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    Predefinito Tutta colpa delle Banche

    La fabbrica dell'inflazione
    Maurizio Blondet dal libro: “Schiavi delle banche”
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    Quando una categoria di lavoratori produttivi chiede un aumento di salario, dal sistema si leva sempre qualche voce - di solito quella di autorevoli economisti - che mettono in guardia dall'inflazione che questi aumenti possono provocare. Quando la massaia scopre al mercato che le zucchine sono rincarate, i giornali denunciano l'avidità dei fruttivendoli che col loro egoismo provocano inflazione, e invocano il controllo dei prezzi, e punizioni esemplari; i fruttivendoli additano i grossisti, i veri colpevoli; ma costoro lamentano le alte spese di trasporto e distribuzione. Infine la colpa ricade sui contadini - e questi, poveretti, dimostrano che loro hanno venduto le loro zucchine a prezzi calanti, mentre hanno dovuto pagare di più i concimi chimici, i diserbanti, le sementi. Allora il marito della massaia chiede un aumento - non da solo, ma come categoria, perché la vita rincara e lui non ce la fa ad arrivare a fine mese: e l'economista di turno lo accusa. Ecco chi accende l'inflazione.
    Quante volte abbiamo visto inscenare questa commedia? Questo teatrino del circolo vizioso, in cui le categorie produttive e consumatrici si accusano l'un l'altra di provocare l'inflazione, di fare ingiusti profitti?
    Non c'è da escludere che, temporaneamente e in modo parziale, una o l'altra categoria davvero speculi, incameri profitti non dovuti, approfittando di momentanei intoppi del mercato, di certe aree di privilegio, di parassitismo. Ma in linea generale, nel gran litigio recitato sulla scena sociale, il vero colpevole non appare mai. E' per questo che il teatrino viene inscenato.

    Il colpevole dell'inflazione è il sistema bancario.
    Il trucco richiede una spiegazione abbastanza lunga. Ma non vi annoierà: finalmente, non è il teatrino.
    Tutto comincia quando voi mettete nel vostro conto corrente 100 euro, diciamo, che avete risparmiato. Grazie a questo deposito, la banca può prestare all'industriale che ne ha bisogno, mille euro: è il meccanismo del credito frazionale, di cui abbiamo già parlato. Il miracolo consiste in questo: la banca presta denaro che non ha, che crea dal nulla, e ci lucra gli interessi.
    La banca può scrivere quei mille euro, nei suoi libri contabili, come attivo, perché ci guadagna gli interessi, e un giorno, magari, se lo vedrà ripagare. Nello stesso tempo, la contabilità le impone di segnare una cifra identica, mille euro, come passivo. Ciò perché la moneta creata dal nulla è ora in circolazione, l'imprenditore indebitato emette assegni su quel fido, e questi assegni saranno presentati all'incasso: la banca dunque ha un debito potenziale uguale al suo attivo. Questa passività viene coperta dal debitore con i suoi versamenti periodici per servire il debito che ha contratto.
    Di fatto, accade qualche volta - accade tutti i giorni - che l'indebitato non possa pagare, fallisca, diventi insolvente. In quel caso, la banca è costretta a registrare quel prestito andato a male alla voce perdite. Non è, diciamolo subito, una tragedia: poiché il 90% del denaro scritto nel fido è stato creato dal nulla, e non costa niente alla banca a parte le spese di tenuta della contabilità, ben poco valore reale è realmente perduto. E' soprattutto una voce di contabilità.

    Ma una perdita contabile è pur sempre un male per la banca, perché il prestito andato a male deve essere sottratto dalla colonna degli attivi, senza una corrispondente sottrazione alla voce passivi. Il passivo rimane, e la moneta creata dal nulla è in circolazione, e gli assegni vengono via via all'incasso, anche se il debitore è fallito. E la banca ha il dovere di onorare quegli assegni.
    Il solo modo di pagarli, è prendere denaro dal capitale della banca - quello che ci hanno messo i suoi azionisti - o dai suoi profitti.
    Nell'uno e nell'altro caso, sono i padroni della banca a perdere quei mille euro. E per loro, la perdita è reale. Anzi se la banca ha fatto troppi prestiti avventati, e troppi dei suoi debitori risultano insolventi, può accadere che il passivo superi l'intero capitale che i suoi azionisti hanno investito nella banca. In quel caso, la banca fallisce.
    E' un vero dolore, per i padroni. Un dolore così forte, che l'intero sistema bancario è collegato per scongiurarlo. No, i padroni non possono perdere. La banca non può fallire. Per questo esiste la Banca Centrale: prestatore di ultima istanza, garanzia che nessuna banca soffra il fallimento, e i suoi padroni una perdita. La Banca interviene, se c'è questo rischio. A noi si dice: interviene per assicurare che i risparmiatori non perdano i loro depositi.

    Il fatto è che ogni banchiere sa che non gli sarà permesso fallire, e perciò non dovrà rendere conto dei suoi prestiti più folli. E' per questo motivo che le banche, severissime quando si tratta di prestare 50 mila euro al bottegaio dell'angolo o al lavoratore come mutuo per la casa, sono generosissime quando si tratta di prestare milioni di euro, anzi miliardi, a Parmalat, alla Fiat, allo Stato. Aprire un piccolo prestito costa come avanzare un miliardo di dollari dall'Argentina o dalla Fiat, e fa guadagnare meno interessi. E se la Fiat non paga, se rimane in arretrato l'Argentina, è l'intervento della Banca Centrale a salvare il banchiere improvvido, con la scusa che bisogna salvare il sistema; se diventa insolvente l'operaio col mutuo, nessun intervento pubblico lo soccorrerà.
    Così, la banca presta volentieri agli Stati, allo Stato, a Parmalat, pur sapendoli insolventi. Per capire come mai, bisogna ricordare una cosa: alla banca non interessa che il grande debitore estingua il debito, che restituisca rata su rata tutto il capitale. Quel capitale è al 90 per cento denaro creato dal nulla, e al 10% sono soldi vostri, il vostro deposito. Non è della banca, è vostro, e alla banca non interessa nulla. Quando un debitore estingue il suo debito e restituisce il capitale, per la banca è una noia: ora deve trovare qualcun altro da indebitare. Quel che conta, per la banca, è che il debitore continui a pagare gli interessi, magari in eterno.

    Perché la banca lucra lì. Perché finché il debitore paga gli interessi, la banca può mantenere il prestito che gli ha fatto alla voce attivi.
    In questo senso, il debitore ideale è lo Stato, gli Stati. La banca presta allo Stato comprandone i Buoni del Tesoro, che sono cambiali, promesse di pagamento. Ma nessuno si aspetta mai che lo Stato, alla scadenza dei Bot, paghi se non con l'emissione di nuovi Bot, di pari ammontare, a scadenza più lontana. Questo è l'eterno debito dello Stato; non risulta che nessuno Stato sia mai, nella storia, uscito dall'abisso del debito perpetuo. E' proprio questo a rendere felice la banca: perpetuamente lucra gli interessi sui Bot, e del resto può in ogni momento rivenderli al pubblico.
    Accade che gli Stati non riescano più nemmeno a pagare gli interessi. Accade sempre più spesso, nel terzo mondo. Ma i tempi non sono più quelli di re Edoardo d'Inghilterra, che ripudiò il debito coi banchieri fiorentini e li rovinò. Oggi, agli Stati decotti non è consentito ripudiare il debito, non è consentito fallire. Non è più permesso loro di rovinare i banchieri.
    Quando l'Argentina o la Costa d'Avorio, debitori eterni, non ce la fanno proprio nemmeno a pagare gli interessi, la banca li soccorre nel proprio interesse. Se il debitore si dichiara insolvente, la banca dovrà cancellare il prestito dai suoi libri contabili, e pagare con i soldi dei suoi azionisti e padroni la perdita corrispondente. In fondo, basta che il debitore continui a pagare gli interessi su quel debito (non le quote-capitale), sicché la voce continui ad essere un attivo nei libri della banca, e il lucro della banca continui a piovere. Non ha soldi per gli interessi? Ma ci pensa la banca: apre al debitore un altro prestito, creando dal nulla il nuovo denaro necessario perché quello paghi gli interessi. E' il miracoloso prestito-ponte, tanto praticato verso il terzo mondo. Il denaro fresco non entra nemmeno nel paese; passa da una all'altra scrittura contabile della banca creditrice. Miracolo: il vecchio prestito andato a male resta nei libri come attivo, anzi l'attivo è addirittura accresciuto dal nuovo prestito, e produce ulteriori interessi per la banca.

    Ma, prima o poi, il debitore comincia ad entrare in affanno. Si accorge che non può costruire una scuola o un ospedale, perché tutto quel che riceve dalle tasse va a pagare gli interessi alle banche creditrici. A quel punto, Argentina o Costa d'Avorio smettono di pagare gli interessi.
    I banchieri si stracciano le vesti. Fanno la faccia feroce. Minacciano il debitore insolvente: d'ora in poi nessuna banca gli farà più credito. Le due parti s'incontrano, l'autorità politica interviene (lo Stato delle banche creditrici), interviene il Fondo Monetario; alla fine della sceneggiata, immutabilmente, viene raggiunto un compromesso. Il debitore riceve un altro prestito (e sono tre), non solo per pagare gli…

  2. #2
    Ospite

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    Mps, De Bustis indagato per truffa

    Nell'indagine su Banca 121

    Nel giorno in cui Calisto Tanzi, l'ex presidente di Parmalat è stato iscritto nel registro degli indagati per truffa, e a poche settimane dallo scandalo che ha coinvolto il numero uno di Capitalia, Cesare Geronzi, arriva anche la notizia di un altro nome illustre finito nel registro degli indagati: si tratta di Vincenzo De Bustis.

    L'ex direttore generale del Monte dei Paschi di Siena e di Banca 121, ora amministratore delegato della Deutsche Bank in Italia, è infatti tra le 23 persone indagate per truffa aggravata nell'indagine che ha indotto la procura della Repubblica di Trani a far sequestrare dal Gico della Guardia di Finanza prodotti finanziari dell'ex Banca 121. Insieme a lui compare anche il nome di Lorenzo Gorgoni, ex presidente di Banca 121 e, dal maggio scorso, componente del comitato esecutivo di Mps.

    La lista comprende tra gli indagati, anche l'allora direttore delle vendite dell' ex Banca 121, Giuseppe Pacileo.

    L'attività delle Fiamme Gialle è ancora frenetica, in queste ore si stanno infatti ultimando le notifiche di avvisi di garanzia nei confronti delle persone sottoposte ad indagini.
    Secondo il pubblico ministero inquirente, Antonio Savasta, i dirigenti della ex Banca 121 hanno messo in atto una operazione, ingannando migliaia di inconsapevoli clienti, per rendere l'istituto salentino più "appetibile" agli occhi del Montepaschi, gruppo con cui stavano trattando la cessione della banca stessa.
    In particolare, ha sottolineato Savasta, alla Mps è stata prospettata una banca "attiva sul mercato. La Banca del Salento aveva piazzato a tutta la sua clientela prodotti particolari (come My Way e For You) che le consentivano di ricevere immediatamente flussi di denaro e quindi plusvalenze, la banca si proponeva così ricca di liquidita'. Questa liquidita' e' stata fatta apparire al Mps come plusvalenza: il Monte Paschi ha cosi' ritenuto la Banca 121 "'molto appetibile, una banca piccola ma con una enorme liquidita' e soprattutto con una clientela che ha piena fiducia dei suoi prodotti".
    Per tale motivo - secondo Savasta - l'acquisizione di Banca 121 comporto' per Mps un esborso di 2.500 miliardi di lire. L'operazione tra Rocca Salimbeni e la banca leccese si compi' appunto tra il dicembre 1999 e il 2001. Nel febbraio 2000 la Banca del Salento entro' nel gruppo Monte Paschi. Il primo giugno 2000 la Banca del Salento assunse il nuovo nome di Banca 121; nel luglio successivo furono nominati i componenti del consiglio di amministrazione: entrarono nel cda numerosi dirigenti del gruppo Monte dei Paschi di Siena e della ex Banca del Salento, tra i quali Quirico Semeraro, figlio di Giovanni Semeraro che era stato presidente della banca salentina dal '75 e poi componente del Cda del Monte Paschi, e Vincenzo De Bustis, direttore generale della Banca del Salento dal '93 e nel giugno 2000 nominato direttore generale del Monte dei Paschi di Siena.
    La Banca del Salento e' stata la prima banca in Italia ad aver realizzato la strategia multicanale integrata: filiali, negozi finanziari, promotori finanziari e virtual banking (via telefono, Internet e televideo).
    A quanto si è saputo, al momento della vendita di Banca 121 a Mps, dai documenti prodotti dalla banca pugliese emergeva che la stessa aveva un Return on equity (Roe) altissimo, pari a circa il 20%, contro l'8% che registravano, tra il 1999 e il 2000, alcune tra le piu' importanti banche italiane.
    Il Roe e' il grado di redditività del capitale proprio ed e' il quoziente di massima sintesi della performance aziendale. Per far innalzare il Roe, e quindi il valore sul mercato della banca, i vertici della Banca 121 - ritiene di aver accertato il Gico - avrebbero rivolto anche minacce ai dipendenti dell'istituto di credito ai quali avrebbero impartito l'ordine perentorio di vendere in massa i prodotti finanziari finiti oggi sotto sequestro.



    Banca 121 indagata per truffa

    Accusanvestimenti rischiosi camuffati

    Banca 121, la ex banca del Salento ora inglobata in Mps, ha realizzato una truffa da 54 milioni di euro, pari a 106 miliardi delle vecchie lire, effettuata con la vendite di prodotti finanziari "camuffati" da Titoli di Stato. E' quanto è emerso dalle inchieste svolte dalla Procura di Trani. Ad essere raggirati oltre 2.500 clienti dell'istitituto.

    Tanti sono infatti i titoli sequestrati dagli uomini del Gico della Guardia di Finanza di Bari, riconducibili appunto a circa 2.500 clienti della Banca 121 nel territorio del nord barese.
    In realtà i clienti erano convinti di aver investito in sicuri Titoli di Stato. Invece i prodotti da loro acquistati erano veri e propri "strumenti derivati" altamente speculativi che venivano dissimulati all'interno di una contrattualistica, con una denominazione fuorviante che richiamava quella dei titoli di Stato come i Buoni e i Certificati del Tesoro. I prodotti sotto accusa infatti avevano le seguenti denominazioni: Bpt-Tel, Btp-Index e Btp-Online.

    Così, i clienti che pensavano di avere titoli di stato con garanzia del capitale a scadenza, si sono trovati con un investimento ridotto in media del 65%.
    La Procura tiene a sottolineare che "le conclusioni investigative sulla reale natura di tali prodotti hanno ricevuto conferma anche dalla Consob, interpellata al riguardo, e dalle relazioni corpose di due consulenti tecnici nominati dalla Procura, scelti tra un ispettore designato dal Governatore della Banca d'Italia e un avvocato esperto della materia".
    Le indagini sono partite dopo una querela presentata da due clienti della filiale di Bisceglie (Bari) per presunte attivita' truffaldine svolte da alcuni funzionari sulla vendita di prodotti finanziari altamente speculativi sotto l'apparenza di tranquilli titoli di Stato.
    E hanno portato nomi illustri come quello Vincenzo De Bustis (a.d. di Deutsche Bank ed ex d.g. di Banca del Salento e Mps) e Lorenzo Gorgoni, ex presidente della Banca 121 e attuale componente del CdA e del Comitato Esecutivo di Mps) ad essere iscritti nel registro degli indagati.

  3. #3
    Ospite

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    «Quando la Banca 121 stava con D'Alema»

    Mantovano (An): «L'indagine parlamentare si deve occupare anche dei rapporti tra l'istituto pugliese e i Ds»>


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    da Roma «L'indagine parlamentare dovrà chiarire anche i rapporti tra i vertici dell'ex Banca 121 e Massimo D'Alema». Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, torna sullo scandalo che ha bruciato, soprattutto in Puglia, centinaia di milioni di euro. Lo fa ricordando le varie tappe di un affaire che portò alla vendita di prodotti finanziari dalle caratteristiche ingannevoli con rendite fisse promesse dell'8,50 all'anno e margini di rischio estremamente elevati.

    Onorevole Mantovano, in questi giorni si parla molto di sovrapposizione tra politica e sistema bancario. Lei ha sollevato con forza la questione della Banca 121. Vuole raccontarci come andarono le cose?
    «La vicenda è semplice: alla fine degli anni '90 partì una operazione tesa alla costruzione di un grosso polo bancario che avrebbe dovuto nascere dall'accorpamento tra Monte Paschi e Bnl. Per arrivarci erano necessarie alcune tappe intermedie: la più significativa era l'incorporazione della Banca del Salento da parte del Mps. La Banca del Salento era una banca in crescita con un rapporto di fiducia molto stretto con la clientela. Quest'insieme di operazioni era fortemente voluto da quella parte significativa della sinistra che faceva capo a Massimo D'Alema, allora presidente del Consiglio».

    Poco prima deli'acquislzlone la Bancadei Salento inizia a emettere prodotti finanziari a capitale non garantito.
    «Si, vennero collocati, al fine di aumentare l'appetibilità della banca, i prodotti My Waye 4You, per circa 150 milioni di euro. E poi i fondi strutturati per i quali c'era la denominazione ingannevole di Btp-Tel o Btp on-line come se avessero caratteristiche simili ai titoli di Stato».

    Quanti sono I rispanniatori Interessati dalla vicenda?
    «Sono 11.700 solo a Brindisi, Lecce e Taranto. Per queste tre province si parla di 325 milioni di euro soltanto per quei fondi denominati come Btp».

    Coloro che hanno sottoscritto l'investimento erano davvero ignari del rischi che correvano?
    «La stragrande maggioranza pensava di fare un investimento corazzato, pensionati che avevano nella Banca del Salento un rapporto pluridecennale. Vedendosi proporre titoli denominati in quel modo non si sono posti il problema dei rischi. In moltissimi casi non è stato neppure fatto sottoscrivere loro il foglio con Le avertenze sul rischio».

    A quali perdite vanno Incontro questi investitori?
    «I titoli scaduti il 31 dicembre scorso fanno registrare perdite non inferiori al 25% ma spesso anche molto più alte. Ora c'è un duplice accertamento in corso. il primo è dell'autorità giudiziaria sulle modalità dei titoli sottoscritti. L'ipotesi di reato è quella di truffa. L'altro accertamento è quello che sta facendo il Monte dei Paschi con le associazioni dei consumatori per eventuali rimborsi».

    Lei punta il dito contro il suo ex aversario nel colieglo elettorale dl Gallipoli, Massimo D'Alema. Cosa gli imputa?
    «Io a D'Alema faccio rilievi politici e non giudiziari. Non mi sogno di dire che D'Alema stesse dietro gli sportelli delle banche a convincere i risparmiatori a sottoscrivere titoli ambigui. Io punto il dito sulla cornice generale di questa manovra che ha interessato il vasto scenario delle banche italiane e non si è conclusa con il passaggio più importante: l'incontro tra Mps e Bnl perché, nel frattempo, cambiarono tante cose, compreso il governo».

    La procura di Trani ha inviato informazioni di garanzia agli ex vertici di Bancal2l.
    «Si, sotto indagine c'è l'ingegner De Bustis, vicinissimo a D'Alema per sua stessa ammissione. De Bustis si mostrò più volte in pubblico con lui e non ebbe una funzione di mero supporto psicologico. Esistono fior di documentazioni con servizi su reti locali che hanno mostrato riunioni fatte insieme al personale di Mps e Banca 121. Ma c'è un aliro aspetto che mi lascia perpiesso».

    Quale?
    «Tra il secondo semestre del 2000 e il primo semestre del 2001 si registrò nell'istituto un boom di assunzioni che si bloccarono nel maggio 2001. È un dato oggettivo. Ora l'istituto dichiara una situazione di esubero ma il verfice attuale di Monte dei Paschi promette che non ci saranno contraccolpi occupazionali».

    Ritiene che la commissione di indagine dovrebbe concentrare la sua attenzione anche su Banca 121?
    «Certamente sì. Questa vicenda non ha avuto il rilievo mediatico che meritava perché schiacciata da Parmalat Bisogna approfondire e capire come sia stato possibile piazzare questi titoli senza controlli».
    http://www.mantovano.org/gironale_12_1_4.htm

 

 

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