Il Giorno, 10-04-2005
INTERVISTA
Prodi fa capire che è il ministro dell'Economia in pectore
Mario Monti "flirta" con l'Unione
«Abbiamo la stessa idea d'Europa
BOLOGNA - Alle volte più che le parole contano le impressioni. E così, nonostante da un punto di vista formale Mario Monti non si riconosca ancora in nessuna forza politica, la sensazione diffusa dei partecipanti all'assemblea Api era ieri una sola: Monti è sceso in campo con Romano e da questi ne ha ricevuto la canditura ufficiosa per diventere il ministro dell'Economia del suo, eventuale, governo. Nello stile professorale di Monti la conferma di quello che è molto più di un indizio. A cominciare dal pubblico ringraziamento a Prodi per averlo sempre sostenuto; anche quando, con le iniziative politiche per la difesa rigorosa della concorrenza, era esposto «alle ire di capi di Stato e governo». Al largo sorriso del leader dell'Unione, che su di lui ha detto: «Abbiamo lavorato tanto insieme. Ci siamo formati con filosofie molto simili».
di Maurizio Fedi
BOLOGNA - «Dieci anni di lavoro per dare all'Europa quanto negli Stati Uniti c'era da tempo hanno assorbito energie, molto energie, che, altrimenti, sarebbero state concentrate sulla crescita economica». E' la chiave di lettura dell'ex Commissario alla concorrenza Mario Monti, delle attuali difficoltà del Vecchio Continente nel tenere il passo dell'economia mondiale, espressa dal noto economista nel corso dell'assemblea annuale dell'Api: l'associazione delle piccole imprese che operano all'ombra delle Due Torri. Monti, da razionalista qual' è (divora i saggi, ma non legge romanzi), ha inoltre difeso a spada tratta l'avvento della moneta unica e, riguardo al tema del giorno, l'interesse dei grandi gruppi esteri sulle banche di casa, ha espresso seri dubbi su chi fa un «uso disinvolto del termine italianità». Ce n'è insomma quanto basta per avvicinarlo in separata sede, cercando di approfondire per prima cosa i problemi che solleva l'ultimo capitolo del risiko bancario nazionale. Tenuto conto che l'ex Rettore della Bocconi (ora ne è presidente), fu per quindici anni docente proprio in Bocconi di Teoria e politica monetaria.
Su queste pagine un suo allievo, Donato Masciandaro, l'ha quasi anticipata affermando che in tema di banche l'interesse nazionale ha una valenza politica..
«Dal mio punto di vista l'interesse nazionale è molto importante. Ma spesso lo si invoca a copertura dell'interesse di pochi. Per esempio, il Regno Unito non è andato per il sottile nell'accettare perdere la bandiera britanni ca su imprese e banche. Per' è diventato uno dei luoghi più competitivi per produr re. Ne hanno tratto vantaggio, certo, non i vecchi imprenditori dell'establishment britannico, ma i lavoratori, i consumatori e, ne complesso, il Paese».
Trova corretto che il Commissario al mercato interno, Mc Greevy, abbia ripetutamente invitato Bankita lia a non mettere becco nelle offerte Abn e Bbva?
«Nella sostanza tali esternazioni pubbliche fanno parte dei suoi doveri».
Cosa pensa del nuovo Patto di stabilità?
«Lo vedo un passo avanti da un punto di vista economico, indietro da quello politico».
Come mai?
«Perché il nuovo Patto, essendo stato rifatto, guarda caso, quando Francia e Germania sono andate in difficoltà, ha dato l'impressione che fossero stati adottati due pesi e due misure. Prima era stato infatti applicato rigorosamente a Irlanda e Portogallo».
Impressione o dato di fatto?
«Dato di fatto».
Come giudica l'attuale politica fiscale del governo?
«La priorità per l'Italia non è quella delle tasse, è la competitività. Il cuneo fiscale e contributivo è più rilevante della diminuzione generalizzata della tassazione sulle persone fisiche».
Allude alla necessità di abbattere il costo del lavoro?
«Mi limito a ripetere "che bisogna inserire maggiore competitività -nella nostra economia,. -più politica della concorrenza. Abbiamo un governo che si è dichiarato fin dall'inizio liberale, che ha fatto alcuni passi in questa direzione, ma che è stato molto esitante nel compierne altri».
Trova giustificate le critiche all'euro?
«L'introduzione della nuova moneta ha comportato un gradino più alto nei prezzi in Italia rispetto ad altri Paesi europei. Tuttavia, inviterei sempre a tener presente che se il gradino può essere stato per l'Italia più inflazionistico, a regìme l'ingresso nell'euro per il nostro Paese sarà molto più disinflazionistico che per gli altri Paesi, perché l'inflazione italiana, nel corso dei decenni, aveva superato quella degli altri Stati europei».
Come mai?
«Principalmente per meccanismi come il costo del lavoro, disavanzo e debito pubblico, tassi d'interesse elevati e svalutazioni, che l'avvento dell'euro, direttamente o attraverso la batteria di parametri che lo sorregge, rendono ora impossibili. Se oggi avessimo ancora la lira, avremmo le politiche che stavano con la lira, oltre a un'inflazione molto più elevata di quella, un po' alta, che abbiamo come risultato dell'euro».
Come valuta la politica dell'opposizione?
«Vedo un forte riferimento ideale e programmatico con la costruzione europea e un orientamento di massima in favore di liberalizzazioni e concorrenza. Resta da vedere quanta coesione ci sarà su queste linee».
Nessuna nota stonata?
«Forse l'onorevole Bertinotti. Ricordo che in un dibattito dove sottolineavo la centralità della concorrenza, con la consueta finezza non condivise l'impostazione».
Rimpiange Bruxelles?
«Un po'. Ci ho vissuto dieci anni felicemente. Ora ci vado almeno due volte al mese avendo avuto l'incarico di presiedere un nuovo centro di ricerca sulla politica economica internazionale. Si chiama Bruegel (Bruxelles european and global economie laboratory) e nasce da un'idea del presidente Chirac e del cancelliere Schroeder, a cui si sono associati altri dieci Stati membri, tra cui l'Italia, e una ventina di grandi imprese europee e amencane».