Sommario n. 58 - Aprile 2005
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Editoriale n.58 | Nuovi libri di religione per una nuova religione? | Con Pietro o contro Pietro: “una tragica necessità | L’argomento detto di “resistenza” di san Roberto B | L'Osservatore Romano | Le consacrazioni episcopali secondo il nuovo rito | Importante novità editoriale sulla Liturgia | Cristina Campo, o l’ambiguità della Tradizione
Editoriale
Questo numero di Sodalitium, il primo dell’anno di grazia 2005, vede la luce in occasione d’importanti, e spesso tristi, anniversari. Nel 1905, infatti, fu votata in Francia la legge di separazione tra lo Stato e la Chiesa che causò tanti gravi mali alla Chiesa, alla Religione e anche alla civile società. Sessant’anni dopo, nel 1965, si chiudeva il Concilio Vaticano II che, con la dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae personae, rivoluzionava la dottrina e il diritto pubblico della Chiesa nei suoi rapporti con lo Stato, accettando il principio, sempre condannato, della libertà religiosa. San Pio X non esitò a condannare severamente la legge di separazione, voluta dal governo francese, con l’Enciclica Vehementer dell’11 febbraio 1906 e la susseguente allocuzione concistoriale del 21 febbraio. Una legge “odiosa”, “iniquissima”, “contraria ai diritti di Dio e della Chiesa”. Giovanni Paolo II, scrivendo ai vescovi francesi l’11 febbraio 2005 per commemorare la legge in questione, parla del “principio di laicità, al quale il vostro paese è molto affezionato” come di un principio che, “se ben compreso”, “appartiene anche alla Dottrina sociale della Chiesa” in quanto ricorda la “necessità di una giusta separazione dei poteri”, elogiando la “non-confessionalità dello Stato”. La Chiesa ha sempre parlato di distinzione tra il potere spirituale e quello temporale (in quanto hanno fini distinti), ma non mai di separazione. Al contrari la Chiesa insegna che deve vigere un’unione tra questi due poteri in sé distinti, e anche una subordinazione di quello temporale a quello spirituale, in virtù della subordinazione dei fini. Giovanni Paolo II va oltre la stessa Dichiarazione conciliare e nello stesso tempo la interpreta “autenticamente”, se mai ce ne fosse stato bisogno, in senso di rottura colla dottrina della Chiesa. Lo stesso si può dire dell’insegnamento di Giovanni Paolo II sui rapporti della Chiesa colle religioni non cristiane e particolarmente l’ebraismo, che conferma ed aggrava persino quello della Dichiarazione conciliare Nostra aetate: su questo numero troverete nuovamente un articolo sul tema…
Il tramonto di Giovanni Paolo II invita ad un bilancio, che non può che essere negativo, per la Chiesa e per la fedeltà al deposito rivelato; si conferma così il dovere improrogabile di non accettare i documenti conciliari e quindi l’autorità di chi li ha promulgati e di chi ancor oggi li vuole imporre. In realtà, neppure si dovrebbe parlare di documenti “conciliari”, giacché un Concilio fa sempre parte dell’insegnamento della Chiesa, che non può mai essere rifiutato. Ciò che non possiamo accettare, proprio perché vogliamo aderire alla Fede rivelata quale ci è stata proposta dalla Chiesa, sono l’ecumenismo, la libertà religiosa, la nuova dottrina sulla Chiesa e quella sulle religioni non cristiane, ecc., tutte dottrine già condannate ripetutamente dal Magistero.
Ci viene chiesto, a volte, il nostro parere su movimenti o pensatori cattolici particolarmente vicini ad alcune nostre posizioni, o che sembrano comunque attaccati ad alcuni aspetti della tradizione della Chiesa. La nostra risposta è sempre la stessa: la prima, essenziale, discriminante è il Vaticano II. Quanti accettano l’insegnamento del Vaticano II (e, le due cose sono inseparabili, l’autorità che lo fa proprio) non edificano la Chiesa ma – per quanto umanamente possibile – la distruggono. Il nostro piccolo Istituto è nato vent’anni fa, dopo tanti altri, per opporsi a questa distruzione, a questo tradimento; a chi ci chiedesse di unirci a quanti hanno finito per accettare le nuove dottrine, magari con una vernice di tradizione, rispondiamo, oggi come ieri: non possumus!
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