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Discussione: Habemus Papam

  1. #131
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    Non mortui laudabunt te Domine: neque omnes qui descendunt in infernum. Sed nos qui vivimus, benedicimus Domino, ex hoc nunc et usque in sæculum.
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    Lo stemma di Benedetto XVI




    da Famiglia Cristiana Anno LXVII N. 17 del 23 aprile 1997

    Come motto episcopale ho scelto due parole dalla terza lettera di Giovanni, Collaboratori della verità , anzitutto perché mi pareva che potessero bene rappresentare la continuità tra il mio compito precedente e il nuovo incarico: pur con tutte le differenze si trattava e si tratta sempre della stessa cosa, seguire la verità, porsi al suo servizio. E dal momento che nel mondo di oggi il tema "verità" è quasi scomparso, perché appare troppo grande per l'uomo, e tuttavia tutto crolla se non c'è una verità, proprio per questo il mio motto episcopale mi è sembrato il più in linea con il nostro tempo, il più moderno, nel senso buono del termine. Sullo stemma dei vescovi di Frisinga si trova da circa mille anni il moro incoronato: non si sa quale sia il suo significato. Per me è l'espressione dell'universalità della Chiesa, che non conosce nessuna distinzione di razza e di classe, poiché noi tutti "siamo uno" in Cristo (Gal 3,28).



    Inoltre, ho scelto per me altri due simboli. Il primo è la conchiglia, che è anzitutto il segno del nostro essere pellegrini, del nostro essere in cammino: "Non abbiamo qui una stabile dimora". Ma essa mi ricorda anche la leggenda secondo cui Agostino, che si lambiccava il cervello intorno al mistero della Trinità, avrebbe visto sulla spiaggia un bambino che giocava con una conchiglia, con cui attingeva l'acqua del mare e cercava di travasarla in una piccola buca. Gli sarebbe stato detto: tanto poco questa buca può contenere l'acqua del mare, quanto poco la tua ragione può afferrare il mistero di Dio. Per questo la conchiglia rappresenta per me un richiamo al mio grande maestro, Agostino, un richiamo al mio lavoro teologico e, insieme, alla grandezza del mistero, che è sempre molto più grande di tutta la nostra scienza. Infine, dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisinga, ho preso l'immagine dell' orso . Un orso – così racconta questa storia – aveva sbranato il cavallo del santo, che stava recandosi a Roma. Corbiniano lo rimproverò aspramente... e, come punizione, gli caricò sulle spalle il fardello che fino a quel momento era stato portato dal cavallo. L' orso dovette trasportare il fardello fino a Roma e solo qui il santo lo lasciò libero di andarsene. L' orso che portava il carico del santo mi ricorda una delle meditazioni sui Salmi di sant'Agostino. Nei versetti 22 e 23 del salmo 72 (73) Agostino vedeva espressi il peso e la speranza della sua vita. Quel che egli trova espresso in questi versetti, e che presenta nel suo commento, è come un autoritratto, tracciato davanti a Dio e, dunque, non solo un pio pensiero, ma spiegazione della vita e luce nel cammino. Quel che Agostino scrive qui, mi è parso rappresentare il mio destino personale.

    Il salmo, appartenente alla tradizione sapienziale, mostra la situazione di bisogno e di sofferenza che è propria della fede e che deriva dal suo insuccesso umano; chi sta dalla parte di Dio, non sta necessariamente dalla parte del successo: proprio i cinici sono spesso persone che la fortuna pare viziare. Come va inteso questo fatto? Il salmista trova la risposta nello stare davanti a Dio, che gli permette di capire che la ricchezza e il successo materiale sono ultimamente irrilevanti e di riconoscere che cosa è davvero necessario e apportatore di salvezza. Ut iumentum factus sum apud te et ego semper tecum . Le traduzioni moderne interpretano così: "Quando si agitava il mio cuore..., ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia. Ma io sono con te sempre...".

    Agostino ha interpretato un po' diversamente l'espressione riguardante la bestia. Il termine latino iumentum designava sopattutto gli animali da tiro, che vengono usati dai contadini per lavorare la terra; per questo egli vi riconosce un'immagine di sé stesso, sotto il carico del suo servizio episcopale: "Un animale da tiro sono davanti a te, per te, e proprio così io sono vicino a te". Aveva scelto la vita dell'uomo di studio e Dio lo aveva destinato a fare l'"animale da tiro", il bravo bue che tira il carro di Dio in questo mondo. Quante volte è insorto contro tutte le inezie che si trovava caricate addosso e che gli impedivano il grande lavoro che sentiva come la sua vocazione più profonda. Ma proprio qui il salmo lo aiuta a uscire da tutta l'amarezza: sì, è vero, son divenuto un animale da tiro, una bestia da soma, un bue, ma proprio in questo modo io ti sono vicino, ti servo, tu mi hai nella mano. Come l'animale da tiro è il più vicino al contadino e compie per lui il suo lavoro, così anch'egli, proprio in questo umile servizio, è vicinissimo a Dio, è tutto nella sua mano, è fino in fondo un suo strumento...

    ...L' orso con il carico, che sostituì il cavallo, o più probabilmente il mulo di san Corbiniano, divenendo – contro la sua volontà – il suo animale da soma, non era e non è un'immagine di quel che deve essere e di quel che sono? "Sono divenuto per te come una bestia da soma e proprio così io sono in tutto e per sempre vicino a te".

    Che cosa potrei raccontare di più e di più preciso sui miei anni come vescovo? Di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà all' orso . Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della Città Eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so che anche per me vale: «Sono divenuto la tua bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te».

  2. #132
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    Messaggio del Presidente Ciampi a Sua Santità Benedetto XVI in occasione del primo anniversario della elevazione al Pontificato

    Roma, 18 aprile 2006

    C o m u n i c a t o

    Il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha inviato a Sua Santità Benedetto XVI il seguente messaggio:

    In occasione del primo anniversario della Sua elevazione al Pontificato, sono lieto di rinnovarLe, a nome del popolo italiano e mio personale, l'espressione della mia ammirazione per la Sua alta missione apostolica e del mio grato apprezzamento per l'amichevole attenzione che dimostra nei confronti dell'Italia.

    Tenendo alta l'inestimabile eredità di Giovanni Paolo II, che ha additato nell'Uomo "la prima e fondamentale via della Chiesa", Ella ha posto al centro del Suo Magistero l'obiettivo di una pace radicata nella solidarietà "con ogni dolore, con ogni speranza e con ogni sforzo che accompagna il cammino umano".

    Il Suo appello ad "infrangere le barriere tra le razze e le classi" ha richiamato la comunità internazionale alla responsabilità di operare più incisivamente, attraverso il dialogo, per il superamento di conflitti e tensioni, per fare del mondo "una Terra di pace e di fratellanza".

    Il profondo legame fra lo Stato italiano e la Chiesa consolida il condiviso impegno nella tutela dei valori fondamentali della libertà e della dignità della persona umana; costituisce il terreno del fecondo operare dell'autorità civile e dell'autorità religiosa, ognuna nel proprio ambito.

    Il nostro scambio di visite, un anno orsono, ha confermato il comune sentire dell'Italia e della Santa Sede su aspetti essenziali per la difesa della pace: il rispetto dei diritti fondamentali dei popoli; una più equa distribuzione delle risorse del pianeta; la ricomposizione della frattura fra Nord e Sud del mondo; l'utilizzazione del progresso economico e scientifico per promuovere il benessere comune.

    Vi è un'unica strada percorribile: il rafforzamento della collaborazione internazionale imperniata nel sistema delle Nazioni Unite, indispensabile strumento universale per dare sostanza alla solidarietà fra tutte le nazioni, attraverso un'accresciuta consapevolezza dei valori e delle responsabilità condivise.

    In questo ambito, l'Unione Europea, portatrice di una comune identità radicata nei valori umanistici e cristiani e di una straordinaria esperienza di riconciliazione, si pone come essenziale fattore di stabilità e di progresso: innanzi tutto nel Mediterraneo, dove è indispensabile condurre a buon fine il processo di pace in Medio Oriente per ricreare, nel luogo storico d'incontro fra civiltà e religioni, le condizioni per l'armoniosa convivenza e la proficua collaborazione fra tutti i popoli.

    In questo spirito, unisco ai sentimenti di fiducia per la Sua opera fervidi auguri per il proseguimento del Suo alto Magistero al servizio della Chiesa e dell'umanità intera.

    FONTE

  4. #134
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  5. #135
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    19 aprile 2006

    Il 19 aprile 2005 l'elezione

    Un anno fa i cardinali sceglievano Ratzinger

    Folle record per il Pontefice che non ama apparire. Meno discorsi e cerimonie ma il Papa ha già incontrato quattro milioni di pellegrini


    CITTÀ DEL VATICANO — Oggi Benedetto XVI compie un anno di pontificato: le folle sono state da record, ma egli ha mantenuto una vivace ritrosia ad apparire. È convinto che ci debbano essere meno pronunciamenti e meno governo nella Chiesa e ha passato i primi dodici mesi da papa a mettere le premesse perché la Curia e la sua stessa attività dimagriscano. Per ottenere il dimagrimento avrebbe bisogno di tempi lunghi, perché non vuole attuarlo con misure drastiche, ma ovviamente non sa di quanto tempo dispone e forse si attribuisce la funzione di chi pone dei segni, più che quella del grande riformatore.

    QUATTRO MILIONI —Con le oltre cinquantamila persone che vedrà oggi all’udienza generale, Benedetto XVI avrà incontrato in un anno più di quattro milioni di persone : 1.121.500 con le udienze del mercoledì , 384.900 con le udienze speciali, 697.200 con le celebrazioni liturgiche, 1.875.000 con i saluti domenicali. Aveva detto da cardinale che nella Chiesa c’era un’«inflazione di parole» e «una produzione eccessiva di documenti». Che in particolare sulla morale sessuale «è stato detto troppo e troppo spesso». Che lui — il cardinale Ratzinger — personalmente non amava trovarsi «in una struttura celebrativa permanente». Che preferiva ci fosse «meno discussione e più preghiera», essendo convinto — tra l’altro — che «forse attualmente nella Chiesa si decide e si regolamenta troppo». Nei primi dodici mesi di regno si è comportato in perfetta coerenza con quelle affermazioni. Ha pronunciato 291 discorsi, mentre il predecessore nell’anno del debutto ne aveva tenuti quasi il doppio: 569. Ancora più significativa la riduzione delle celebrazioni con il popolo, che sono passate da 68 a meno della metà: 31. Con il linguaggio di Silvio Negro — il fondatore del vaticanismo contemporaneo — si direbbe che egli, rispetto al polacco di cui fu il massimo consigliere, sia un papa più «religioso» e meno «politico». Concentra cioè la sua attenzione sulla vita interna alla Chiesa, più che sull’azione della Chiesa nel mondo. Ha ridotto al minimo gli incontri con i politici e gli ambasciatori e persino con i nunzi, cioè con i propri ambasciatori. Mette il massimo di impegno, invece, nel colloquio con i vescovi. Fa meno discorsi e scrive di persona i più importanti. Ha deciso che non celebrerà le beatificazioni — ma solo le canonizzazioni — per ridurre le attività papali. Ha molto insistito in questo primo anno sui temi della vita e della famiglia, ma non ha mai fatto un vero e proprio discorso di morale sessuale.

    MENO BUROCRAZIA — Ha nominato quindici nuovi cardinali, cioè in sostanza quanti ne aveva nominati il predecessore nel suo primo anno, ma anche qui ha realizzato un ridimensionamento: con gli ultimi due concistori Giovanni Paolo II aveva portato il «tetto» dei cardinali elettori a 135, mentre egli ha voluto fermarsi ai 120 stabiliti da Paolo VI. Anche per tornare a quel limite ha scelto di tenere basso il numero delle porpore curiali e intanto ha affidato a due soli cardinali, Poupard e Martini, ben quattro Consigli (Dialogo interreligioso e Cultura al primo, Giustizia e pace e Migranti al secondo), indicando come procederà nell’opera di riduzione dell’organico e delle attività. Con questa cura dimagrante la Curia potrebbe ritrovarsi nel giro di un triennio forse con cinque cardinali in meno, rispetto alla ventina ereditata dal predecessore. Il papa teologo ridurrà gli uffici e il loro organico, ma ascolterà di più i collaboratori. Già abbiamo detto che dedica molto tempo a incontrare i vescovi che vengono dalla periferia e dobbiamo aggiungere che senza fare proclami ha già ottenuto che le riunioni dei capi-dicastero (finora ne ha convocate due) non si limitino a un giro informativo sulle attività di ognuno, ma siano aperte alla «libera discussione» delle questioni più importanti.

    PICCOLE RIFORME — Resta il problema delle decisioni di governo. C’è chi prevede una forte riforma della Curia, dopo il dimagrimento e chi invece immagina che le modifiche arriveranno una alla volta e solo nell’insieme finiranno con il descrivere un progetto. Forse la seconda ipotesi si addice di più al profilo basso del governo curiale che papa Ratzinger tende a ottenere.

    Luigi Accattoli

    Fonte: Corriere della Sera

  6. #136
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    Benedetto XVI ha ricordato la sua elezione al soglio pontificio
    "Quel giorno di un anno fa è impresso nella mente e nel cuore"

    Vaticano, 60.000 per festeggiare il primo anniversario del Papa

    "Vi chiedo di di continuare a sostenermi e di pregare Dio che mi conceda di esser pastore mite e fermo della sua Chiesa"

    CITTA' DEL VATICANO - Oltre 60.000 persone (delle quali 50.000 arrivate in piazza San Pietro con i biglietti distribuiti dalla prefettura della casa pontificia) hanno partecipato oggi all'udienza generale del papa, in occasione del primo anniversario di Benedetto XVI. I fedeli sono arrivati da ogni parte del mondo: Bosnia, Croazia, Ucraina, Germania, Francia, tantissimi dagli Stati Uniti (tra cui una famiglia di origini iraniane, che si è convertita al cattolicesimo), dall'Australia, dal Canada, dal Messico, dal Costa Rica, dall'Argentina.

    Il Papa, nel rivolgersi ai fedeli, ha ricordato con commozione la sua elezione: "Vorrei insieme a voi - ha detto parlando a braccio - ringraziare il Signore che dopo avermi chiamato esattamente un anno fa a servire la chiesa come successore dell'apostolo Pietro... per la vostra gioia e la vostra acclamazione... il Signore - ha proseguito, interrotto continuamente dagli applausi - non manca di assistermi con il suo indispensabile aiuto".

    "Io ricordo con emozione - ha detto ancora Ratzinger - il primo impatto che dalla Loggia centrale della basilica ho avuto subito dopo la mia elezione con i fedeli raccolti in questa stessa piazza".

    "Mi resta impresso nelle mente e nel cuore quell'incontro - ha proseguito - al quale ne sono seguiti tanti altri che mi hanno dato modo di sperimentare quanto sia vero quanto ebbi a dire nel corso della solenne concelebrazione con la quale ho iniziato solennemente l'esercizio del ministero petrino: 'Sento viva la consapevolezza di non dover portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo'". Un nuovo grande applauso ha interrotto le parole del Papa. "E sempre di più - ha aggiunto - sento che da solo non potrei portare avanti questo compito, questa missione, ma sento anche come voi mi aiutate, e così sono in una grande comunione e insieme possiamo portare avanti la missione del Signore".

    "Grazie di vero cuore - ha concluso Benedetto XVI - a tutti coloro che in vario modo mi affiancano da vicino e anche da lontano, spiritualmente, con il loro affetto e la loro preghiera: a ciascuno chiedo di continuare a sostenermi e di pregare Dio che mi conceda di esser pastore mite e fermo della sua Chiesa".

    Al termine dell'udienza, il Papa ha anche espresso una ferma condanna verso i responsabili dell'attentato di Tel Aviv. "Con dolore ho appreso la notizia dell'attentato a Tel Aviv e sento il dovere di esprimere la ferma condanna per questo atto terroristico", ha detto.

    (19 aprile 2006)

    Repubblica

  7. #137
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    BENEDETTO XVI

    UDIENZA GENERALE

    Piazza S. Pietro, 19 aprile 2006


    Cari fratelli e sorelle!

    All’inizio dell’odierna Udienza generale, che si svolge nel clima gioioso della Pasqua, vorrei insieme a voi ringraziare il Signore, che dopo avermi chiamato esattamente un anno fa a servire la Chiesa come Successore dell’apostolo Pietro - grazie per la vostra gioia, grazie per la vostra acclamazione -, non manca di assistermi con il suo indispensabile aiuto. Come passa in fretta il tempo! È già trascorso un anno da quando, in maniera per me assolutamente inaspettata e sorprendente, i Cardinali riuniti in Conclave hanno voluto scegliere la mia persona per succedere al compianto e amato Servo di Dio, il grande Papa, Giovanni Paolo II. Ricordo con emozione il primo impatto che dalla Loggia centrale della Basilica ho avuto, subito dopo la mia povera elezione, con i fedeli raccolti in questa stessa Piazza. Mi resta impresso nella mente e nel cuore quell’incontro al quale ne sono seguiti tanti altri, che mi hanno dato modo di sperimentare quanto sia vero ciò che ebbi a dire nel corso della solenne concelebrazione con la quale ho iniziato solennemente l’esercizio del ministero petrino: "Sento viva la consapevolezza di non dover portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo". E sempre più sento che da solo non potrei portare questo compito, questa missione. Ma sento anche come voi lo portiate con me: così sono in una grande comunione e insieme possiamo portare avanti la missione del Signore. Mi è di insostituibile sostegno la celeste protezione di Dio e dei santi, e mi conforta la vicinanza vostra, cari amici, che non mi fate mancare il dono della vostra indulgenza e del vostro amore. Grazie di vero cuore a tutti coloro che in vario modo mi affiancano da vicino o mi seguono da lontano spiritualmente con il loro affetto e la loro preghiera. A ciascuno chiedo di continuare a sostenermi pregando Iddio perché mi conceda di essere pastore mite e fermo della sua Chiesa.

    Narra l’evangelista Giovanni che Gesù proprio dopo la sua resurrezione chiamò Pietro a prendersi cura del suo gregge (cfr Gv 21, 15 .23). Chi avrebbe potuto allora umanamente immaginare lo sviluppo che avrebbe contrassegnato nel corso dei secoli quel piccolo gruppo di discepoli del Signore? Pietro insieme agli apostoli e poi i loro successori, dapprima a Gerusalemme e in seguito sino agli ultimi confini della terra, hanno diffuso con coraggio il messaggio evangelico il cui nucleo fondamentale e imprescindibile è costituito dal Mistero pasquale: la passione, la morte, la risurrezione di Cristo. Questo mistero la Chiesa celebra a Pasqua, prolungandone la gioiosa risonanza nei giorni successivi; canta l’alleluja per il trionfo di Cristo sul male e sulla morte. "La celebrazione della Pasqua secondo una data del calendario – nota il Papa san Leone Magno – ci ricorda la festa eterna che supera ogni tempo umano". "La Pasqua attuale – egli nota ancora – è l’ombra della Pasqua futura. E’ per questo che la celebriamo per passare da una festa annuale a una festa che sarà eterna". La gioia di questi giorni si estende all’intero anno liturgico e si rinnova particolarmente la domenica, giorno dedicato al ricordo della resurrezione del Signore. In essa, che è come la "piccola Pasqua" di ogni settimana, l’assemblea liturgica riunita per la Santa Messa proclama nel Credo che Gesù è risuscitato il terzo giorno, aggiungendo che noi aspettiamo "la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà". Si indica in tal modo che l’evento della morte e risurrezione di Gesù costituisce il centro della nostra fede ed è su quest’annuncio che si fonda e cresce la Chiesa. Ricorda in maniera incisiva sant’Agostino: «Consideriamo, carissimi, la Risurrezione di Cristo: infatti, come la sua Passione ha significato la nostra vita vecchia, così la sua risurrezione è sacramento di vita nuova…Hai creduto, sei stato battezzato: la vecchia vita è morta, uccisa nella croce, sepolta nel Battesimo. E’ stata sepolta la vecchia nella quale hai vissuto: risorga la nuova. Vivi bene: vivi così che tu viva, affinché quando sarai morto, tu non muoia» (Sermo Guelferb. 9, 3).

    I racconti evangelici, che riferiscono le apparizioni del Risorto, si concludono abitualmente con l’invito a superare ogni incertezza, a confrontare l’evento con le Scritture, ad annunciare che Gesù, al di là della morte, è l’eterno vivente, fonte di vita nuova per tutti coloro che credono. Così avviene, ad esempio, nel caso di Maria Maddalena (cfr Gv 20,11-18), che scopre il sepolcro aperto e vuoto, e subito teme che il corpo del Signore sia stato portato via. Il Signore allora la chiama per nome, e a quel punto avviene in lei un profondo cambiamento: lo sconforto e il disorientamento si convertono in gioia ed entusiasmo. Con sollecitudine ella si reca dagli Apostoli e annunzia: «Ho visto il Signore» (Gv 20,18). Ecco: chi incontra Gesù risuscitato viene interiormente trasformato; non si può "vedere" il Risorto senza "credere" in lui. Preghiamolo affinché chiami ognuno di noi per nome e così ci converta, aprendoci alla "visione" della fede. La fede nasce dall’incontro personale con Cristo risorto, e diventa slancio di coraggio e di libertà che fa gridare al mondo: Gesù è risorto e vive per sempre. E’ questa la missione dei discepoli del Signore di ogni epoca e anche di questo nostro tempo: "Se siete risorti con Cristo – esorta san Paolo – cercate le cose di lassù… pensate alle cose di lassù, e non a quelle della terra" (Col 3,1-2). Questo non vuol dire estraniarsi dagli impegni quotidiani, disinteressarsi delle realtà terrene; significa piuttosto ravvivare ogni umana attività come un respiro soprannaturale, significa farsi gioiosi annunciatori e testimoni della risurrezione di Cristo, vivente in eterno (cfr Gv 20,25; Lc 24,33-34).

    Cari fratelli e sorelle, nella Pasqua del suo Figlio unigenito Dio rivela pienamente se stesso, la sua forza vittoriosa sulle forze della morte, la forza dell’Amore trinitario. La Vergine Maria, che è stata intimamente associata alla passione, morte e risurrezione del Figlio e ai piedi della Croce è diventata Madre di tutti i credenti, ci aiuti a comprendere questo mistero di amore che cambia i cuori e ci faccia pienamente gustare la gioia pasquale, per poter poi comunicarla a nostra volta agli uomini e alle donne del terzo millennio.

 

 
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