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    Thumbs up Nuovo numero di "Sodalitium"

    Sommario n. 58 - Aprile 2005

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    Editoriale n.58 | Nuovi libri di religione per una nuova religione? | Con Pietro o contro Pietro: “una tragica necessità | L’argomento detto di “resistenza” di san Roberto B | L'Osservatore Romano | Le consacrazioni episcopali secondo il nuovo rito | Importante novità editoriale sulla Liturgia | Cristina Campo, o l’ambiguità della Tradizione






    Editoriale




    Questo numero di Sodalitium, il primo dell’anno di grazia 2005, vede la luce in occasione d’importanti, e spesso tristi, anniversari. Nel 1905, infatti, fu votata in Francia la legge di separazione tra lo Stato e la Chiesa che causò tanti gravi mali alla Chiesa, alla Religione e anche alla civile società. Sessant’anni dopo, nel 1965, si chiudeva il Concilio Vaticano II che, con la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae personae, rivoluzionava la dottrina e il diritto pubblico della Chiesa nei suoi rapporti con lo Stato, accettando il principio, sempre condannato, della libertà religiosa. San Pio X non esitò a condannare severamente la legge di separazione, voluta dal governo francese, con l’Enciclica Vehementer dell’11 febbraio 1906 e la susseguente allocuzione concistoriale del 21 febbraio. Una legge “odiosa”, “iniquissima”, “contraria ai diritti di Dio e della Chiesa”. Giovanni Paolo II, scrivendo ai vescovi francesi l’11 febbraio 2005 per commemorare la legge in questione, parla del “principio di laicità, al quale il vostro paese è molto affezionato” come di un principio che, “se ben compreso”, “appartiene anche alla Dottrina sociale della Chiesa” in quanto ricorda la “necessità di una giusta separazione dei poteri”, elogiando la “non-confessionalità dello Stato”. La Chiesa ha sempre parlato di distinzione tra il potere spirituale e quello temporale (in quanto hanno fini distinti), ma non mai di separazione. Al contrari la Chiesa insegna che deve vigere un’unione tra questi due poteri in sé distinti, e anche una subordinazione di quello temporale a quello spirituale, in virtù della subordinazione dei fini. Giovanni Paolo II va oltre la stessa Dichiarazione conciliare e nello stesso tempo la interpreta “autenticamente”, se mai ce ne fosse stato bisogno, in senso di rottura colla dottrina della Chiesa. Lo stesso si può dire dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sui rapporti della Chiesa colle religioni non cristiane e particolarmente l’ebraismo, che conferma ed aggrava persino quello della Dichiarazione conciliare Nostra aetate: su questo numero troverete nuovamente un articolo sul tema…





    Il tramonto di Giovanni Paolo II invita ad un bilancio, che non può che essere negativo, per la Chiesa e per la fedeltà al deposito rivelato; si conferma così il dovere improrogabile di non accettare i documenti conciliari e quindi l’autorità di chi li ha promulgati e di chi ancor oggi li vuole imporre. In realtà, neppure si dovrebbe parlare di documenti “conciliari”, giacché un Concilio fa sempre parte dell’insegnamento della Chiesa, che non può mai essere rifiutato. Ciò che non possiamo accettare, proprio perché vogliamo aderire alla Fede rivelata quale ci è stata proposta dalla Chiesa, sono l’ecumenismo, la libertà religiosa, la nuova dottrina sulla Chiesa e quella sulle religioni non cristiane, ecc., tutte dottrine già condannate ripetutamente dal Magistero.



    Ci viene chiesto, a volte, il nostro parere su movimenti o pensatori cattolici particolarmente vicini ad alcune nostre posizioni, o che sembrano comunque attaccati ad alcuni aspetti della tradizione della Chiesa. La nostra risposta è sempre la stessa: la prima, essenziale, discriminante è il Vaticano II. Quanti accettano l’insegnamento del Vaticano II (e, le due cose sono inseparabili, l’autorità che lo fa proprio) non edificano la Chiesa ma – per quanto umanamente possibile – la distruggono. Il nostro piccolo Istituto è nato vent’anni fa, dopo tanti altri, per opporsi a questa distruzione, a questo tradimento; a chi ci chiedesse di unirci a quanti hanno finito per accettare le nuove dottrine, magari con una vernice di tradizione, rispondiamo, oggi come ieri: non possumus!





    © Tutti i Diritti Riservati Sodalitium.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Nuovi libri di religione per una nuova religione?





    don Ugolino Giugni





    Il Concilio Vaticano II ha portato ad una vera “rivoluzione” nella Chiesa, introducendo molti cambiamenti nella dottrina e nella prassi liturgica dei cattolici (il più evidente è il N.O.M. cioè la nuova Messa di Paolo VI). Molti cattolici pensano, erroneamente, che i cambiamenti dottrinali siano marginali, e che in fondo “sia quasi tutto come prima” o che questi cambiamenti, se ci sono, siano cose da specialisti, da teologi, da “addetti ai lavori” e che il semplice fedele non è in grado di rendersene conto.



    Le cose non stanno propriamente così! Nel numero 57 di Sodalitium avevamo già messo a confronto un catechismo moderno (e modernista…!) con quello tradizionale; riprendiamo questo tema. Metteremo quindi a confronto quanto viene insegnato oggi a scuola in alcuni libri di religione conformi alla dottrina del dopo-Concilio (tutti rigorosamente approvati dalle competenti autorità ecclesiastiche) e quanto veniva insegnato nel catechismo prima del Concilio (per esempio quello di san Pio X).



    Questo confronto ci fa capire come il cambiamento dottrinale sostanziale operato dal Concilio Vaticano II sia ormai radicato e considerato “dottrina ufficiale”, poiché non si tratta di casi isolati e sporadici ma di prassi d’insegnamento ormai corrente. Poiché questi testi hanno tutti l’imprimatur della C.E.I. la responsabilità di queste, che possono essere considerate “eresie” vere e proprie, è da ricondurre alle attuali gerarchie ecclesiastiche, da Camillo Ruini a Karol Wojtyla, che li hanno approvati con il Nulla Osta, firmati, e dati alle stampe. Per facilitare la comprensione dei testi riporteremo i testi moderni in carattere Helvetica e i nostri commenti in corsivo.







    Negazione della realtà storica del peccato originale





    Nel testo che stiamo per esaminare viene esplicitamente negata la realtà storica del peccato originale e che Adamo ed Eva fossero dei personaggi realmente esistiti. Bisogna notare che se il peccato originale è solo “un racconto inventato allo scopo di insegnare una grande verità” e non un fatto storico, si rende del tutto vana e inutile la Morte stessa, la Redenzione operata da Gesù Cristo e la necessità del battesimo per essere salvi; quindi negare l’esistenza del peccato originale e l’esistenza del male equivale a rendere inintelligibili gli altri misteri della dottrina cattolica. Il testo sarà poi confrontato con il catechismo di S. Pio X e alcuni documenti della Chiesa.







    «La colpa dei progenitori



    I primi esseri umani a popolare la Terra, secondo il racconto della Genesi, sono Adamo ed Eva.



    Il nome Adamo significa “l’uomo”, “l’umanità”, “colui che viene dalla terra”. Eva è un nome che significa invece “la donna”, “la vivente”, “colei che genera la vita”. Adamo ed Eva sono quindi due nomi simbolici, piuttosto che nomi propri di persone reali. È facile perciò capire che Adamo ed Eva non sono due personaggi storici, ma immaginari. Nello stesso tempo, però, sono qualcosa di più: sono il simbolo dell’umanità intera. Nel racconto biblico figurano come i rappresentanti originari (progenitori) di tutta l’umanità. Anche il racconto della loro colpa non è da intendersi come la cronaca di un fatto realmente accaduto, ma è un racconto inventato allo scopo di insegnare una grande verità: l’uomo non è capace di fare tutto il bene che vorrebbe, è debole di fronte alla tentazione; prova vergogna quando trasgredisce la legge; è stato espulso dal “paradiso” che gli spettava per diritto; il lavoro sembra una dura condanna anziché una piacevole attività; la vita, insomma, è un continuo lottare contro se stessi, contro gli altri, contro le forze ostili della natura, contro la morte.



    (Flavio Pajer, la Religione i fatti i segni la vita. SEI — Torino — 2002 — vol. I. Nulla Osta della CEI (prot. 127/02), Roma, 4 febbraio 2002, Camillo card. Ruini. Imprimatur (prot. 2/2002), Torino, 14 febbraio 2002, Fiandino mons. Guido Vicario Generale.







    Catechismo di S. Pio X

    56 D. In quale stato Dio pose i nostri primi progenitori Adamo ed Eva?



    R. Dio pose Adamo ed Eva nello stato di innocenza e di grazia; ma presto ne decaddero per il peccato.



    58 D. Quale fu il peccato di Adamo?



    R. Il peccato di Adamo fu peccato di superbia e di grave disobbedienza.



    59 D. Quale fu il castigo del peccato di Adamo ed Eva?



    R. Adamo ed Eva perdettero la grazia di Dio e il diritto che avevano al cielo, furono cacciati dal paradiso terrestre, sottoposti a miserie nell’anima e nel corpo.







    « Pontificia Commissione Biblica (P.C.B.) (1)

    “Sul carattere storico dei tre primi capitoli della Genesi”



    30 giugno 1909 (sotto papa S. Pio X)



    III. Domanda. Si può in particolare, mettere in dubbio il senso storico letterale in quei capitoli in cui si tratta di fatti che toccano i fondamenti della religione cristiana: tali sono, tra gli altri, la creazione di tutte le cose operata da Dio all’inizio del tempo; la particolare creazione dell’uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l’unità del genere umano; la felicità originale dei progenitori nello stato di giustizia, integrità e immortalità; l’ordine dato da Dio all’uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione dell’ordine divino per istigazione del Diavolo sotto apparenza di un serpente; la perdita dei progenitori di quel primitivo stato di innocenza; e la promessa di un Redentore futuro? Risposta: NO. »







    Se la risposta è no vuol dire che tale senso storico non può essere messo in dubbio, quindi è vero il contrario cioè che questi primi tre capitoli della Genesi (la caduta di Adamo ed Eva è raccontata nel cap. III) hanno un valore storico letterario; affermare il contrario è temerario e disobbedienza grave. Questo documento può essere completato con quelli riportati qui di seguito. Si noti come Pio XII condanni il poligenismo e insegni che il peccato originale è un “peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che [è] trasmesso a tutti per generazione”, ne consegue che Adamo non può essere un personaggio simbolico.







    « Dichiarare a priori che i racconti in essi contenuti [i primi undici capitoli della Genesi] non contengono storia nel senso moderno del termine, lascerebbe facilmente intendere che essi in nessun senso ne contengono, quando invece essi riferiscono con un linguaggio semplice e figurato, adatto all’intelligenza di un’umanità meno progredita, le verità fondamentali presupposte dall’economia della salvezza, insieme alla descrizione popolare delle origini del genere umano e del popolo eletto.



    (Lettera della P.C.B. al card Suhard del 16 gennaio 1948; sotto Papa Pio XII).







    « (…) Però quando si tratta dell’altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (cfr. Rom. V, 12-19; Conc. Trident., sess. V, can. 1-4). » (Pio XII Lett. Enc. Humani Generis , 12-8-1950)







    Si possono inoltre citare i canoni del Concilio di Trento nel “Decreto sul Peccato Originale” (5° sess. 17-06-1546) nei quali si parla di Adamo ed Eva come persone fisiche e non simboliche che hanno trasmesso realmente alla loro discendenza il Peccato Originale [Ds 1510-1516].



    L’evoluzionismo sdoganato





    Sempre nel testo di religione già citato, viene proposto e insegnato l’evoluzionismo come una verità acquisita e indiscutibile usando una terminologia presa in prestito dalla biologia alla dottrina cristiana. Inoltre qui non viene assolutamente insegnata la creazione dell’uomo da parte di Dio ma agendo proprio “come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente” si contraddice Pio XII (Humani generis). È da notare però che questo testo è posteriore a quel famoso discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze del 22 ottobre 1996 in cui Giovanni Paolo II spezzava ben più di una lancia in favore dell’evoluzionismo, affermando che “nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi”. Questo discorso venne recepito come una vera riabilitazione di Darwin da parte della Chiesa. (Al proposito si può leggere quanto già pubblicato su Sodalitium n. 45, aprile 1997, rubrica Osservatore Romano “Karol Wojtyla, l’evoluzionismo e monogenismo”). Metteremo questo passo a confronto con la prudenza dell’insegnamento di Pio XII in merito alla teoria dell’evoluzione.







    L’origine del culto dei morti



    L’avventura dell’uomo è cominciata nella notte dei tempi. I primi esseri somiglianti all’uomo, gli ominidi, risalgono a 4 o 5 milioni di anni fa. Vivevano inizialmente nelle foreste dell’Africa, e si sparsero poi anche negli altri continenti. Lo sappiamo dai resti di scheletri ritrovati in numerosi scavi archeologici. Con il passare dei millenni quegli ominidi impararono a usare strumenti di pietra e di legno (Homo habilis), a muoversi in posizione eretta (Homo erectus), a usare il fuoco, a comunicare con un linguaggio e a vivere in gruppi (Homo sapiens). Quest’ultima fase dell’evoluzione risale a circa 200.000 anni fa. Ne abbiamo testimonianza con il ritrovamento dell’uomo di Neandertal, dal nome della località tedesca in cui fu ritrovato il primo scheletro di Homo sapiens. Con lui ebbe inizio un comportamento assolutamente originale: l’uomo cominciò a dare una sepoltura ai propri morti. Perché? Gli studiosi non lo sanno con certezza. Fu una tappa misteriosa nel cammino verso la civiltà. Quello che è sicuro è che l’essere umano stava distinguendosi sempre più nettamente dal resto del mondo animale. (2):







    Pio XII e l’evoluzionismo





    Humani Generis (I grassetti sono redazionali)



    « Per queste ragioni il Magistero della Chie_sa non proibisce che in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l’ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede (Cfr. Allocuzione Pont. ai membri dell’Accademia delle Scienze, 30 novembre 1941; A. A. S. Vol. , p. 506). Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela ».







    Discorso ai partecipanti al Primo Congresso Internazionale di Genetica medica, 7 settembre 1953.



    « D’altra parte, non si conosce nessun processo naturale mediante il quale un essere ne produca un altro di natura differente; che il processo con cui una specie ne genera un’altra resta del tutto impenetrabile, nonostante i numerosi stadi intermedi; che non si è ancora riusciti sperimentalmente a far derivare una specie da un’altra specie; e finalmente che noi non sapremmo assolutamente a quale stadio di evoluzione l’ominide ha varcato di colpo la soglia dell’umanità. (…) Si crede di dover dire che le ricerche sull’origine dell’uomo sono ancora ai loro inizi; che la rappresentazione che oggi se ne fa non può essere considerata come definitiva ».







    Qualche “perla” di Modernismo





    Molti sono i punti sinceramente discutibili che si possono trovare oggi nei libri per l’insegnamento della religione a scuola. Ne citeremo alcuni dandone un breve commento.



    Elogio del pacifismo: «[I primi cristiani] erano convinti pacifisti, e si rifiutavano persino di portare le armi o di intraprendere la carriera militare» (3). Ciò è assolutamente falso poiché sono tantissimi i santi canonizzati che furono militari nei primi secoli e in quelli successivi, basti citare san Sebastiano centurione della guardia personale dell’imperatore Diocleziano, da lui fatto trafiggere con le frecce, e san Martino anch’egli soldato prima di diventare Vescovo di Tours, per non parlare di san Maurizio con tutti i suoi compagni della legione tebea. Nel medioevo si possono citare S. Luigi re di Francia, S. Giorgio e con loro tantissimi altri. Papa S. Pio V riunì un esercito di cristiani per sconfiggere la flotta musulmana a Lepanto. La chiesa, nella sua storia, non ha mai predicato il pacifismo ma piuttosto il compimento dei propri doveri anche per coloro che sono sotto le armi, secondo l’insegnamento di S. Paolo nell’epistola ai Romani. La difesa della patria, della famiglia, della cristianità è un dovere ben preciso in giustizia, laddove si tratti di una guerra giusta.



    La sacra gerarchia: «Già nel II-III secolo appare assai chiaramente nelle comunità una struttura gerarchica comune, con la terna: “vescovo-preti-diaconi”» (4). «A lungo andare, gli uomini di Chiesa diventano uomini di potere: si crea la categoria degli ecclesiastici, distinta e separata da quella dei laici» (5). In questi due passaggi si insinua che la gerarchia ecclesiastica non sarebbe di istituzione divina cioè ad opera di Gesù Cristo che scelse gli apostoli (“Salito sopra il monte, chiamò a sé quelli ch’Egli stesso volle ed essi andarono a Lui: E stabilì che i dodici stessero con lui e li potesse mandare a predicare” Mc. III, 13-14), li ordinò sacerdoti (“fate questo in ricordo mio” I Cor. XI, 24) dando loro un ruolo preminente e di governo nella Chiesa primitiva (“andate per tutto il mondo predicate l’Evangelo ad ogni creatura” Mc. XVI, 15), separandoli dal resto della plebe cristiana, come si può facilmente evincere da un’attenta lettura dei Vangeli. La struttura gerarchica e monarchica della Chiesa è stata quindi voluta dal Signore stesso e non si è affermata solo nel II-III secolo. Il magistero infallibile della Chiesa, nel Concilio di Trento, infatti, insegna: “Se qualcuno dirà che nella Chiesa cattolica non vi è una gerarchia istituita per una divina disposizione, che si compone di vescovi, di sacerdoti e di ministri, sia anatema” (Sessione XXIV, 11 nov. 1563, DS 1776).



    La pacificazione della Chiesa è un male?: «Tramonta un’epoca in cui la fede cristiana era una scelta volontaria, rischiosa, di pochi, per diventare una comoda abitudine delle masse. Ora si nasce cristiani; peggio ancora, si nasce in una “società tutta cristiana”» (5). Qui l’autore sembra dimenticare che anche i primi cristiani trasmettevano la fede ai loro figli facendoli battezzare da piccoli poiché stimavano giustamente che ciò che era un bene, una grazia per loro lo era anche per i loro figli, che non dovevano vivere privati della grazia santificante ricevuta nel battesimo. Ciò che è “peggio ancora” per Pajer è la fine delle persecuzioni nei confronti della Chiesa da parte dell’Impero. Il ricevere la fede fin dall’infanzia e il vivere in una società cristiana è una grazia inestimabile da parte di Dio che facilita molto la salvezza delle anime, della quale il buon cattolico deve rallegrarsi poiché si realizza così la “pax Christi in regno Christi”. Ma si “rassicuri” [il luterano?!] Pajer: questo privilegio che Dio concesse alla Cristianità nel Medioevo si sta perdendo ai nostri giorni nelle società sempre più decristianizzate, grazie anche agli insegnamenti di autori come lui…



    Elogio degli eretici che sarebbero come S. Francesc «... Alcuni cristiani però (…) si fidavano di più della propria coscienza che delle norme imposte dall’autorità; invece di invidiare la ricchezza degli ecclesiastici preferivano tornare a una vita semplice e povera come quella di Cristo; non pensavano che la vita cristiana consistesse nel moltiplicare le pratiche di devozione, ma nell’intervenire a sanare i mali della società e della politica; e, soprattutto, in una società piena di conflitti, desiderosa di fare battaglie in nome della fede, avevano nostalgia di pace, di fraternità... È quello che hanno tentato di realizzare, per esempio, Pietro Valdo e i suoi seguaci a Lione e i Catari ad Albi. E, con molto più successo Francesco in Italia» (6). Qui San Francesco d’Assisi (che molto più democraticamente è chiamato solo più Francesco…) viene messo sullo stesso piano degli eretici Pietro Valdo, Catari e Albigesi che negavano l’autorità della Chiesa, la sua santità e i suoi dogmi insegnando dottrine empie. L’unica differenza sembra essere che “Francesco ebbe più successo in Italia” degli altri, che invece dalla [cattiva!] Chiesa furono condannati come eretici.



    Elogio di Lutero e del protestantesimo: «Ciò che non riuscirono a fare questi [Wyclif, Hus, Erasmo, Savonarola, che vengono lodati come “significativi esempi di ribellione a Roma”] e altri riformatori, riuscì invece a farlo Martin Lutero (...) giovane monaco (...) “innamorato” della Bibbia». «La riforma di Lutero ebbe un rapido success (...) per il vasto consenso del popolo, che ritrovava un cristianesimo semplificato...» (7). Per Pajer Lutero era solo un “innamorato della Bibbia” (mentre i cattolici probabilmente la odiavano… a sentire lui), non una parola sulla corruzione morale di Lutero, sul modo in cui visse e morì questo “grande riformatore” e sugli appoggi politici di cui godette da parte dei principi tedeschi e che furono una delle vere ragioni del suo successo. Dopo aver infangato la Roma rinascimentale, e aver lodato i “significativi esempi di ribellione” di Wyclif, Hus ed Erasmo, l’autore espone in modo compiaciuto la dottrina luterana di un “cristianesimo semplificato” che attira la sua ammirazione a evidente discapito di quella dell’ortodossia cattolica. Non contento di ciò Pajer deplora l’istituzione dell’“Indice dei libri proibiti” e la “ingiusta condanna di Galileo (citando le solite trite e ritrite menzogne su questo caso…) come “effetti indesiderati e deplorevoli della riforma cattolica”.



    Povera Chiesa, povera storia così maltrattata, e poveri ragazzi così ingannati da un “teologo” luterano che si spaccia per cattolico, che può vendere i suoi libri per l’insegnamento della religione (quale religione?...), con l’approvazione della Conferenza Episcopale Italiana. Vescovi e “papa” stanno a guardare mentre “questo lupo in veste di pecora” (Matt. VII 15) può impunemente infangare la Santa Chiesa e far perdere la fede a quei poveri ragazzi che devono studiare sui suoi libri. Per fortuna l’ammonimento del Signore “dai frutti li riconoscerete” (Matt. VII 16) ci permette di riconoscere i “falsi profeti”.







    Un libro di [irr]religione mondialista e multiculturale per la scuola elementare







    Esaminiamo ora il libro dal titolo “Come l’albero. Testo di religione cattolica per il primo ciclo della scuola elementare” a cura di Silvia Dondi e Pierangela Tani (8). Nella presentazione, sulla seconda pagina di copertina, leggiamo che «Il Testo sottolinea anche le dimensioni di “mondialità” e di “interculturalità” che i bambini di oggi respirano intorno a sé e che vanno educate nel senso del “rispetto per ciò che è diverso” e della solidarietà universale».



    È come minimo inquietante sentire parlare già di “mondialismo”, di “multiculturale” in un libro “di religione” destinato ai bambini della prima e seconda elementare. La religione cattolica è, per definizione, universale (cattolico = universale) cioè adatta a tutti i popoli di tutti i tempi, di tutte le latitudini e culture. La dottrina cattolica deve permeare tutta la società e cambiarla dal di dentro come il lievito con la farina, pur lasciando ad ogni popolo le sue peculiarità e le sue tradizioni. Il mondialismo, che è idea di origine massonica, invece tende a livellare le differenze, le tradizioni, ad appiattire tutto e si oppone quindi all’idea cattolica. A quanto sembra, quindi, l’intenzione dei curatori di questo libro non è quella tradizionale di un buon catechismo, cioè di formare dei bambini che siano un giorno dei buoni cristiani ma piuttosto di preparare i futuri cittadini della “civiltà globale” [secondo le massime della F .·. M .·.] che siano mondialisti e multi-culturali, ma soprattutto indifferenti verso la verità e tolleranti verso ogni errore e religione (soprattutto se falsa!).



    L’interculturalità e l’indifferentismo di questo testo viene subito messa in risalto a pagg. 9-10 nella “unità didattica 2”:







    «I POPOLI DEL MONDO RICONOSCONO... E LODANO IL CREATORE



    COSÌ SAN FRANCESCO LODAVA IL CREATORE:



    Lodato sii, mio Signore, per tutte le tue creature. Per fratello sole, per sorella acqua, per la madre terra che dona frutti, fiori ed erba.



    ECCO UNA PREGHIERA DEI POPOLI AFRICANI:



    Tu sei il nostro padre, o Dio! Oh, noi ti vogliamo lodare! Oh, noi ti vogliamo ringraziare! Te padre dei padri! Te, o Signore! Te, o Dio!



    CON QUESTA PREGHIERA GLI ANTICHI EGIZI INVOCAVANO DIO:



    Tu sei Colui che dà la vita al figlio nel grembo della madre. Tu soffi il tuo alito in ciò che hai creato. Nel giorno della nascita tu gli apri la bocca alla parola. E Io nutri perché non pianga.



    ALCUNI POPOLI DELL’ASIA COSÌ LODANO DIO:



    A te io grido sperando nel tuo aiuto. Tu, o Dio saggio, sei Signore di ogni cosa, sei Re della terra e del ciel ascoltami!»



    I PELLEROSSA COSÌ INVOCANO IL GRANDE SPIRITO:



    Fa’, o grande spirito, che io ami tutti gli uomini che popolano la terra. Fa’ che possa dividere il mio cibo con chi ha fame, che possa far sorridere chi piange. Solo così, o Signore, mi sentirò vicino a te.







    Questo passaggio, che è la seconda lezione che viene impartita ai bambini ha come scopo di inculcare bene nelle loro piccole testoline che in fondo tutte le religioni sono uguali, che il Dio Cristiano di san Francesco [strano che qui sia rimasto “san” e non sia solo Francesco…!], quello degli animisti africani (anche degli adoratori dei serpenti?!), dei politeisti pagani egiziani antichi, dei buddisti o induisti dell’Asia e dei pellerossa dell’America del nord, è in fondo lo stesso e non c’è nessuna differenza tra uno e l’altro. Al di sopra di queste diverse manifestazioni del creatore e dei modi diversi di “riconoscere” la divinità (adorare sarebbe una parola troppo forte…) c’è un Dio non meglio identificato che va bene per tutti (probabilmente il massonico G.A.D.U., il grande architetto dell’universo…). Questo modo di procedere porta all’indifferentismo religioso di cui si è già detto sopra.



    Invano abbiamo percorso le 32 pagine di questo libretto cercando la parola “SS. Trinità”, sperando che almeno nei capitoli successivi venisse spiegato questo dogma fondamentale del cristianesimo. Niente di niente! Del Dio Uno e Trino non c’è traccia. La vera natura di Dio non viene né spiegata né menzionata! Forse non si vogliono ferire i “fratelli musulmani” o i “fratelli maggiori”, gli ebrei? Ma questo libro non si definisce nel sottotitolo “Testo di religione cattolica per il primo ciclo della scuola elementare”? Come si può pretendere di insegnare la religione cattolica e non parlare della SS. Trinità? Credo che le nostre legittime domande resteranno senza risposta, ma serviranno a far riflettere i nostri lettori.



    Altre omissioni colpevoli. Sarebbe troppo lungo elencare tutti gli errori riscontrati in questo “libro di religione” (che sarebbe più corretto chiamare libro di irreligione!): ci limiteremo a segnalare alcune omissioni, a nostro avviso, gravissime. Non abbiamo trovato il dogma del “peccato originale” che è rimpiazzato da un più semplice “la disobbedienza e la promessa”. Poiché non viene spiegata la nozione di peccato, di colpa, di conseguenza non si trova il concetto di “redenzione” (un altro mistero principale della nostra Fede che viene omesso volontariamente). In effetti, se non si sa che cos’è il peccato non si capisce a cosa serva la redenzione e da che cosa gli uomini dovrebbero essere riacquistati; questi concetti fondamentali vengono rimpiazzati da un vago e indefinito “Gesù. Egli nasce per tutti” (9) e “Gesù aiuta chi soffre” (10). Di Gesù si dice che è il “figlio di Dio” ma ciò è insufficiente ed equivoco (ogni cristiano è “figlio di Dio” per adozione tramite la grazia santificante; Gesù lo è per Natura) se non si afferma chiaramente che Egli è Dio e non si spiega che nella sua Persona sono unite la natura divina con quella umana. La stessa resurrezione (“La luce del risorto illumina il mondo”) è piuttosto inintelligibile a causa della precedente omissione del peccato originale. Anche i 10 comandamenti ed i 7 sacramenti sono omessi; forse anch’essi sono considerati superati o non più alla moda. La tattica del modernismo consiste infatti nella non-affermazione di una verità che viene così “superata” e non più creduta.



    Modernismo. In conformità con la Nuova Messa di Paolo VI è la definizione di «altare. È una tavola sempre “apparecchiata”, che ci ricorda l’ultima cena di Gesù» (11).



    A pag 17 troviamo una Poesia multietnica dove l’accento negativo è posto sugli angeli e sui pastori, personaggi tradizionali del Presepio cattolic «HO NEL CUORE UN PRESEPE / SENZA ANGELI IN VOLO, CON / SOLO UN VAGITO DI BIMBO. / NON VOGLIO PASTORI / NÉ GREGGI SUI MONTI, / MA UN MAZZO DI CUORI / E PUPILLE DI VOLTI AFRICANI, / CINESI E INDIANI».



    Il giudizio complessivo su questo testo non può essere che profondamente negativ esso in tutto quello che non dice favorisce l’errore, è confuso, porta all’indifferentismo e contribuisce a dare della religione un’immagine edulcorata e forzatamente buonista; proprio secondo i dettami del Vaticano II.







    Conclusione





    È molto triste constatare che dei libri così eterodossi (per non dire eretici) sono stampati con le debite approvazioni ecclesiastiche della CEI firmate dal card Ruini. Ci chiediam ma i vescovi che li fanno adottare nelle loro diocesi li hanno letti questi libri? Con che coscienza permettono che simili enormità siano insegnate (o verità fondamentali siano taciute) ai bambini ed ai ragazzi cattolici? Questi libri sembrano proprio insegnare una “nuova religione” che non è quella cattolica. I vescovi e le autorità ecclesiastiche competenti hanno il preciso dovere di vigilare sull’ortodossia dei testi a cui danno l’imprimatur come esortava San Pio X nella enciclica Pascendi contro i modernisti: “...adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. [...] Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Imprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nell’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi (…). È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino [...]. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridìo dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica «Officiorum»: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi”. Speriamo che quest’articolo faccia riflettere chi di dovere, e se prima c’è stata negligenza ora si intervenga per porre fine all’insegnamento di dottrine così eterodosse (12), affinché la verità trionfi e l’errore sia condannato.



    Un’ultima riflessione: quanto sono lontani dalla chiarezza e dalla semplicità del catechismo di S. Pio X questi libri di religione moderni (e modernisti); sono lontani anche dal “est est non non” evangelico! Pensando, infine, ai poveri fanciulli che su questi testi si devono “formare” ci viene in mente il Vangelo dove il Signore dice: “Ma quando il Figliuol dell’uomo verrà, troverà ancora fede sulla terra?” (Lc. XVIII, 8). Pensando a coloro che questi testi li hanno scritti ed a coloro che li hanno approvati ci viene in mente quell’altro passaggio del Vangelo in cui Gesù dice: “È impossibile che non succedano scandali; ma guai a colui per colpa del quale succedono! Sarebbe meglio per lui che gli fosse messa una macina da mulino al collo e fosse gettato in mare piuttosto che scandalizzare uno di questi pargoli” (Lc. XVII, 1-2).



    Note





    1) Il cattolico è tenuto a sottomettersi con assenso interno ai decreti della Pontificia Commissione Biblica in quanto si tratta di organo della Santa Sede equiparato alle Sacre congregazioni Romane, come affermava papa S. Pio X: “Per questa cosa, vediamo di dover dichiarare e decretare, come con il presente atto dichiariamo ed espressamente decretiamo, che tutti sono tenuti in coscienza a sottomettersi alle decisioni del Pontificio Consiglio Biblico, sia quelle finora già emanate, sia a quelle che saranno emanate nel futuro, allo stesso modo che ai decreti delle sacre congregazioni riguardanti la dottrina approvati dal pontefice; e che per coloro i quali avversano tali decisioni verbalmente o per iscritto non possono evitare la nota tanto di disobbedienza, quanto di temerità, né perciò sono esenti da colpa grave; questo indipendentemente dallo scandalo che arrecano e dalle conseguenze in cui possono incorrere davanti a Dio per ulteriori temerità ed errori pronunciati in aggiunta, come accade nella maggior parte dei casi” (Le decisioni della P.C.B. e le pene contro i trasgressori delle prescrizioni antimodernistiche, motu proprio di S. Pio X 18/11/1907, in EB 271 D 2113)



    2) Flavio Pajer, la Religione i fatti i segni la vita. SEI - Torino - 2002 - vol. I. Nulla Osta della CEI (prot. 127/02), Roma, 4 febbraio 2002, Camillo card. Ruini. Imprimatur (prot. 2/2002), Torino, 14 febbraio 2002, Fiandino mons. Guido Vicario Generale.



    3) Flavio Pajer, la Religione i fatti, i segni, la vita, SEI, Torino, 2002, vol. II, pag. 12. Ma chi è questo autore che maltratta così la S. Chiesa, sua Madre? Cercando su internet ho scoperto che “Flavio Pajer è docente di Pedagogia e Didattica delle religioni presso la Pontificia Università Salesiana di Roma e l’Università Cattolica di Abidjan (Costa d’Avorio). Si è occupato di teorie dell’educazione, con particolare riguardo all’educazione religiosa, e della questione della libertà religiosa nella società europea, all’uscita dalla modernità e all’egemonia culturale della tradizione cristiana”. Pajer si rivela essere un ecumenista accanito poiché nel 2000 è cofirmatario, assieme ad alcuni teologi protestanti, di una “Dichiarazione congiunta dei teologi cattolici Flavio Pajer, Carlo Molari e Luca De Santis e dei teologi evangelici Ermanno Genre e Paolo Ricca” con la quale essi criticano la “Nota sull’espressione ‘chiese sorelle’” e la Dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della fede del card. Ratzinger. In questa dichiarazione congiunta si afferma tra l’altro che : «La scelta ecumenica è irreversibile per tutti. Da parte cattolica è stato autorevolmente affermat “Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all’ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i ‘segni dei tempi’ (Ut unum sint, n.3)». Pajer ha lavorato alla «edificazione della “casa comune” della cristianità europea, nelle assemblee di Basilea (1989) e Graz (1997)» e alla “Dichiarazione comune sulla giustificazione per fede” della Chiesa cattolica e della Federazione delle Chiese luterane, nonché al “Testo comune sui matrimoni misti” approvato dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa valdese. Eppure questo “teologo ecumenista” che critica (da sinistra) Ratzinger sembra godere della piena fiducia della CEI che gli concede l’Imprimatur per i suoi libri e li adotta per l’insegnamento della Religione nelle scuole. “Dimmi con chi vai ti dirò chi sei…” recita il detto popolare.



    4) Flavio Pajer, op. cit. pag. 19.



    5) Flavio Pajer, op. cit. pag. 28.



    6) Flavio Pajer, op. cit. pag. 40.



    7) Flavio Pajer, op. cit. pag. 53-54. Qualche riga prima viene Lodato il boemo: “Jan Hus che accettò il supplizio del rogo per difendere il primato del Vangelo contro la prepotenza del potere politico e l’autoritarismo della Chiesa”.



    8) Anche questo libro ha il Nulla Osta della CEI, del 14/10/1996 firmato dal card Camillo Ruini, e l’Imprimatur della curia di Bologna (22/10/1996).



    9) “Come l’albero. Testo di religione…” op. cit. pag. 17.



    10) “Come l’albero...” op. cit. pag. 23.



    11) “Come l’albero...” op. cit. pag. 30.



    12) L’ortodossia dell’insegnamento della dottrina religiosa ai fanciulli è sempre stata una preoccupazione costante della Chiesa e degli ultimi papi come si può capire dalle citazioni riportate di seguito che completano quelle della Pascendi di S. Pio X.



    Pio VII: “DIU SATIS” (15 Maggio 1800): «... ma soprattutto i fanciulli e gli adolescenti reclamano la vigile, zelante, attiva opera del vostro paterno amore e della vostra benevolenza [...] Considerate attentamente a quali uomini siano affidati i fanciulli e gli adolescenti nei seminari e nei collegi, in quali discipline siano istruiti, quali maestri siano scelti nei licei, che lezioni si tengano; sorvegliate assiduamente, indagate, esplorate ogni cosa; scacciate e tenete lontani “i lupi rapaci che non risparmiano” il gregge degl’innocenti agnelli; e se per caso si sono introdotti in qualche luogo spingeteli fuori e sterminateli immantinente, “secondo il potere che Dio vi diede per l’edificazione”».



    Pio IX: “NOSCITIS ET NOBISCUM” (8 Dicembre 1849): «Siate vigilanti perché nelle scuole, soprattutto per ciò che riguarda la Religione, si faccia uso di libri immuni da qualsivoglia benché lieve sospetto di errore».





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    Con Pietro o contro Pietro: “una tragica necessità d’opzione”



    don Ugo Carandino



    Negli ultimi tempi i sacerdoti brasiliani di Campos, discepoli di Mons. De Castro Mayer, hanno suscitato, in due distinte occasioni, enorme scalpore negli ambienti della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX). La prima nel dicembre 2001, quando l’allora superiore Mons. Licinio Rangel (nel frattempo defunto) sottoscrisse il documento di Giovanni Paolo II che concedeva la cosiddetta “Amministrazione Apostolica Personale San Giovanni Maria Vianney”; la seconda l’8 settembre 2004, quando il nuovo superiore, Mons. Fernando Rifan, ha partecipato in un santuario di San Paolo a una concelebrazione, insieme ad altri vescovi brasiliani, secondo il rito di Paolo VI.

    Ora, nella Chiesa Cattolica, il fatto che un vescovo sia sottomesso al Papa e che celebri il rito della Messa con altri vescovi non dovrebbe suscitare nessun scalpore. Lo scalpore semmai dovrebbe essere provocato dal caso contrario, qualora un vescovo non fosse sottomesso al Pontefice regnante e si rifiutasse di celebrare un rito promulgato dalla Chiesa.

    Ma allora chi ha ragione: la FSSPX, che accusa Mons. Rifan di tradimento o Mons. Rifan che accusa di essere scismatici coloro che non seguono il suo esempio? Potremmo affermare che entrambi hanno in parte ragione e in parte torto: vediamo in che modo e perché.

    La FSSPX ha ragione a condannare la condotta di Mons. Rifan: l’accordo con Giovanni Paolo II implica il riconoscimento di tutti gli errori dottrinali del Concilio Vaticano II e l’accettazione del rito della Messa riformato da Montini, che per lunghi anni sono stati la causa dell’aspra contrapposizione tra Mons. De Castro Mayer e il Vaticano. (1) Ma, a sua volta, ha ragione Mons. Rifan a condannare la posizione della FSSPX, perché ogni cattolico deve essere sottomesso all’autorità della Chiesa rappresentata dal Romano Pontefice.

    Di conseguenza per capire dove sta veramente la ragione e dove sta il torto, appare fondamentale il giudizio su colui che oggi occupa materialmente il trono di Pietro. Se G. P. II fosse il Papa legittimo della Chiesa Cattolica, sarebbe allora doveroso per ogni cattolico, a maggior ragione per un vescovo, essere a lui sottomesso, accettare il suo insegnamento magisteriale e i suoi atti di governo. È la Fede Cattolica che lo esige: come ricorda il Concilio Vaticano I, al Papa si deve “vera ubbidienza, non solo nelle questioni che riguardano la fede e i costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa” (Pastor aeternus, DS 3060 e 3064). Bonifacio VIII insegna che: “dichiariamo, affermiamo, definiamo che l’essere sottomessi al Romano Pontefice [che per la FSSPX è G. P. II] è, per ogni creatura umana [anche se tradizionalista], necessario per la salvezza” (Unam Sanctam, DS 875).

    Se invece G. P. II non è legittimamente papa, come dimostra la Tesi di Cassiciacum (2), allora non si può riconoscere la sua autorità, non si può citare il suo nome al Canone della Messa, bisogna rifiutare ogni suo atto di (apparente) magistero e governo. Solo a questa condizione diventerebbero giustificati i richiami al trasformista Mons. Rifan il quale, parafrasando le parole di san Remigio pronunciate per il battesimo di Clodoveo, ora brucia ciò che ha adorato e adora ciò che ha bruciato.

    Ma ritorniamo al clamore suscitato dalle decisioni di Campos in ambito della FSSPX: abbiamo visto come gli argomenti utilizzati dai discepoli di Mons. Lefebvre contraddicono la teologia cattolica e il buon proposito di “fare quello che la Chiesa ha sempre fatto”. Eppure per il clero e i fedeli della FSSPX si tratta di principi ormai consolidati e assimilati, tanto da essere ritenuti indispensabili per conservare la Fede durante l’attuale crisi che travaglia il Cattolicesimo. Cerchiamo di vedere in che modo si è arrivati a questa paradossale situazione.



    Una nouvelle théologie



    Come ha ricordato don Hervè Belmont in uno dei suoi articoli, durante il Concilio, di fronte alla marea dilagante del Modernismo, alcuni sostenitori dell’ortodossia cattolica hanno cercato di erigere una diga di sbarramento. Impresa meritoria ma viziata dal fatto che, nella fretta, hanno utilizzato argomenti sbagliati per giustificare il rifiuto del Concilio e, qualche anno dopo, del Novus Ordo Missae. E dopo qualche tempo, inevitabilmente sono apparse le prime crepe.

    Infatti, di fronte agli errori insegnati da Paolo VI, invece di riaffermare in tutta la sua integrità l’autorità papale e trarre le dovute conclusioni (quindi la vacanza dell’autorità suprema, essendo impossibile che un vero Papa contraddica l’insegnamento dei suoi predecessori), hanno iniziato a sminuire sempre di più il ruolo e l’autorità dei Papi. Nel tentativo di preservare la Fede dagli errori di Paolo VI hanno così colpito il Papato stesso, roccia sulla quale Cristo ha fondato la Sua Chiesa. Se il papa Paolo VI sbaglia, hanno pensato, bisogna concludere che un Papa possa effettivamente fallire nell’insegnamento dottrinale, senza per questo intaccare la costituzione divina della Chiesa. Come se al Concilio le porte dell’inferno avessero, temporaneamente e misteriosamente, prevalso.

    La situazione nella Chiesa dopo il Concilio era così unica nel suo genere e così confusa da poter determinare una valutazione inizialmente errata; ma dopo questa primissima fase, si poteva e doveva giungere alla soluzione cattolica del problema (3).

    Al contrario l’errore iniziale è stato aggravato: dalle considerazioni ad hominem, retoriche o di natura pratica si è voluto cercare argomenti dottrinali, formando così una vera e propria nouvelle théologie sulla Chiesa e il Papato, con tutta una serie di bizantinismi sul magistero ordinario e straordinario, sulla natura di un concilio ecumenico, sulla validità della promulgazione di un rito e, più recentemente, sull’infallibilità nelle canonizzazioni. In particolare è stato introdotto il concetto che il magistero del Papa è tale solamente se è conforme alla Tradizione, dimenticando che è il Papa la regola prossima della nostra fede e l’interprete autentico della Tradizione.

    Ecco allora invocare i presunti “errori” dei Papi del passato in materia di Fede, passando dal campo dell’insegnamento dogmatico dei Papi a quello di scelte diplomatiche o politiche compiute dalla Sede Apostolica. È sempre più diffuso e radicato negli ambienti della FSSPX, soprattutto tra i chierici e i fedeli più giovani, un modo di pensare che ritiene che i Papi abbiano davvero sbagliato anche nel passato; nulla di strano quindi se sbagliano anche oggi. Diventa così normale attribuire alla Chiesa, Sposa di Cristo, Madre e Maestra di tutti i credenti, la promulgazione di una Messa dannosa alla Fede o di sacramenti addirittura invalidi (come il nuovo rito della Cresima). Constatato questo limite di “Roma”, nei priorati della FSSPX si insegna che non è importante sapere se vi sia o no un Papa a cui essere sottomessi (“quando saremo davanti a San Pietro, non ci chiederà se G. P. II è o non è papa”: gli scismatici orientali saranno contenti di questa specie di rivelazione privata), ma sapere che vi siano dei vescovi (ovviamente della FSSPX, unici depositari dei carismi di Mons. Lefebvre) capaci di discernere tra il bene e il male che oggi la Chiesa darebbe ai suoi figli.

    In quest’ottica si mette in guardia da chi ama troppo i Papi (“Non bisogna esagerare il culto dovuto a Roma, il culto dovuto al papa…” scrive l’abbé Michel Simoulin nell’opuscolo “1988: lo scisma introvabile”), da chi esagera l’infallibilità pontificia (argomento spesso utilizzato dalla rivista sì sì no no), insomma da chi è imbevuto di “papolatria” (neologismo di moda a Ecône), un errore che sarebbe presente soprattutto nei popoli di più profonda tradizione cattolica, che sono accusati, per l’appunto, di essere troppo… cattolici! La conseguenza più nefasta di questo amore esagerato per il Papato sarebbe ovviamente il sedevacantismo, l’insieme cioè di loschi individui che dovendo scegliere su alcuni punti capitali della Fede Cattolica tra l’insegnamento della Chiesa e quello della FSSPX, preferiscono il primo al secondo.

    Come è stato fatto notare in altre occasioni, la FSSPX finisce per insegnare lo stesso errore dei modernisti sulla presunta fallibilità dei Papi, con la differenza che i modernisti l’attribuiscono ai Papi del passato (con i conseguenti mea culpa di G. P. II) e la FSSPX, invece, l’applica soprattutto (ma, come abbiamo visto, non solo) a quelli che considera come Papi nella recente storia della Chiesa (in attesa di un futuro mea culpa riparatore).

    Sono frutto di questo pensiero le dichiarazioni sul Papa-anticristo, sul Papa che deve convertirsi alla Fede, sul Papa nemico della Chiesa, affermazioni che sarebbero normali sulle labbra di un luterano o di un greco scismatico, non su quelle di un cattolico. Eloquente, a questo proposito, la disinvoltura manifestata in una famosa vignetta, voluta personalmente da Mons. Lefebvre, che raffigurava un diavolo che si rivolgeva fischiettando a G. P. II e lo invitava a seguirlo all’inferno.

    La situazione diventa persino grottesca. Infatti, G. P. II sarebbe vero Papa, quindi vero successore di San Pietro, vero Vicario di Cristo in terra, vero depositario del potere petrino ma, contemporaneamente, sbaglierebbe quando insegna la dottrina, quando scrive le encicliche, quando celebra quotidianamente la Messa, quando promulga una legge universale come il nuovo diritto canonico, quando scomunica dei vescovi consacrati contro la sua volontà, quando canonizza dei santi, quando permette la celebrazione della Messa di San Pio V… Ma è Papa… e chi lo nega è nemico della Chiesa e (soprattutto?) della FSSPX.

    Alla luce della nouvelle théologie della FSSPX diventa quindi normalissimo scandalizzarsi se un vescovo come Mons. Rifan intende sottomettersi a colui che, come la FSSPX, considera come Vicario di Cristo, preferendo essere in comunione con G. P. II piuttosto che con Mons. Fellay. Ulteriormente scandaloso, sempre in quest’ottica, se Mons. Rifan assiste al rito che è celebrato ogni giorno da G. P. II, il cui nome è citato altrettanto quotidianamente nelle Messe celebrate dai membri della FSSPX. Ecco il solito giochetto: bisogna essere in comunione con G. P. II, ma senza essergli sottomessi, senza il suo insegnamento, senza la sua Messa… Pretendere quindi di poter essere cattolici a prescindere dalla persona che si riconosce depositaria del Potere delle Chiavi.



    Dalla padella alla brace…



    Ovviamente rilevando gli errori della FSSPX non voglio giustificare la scelta di Mons. Rifan e dei suoi confratelli di Campos. Purtroppo essi rappresentano l’ennesima costola del movimento lefebvriano che accetta gli errori del Concilio e la nuova messa, seguendo un percorso che alcuni considerano l’unico praticabile per ritrovare una situazione ecclesiale normale: dalla “Piccola Chiesa” tradizionalista alla “Grande Chiesa” di G.P.II (4).

    Infatti, il problema delle defezioni ha colpito la FSSPX fin dall’inizio: dal 1970 ad oggi, una lunga serie di chierici (durante il seminario o nel ministero sacerdotale) dopo l’entusiasmo iniziale (che tende a sostituire il ragionamento con l’emotività), si sono ritrovati ineluttabilmente di fronte al problema di coscienza dell’obbedienza all’autorità del Papa. Per dissociarsi dall’insostenibile dottrina “del Papa che sbaglia” e “della Chiesa che insegna l’errore”, essi hanno scelto tra le uniche due posizioni possibili: o la Sede vacante o il Modernismo, tertium non datur (5).

    Malgrado questi ripetuti abbandoni, la FSSPX riunisce ancora un buon numero di sacerdoti. Sul problema dell’autorità suprema della Chiesa, fondamentale per un cattolico, sarebbe auspicabile un confronto con questi ex-confratelli. Dispiace, in questo senso, la chiusura più totale (6).

    L’auspicio personale è che il presente articolo (che fa seguito a numerosi interventi apparsi su questa rivista e su altre pubblicazioni da parte di ex-membri della FSSPX) li possa aiutare a riflettere sulla questione. E questo augurio ci riporta alle domande poste all’inizio dell’articolo: come può un vescovo pretendere di essere cattolico se disobbedisce abitualmente a colui che riconosce come Papa? Come si può condannare un vescovo che intende sottomettersi a chi ritiene Vicario di Cristo?

    Gli argomenti della FSSPX, come le bugie, hanno le gambe corte, per cui Mons. Rifan può facilmente rinfacciare ai suoi ex-amici della FSSPX una deriva scismatica. Ora che, in nome del pluralismo ecumenico, è stato accettato da G. P. II, Mons. Rifan catechizza la FSSPX secondo la più tradizionale dottrina cattolica (7). Peccato che, per lui e per noi, chi è assiso sul trono di Pietro non sia formalmente Papa, e abbia dimostrato di essere tra i più accaniti demolitori della Tradizione dogmatica, liturgica e disciplinare della Chiesa. Mons. Rifan ora si atteggia a fedelissimo soldato della Guardia Svizzera, ma in realtà è andato a ingrossare i ranghi dei Lanzichenecchi che proseguono il nuovo sacco di Roma iniziato dal Concilio.



    Appello ai sacerdoti della FSSPX



    Mi rivolgo allora agli ex-confratelli della FSSPX, che certamente esercitano con zelo il ministero sacerdotale, tra molte difficoltà e incomprensioni. Hanno consacrato al Signore la loro vita, rispondendo con generosità alla Sua chiamata. Decidere di realizzare la vocazione sacerdotale nella FSSPX ha rappresentato, in molti casi, una scelta coraggiosa. Ma la disobbedienza abituale a colui che si considera vero Papa non è più coraggio, ma pazzia, perché è pazzesco voler basare la resistenza agli errori del Neomodernismo abbracciando l’errore del Gallicanesimo, come se fosse lecito fronteggiare un male utilizzando un altro male.

    Non si può relativizzare il Magistero della Chiesa sulla questione dell’autorità suprema: eppure, in ambito della FSSPX, il timore di allontanarsi dalla linea del fondatore è maggiore di quello di allontanarsi dall’insegnamento dei Papi e dei Concilii. Contro i modernisti si sprecano le citazioni contenute nel Denzinger, ma gli articoli dello stesso volume relativi alla sottomissione al Papa sono accolti con un sorrisino o con qualche battuta, come se fossero parti facoltative della dottrina. Il problema è proprio questo: nella FSSPX si rischia di non percepire più la gravità che rappresenta la disobbedienza abituale all’insegnamento della Chiesa: disobbedienza, in questo caso, non a Paolo VI o a G. P. II, ma all’insegnamento di Bonifacio VIII o di Pio IX.

    Probabilmente non sono pochi coloro che si pongono il problema, tuttavia sono frenati dal condizionamento esercitato all’interno della FSSPX. In un ambiente sempre più chiuso, è più facile consolidare apparenti certezze per il fatto stesso che sono ripetute da tutti coloro che si trovano nel medesimo ambiente. Per molti confratelli il pensiero di uscire dalla FSSPX è simile a quello che avevano gli antichi nel varcare le colonne d’Ercole: incognite, pericoli, tristi presagi…

    Il martellamento incessante dà i suoi frutti e a forza di sentir affermare che chi lascia la FSSPX non ha apostolato, non ha fedeli, non ha aiuti materiali, non ha futuro, si è portati a crederlo veramente. A prescindere dal fatto che questi timori sono infondati, è comunque gravissimo valutare una scelta religiosa in funzione dei vantaggi che può arrecare, subordinando così la professione della Fede alle contingenze umane. Bisogna poi aggiungere che spesso si riduce intenzionalmente la posizione della Sede vacante a qualche personaggio “folkloristico” o con poco equilibrio presente negli ambienti sedevacantisti, quasi a cercare un alibi per evitare di esaminare seriamente il problema dell’autorità suprema (e del resto questa tipologia umana è presente, abbondantemente, in tutti gli ambienti, e quindi anche in quelli della FSSPX).

    Ma l’aspetto principale su cui punta il dito della FSSPX è il fatto stesso di pretendere di esistere al di fuori di essa. Di fatto la FSSPX intende esercitare il monopolio negli ambienti tradizionalisti: per i discepoli di Mons. Lefebvre è inconcepibile l’esistenza di un sacerdote o addirittura di un gruppo di preti svincolati dal controllo della FSSPX e dall’autorità del Superiore generale. Ancora recentemente Mons. Fellay ha notificato a un ex-sacerdote della FSSPX che non poteva celebrare la Messa perché, non appartenendo più alla FSSPX, si troverebbe in una situazione canonica irregolare: come se la FSSPX (soppressa dagli stessi modernisti che qualche anno prima l’avevano approvata ad experimentum) fosse in regola con le leggi di G. P. II!

    Quindi Mons. Rifan è stato attaccato dalla FSSPX per due motivi distinti: da un lato perché ha concluso l’accordo con i modernisti e dall’altro perché si è separato dalla FSSPX. Ora, considerato che la possibilità di un accordo con G. P. II non è esclusa a priori, si potrebbe concludere che per la FSSPX (quanto meno per i suoi vertici) il male maggiore è separarsi da essa.

    La FSSPX pensa di garantire l’ortodossia: separandosi dalla FSSPX ci si separerebbe quindi dall’ortodossia. Ma solamente chi non può sbagliare può essere garante dell’ortodossia. E infatti la FSSPX attribuisce di fatto a Mons. Lefebvre e ai suoi successori una forma straordinaria di momentanea infallibilità. E su questo punto, a prescindere dall’ammirazione e dall’affetto che si può nutrire per Mons. Lefebvre, la coscienza di un cattolico non può essere d’accordo. Perché si lascia il terreno della Chiesa e si scivola in quello dei gruppi settari. (8).



    Conclusione



    Per concludere voglio parafrasare ciò che sottoscrissero i cardinali Ottaviani e Bacci a proposito della nuova messa, quando sottoscrissero il Breve Esame Critico scritto da Padre Guérard.

    Molti tradizionalisti, giustamente, ritengono che una parte consistente del clero degli anni ’60 e ’70 abbia anteposto, alla difesa cristallina della Fede, gli interessi personali, i timori d’ordine economico, il rispetto umano, le pressioni familiari, e quant’altro. Mi permetto di affermare che oggi lo stesso giudizio si può formulare nei confronti di coloro che basano il rifiuto al concilio e alla nuova messa sugli errori antipapisti e antiromani, condannati dal Magistero.

    E allora: L’affermazione secondo la quale un Papa può sbagliare nell’insegnamento della dottrina, rappresenta un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica del Papato... Le ragioni pastorali adottate a sostegno di questa gravissima fattura, anche se di fronte alle ragioni dottrinali avessero diritto di sussistere, non appaiono sufficienti... Questa posizione non esprime più la Fede di Trento… A questa Fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto in una tragica necessità di opzione.

    Che la Madonna del Buon Consiglio illumini le menti di tutti i sacerdoti e indichi loro la retta via da seguire, al riparo da ogni genere di errore e di deviazione, nell’amore sempre più profondo per la Chiesa e per il Dolce Cristo in terra.



    Note



    1) La FSPPX non è estranea alla triste evoluzione dottrinale dei sacerdoti di Campos. Mons. De Castro Mayer fu sempre conosciuto per la sua fermezza dottrinale, che lo portò a dichiarare, al seminario di Ecône qualche giorno prima delle consacrazioni episcopali del giugno 1988, la sua convinzione che G. P. II non fosse Papa. Gradualmente la FSSPX ha cercato (riuscendovi!) di ammorbidire la linea dei preti di Campos; quando Mons. Fellay iniziò nel dicembre del 2000 l’ennesima trattativa con G. P. II (malgrado i recentissimi scandali del giubileo, tra cui la famosa cerimonia del mea culpa), coinvolse anche i confratelli di Campos, rappresentati dall’allora padre Rifan. Spinti sulla via delle trattative con i modernisti, i preti di Campos sono stati più logici della FSSPX, concludendo la vicenda con la sottomissione al “Santo Padre”, il quale qualche tempo prima, il 30 dicembre del 2000, in un’udienza privata in Vaticano, aveva ricevuto il filiale omaggio di Mons. Fellay.

    2) Secondo la Tesi teologica detta di Cassiciacum Paolo VI ed i suoi successori (G. P. I e G. P. II) benché canonicamente eletti al Pontificato, non hanno però l’Autorità pontificia. Coi termini della teologia scolastica, secondo la distinzione già insegnata dal grande commentatore di San Tommaso nel XV sec., il cardinal Gaetano, e ripresa da San Roberto Bellarmino, essi sono “papi” materialmente (materialiter) ma non formalmente (formaliter) poiché‚ non attuando il bene della Chiesa e insegnando l’errore e l’eresia, non possono in alcun modo, se non ritrattano prima i propri errori, ricevere da Cristo l’autorità per governare, insegnare e santificare la Chiesa.

    L’autore della Tesi fu il teologo domenicano Mons. M.-L. Guérard des Lauriers († 1988), membro dell’Accademia Pontificia di San Tommaso, docente alla Pontificia Università del Laterano e al Saulchoir, lo Scolasticato domenicano in Francia. Mons. Guérard chiamò la Tesi col nome di Cassiciacum (ora Cassago Brianza), in omaggio alla cittadina dove Sant’Agostino amava ritirarsi in preghiera.

    3) Rimando i lettori al numero speciale di Sodalitium (n. 56), in cui don Ricossa mostra come i primissimi ecclesiastici che insorsero contro il Vaticano II erano o divennero nella loro maggioranza sedevacantisti, come il padre Saenz y Arriaga, il padre Guérard des Lauriers, l’abbé Coache, il padre Barbara, ecc.

    4) Qualcuno potrebbe obiettare che vi sono stati dei casi (pochissimi, per la verità) di preti non una cum che hanno riconosciuto in un secondo tempo l’autorità di G. P. II. È vero: ma è altrettanto vero che gli ex-confratelli in questione non hanno modificato la dottrina sul Papato. Il loro errore, certamente fatale, verte sulla valutazione della persona di G. P. II, non sull’obbedienza dovuta al Papa.

    Inoltre solamente due preti, in tutti questi anni, sono passati dal sedevacantismo alla FSSPX (e quindi dall’ecclesiologia cattolica alla nouvelle théologie tradizionalista). I reverendi avevano ricevuto l’ordinazione sacerdotale da Mons. Thuc e da Mons. Carmona (consacrato vescovo dallo stesso Mons. Thuc) e non ci risulta che siano stati riordinati per poter svolgere il ministero con la FSSPX. Eppure diversi sacerdoti della FSSPX insinuano il dubbio sulla validità degli Ordini Sacri amministrati da Mons. Thuc. Se queste calunnie fossero delle accuse fondate, si dovrebbe concludere che in alcuni priorati della FSSPX la validità dei sacramenti è dubbia.

    5) Purtroppo non tutti hanno constatato la Sede vacante e sono così caduti nelle braccia dei modernisti, forse a causa del liberalismo che avevano sempre manifestato fin dagli anni del seminario e che non è mai stato adeguatamente combattuto nella FSSPX. Adesso questi preti si ritrovano in vere e proprie “riserve indiane” predisposte da G. P. II per riciclarli: insomma, dalla padella (gallicana) alla brace (modernista)...

    Recentemente Marco Invernizzi, tracciando la storia di Alleanza Cattolica (AC), ha parlato proprio di questi fatti, ricordando i dubbi che don Pietro Cantoni e i seminaristi di Ecône provenienti da AC avevano sulla posizione della FSSPX. “Don Pietro si rendeva conto - scrive Invernizzi - che i “cervelli” a Ecône non potevano resistere: o sarebbero rientrati a pieno titolo nella Chiesa [per Invernizzi: G. P. II] o avrebbero sposato il sedevacantismo in qualcuna delle sue forme. La forma guérandiana appariva senz’altro come la più intelligente”. Purtroppo i chierici rimasti legati ad AC, predisposti alle cantonate, scelsero il Modernismo (cf. Marco Invernizzi, Alleanza Cattolica dal Sessantotto alla nuova evangelizzazione. Una piccola storia per grandi desideri, Piemme, 2004, pag. 69).

    I sacerdoti, invece, che hanno pubblicamente aderito alla Tesi di Cassiciacum o al sedevacantismo completo, svolgono il ministero a servizio della Chiesa e delle anime nei diversi continenti, occupandosi di chiese, cappelle, seminari, conventi, scuole, case di esercizi spirituali, dove la Fede non è stata mutilata e dove il Papato non suscita imbarazzo. Denominatore comune di questa piccola cristianità è il rifiuto categorico delle Messe una cum, cioè delle Messe nelle quali è citato nel Canone il nome di G. P. II in quanto Sommo Pontefice della Chiesa cattolica.

    6) Nel 2003 la rivista del distretto italiano della FSSPX aveva pubblicato un numero speciale contenente un dossier che pretendeva di confutare il sedevacantismo. L’iniziativa, essendo probabilmente legata più alla personalità del principale autore dello studio che alla volontà dei superiori di intraprendere una seria discussione dottrinale, non ha avuto seguito, malgrado la pubblicazione, sulla nostra rivista, di una lunga e dettagliata risposta di don Ricossa. Tra l’altro, volendo discreditare gli ambienti sedevacantisti, nel dossier è stata pubblicata una lista di nomi in cui si confondono veri vescovi con imbroglioni e mitomani, che hanno ricevuto così un’imprevista pubblicità. Tra questi vi sono dei personaggi che dichiarano di essere vescovi e di riconoscere l’autorità di G.P. II, tanto da nominarlo al Canone della Messa. A rigor di logica, l’incauto autore del dossier avrebbe dovuto inserirli in un altro elenco episcopale, in compagnia dei vescovi della FSSPX…

    7) “Se noi consideriamo, in teoria o in pratica, la messa nuova in se come invalida o eretica o sacrilega o eterodossa o peccaminosa o illegittima o non cattolica, dovremmo tirare le conseguenze teologiche di una tale posizione e applicarle al Papa e a tutto l’Episcopato del mondo, cioè a tutta la Chiesa insegnante: cioè bisogna accettare che la Chiesa ha promulgato ufficialmente, conservato per decenni e offerto tutti i giorni a Dio un culto illegittimo e peccaminoso – proposizione condannata dal Magistero – e che le porte dell’Inferno hanno prevalso contro di essa, ciò che è una eresia. O allora bisognerebbe adottare il principio settario che siamo noi la Chiesa e che fuori di noi non c’è salvezza, che è un’altra eresia. Queste posizioni non possono essere accettate da un cattolico, né in teoria, né in pratica” (dichiarazione di padre Gaspar Samuel Coimbra Pelegrini, portavoce di Mons. Rifan). Purtroppo padre Coimbra Pelegrini ha dimenticato che “non possono essere accettate da un cattolico, né in teoria, né in pratica” neppure le deviazioni dottrinali contenute nei documenti del Concilio e insegnate da Paolo VI e da G. P. II. Quanto al rito della nuova messa, effettivamente non è cattolico, per cui non può essere il frutto della Chiesa e quindi chi lo ha promulgato non poteva essere formalmente Papa.

    8) A proposito di sette: le conseguenze della posizione della FSSPX si ripercuotono anche nell’analisi delle vicende politiche legate alla setta per antonomasia, la Massoneria. Una di queste conseguenze è di attribuire a un Papa, e quindi alla Chiesa, di essere complice dei peggiori nemici di Dio. Ma come può la Chiesa di Cristo essere alleata della Sinagoga di Satana? La “religione dell’arcobaleno” sarebbe così patrocinata da un vero Papa, legittimo successore di san Gregorio VII, di san Pio V, di san Pio X! È certamente gravissimo insinuare questo errore nelle coscienze delle persone, perché così si colpisce uno dei capisaldi della Religione rivelata. Se colui che deve insegnare il vero insegnasse veramente il falso, avrebbero allora ragione le Logge (e i “fratelli maggiori”) a considerare la Chiesa nemica della verità e corruttrice dei popoli! Davanti a simili propositi la Massoneria non può che compiacersi.




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    Il nuovo Aaron (a quarant’anni dalla dichiarazione conciliare Nostra Ætate)



    don Francesco Ricossa



    L’età avanzata di Giovanni Paolo II e l’aggravarsi delle sue condizioni di salute è coinciso col quarantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II. All’applicazione del Concilio, Giovanni Paolo II ha consacrato tutte le sue forze, fin da quando prese la successione di Paolo VI e Giovanni Paolo I: “Vogliamo richiamare l’attenzione sull’attuale importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II e accettiamo il dovere ineluttabile di metterlo accuratamente in pratica” (discorso del 17 ottobre 1978). Tra i documenti maggiori del Vaticano II, sia per l’importanza intrinseca che per l’opposizione di contraddizione col magistero infallibile della Chiesa, dobbiamo contare quello sulla libertà religiosa, Dignitatis humanae personae, e quello sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, Nostra aetate: libertà religiosa, dialogo interreligioso ed ecumenismo sono, senza dubbio, le colonne dell’insegnamento wojtyliano. Malgrado l’affaticamento sempre più evidente, Giovanni Paolo II ha – ancora recentemente – ricevuto, in un breve arco di tempo, delle importanti associazioni ebraiche, le quali hanno riassunto per noi il lavoro compiuto da Giovanni Paolo II per l’applicazione – e lo sviluppo – della linea di Nostra aetate.



    Il congresso del B’nai B’rith a Roma



    Non è la prima volta che Giovanni Paolo II riceve l’associazione ebraica e massonica (1) del B’nai B’rith (Figli dell’Alleanza), con la quale vige una stretta e intensa collaborazione. L’udienza che si è svolta il 17 dicembre 2004, però, è avvenuta in un contesto assai particolare. Da un lato, essa si situa alla chiusura di un importante convegno sull’antisemitismo; dall’altro essa ha preceduto una nuova polemica sollevata dalle medesime associazioni ebraiche contro la Chiesa e il pontificato di Pio XII, accusati, per l’appunto, di antisemitismo.


    Il convegno, è stato annunciato – con grande discrezione – sul quotidiano Il Foglio, diretto da Giuliano Ferrara (ministro del governo Berlusconi nel 1994) e proprietà della famiglia Berlusconi, che del convegno stesso era l’organizzatore assieme all’Adl (Anti-defamation League, associazione del B’nai B’rith, per l’appunto). Leggiamone il programma e i nomi degli invitati: “S’apre domani sera [mercoledì 15 dicembre] a Villa Madama, con un pranzo offerto dal ministro degli Esteri [Gianfranco Fini], il convegno sull’antisemitismo organizzato dall’Anti-defamation League in collaborazione con il Foglio. Giovedì mattina [16 dicembre], dopo il saluto del presidente della comunità ebraica romana Leone Paserman e di Elyakim Rubinstein, giudice della corte suprema israeliana, Abraham H. Foxman, direttore, e Barbara B. Balser, presidente dell’Adl, l’editore di The New Republic, Martin Peretz, l’editorialista del New York Times David Brooks, e il direttore di Ha’aretz David Landau discuteranno del ruolo dei media con Giuliano Ferrara. A mezzogiorno di giovedì, Joshua Muravchik dell’American enterprise institute, il presidente del National Endowment for Democracy Carl Gerschman discuteranno con Fiamma Nirenstein, Piero Fassino e Giorgio Israel di antisemitismo e democrazia. Giovedì pomeriggio, dopo i saluti del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e del Presidente della camera Pier Ferdinando Casini, intervento del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu sulle risposte dei governi all’antisemitismo e incontro con il deputato democratico della Florida Alcee Hastings, il Presidente del Senato Marcello Pera, l’ex ministro degli Esteri spagnoli Ana Palacio, il ministro della Giustizia francese Nicole Guedj e l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede Oded Ben Hur. Concluderanno i lavori l’ambasciatore israeliano in Italia Ehud Gol, il commissario europeo Franco Frattini e il sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver” (Il Foglio, 14 dicembre 2004, p. 2). Il Foglio, che in Italia è il quotidiano più vicino alle posizioni israeliane e che organizzava il convegno con il B’nai B’rith, è rimasto però stranamente discreto sul convegno (quando in genere pubblica per intero anche lunghi discorsi e interventi suscettibili di interesse dei più svariati personaggi): solo una colonna piccina picciò il 17 dicembre (p. 1) per raccontare il bisticcio tra il direttore del quotidiano israeliano Ha’aretz e la “nostra” Fiamma Nirenstein (Ha’retz è stata accusata di esser troppo indulgente per i palestinesi), ed un articoletto di Marina Valensise il giorno precedente (p. I) con gli elogi di Foxman (direttore dell’ADL del B’nai B’rith) all’Italia (ovvero al suo governo, in primis a Silvio Berlusconi, premiato a New York pochi mesi fa dal B’nai B’rith, e a Gianfranco Fini: “oggi lo abbraccio e sono orgoglioso di farlo” dice Foxman) e al governo turco (per il premier islamista Erdogan, che ha ricevuto Foxman, l’antisemitismo è “un crimine contro l’umanità”). Il quotidiano torinese La Stampa ci assicura che il ministro degli Esteri Fini, in quest’occasione, ha denunciato “il mostro dell’antisemitismo” ed il ministro degli Interni Pisanu ricorda che il governo italiano, con l’obbiettivo di tenere sotto sorveglianza “ogni sia pur minima manifestazione del fenomeno”, “ha promosso la costituzione di un Comitato interministeriale contro la discriminazione e l’antisemitismo che opera presso il Viminale ed è presieduto dal prefetto che dirige il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione” (La Stampa, 16 dicembre 2004, p. 7; 17 dicembre 2004, p. 4). Il comitato interministeriale deve necessariamente perseguire dei reati di opinione, giacché altrimenti sarebbe sufficiente il codice penale comune a tutti… A questo punto ci si può chiedere quale minaccia sia l’antisemitismo, in Italia poi, quando Israele gode dell’appoggio del governo, dell’opposizione (c’era Fassino) e dell’unica potenza mondiale (gli Stati Uniti); curioso fenomeno quello di chi può contare sull’appoggio incondizionato del Potere, e nello stesso tempo si presenta come una minoranza perseguitata e sempre minacciata.



    L’udienza al B’nai B’rith e il discorso di Foxman



    Dopo aver ottenuto il sostegno del “braccio secolare” il 15 e 16 dicembre, il B’nai B’rith ha incontrato, il giorno seguente, Giovanni Paolo II. Non era la prima volta, ma ancora una volta l’associazione massonica ha ottenuto la benedizione richiesta:

    “Distinti ospiti – ha loro detto Giovanni Paolo II – è per me un piacere accogliervi, membri della delegazione della Anti-Defamation League in visita in Vaticano. La Chiesa Cattolica e il popolo ebraico continuano ad avere stretti vincoli di amicizia. Prego con fervore affinché uomini e donne cooperino per sradicare tutte le forme di razzismo ed edificare, in tal modo, una società che promuove la verità, la giustizia, l’amore e la pace. Su di voi invoco i doni divini di forza e di gioia. Shalom!” (testo inglese originale e traduzione italiana sull’Osservatore Romano del 18 dicembre 2004, p. 5).

    Giovanni Paolo II non solo benedice il B’nai B’rith e – considerandolo rappresentante del popolo ebraico – dichiara la propria amicizia (abusivamente attribuita alla Chiesa cattolica) per loro, ma prospetta anche una società dove la promozione della verità, della giustizia, dell’amore e della pace siano promossi indifferentemente e congiuntamente da cristiani ed ebrei; ma allora di quale verità si tratta? Non certo di Colui che disse “Io sono la Verità”. Di quale pace? Non certo di Colui che disse: “vi do la mia pace, non come il mondo la dà”. Di quale carità? Non certo quella di Cristo: “caritas Christi urget nos”. Perché il B’nai B’rith ed il popolo ebraico non riconoscono Cristo, né come Verità, né come Pace, né come Amore né come Giustizia divina, anzi considerano tutto ciò una blasfemia.

    Pubblichiamo adesso, in una nostra traduzione, “l’indirizzo di omaggio rivolto al Santo Padre” all’inizio dell’udienza dal presidente dell’ADL, Abraham Foxman (colui che guidò nel mondo intero la campagna contro il film di Mel Gibson, La Passione):

    “Ancora una volta, sono onorato di aver il piacere ed il privilegio di un’udienza con Lei. Ciò è profondamente personale e commovente, in quanto si tratta di una parte intera della storia della mia vita. Devo la vita a una donna cattolica, che ha rischiato la sua per salvarmi dal destino che si è abbattuto su di un milione e mezzo di altri bambini ebrei per mezzo delle mani assassine dei Nazisti. Quando i miei genitori furono deportati in campo di concentramento, hanno lasciato il loro figlio, il loro solo e unico figlio, alla mia balia. Cambiò il mio nome. Falsificò i documenti. Con la complicità di un prete polacco, mi fece battezzare. Miracolosamente, i miei genitori sono sopravvissuti e sono tornati a cercarmi. Sono vivo grazie alla compassione, all’umanità e al coraggio di Bronislawa Kurpi. La Chiesa cattolica mi ha dato la vita attraverso questa donna coraggiosa e a questo prete coraggioso che l’aiutò a ingannare e sfidare quanti avrebbero potuto far scomparire tutti gli Ebrei dalla terra. Io vi chiedo, Santità, di benedire l’anima di Bronislawa Kurpi, che ha magnificamente vissuto i principi della sua fede cattolica. Sono persuaso che Dio, nella sua misericordia e infinita saggezza, mi ha risparmiato per consacrare questa vita a costruire dei ponti tra il mio popolo e i nostri fratelli nell’opera di Dio.

    Santità, la vostra ispirazione morale e la vostra leadership durante 26 anni sulle tracce di San Pietro sono state una luce splendente per l’umanità. Avete difeso il popolo ebraico in quanto sacerdote nella vostra Polonia natale e durante tutti gli anni del vostro Pontificato. Avete denunciato l’antisemitismo come “un peccato contro Dio e contro l’umanità”. Avete reso omaggio alle vittime dell’Olocausto sia qui in Vaticano che a Yad Vashem in Israele. Il vostro pellegrinaggio alla Sinagoga Maggiore di Roma fu il primo da parte di un papa dai tempi di San Pietro, e il vostro discorso in questa occasione ha aperto una breccia in secoli di dolore e diffidenza. Non dimenticheremo mai le vostre memorabili parole: ‘La Chiesa di Cristo scopre il suo legame con il Giudaismo scavando nel suo proprio mistero. La religione ebraica non ci è estrinseca, ma in un certo senso è intrinseca alla nostra stessa religione. Abbiamo quindi con il Giudaismo una relazione che non possiamo avere con nessuna altra religione”. Dieci anni fa avete stabilito delle relazioni tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele, riconoscendo la sua importanza nella vita e nella fede ebraica. La vostra preghiera del mattino a Babi Yar ha dimostrato il vostro profondo impegno per la riconciliazione e la memoria degli orrori dell’Olocausto. Avete chiamato la comunità cattolica del mondo intero a considerare il suo passato e a dirigersi verso una comprensione più ricca del Giudaismo e del popolo Ebraico nel disegno di Dio. Avete riconosciuto il nostro comune patrimonio spirituale… la relazione particolare tra la Cristianità ed il popolo ebraico… un tema principale di Nostra Aetate ed un tema preponderante delle vostre riflessioni su questo storico documento. Nei vostri scritti e discorsi eccezionali avete lasciato trasparire la vostra comprensione del Giudaismo come un’eredità viva della permanente validità dell’alleanza di Dio con il popolo Ebraico e di quel peccato odioso che è l’antisemitismo. Questo male profondo è diventato una malevolenza globale che emana oggi, con una forza viziosa, violenta e virulenta dal Medio Oriente per infettare il mondo intero. Abbiamo bisogno di molti altri leader come voi per andare avanti, per levare la loro voce di condanna, e per imitare l’opera di vera e propria leadership morale che voi conducete.

    L’Anti-Defamation League ha collaborato con la Chiesa cattolica e con altre comunità di fede durante più di mezzo secolo per trovare delle strade per crescere assieme, anche se non possiamo essere assieme teologicamente. Quando uomini e donne coraggiosi che vivono la loro fede come la mia balia elevano la loro voce e agiscono per opporsi all’ingiustizia e all’intolleranza, delle vite sono salvate.

    Cattolici ed Ebrei sono insieme per la prima volta nella storia come popoli di Dio, sforzandosi di ricordarsi e di oltrepassare i ricordi di un passato oltremodo doloroso e di considerare entrambi l’altro come una parte dell’alleanza di Dio. La chiave di questo inizio di XXI secolo consiste in un incontro dei cuori e in un incontro profetico di fede come membri del disegno di Dio. Durante due millenari abbiamo viaggiato separatamente. Noi abbiamo lavorato per rompere le antiche barriere del fanatismo. Noi viaggiamo ormai assieme in una nuova era di accettazione e di cooperazione spirituale reciproca. Santità, salutiamo il vostro ruolo personale importante e che ha mostrato la via in questo viaggio, con la nostra profonda ammirazione ed affetto” (Testo originale inglese nell’Osservatore Romano del 18 dicembre 2004, p. 5).

    Il discorso di Foxman non è di circostanza. Da un lato, mette in rilievo il principale errore dell’insegnamento di Giovanni Paolo II, che contrasta con la Sacra Scrittura, la Tradizione, i Padri e il magistero pontificio: quello secondo il quale l’attuale ebraismo sarebbe ancora vivo, e non spiritualmente morto: l’attuale Israele sarebbe ancora il Popolo di Dio mai riprovato, e l’Antica Alleanza sarebbe permanentemente valida, comèe lo è invece la “Nuova ed Eterna Alleanza”. Negare questi errori vuol dire sostenere l’antigiudaismo teologico? Se è così, quello che per duemila anni è stata la religione Cattolica è anche (anche) antigiudaismo. Da lì ad accusare la Chiesa di antisemitismo, cioè di peccato contro Dio e contro l’umanità, il passo è breve. D’altro lato, Foxman racconta il suo passato di battezzato. Non si tratta probabilmente solo di un innocente ricordo. Pochi giorni dopo, il Corriere della Sera (28 dicembre 2004) pubblicò un documento inedito del Sant’Uffizio, datato 20 ottobre 1946, inviato al Nunzio in Francia (Mons. Roncalli) del quale riproduciamo il testo:

    “A proposito dei bambini giudei che, durante l’occupazione tedesca, sono stati affidati alle istituzioni e alle famiglie cattoliche e che ora sono reclamati dalle istituzioni giudaiche perché siano loro restituiti, la Congregazione del Sant’Uffizio ha preso una decisione che si può riassumere così:

    Evitare, nella misura del possibile, di rispondere per iscritto alle autorità giudaiche, ma farlo oralmente.

    Ogni volta che sarà necessario rispondere, bisognerà dire che la Chiesa deve fare le sue indagini per studiare ogni caso particolare.

    I bambini che sono stati battezzati non potranno essere affidati a istituzioni che non ne sappiano assicurare l’educazione cristiana.

    I bambini che non hanno più i genitori e dei quali la Chiesa si è fatto carico non è conveniente che siano abbandonati dalla Chiesa stessa o affidati a persone che non hanno alcun diritto su di loro, a meno che non siano in grado di disporre di sé. Ciò evidentemente per i bambini che non fossero battezzati.

    Se i bambini sono stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li reclamano, potranno essere restituiti, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il battesimo.

    Si noti che questa decisione della Congregazione del Sant’Uffizio è stata approvata dal Santo Padre”.

    La pubblicazione di questo documento e di altre simili informazioni ha scatenato l’ennesima campagna di stampa, sostenuta dalle associazioni ebraiche (Amos Luzzato, rappresentante della Comunità Ebraica italiana definirà il documento “orrendo” e “agghiacciante”) contro Pio XII, emulo di Pio IX nel “rapimento di bambini” ebrei. Alcuni invece, come Padre Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, hanno messo in dubbio l’autenticità del documento. Autentico o no, il documento del Sant’Uffizio pubblicato rispecchia perfettamente la dottrina, la prassi e la legislazione della Chiesa (can. 750) fino al Vaticano II, come ricorda Padre Gumpel sul Corriere della Sera (29/12/2004): “Secondo la dottrina prevalente del tempo se un bambino riceveva il battesimo aveva il diritto ad avere un’educazione cattolica ed era considerato ormai un membro effettivo della Chiesa. Ciò lo poneva sotto la giurisdizione dell’autorità ecclesiastica: una vecchia legislazione che non derivava da Pio XII. Lui applicò solo le norme in vigore”. Basti ricordare il caso Mortara ai tempi di Pio IX, caso più famoso ma non certo unico, di applicazione di questa secolare legislazione ecclesiastica che non è altro però che l’applicazione giuridica della dottrina cattolica. Nessun rapimento di bambini, però, come falsamente viene detto, giacché la Chiesa proibisce, al di fuori del pericolo di morte, di battezzare bambini infedeli contro il parere dei genitori; ma obbligo di dare l’educazione cristiana a chiunque sia stato battezzato. Foxman, secondo le sue parole, fu battezzato. Non poteva quindi essere restituito ai genitori perché lo educassero nell’ebraismo e, in quanto battezzato (in altre circostanze ha dichiarato che era un fervente cattolico) non può essere considerato che un povero apostata dalla Fede cristiana! Il suo intervento presso Giovanni Paolo II mirava verosimilmente, nell’ambito della polemica suscitata contro la Chiesa e Pio XII, a sostenere la nuova prassi (che suppone una nuova dottrina) e che ammette che si possa violare impunemente il carattere battesimale.



    L’udienza del “Nuovo Aronne” alla Pave the Way Foundation



    Il 5 gennaio 2005, la Pay the Way Foundation annuncia alla stampa che il 18 del medesimo mese si sarebbe svolto un evento straordinario in Vaticano: per il 40° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, Giovanni Paolo II avrebbe ricevuto in udienza ben centosessanta rabbini e cantori ebrei (i cantori hanno tenuto un concerto il giorno precedente, 17 gennaio, alla Sinagoga Maggiore di Roma, per la delegazione della Santa Sede e per la Comunità Ebraica). La data scelta è significativa, perché il 17 gennaio non è più ormai ricordato come la festività di Sant’Antonio Abate quanto piuttosto come la giornata delle relazioni giudaico-cristiane… Tra i partecipanti sono segnalati in effetti dei rabbini (Adam Mintz, presidente del New York board of Rabbis; Shmuel René Sirat, già Rabbino Capo in Europa e Francia; David Lincoln, rabbino capo della Park Avenue Synagogue di New York; Shlomo Riskin, rabbino capo di Efrat, Gerusalemme; Joseph Arbib, della Sinagoga Maggiore di Roma) ma anche rappresentanti della Stato Ebraico, quali l’ambasciatore presso la Santa Sede, Oded Ben Hur, o il direttore per gli affari religiosi del ministero degli Esteri israeliano Gadi Golan…

    La Fondazione, creata e presieduta da Gary Krupp, ebreo decorato dell’ordine di San Gregorio Magno, ha come scopo di costruire strade e ponti mediante l’azione interreligiosa (“Pave the Way Fundation is bridging the Gap through Inter-religious Action) per mettere in relazione le cosiddette “tre religioni abramitiche”: il loro sito si presenta con una citazione del Vangelo, una del Corano e una della Thora, col il motto della Fondazione: Embrece the similarities, Savor the differences. Il programma interreligioso e vagamente massonico ha però anche degli scopi molti più concreti, e precisamente in favore degli interessi dello Stato d’Israele, come ricorda Elliot Hershberg, “chairman” della Fondazione: “Pave the Way Foundation è stato un mezzo per aiutare a colmare il fossato tra il Vaticano e lo Stato d’Israele nei loro contatti per giungere alle relazioni diplomatiche”.

    Giovanni Paolo II ha loro rivolto il seguente, breve discorso:

    “Cari Amici,

    Con affetto vi saluto, membri della “Pave the Way Foundation” in occasione della loro visita in Vaticano, e ringrazio il signor Krupp per le cordiali parole che mi ha rivolto a vostro nome. Quest’anno celebreremo il 40° anniversario della dichiarazione del Concilio Vaticano Secondo “Nostra Aetate”, che ha contribuito in modo significativo al rafforzamento del dialogo fra ebrei e cattolici. Che questa possa essere un’occasione per una comprensione e cooperazione maggiori, per l’edificazione di un mondo sempre più fermamente basato sul rispetto dell’immagine divina in ogni essere umano!. Su di voi, invoco le benedizioni abbondanti dell’Onnipotente e, in particolare, il dono della pace. Shalom aleichem” (traduzione dal testo originale inglese dell’Osservatore Romano, 19 gennaio 2005, p. 5).

    Giovanni Paolo II rispondeva al seguente indirizzo d’omaggio rivoltogli da Gary L. Krupp:

    “Santità, siamo un gruppo di persone che rappresenta un saggio del giudaismo, che è venuto fin qui con la benedizione di milioni di ebrei per ringraziarvi.

    Subito dopo essere salito sul trono di Pietro, avete compiuto un significativo viaggio a Auschwitz per rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto. Avete difeso il popolo ebraico in ogni circostanza, da prete in Polonia e nel corso dei vostri 26 anni di Pontificato. Avete denunciato l’antisemitismo come un ‘peccato contro Dio e l’umanità’. Questo tono di conciliazione è stato come motivo caratterizzante del vostro pontificato e delle sue relazioni col popolo ebraico. Il 13 aprile 1986, siete stato il primo Papa dopo San Pietro a visitare una sinagoga. Presentandovi le sue lettere credenziali nel giugno del 2003, l’ambasciatore israeliano Oded Ben-Hur ha espresso questa fantastica impresa nel miglior modo possibile dicendo: ‘Quel giorno avete preso sulle vostre spalle la Chiesa vecchia di 2000 anni e l’avete riportata alla sinagoga di Cafarnao del primo secolo, dove Gesù aveva l’abitudine di pregare, chiudendo così un cerchio storico’. Nel 1992, avete spinto la Santa Sede a cominciare il processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici con lo Stato d’Israele, la patria biblica beneamata del popolo ebraico, riconoscendo simbolicamente l’esistenza di Eretz Yisrael ieri, oggi e per sempre. Il vostro pellegrinaggio in Israele e Terra Santa il 21 marzo 2000, è immortale nel cuore e nelle menti del popolo ebreo di tutto il mondo, quando avete posto la vostra preghiera, che chiedeva perdono, nel Muro Occidentale. Le vostre solenni affermazioni durante la visita al Museo dell’Olocausto, Yad Vashem, ci hanno profondamente commosso e hanno toccato i nostri cuori. È impossibile descrivere l’impatto emotivo che queste pietre miliari hanno avuto nel mondo giudaico. Santità, questi gesti di riconciliazione sono stati di fatto un marchio del vostro pontificato. Voi avete anche cercato di riparare le antiche spaccature fra le religioni del mondo. Le Jewish Ethics of the Fathers hanno colto delicatamente, in versi, l’amore che avete dimostrato per l’umanità. Dice Rabbi Hillel: ‘Che tu sia annoverato tra i discepoli di Aronne. Sii amante della pace, perseguila, ama tutta l’umanità e portala più vicina alla religione’. I vostri atti di amore verso tutti gli uomini e la vostra implacabile ricerca della pace e della riconciliazione fra tutte le fedi vi rendono veramente la personificazione di questi ideali e dello spirito di Aronne, il più alto sacerdote dell’antico Israele. Infine, vi siete rivolto a noi, figli di Abramo, chiamandoci vostri fratelli beneamati. La mia intenzione di preghiera è che ebrei, cristiani e musulmani, i tre figli di Abramo, possano presto assumere insieme un impegno comune per difendere l’umanità tutta da coloro che diffamano Dio commettendo nel suo nome atti di perversa violenza. Santità, grazie, grazie, grazie. Shalom, shalom, shalom” (nostra traduzione dal testo originale inglese pubblicato sull’Osservatore Romano del 19 gennaio 2005, p. 5).

    L’erede di Aronne, il gran sacerdote dell’Antico Testamento (e non – come dovrebbe – il Vicario di Cristo, fondatore della Nuova ed eterna Alleanza e del sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedec, e non di Aronne!) è stato poi benedetto – incredibile a dirsi – da tre rabbini: “il rabbino Jack Bemporad ha offerto al Pontefice un augurio: ‘Il Signore ti sorrida con bontà’. Recita così la ‘formula di benedizione’ del capitolo sei del libro dei Numeri, il testo della Bibbia recitato oggi da tre rabbini al cospetto del papa per benedire e ringraziare Giovanni Paolo II. (…) Jack Bemporad ci ha poi dichiarato: ‘Ho incontrato varie volte Giovanni Paolo II, ma in nessuna occasione il Papa mi è apparso commosso ed emozionato come nell’udienza di questa mattina” durante la quale Krupp gli ha anche fatto omaggio di una kippa ai colori… vaticani (La Stampa, 19/1/2005, p. 10).



    Conclusione



    In questo articolo abbiamo soprattutto pubblicato i documenti relativi alle due udienze concesse da Giovanni Paolo II alle comunità ebraiche in occasione del 40° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate e dei 26 anni del suo “pontificato”. Ci è sembrato che i testi parlassero da sè, e non avessero bisogno di particolare commento; un commento adeguato si trova nei numerosissimi articoli consacrati a questo tema dalla nostra rivista, soprattutto da don Nitoglia, e in parte raccolti in volume. Le comunità ebraiche sono pienamente soddisfatte del “pontificato” di Giovanni Paolo II, che per loro può essere paragonato ad Aronne. Questa soddisfazione è inquietante, se solo ci si rammenta del fatto che il Giudaismo, dopo la venuta ed il rifiuto del Messia, è sopravvissuto nel Farisaismo. E allora ci chiediamo, se coloro che elogiano Giovanni Paolo II elogerebbero anche Cristo. Ci pare di no. Mi sembra opportuno concludere questo articolo riprendendo uno stralcio di un comunicato del Centro Studi Federici, con il quale si commentavano, per l’appunto, gli avvenimenti in questione:

    “…E Simeone li benedisse, e disse a Maria sua madre: Ecco che questi è posto per rovina e per resurrezione di molti in Israele, e per segno di contraddizione (Lc, II, 34).

    Commento del Padre Marco Sales, op, Maestro del S. Palazzo Apostolico (La Sacra Bibbia. Il Nuovo Testamento, Vol. I, I quattro Evangeli - Gli Atti degli Apostoli, L.I.C.E. Roberto Berruti & C. - Tipografia Pontificia e della S. Congregazione dei Riti Cav. P. Marietti, Torino 1933, pag. 224):

    “Gesù è quella pietra d’inciampo o di scandalo di cui parla Isaia (VIII, 14). Molti israeliti non vollero riconoscerlo come Messia, né prestar fede alla sua parola e praticare la sua dottrina, essi vennero perciò a urtare in lui, cadendo nell’infedeltà, fabbricandosi colle proprie mani l’eterna rovina (Matt. XI, 6; Giov. III, 19; Rom. XI, 32; I Cor. I, 13, ecc.). Pietra d’inciampo per gli uni, Gesù è principio di risurrezione per gli altri; è la pietra angolare sulla quale coloro che credono in lui e mettono in pratica i suoi insegnamenti, innalzano l’edificio della loro eterna salute. Ciò che si dice degli israeliti vale anche per i pagani”.

    La Chiesa deve quindi predicare la divinità di Gesù agli Ebrei increduli e pregare per la loro conversione:

    Oremus et pro perfidis Judaeis: ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscat Jesum Cristum Domimun nostrum. Preghiamo anche per i perfidi Giudei, affinchè Dio nostro Signore tolga il velo dai loro cuori e riconoscano anch’essi Gesù Cristo, nostro Signore.

    Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius popoli obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur. Dio onnipotente et eterno, che non ricusi la tua misericordia neppure ai perfidi Giudei, degnati di esaudire le preghiere che ti rivolgiamo per questo popolo cieco, affinché, riconoscendo la luce della tua verità, che è il Cristo, siano liberati dalle tenebre.

    (Da Messalino Quotidiano Latino-Italiano, LICE – R. Berruti & C., Torino 1936, Orazioni del Venerdì Santo, pag. 634).

    Le notizie che provengono dal Vaticano vanno in un’altra direzione…” (Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza. Comunicato n. 8/05 del 19 gennaio 2005, San Mario).



    Appendice



    Pubblichiamo questa interessante notizia tratta dal quotidiano Il Foglio del 3 marzo 2005: “Concistoro a Manhattan. Si è tenuto in questi giorni a New York una riunione di dialogo ebraico-cattolico organizzata dal World Jewish Congress. Vi hanno partecipato alcuni porporati tra i più qualificati del Collegio cardinalizio: il francese Jean-Marie Lustiger, fino a poco fa arcivescovo di Parigi, il belga Godfried Danneels di Bruxelles, il brasiliano Claudio Hummes di São Paulo, l’italiano Angelo Scola di Venezia, l’africano Peter Turkson, l’americano Theodore McCarrick, il tedesco Walter Kasper, ministro vaticano per l’ecumenismo e il dialogo con il mondo ebraico. ‘I leaders ebraici – ha scritto l’Ap – sono diventati ansiosi su chi succederà a Giovanni Paolo II e stanno contattando i suoi possibili successori. Hummes e Danneels sono tra i candidati partecipanti al Simposio che sono stati citati come potenziali candidati’”.

    Prendiamo nota, quindi, di questi nomi. Prendiamo nota soprattutto del nome di Angelo Scola, legato a Comunione e Liberazione. Uriel Heilman in un articolo del Jerusalem Post (2/3/05) dedicato alla suddetta riunione, indica proprio nel card. Scola il probabile successore di Giovanni Paolo II. La sua presenza a New York non fa che confermare gli strettissimi rapporti tra il movimento del defunto don Giussani ed il mondo ebraico.







    Sacrilegio. Le reliquie di San Giovanni Crisostomo e di San Gregorio Nazianzeno, Dottori della Chiesa, sono state cedute da Giovanni Paolo II al “patriarca” di Costantinopoli Bartolomeo, che ancora recentemente ha ribadito le eresie contro il primato romano degli eredi di Fozio e di Michele Cerulario. La decisione di Giovanni Paolo II non viola solamente la legge positiva della Chiesa (can. 1289§1) ma il rispetto e la venerazione dovuta alle cose sacre, che non possono essere date in mano agli eretici. Nella foto, la cerimonia a Costantinopoli per il ritorno delle reliquie del Crisostomo.




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    Cristina Campo, o l’ambiguità della Tradizione

    Risposta alla «Lettera ad un religioso» di Simone Weil



    Cristina Campo (1923-1977), scrittrice e poetessa, ha conosciuto dopo la morte un grande successo di pubblico e di critica. Sembrano averla dimenticata solo i cattolici “tradizionalisti”, dei quali pure essa fu una personalità di primo piano. Tra i fondatori di “Una voce-Italia”, Vittoria Guerrini (questo il vero nome di Cristina Campo) ha dato un contributo decisivo alla redazione del “Breve esame critico” del nuovo messale, presentato a Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci. Attorno a Cristina Campo, in quegli anni, troviamo Mons. Lefebvre e Padre Guérard des Lauriers, Mons. D’Amato e Mons. Pozzi e, dalla Francia, Jean Madiran e l’abbé de Nantes... in modo tale che il lettore scoprirà forse per la prima volta buona parte della storia dell’opposizione alla riforma liturgica - quando tutto era ancora possibile - dal 1965 al 1970. Nello stesso tempo, seguendo le tracce di Cristina Campo, ci si può perdere nei meandri di un’altra “tradizione” ben diversa da quella cattolica! Da Simone Weil alla psicanalisi junghiana, dal manicheismo all’esicasmo bizantino, dal Vedanta al cabalismo di Abraham J. Heschel, Cristina Campo percorse le vie tenebrose dell’esoterismo “cristiano”, guidata in questo da un maestro indiscusso quale Elémire Zolla, con il quale condivise la vita.




    Qual è dunque il vero volto di Cristina Campo, una donna che visse veramente “sotto falso nome”? Nella natìa Bologna, ai piedi della Madonna di San Luca alla quale l’aveva consacrata la madre, riposa l’intrepida ammiratrice della Messa romana o una inquietante iniziata? L’autore cerca di risolvere questo dilemma al quale solo Dio potrà dare l’ultima risposta. Lo storico - da parte sua - non può far altro che affidarsi ai documenti. Oltre alle fonti edite, don Ricossa ha potuto avvalersi dell’archivio di uno dei protagonisti della nostra storia - Padre M.L. Guérard des Lauriers - e delle testimonianze dell’ultimo suo confessore, il Cardinale _Augustin Mayer...

    Nella seconda parte di questo libro viene ripubblicato un testo ormai introvabile (edito da Borla nel 1970) ma fondamentale: la Risposta alla “Lettera ad un religioso” di Simone Weil scritta da Padre Guérard des Lauriers, che fu molto importante nel cammino spirituale di Cristina Campo.



    Don Francesco Ricossa

    Padre M.-L. Guérard des Laurieres o.p.

    Cristina Campo, o l’ambiguità della _Tradizione - Risposta alla «Lettera ad un religioso» di Simone Weil

    Centro Librario Sodalitium, Verrua _Savoia 2005. 172 pagg. e 9,50.



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    Importante novità editoriale sulla Liturgia







    La Chiesa insegna che il fine principale della liturgia è l’adorazione della Santissima Trinità; la liturgia è quindi essenzialmente teocentrica, è il culto pubblico frutto della virtù di religione. Ma Dio vuole la salvezza delle anime e quindi il culto liturgico è offerto anche per la santificazione dei fedeli.

    In questo contesto san Pio X, nel Motu proprio Tra le sollicitudini, del 22 novembre 1903, insegna che: “Tra le sollicitudini dell’officio pastorale… senza dubbio è precipua quella di mantenere e promuovere il decoro della Casa di Dio, dove gli augusti misteri della religione si celebrano e dove il popolo cristiano si raduna, onde ricevere la grazia dei Sacramenti, assistere al santo Sacrifico dell’Altare, adorare l’augustissimo Sacramento del Corpo del Signore ed unirsi alla preghiera comune della chiesa nella pubblica e solenne officiatura liturgica”.

    Dopo aver ammonito che “nulla dunque deve occorrere nel tempio che turbi o anche solo diminuisca la pietà e la devozione dei fedeli, nulla che dia ragionevole motivo di disgusto o di scandalo, nulla soprattutto che direttamente offenda il decoro e la santità delle sacre funzioni e perciò sia indegno della casa di orazione e della Maestà di Dio”, Papa Sarto continuava ricordando che “è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima e indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa”.

    Il riferimento alla partecipazione attiva dei fedeli fu più tardi interpretato in modo errato dagli attivisti modernisti che tradirono lo spirito iniziale del movimento liturgico. Per loro la liturgia doveva essere innanzitutto insegnamento per i fedeli, capace di essere “capita” e perciò riformata e adattata ai fini catechistici.

    Invece, il clero cattolico, sulla scia dell’insegnamento di san Pio X, moltiplicò gli sforzi per la formazione dei fedeli nelle sedi idonee, quindi prima o dopo la celebrazione delle funzioni sacre. In questo contesto vanno situate le numerose iniziative editoriali, protese a ravvivare nelle anime l’amore e il rispetto per i riti contenuti nel Messale, nel Rituale e nel Pontificale, e il conseguente desiderio di avvicinarsi con più fervore a questi tesori spirituali.

    Tesori spirituali è il titolo di una di queste opere, edita nel 1941, che il Centro librario Sodalitium ha deciso di ristampare in forma anastatica per la formazione dottrinale e spirituale dei fedeli.

    Nel volume il lettore troverà innanzitutto la pubblicazione del testo latino e della traduzione in lingua italiana di tutti i Sacramenti e dei maggiori Sacramentali. Vi è poi, per ogni sacramento e sacramentale, un prezioso commento dogmatico, che illustra la ricchezza contenuta in ogni rito della Chiesa. Di particolare interesse la parte consacrata alle diverse cerimonie relative all’Ordine Sacro, con i testi integrali della Tonsura, degli ordini minori (Ostiariato, Lettorato, Esorcistato e Accolitato) e degli ordini maggiori (suddiaconato, diaconato e sacerdozio).

    È un libro importante da utilizzare durante le cerimonie, per seguirne le diverse fasi; da usare come testo di meditazione, per riflettere sui sacramenti già ricevuti o che si riceveranno nel futuro; e infine da consultare frequentemente, per curare la propria istruzione religiosa e preservarsi così dalla proposizioni moderniste relative alla liturgia condannate da san Pio X nel decreto Lamentabili del 3 luglio 1907 (nn. 39-52) e oggi ampiamente diffuse tra i cattolici.

    INDICE



    PARTE PRIMA – I SACRAMENTI

    Pag. 10 Sacramenti in genere

    Pag. 17 Battesimo

    Pag. 25 Rito Battesimale

    Pag. 25 Il Battesimo nei primi tempi della Chiesa

    Pag. 30 Rito odierno per il battesimo solenne dei _bambini

    Pag. 42 Cresima

    Pag. 49 Rito della Cresima

    Pag. 55 Eucarestia

    Pag. 56 Eucarestia - Sacramento

    Pag. 67 Modo di comunicarsi

    Pag. 71 Amministrazione della SS. Eucarestia

    Pag. 73 La Comunione agli infermi e il Viatico

    Pag. 78 Eucarestia - Sacrifico

    Pag. 88 Il Divino Ospite

    Pag. 90 Come onorare il SS. Sacramento

    Pag. 98 PENITENZA

    Pag. 111 Modo per ben confessarsi

    Pag. 113 Rito della Confessione

    Pag. 115 ESTREMA UNZIONE

    Pag. 121 Rito dell’Estrema Unzione

    Pag. 127 Raccomandazioni dell’anima

    Pag. 144 Matrimonio

    Pag. 158 Rito Nuziale

    Pag. 169 ORDINE SACRO

    Pag. 181 Le Ordinazioni

    Pag. 190 Gli Ordini Minori

    Pag. 191 Ordine dell’Ostariato

    Pag. 195 Ordine del Lettorato

    Pag. 199 Ordine dell’Esorcistato

    Pag. 202 Ordine dell’Accolitato

    Pag. 209 Gli Ordini Maggiori

    Pag. 209 Il Suddiaconato

    Pag. 225 Il Diaconato

    Pag. 239 Il Sacerdozio



    PARTE SECONDA – I SACRAMENTALI

    Pag. 265 Sacramentali in genere

    Pag. 275 Bendizioni non riservate

    Pag. 275 Benedizione dell’acqua

    Pag. 281 Benedizione delle case

    Pag. 283 Benedizione delle candele nella festa di S. _Biagio

    Pag. 285 Benedizione della bandiera professionale di qualsiasi associazione

    Pag. 290 Benedizione degli animali malati

    Pag. 290 Benedizione d’una nuova casa

    Pag. 292 Benedizione dei nuovi frutti

    Pag. 293 Benedizione di qualunque cibo

    Pag. 294 Benedizioni riservate

    Pag. 294 Benedizione e posa della prima pietra di una Chiesa

    Pag. 308 Benedizione di una nuova Chiesa od Oratorio pubblico

    Pag. 314 Benedizione del Cimitero nuovo

    Pag. 317 Benedizione deprecatoria contro gli animali nocivi

    Pag. 320 rito delle processioni

    Pag. 320 La Candelora

    Pag. 325 Le Rogazioni

    Pag. 332 Processione del Corpus Domini

    Pag. 338 Per domandare la pioggia

    Pag. 341 Per allontanare la tempesta

    Pag. 345 Per il tempo di guerra

    Pag. 351 Processione di ringraziamento

    Pag. 359 RITO DELLE ESEQUIE

    Pag. 363 Messa esequiale

    Pag. 372 Assoluzione al tumulo

    Pag. 379 Sepoltura dei bambini



    don Ugo Carandino



    I Tesori Spirituali. Sacramenti e _Sacramentali. Traduzione e spiegazione

    Centro Librario Sodalitium,

    Verrua _Savoia 2004. Formato Tascabile,

    pagg. 390, e 12,00
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