerdoti hanno compiuto delle violenze sessuali allora c'è qualcosa nello stato sacerdotale che li rende deggli stupratori.

  7. #27
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    In Origine Postato da uva bianca
    non c'entra, è che tu tendi a generalizzare quando non ce ne è la possibilità: non è detto che perchè alcuni sacerdoti hanno compiuto delle violenze sessuali allora c'è qualcosa nello stato sacerdotale che li rende deggli stupratori.
    C'è qualcosa in più degli altri esseri umani: la repressione imposta dei rapporti sessuali e delle relazioni amorose.

  8. #28
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    http://www.sciaccaonline.it/article_read.asp?id=12
    Pedofilia al seminario di Agrigento

    INERTE E INDIFFERENTE, IL VESCOVO DI AGRIGENTO NON DENUNCIA IL PRETE CHE ABUSA. INTERVISTA
    AGRIGENTO. Un vescovo viene informato di abusi sessuali commessi da un sacerdote ai danni di un seminarista e non prende alcun provvedimento. Dirà, poi, che la questione non lo riguardava. I drammatici fatti non avvengono nell'ennesima diocesi statunitense, dove il "bubbone" è esploso ormai da anni, grazie anche al coraggio delle vittime e alla dismissione dell'atteggiamento omertoso di persone coinvolte e dei vertici ecclesiastici. Il vescovo in questione è italiano: si tratta di mons. Carmelo Ferraro, che era alla guida della diocesi di Agrigento all'epoca dei fatti e lo è anche adesso.
    Il sacerdote, don Bruno Puleo, ha patteggiato la pena il 7 luglio: gli sono stati inflitti 2 anni e 6 mesi di reclusione (è stato un secondo patteggiamento fra le parti: il primo era per una pena di due anni, che era stata giudicata insufficiente dal gip Luigi Patronaggio). Ha preferito il patteggiamento al processo, che avrebbe molto probabilmente aggravato la sua posizione. Il patteggiamento infatti ha riguardato una sola vittima. Le indagini, condotte dal pm Caterina Sallusti, avevano però riscontrato abusi nei confronti di altri sette ragazzi, sei dei quali dello stesso seminario (quello arcivescovile di Agrigento che si trova a Favara) dove don Puleo, inizialmente diacono, era stato assistente per un periodo che si è concluso nel 1995. Attualmente don Puleo è parroco a Sant'Anna, una piccola frazione nei dintorni di Agrigento.
    Marco Marchese, la vittima che ha sporto denuncia, ha subìto abusi nel seminario arcivescovile di Agrigento a partire dall'età di 12 anni. Oggi ne ha 22, ha lasciato il seminario nel 2000 e, a vicenda giudiziaria conclusa, ci tiene a sottolineare che non era il carcere per il suo "carnefice" lo scopo della sua azione, ma l'emersione di un fenomeno che causa sofferenza indicibile a tanti bambini, con la speranza inoltre che la Chiesa abbia il coraggio di mettersi dalla parte degli offesi.
    Marchese si era deciso a presentare un esposto dopo aver constatato che né il rettore del seminario, don Gaetano Montana, né il vescovo Ferraro - ai quali aveva raccontato tutto - avevano preso provvedimenti per fermare don Puleo.
    Il giorno dopo il patteggiamento, Marco ha inviato al vescovo una lettera molto severa e accorata. "Scrivo proprio a lei che - recita l'apertura della lettera - una sera di novembre del 2000 ha ascoltato, quasi con indifferenza, il mio racconto (…). Scrivo a lei perché sono addolorato e profondamente amareggiato dal suo silenzio", amareggiato "per questa povera Chiesa che si ritrova ad essere guidata da una persona che non ha saputo dirigere il gregge affidatogli, soprattutto i piccoli e gli indifesi". Ne riportiamo il testo integrale nel numero di Adista-documenti allegato.
    Ma Marchese non intende fermarsi a questo: intende procedere in sede civile contro quanti - sicuramente il rettore e il vescovo - hanno omesso di prendere provvedimenti contro don Puleo, malgrado, avendone l'autorità, fosse per loro un obbligo intervenire.
    In ambito ecclesiale, non esiste nel Diritto Canonico un canone riguardante eventuali pene da comminare a chi non denuncia un reato avendone conoscenza. Ma è anche vero che il card. Bernard Law ha subìto così forti pressioni (anche dalla Santa Sede?) proprio per aver "coperto" i preti pedofili della sua diocesi da vedersi costretto, nel dicembre del 2002, a dimettersi da vescovo di Boston. Il Diritto Canonico lascia peraltro molta autonomia di gestione ai vescovi che si trovino di fronte a reati dei loro sacerdoti. Anche se per costoro ci sono canoni precisi. In particolare, per i delitti contro il sesto comandamento, commessi "con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni", il canone 1395, al paragrafo 2, prevede "giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale". Ma non è stato applicato finora contro don Puleo, il quale è stato solo spostato dalla parrocchia, popolosa e ricca di bambini, di Palma di Montechiaro a quella ben più piccola di Sant'Anna, piccolo borgo nella provincia di Agrigento. Spostamento avvenuto però nel 2002: l'esposto di Marco Marchese contro don Puleo è della primavera del 2001. Il vescovo non poteva non esserne a conoscenza.
    Tutta la vicenda è ricostruita qui di seguito nell'intervista che abbiamo realizzato con Marco Marchese.


    Come comincia la tua storia?
    Sono entrato nel seminario minore nel 1994 perché la mia vocazione era di diventare sacerdote. Avevo 12 anni, frequentavo la seconda media. Avevamo come assistente don Puleo, che allora era diacono. Lui aveva per me molte attenzioni, mi faceva anche dei regali. Poi, ai primi di dicembre, mi fece accomodare nella sua stanza e successe il tutto.


    La cosa si ripeté?
    Sì, soprattutto nei giorni di pioggia, perché altrimenti preferivo giocare a calcio e non andavo a riposare con lui.


    Nessuno faceva caso al fatto che andassi a riposare con lui?
    Penso di no, perché capitava che noi ragazzi trascorressimo del tempo in camera sua a chiacchierare. Poi si trattava delle prime ore del pomeriggio, ognuno stava per conto proprio. Questa cosa è durata fino a quando lui, l'anno successivo, è diventato sacerdote e ha lasciato il seminario minore. Il nostro rapporto però è continuato. Lui è diventato il mio padrino di cresima. Io andavo a trovarlo, o in parrocchia o in casa sua.


    Lui continuava con le sue attenzioni verso di te?
    Sì.


    Non riuscivi ad opporti?
    La prima volta rimasi perplesso. Era ovviamente la mia prima esperienza sessuale, precocissima e sbagliata. Lui mi diceva che era solo una questione di amicizia, che la nostra era un'amicizia particolare, mi diceva di non parlarne con nessuno perché avrei suscitato delle gelosie, che era normale il nostro comportamento, che era giusto. Io gli credevo. E mi sono affezionato a lui. Anche se cominciai subito a star male: mi fu diagnosticata una colite nervosa che mi portai dietro per un bel po'.


    Quando hai capito che il vostro rapporto era sbagliato?
    Quando sono andato al liceo, una scuola pubblica, perché nel seminario maggiore non esisteva una scuola superiore, e sono entrato in contatto con altri ragazzi e con le ragazze. Allora avevo minori possibilità di passare del tempo con don Puleo, perché ero impegnato in varie attività comunitarie. Succedeva quando lui chiedeva al rettore del seminario, don Gaetano Montana, che mi inviasse nella sua parrocchia, in occasione delle cosiddette giornate per il seminario in cui si fa raccolta di fondi per le istituzioni di formazione sacerdotale, perché altrimenti non ci vedevamo mai. Sicché andavo nella chiesa dove celebrava.


    Fino a che età hai dunque mantenuto il rapporto con don Puleo?
    Fin verso i 16 anni, perché a quel punto le nostre strade si sono divise: io non volevo più incontrarlo, e anche lui non faceva pressione per vedermi perché, a quanto ho capito dopo, aveva altri ragazzi sotto mano. E in effetti sono venuti fuori i nomi di altri ragazzi vittime delle stesse attenzioni morbose da parte sua.


    Ragazzi del tuo stesso seminario?
    Sei sì. Del settimo non so nulla di preciso.


    In tutti questi anni non ti sei confidato con nessuno?
    Mai. Fino a quando uno degli assistenti che mi accompagnavano a Palermo per una delle tante visite a motivo della colite, e che aveva sentito di strani episodi che accadevano in seminario, riuscì a farmi parlare e mi consigliò di parlare subito con il vice-rettore. A me non interessava fare del male a quell'uomo, ma fare in modo che nessun altro ragazzo dovesse più soffrire quello che io avevo sofferto.


    E andasti dal vice-rettore?
    Sì, il giorno dopo. Mi assicurò che avrebbe parlato con il rettore, che dovevo stare tranquillo, che avrei dovuto pensare agli studi e basta. Non ho avuto nessun tipo di riscontro. Durante un ritiro spirituale parlai anche con il rettore che mi disse che era stato messo al corrente della mia situazione dal vice-rettore e che avrebbe parlato con il vescovo, monsignor Carmelo Ferraro, tuttora in carica. Io mi fidai. Inoltre, se mi capitava di incontrare don Puleo, erano sempre incontri pubblici, ritiri spirituali, ci si salutava normalmente come se i nostri rapporti in passato fossero stati normali e basta. Nel giugno del 2000 lasciai il seminario.


    Quali furono i tuoi passi successivi?
    Continuavo ad aspettarmi qualche riscontro alla mia denuncia. Invece non succedeva niente. Allora chiesi un incontro con il vescovo che mi ricevette subito. Stranamente, perché quando eravamo in seminario, se gli chiedevamo udienza, dovevamo attendere a lungo. Il vescovo mi ascoltò e cadde dalle nuvole. Disse che nessuno mai l'aveva informato di quanto era avvenuto. Io gli confidai la mia paura che don Puleo potesse continuare a fare del male ad altri ragazzi. Aggiunsi anche che il sacerdote andava aiutato perché la pedofilia è una malattia. "Cerchi di fare qualcosa", insistetti, "lei è il padre spirituale di tutti i sacerdoti". Era anche la massima autorità cui io potessi rivolgermi. Il vescovo mi assicurò che ci avrebbe pensato lui e che dovevo stare tranquillo. Mi licenziò regalandomi un libro. Da allora non ho avuto più notizie dal vescovo, non ho più avuto a che fare con lui. Invece il giorno successivo ebbi notizie da don Puleo, perché si precipitò a casa mia e mi rimproverò aspramente perché gli avevo fatto perdere la fiducia del vescovo.


    Dunque il vescovo, in seguito al colloquio con te, l'aveva chiamato?
    Sì. Mi disse che il vescovo lo aveva mandato a chiedermi scusa se mi aveva provocato dei turbamenti.


    Come si è arrivati alla denuncia davanti all'autorità giudiziaria?
    Qualche giorno dopo parlai con il mio parroco, don Giuseppe Veneziano, che tra l'altro era stato suo rettore quando don Puleo era in seminario. Si meravigliò del mio racconto, sia perché don Puleo era stimato in diocesi, sia perché il vescovo non gliene aveva fatto parola. Successivamente mi chiamò per dirmi che aveva parlato col vescovo. "Questa storia con don Puleo è acqua passata, ormai sono anni che è successa, tu stai tranquillo, fatti la tua vita, chiudiamola qui". Intanto però don Puleo continuava a fare il parroco. Era nella parrocchia del Villaggio Giordano, a Palma di Montechiaro.


    Neanche un'ammonizione al prete?
    Non so che dire. Però, a seguito di non so quali vicende, due anni fa, è stato spostato e gli è stata affidata un'altra parrocchia: non è più a Palma di Montechiaro ma in un piccolo paesino nei dintorni di Agrigento, Sant'Anna.


    A causa di altre vicende di pedofilia?
    Beh, tre di questi ragazzi sono di Palma di Montechiaro. Qualcuno avrà saputo qualcosa… Ma non posso dirlo con certezza.


    Don Gaetano Montana è ancora al suo posto?
    Sì, continua a fare il rettore del seminario arcivescovile. Mi chiedo come sia possibile. Altri ragazzi possono passare le stesse mie disavventure e nessuno li difenderà. Dico questo perché, riguardo a don Gaetano, devo aggiungere una cosa. Non avendo raggiunto alcun risultato con i miei colloqui, ho parlato con i miei genitori, i quali hanno contattato un avvocato. Questi, prima di fare l'esposto alla magistratura (presentato poi nella primavera del 2001), ha voluto incontrare il vescovo per capire come mai la massima autorità non avesse preso alcun provvedimento. Il vescovo rispose che lui era super partes, che bisognava prendersela con il prete e che comunque il polverone che sarebbe seguito allo scandalo non conveniva a nessuno.


    Dopo la presentazione dell'esposto cos'è successo?
    Parlai con il Sostituto Procuratore che chiamò tutte le persone che io avevo citato.


    Facesti anche il nome del vescovo fra le persone informate dei fatti?
    Sì, e furono chiamate. Ma non so se fu chiamato anche il vescovo. Fui messo a confronto con il parroco, don Giuseppe Veneziano, e con il rettore, don Gaetano Montana. Il parroco inizialmente negò che gli avevo parlato degli abusi subiti. Poi, caduto in contraddizione, si è trincerato dietro il segreto confessionale. Cosa che non sta in piedi: io non mi ero confidato con lui in confessione. Il rettore non negò, anche se disse che non ricordava bene quando gli avevo parlato della mia storia. Alla domanda: "come mai non parlò con il vescovo?", rispose che era preso da altre cose, c'era da ristrutturare il seminario, e siccome il ragazzo, cioè io, sembrava abbastanza tranquillo, tutta la faccenda si poteva rimandare. Lui parlò con il vescovo quando questi, in seguito al nostro colloquio, lo interpellò.


    Qualche giorno fa, il 7 luglio, don Puleo è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione. Finisce qui o farai ulteriori mosse?
    Intendo intentare una causa civile contro le persone che hanno un ruolo di responsabilità in situazioni del genere. Certamente il rettore del seminario, ma tanto più il vescovo, il quale, pur non avendo responsabilità penale, è civilmente - e moralmente - responsabile. Avrebbe dovuto prendere provvedimenti che non ha preso. A me non risulta che il vescovo sia mai stato interrogato: attendo di prendere visione di tutti gli atti processuali per averne conferma.
    Un'altra cosa che intendo fare, ed è il motivo per cui all'università sto studiando psicologia, è aiutare le persone che subiscono abusi. Per la qual cosa ho già fondato un'associazione, che deve diventare uno sportello di ascolto.

  9. #29
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    http://www.repubblica.it/2004/j/sezi...a/brescia.html

    Le accuse dei genitori, l'imbarazzo della Curia
    Maestre, preti e pedofilia

    BRESCIA - Il processo che si apre oggi ha come imputate due maestre d'asilo di 52 e 50 anni che devono difendersi dall'accusa di pedofilia. In particolare di aver agito da intermediarie tra uomini governati da istinti inconfessabili e i bambini che loro avevano in custodia.

    Sono stati i bambini a raccontarlo. Prima ai genitori, poi ai magistrati sotto il controllo costante degli psicologi. Ma il dibattimento è solo il primo troncone di un'inchiesta in cui sono indagate altre dieci persone per le quali non è stato ancora decisa l'archiviazione o il rinvio a giudizio: altre quattro maestre, tre bidelli e tre sacerdoti.

    UNA CITTA' CHE VACILLA. Dodici persone in tutto che rappresentano in un colpo solo tutto quello che Brescia ha sempre portato come modello: il suo sistema educativo, le sue strutture sociali, la sua vocazione di cooperazione e solidarietà, la sua Chiesa che da quindici secoli ne costituisce l'anima istituzionale, politica e spirituale. Una macchina sociale che rischia di collassare per aver tradito i suoi figli. Per questo da più di un anno, da quando questo incubo collettivo è incominciato qualcosa nell'anima della città si è rotto. Per questo un processo, il processo, c'è già stato. Ed è avvenuto sulla pubblica piazza. E per questo oggi sono in molti a non voler parlare di questa storia a voler spegnere i riflettori.


    LE IPOTESI DELL'ACCUSA. Perché se l'orrore venisse confermato in sede giudiziaria, vorrebbe dire che è successo davvero, che delle maestre avrebbero usato la loro autorità su bambini piccolissimi, dai 3 ai 5 anni, per portarli in alcuni locali con la scusa di farli divertire a feste mascherate. E lì i piccoli avrebbero subito violenze ripetute e continuate da parte di adulti. Che quei racconti, quelle testimonianze che parlano di uomini vestiti da pagliacci, uomini neri e giochi non sono frutto di fantasia.

    LE PIAZZE CONTRAPPOSTE. Il processo in piazza ha tanti protagonisti: parroci che si difendono dal pulpito, sacerdoti che conducono inchieste parallele, associazioni che denunciano l'esistenza di una grande rete criminale pedofila che ha un nodo a Brescia, fiaccolate di solidarietà per gli indagati, interventi del Garante della privacy e dell'Anm. In tutto questo 23 bambini (quelli del processo odierno sono nove) dai tre ai cinque anni e 21 famiglie sono finiti travolti da una storia troppo grande per loro. Genitori schiacciati tra spese legali e terapeutiche. Mariti che cercano lavoro in altre città, mogli che implorano i mariti di farlo.

    LE MAESTRE SOTTO ACCUSA. Mentre il processo incomincia si sta concludendo il primo grado di un altro dibattimento analogo che vede imputati per accuse di pedofilia tre bidelli e una coordinatrice di un'altra scuola materna cittadina. Il precedente, oltre che inquietante, è importante perché le due insegnanti sotto processo oggi, lavorarono anche nella prima scuola. Per loro a settembre 2003 si aprono le porte del carcere. Ci resteranno dieci mesi prima di ottenere i domiciliari. Sono state tirate in ballo dalle parole dei bambini che raccontano di essere stati portati fuori dalla scuola e costretti a "giocare" con altri adulti e da questi fotografati. Con il passare delle settimane, sempre più bambini vengono ascoltati. E nei loro racconti emergono sempre più particolari. Altre persone finiscono sul registro degli indagati. Altre quattro insegnati, tre bidelli. E il livello dello scontro si alza quando tre sacerdoti vengono coinvolti nell'inchiesta.

    LA DIFESA PUBBLICA DEI SACERDOTI. Molti bresciani lo ricorderanno fin che vivranno quel 13 luglio del 2004, quando due parroci si difendono dal pulpito rendendo noto ai loro fedeli di aver ricevuto un avviso di garanzia. Molti bresciani ricorderanno che quel giorno ci fu un grande e lungo applauso di solidarietà a partire dai primi banchi dove sedeva il sindaco. E ricorderanno di aver pensato: come possono uomini con un passato e un presente di prima grandezza nel volontariato, negli oratori, nella vita della città essere anche lontanamente coinvolti in accuse così infamanti? "Non voglio essere ricordato come un prete pedofilo, perché non lo sono", diceva il parroco di San Faustino invocando "una giustizia con le lettere maiuscole che a Brescia spero sia ancora di casa". Da questo preciso momento Brescia, tutta Brescia, è costretta a schierarsi.

    LA CROCIATA. E c'è chi prende molto sul serio questo appello. Uno dei protagonisti del processo di piazza si chiama don Mario Neva, amico degli indagati, ma soprattutto assistente spirituale all'Università Cattolica e nello stesso tempo prete di frontiera che ha tolto le prostitute dalla strada. La sua crociata per difendere gli indagati passa dalle lettere ai giornali, all'organizzazione di fiaccolate di solidarietà al carcere dove sono rinchiuse le due maestre, alla mailing list che, a detta sua, raggiunge un migliaio di persone, alle interviste. "In questi mesi ho preparato un dossier - spiega - in cui ho ricostruito tutta la vicenda. Una contro-inchiesta. Il primo errore giudiziario è incominciato con il primo processo (quello alla prima scuola ndr). Non nego che ci siano preti pedofili, ma nego che ci siano qui a Brescia". Ma allora come è potuto accadere? "Alcuni genitori hanno perso la testa, le perizie e gli incidenti probatori fatti sulle testimonianze dei bambini sono stati viziati da prestazioni psicologiche disastrose e qualche forza politica ha cercato di strumentalizzare la vicenda". Don Neva ha ricevuto anche un richiamo del Garante della privacy per aver fatto pubblicamente i nomi dei genitori di alcuni bambini coinvolti. "Lo sapevo, ma intanto quando mi fermeranno avrò già comunque raggiunto il mio scopo". Quale? "Dimostrare che a Brescia non è successo nulla, salvare la comunità da una ferita che non si sanerebbe neanche in una generazione".

    LA CURIA. Don Neva è solo uno dei protagonisti in campo, ma è una presenza vistosa e battagliera. E' prete di strada ma anche rappresentante di spicco della Chiesa bresciana. Alla domanda: lei non teme che la sua posizione crei imbarazzo alla curia? risponde: "Il mio demone buono, il mio demone socratico, quando ho incominciato una battaglia per la giustizia non mi ha detto fermati. E non me lo ha detto neanche il mio vescovo". La curia si è espressa ufficialmente una volta sola ma in modo preciso e inequivocabile. Il vescovo, monsignor Sanguineti, ha respinto la richiesta di dimissioni dei tre sacerdoti e di altri che avevano fatto la stessa cosa per solidarietà verso gli indagati. E il vicario generale monsignor Francesco Beschi ha scritto una lunga lettera che i parroci hanno letto nel famoso discorso dal pulpito. Si incoraggia "l'accertamento della verità", ma nella sostanza la Chiesa difende i suoi preti. "Pur nella massima comprensione per la grande sofferenza che affligge queste persone (le famiglie e i bambini ndr) - si legge nella lettera - il vescovo desidera comunicare alla vostra comunità parrocchiale la sua personale certezza morale relativamente all'innocenza dei suoi sacerdoti e pertanto li riconferma nel loro incarico, accompagnandoli con la sua paterna vicinanza".

    CLIMA PESANTE. Come la curia, anche le altre istituzioni cercano di tenersi a una distanza siderale dalle urla che si sentono in piazza. O almeno ci provano. Il sindaco (clicca qui per l'intervista) si appella continuamente alla ragione e difende il modello educativo bresciano ma ammette che, "sia in caso di innocenza che di colpevolezza, di fatti accertati o di suggestione collettiva, è chiaro che a Brescia abbiamo un problema serio". In Procura il silenzio sulla vicenda è blindato. Anche perché gli avvocati difensori non hanno mai nascosto di voler far trasferire il processo in quanto il clima in città non consentirebbe un dibattimento sereno. Un'ipotesi, questa, guardata con terrore, oltre che dai magistrati, anche dai genitori che sarebbero costretti a subire fatiche processuali, fisiche ed economiche aggiuntive. Interviene anche l'Associazione nazionale magistrati per far notare che "ripetere in ogni sede che il clima non è sereno significa semplicemente adoperarsi perché non lo sia".

    "CACCIA ALLE STREGHE". Certo il clima proprio sereno non è. Un altro protagonista della vicenda è uno dei bersagli di Don Neva: l'associazione contro la pedofilia Prometeo e il suo responsabile, Massimiliano Frassi. Il gruppo si occupa della vicenda da un anno quando ormai i magistrati hanno già raccolto i racconti dei bambini. Con quale titolo Prometeo viene a Brescia? "Per aiutare i genitori, per ascoltarli, aiutarli a sfogare la rabbia", dice Frassi. Non tutte le famiglie sono d'accordo ad appoggiarsi a Prometeo. Frassi dice cose difficili da sentire come: "Esiste una casistica di pedofilia fatta da predatori con la complicità di persone a contatto con i bambini", "A Brescia è in atto un'operazione per far passare i racconti dei bambini come non attendibili", "Qui c'è un clima da caccia alle streghe contro chi difende le famiglie e invece chi difende i presunti colpevoli viene ascoltato". Facile, date queste premesse, che la tensione raggiunga le stelle quando Frassi si muove. Come quando all'uscita di un convegno, regolarmente attaccato da Don Neva, un uomo accusa Frassi di averlo colpito con un pugno.

    LE FAMIGLIE. E arriviamo all'ultimo anello della storia, le famiglie, l'anello debole. E' gente di ogni classe sociale perché la scuola materna è un mappamondo geografico e sociale. Alcuni di loro sono credenti, altri cattolici praticanti o attivi nella vita sociale della chiesa bresciana. Per alcuni la chiesa è tutto, per altri nulla. Alcuni sono benestanti, altri meno. Hanno bambini in terapia. Hanno un disperato bisogno di silenzio e nello stesso tempo di non sentirsi soli. Vorrebbero svegliarsi da quelle poche notti che non passano insonni come i loro figli e scoprire che è stato solo un brutto sogno. Che i loro bambini sono vittima di una spaventosa allucinazione collettiva ma comunque meno spaventosa di questa realtà. Che nessuno a cui avevano affidato i loro figli ha tradito la loro fiducia. Che continueranno a vivere nella città in cui hanno scelto di vivere. Che quelle urla che si sentono venire dalla città nella piccola stanza in cui alcuni di loro tante volte si sono riuniti non li riguardano. Che i processi si fanno in tribunale.


    (18 ottobre 2004)

  10. #30
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    http://ilrestodelcarlino.quotidiano....62:/2002/02/17

    PALERMO — Un sacerdote è stato arrestato dalla Guardia di Finanza a Partinico, 35 chilometri da Palermo, con l'accusa di pedofilia. Padre Margarito Reyes Marchena, 59 anni, di nazionalità messicana, avrebbe abusato per anni degli ospiti di un istituto per il recupero dei minori a rischio, gestito dalle suore, ma di cui è il cappellano. Le indagini erano state avviate alcuni giorni fa dopo la denuncia presentata alle Fiamme Gialle da un uomo abitante vicino all'istituto e che aveva raccolto le confidenze delle vittime degli abusi sessuali. Il fermo del sacerdote, disposto dal pm Sandra Recchione, è stato già convalidato dal gip. Padre Margarito avrebbe abusato sessualmente di bambini dagli 8 ai 10 anni. Secondo l'accusa, il religioso dall'arrivo a Partinico avrebbe molestato e violentato i maschietti che erano stati tolti ai genitori. Sentiti dal pubblico ministero Sandra Recchione, molti dei bambini hanno ammesso di aver subito per anni violenze sessuali. Il prete finito in galera stava per lasciare l'Italia proprio ieri. I militari gli hanno infatti trovato in tasca un biglietto per un viaggio in Messico.

 

 
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