Il ministro degli esteri otttimista dopo il vertice con
il vicepresidente americano: la situazione sta migliorando
Iraq, Fini da Cheney
"Vedo una via d'uscita"
dal nostro inviato VINCENZO NIGRO


Il ministro degli Esteri
Gianfranco Fini
WASHINGTON - "Non c'è soltanto meno violenza, non ci sono soltanto meno attentati: voglio guardare anche al lato positivo delle cose, in molte regioni dell'Iraq ormai inizia ad esserci molta più sicurezza. Dal tunnel insomma si inizia a vedere una via d'uscita". Moderatamente, freddamente ottimista, Gianfranco Fini parla di Iraq dopo il suo incontro con il vicepresidente americano Dick Cheney, al secondo giorno di una visita americana che in mattinata a New York l'aveva portato per mezz'ora di fronte a Kofi Annan. "Con Cheney abbiamo parlato innanzitutto di Medio Oriente, poi di Iraq, e ho voluto ringraziare ancora l'amministrazione Usa per il segnale politico che hanno voluto darci con la commissione mista sul caso Calipari". Il ministro degli Esteri non lo dice ("non so quando finiranno i lavori della commissione mista, ci vorrà tempo, non posso anticiparvi una data") ma i suoi consiglieri confermano che "in dieci giorni al massimo la relazione sulla morte del dirigente del Sismi dovrebbe essere pronta".

Oggi la parte bilaterale del viaggio di Fini continua con un incontro con Condoleezza Rice: "Anche con il Segretario di Stato parleremo di Iraq e di Medio Oriente", dice Fini, "gli impegni presi a Sharm el Sheik dalla comunità internazionale sostanzialmente sono stati rispettati, con le elezioni, con la nascita del nuovo governo multietnico, con i lavori in corso per definire una Costituzione che sia garanzia di pluralismo per l'Iraq". Fini aggiunge che ripeterà ancora alla Rice la sua idea: "Convocare una seconda Sharm-el Sheik, una conferenza che acceleri la riconsegna dell'Iraq agli iracheni". E che permetta di avviare il ritiro dei soldati alleati "in maniera concordata appena ci saranno le condizioni di sicurezza sufficienti".

In mattinata a New York il focus della seconda giornata del viaggio era rimasto la riforma dell'Onu. Con la grande novità di lunedì sera, quando in un salone sconsolato e male illuminato del Roosevelt Hotel, a Manhattan era nato un nuovo "movimento", un inedito "soggetto" politico internazionale: il gruppo di interesse mobilitato da Italia, Corea, Pakistan e Messico che non vuole la riforma Onu così come la chiedono Germania, Giappone, India e Brasile. I primi 4 erano un gruppo di nazioni "invidiose", ingelosite dal fatto che le altre 4 potessero entrare in un Consiglio di Sicurezza riformato, lasciando fuori loro stessi, gli "invidiosi". Da lunedì sera attorno a quei 4 hanno iniziato a ragionare un altro centinaio di Stati (in tutto 119).

Ieri mattinata Fini è andato a sedersi di fronte al Segretario Generale per raccontargli che la riforma così come la vogliono i paesi del G4 preoccupa ben 119 paesi. Nella bella residenza di Sutton Place, Fini è rimasto una mezz'oretta: in verità il primo punto è stato la candidatura di Emma Bonino all'Unhcr. Non è un'autocandidatura - dice Fini - tutto il Governo italiano, "e ragionevolmente buona parte del Parlamento", appoggia il nome dell'ex commissario Ue alla guida dell'agenzia per la protezione dei rifugiati.

Sul secondo punto - la riunione del Roosevelt - Kofi Annan sapeva già molto: "L'Onu aveva i suoi inviati alla riunione di Uniting for Consensus", dice Fini davanti alla casa di Sutton Place. "Io mi sono permesso di ricordare il messaggio che arriva da questi paesi: una riforma affrettata, votata a maggioranza, rischia di dividerci, di farci litigare. Noi non vogliamo che la nuova Onu lasci sul terreno vincitori e vinti".

Il segretario dell'Onu aveva messo in conto il lavoro di sabotaggio delle nazioni "invidiose", ma adesso che il loro numero è diventato troppo grande c'è anche un problema, vero, di rappresentatività politica, di consenso sulla riforma. Dice Fini: "Non c'è un tentativo di accantonare, di insabbiare (come teme il segretario generale, ndr): anche io ho la consapevolezza che in qualcuno possa esserci l'idea di affossare, di mettere in disparte la riforma dell'Onu. Ma c'è pure la tentazione di qualcun'altro ad accelerare, e quindi di far trovare la comunità internazionale di fronte a un fatto compiuto. Una scelta sbagliata, pericolosa: non possiamo fare la riforma dell'Onu con vincitori e vinti".

(13 aprile 2005)
Repubblica