Lo stemma di Benedetto XVI
da Famiglia Cristiana Anno LXVII N. 17 del 23 aprile 1997
Come motto episcopale ho scelto due parole dalla terza lettera di Giovanni, Collaboratori della verità , anzitutto perché mi pareva che potessero bene rappresentare la continuità tra il mio compito precedente e il nuovo incarico: pur con tutte le differenze si trattava e si tratta sempre della stessa cosa, seguire la verità, porsi al suo servizio. E dal momento che nel mondo di oggi il tema "verità" è quasi scomparso, perché appare troppo grande per l'uomo, e tuttavia tutto crolla se non c'è una verità, proprio per questo il mio motto episcopale mi è sembrato il più in linea con il nostro tempo, il più moderno, nel senso buono del termine. Sullo stemma dei vescovi di Frisinga si trova da circa mille anni il moro incoronato: non si sa quale sia il suo significato. Per me è l'espressione dell'universalità della Chiesa, che non conosce nessuna distinzione di razza e di classe, poiché noi tutti "siamo uno" in Cristo (Gal 3,28).
Inoltre, ho scelto per me altri due simboli. Il primo è la conchiglia, che è anzitutto il segno del nostro essere pellegrini, del nostro essere in cammino: "Non abbiamo qui una stabile dimora". Ma essa mi ricorda anche la leggenda secondo cui Agostino, che si lambiccava il cervello intorno al mistero della Trinità, avrebbe visto sulla spiaggia un bambino che giocava con una conchiglia, con cui attingeva l'acqua del mare e cercava di travasarla in una piccola buca. Gli sarebbe stato detto: tanto poco questa buca può contenere l'acqua del mare, quanto poco la tua ragione può afferrare il mistero di Dio. Per questo la conchiglia rappresenta per me un richiamo al mio grande maestro, Agostino, un richiamo al mio lavoro teologico e, insieme, alla grandezza del mistero, che è sempre molto più grande di tutta la nostra scienza. Infine, dalla leggenda di Corbiniano, fondatore della diocesi di Frisinga, ho preso l'immagine dell' orso . Un orso – così racconta questa storia – aveva sbranato il cavallo del santo, che stava recandosi a Roma. Corbiniano lo rimproverò aspramente... e, come punizione, gli caricò sulle spalle il fardello che fino a quel momento era stato portato dal cavallo. L' orso dovette trasportare il fardello fino a Roma e solo qui il santo lo lasciò libero di andarsene. L' orso che portava il carico del santo mi ricorda una delle meditazioni sui Salmi di sant'Agostino. Nei versetti 22 e 23 del salmo 72 (73) Agostino vedeva espressi il peso e la speranza della sua vita. Quel che egli trova espresso in questi versetti, e che presenta nel suo commento, è come un autoritratto, tracciato davanti a Dio e, dunque, non solo un pio pensiero, ma spiegazione della vita e luce nel cammino. Quel che Agostino scrive qui, mi è parso rappresentare il mio destino personale.
Il salmo, appartenente alla tradizione sapienziale, mostra la situazione di bisogno e di sofferenza che è propria della fede e che deriva dal suo insuccesso umano; chi sta dalla parte di Dio, non sta necessariamente dalla parte del successo: proprio i cinici sono spesso persone che la fortuna pare viziare. Come va inteso questo fatto? Il salmista trova la risposta nello stare davanti a Dio, che gli permette di capire che la ricchezza e il successo materiale sono ultimamente irrilevanti e di riconoscere che cosa è davvero necessario e apportatore di salvezza. Ut iumentum factus sum apud te et ego semper tecum . Le traduzioni moderne interpretano così: "Quando si agitava il mio cuore..., ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia. Ma io sono con te sempre...".
Agostino ha interpretato un po' diversamente l'espressione riguardante la bestia. Il termine latino iumentum designava sopattutto gli animali da tiro, che vengono usati dai contadini per lavorare la terra; per questo egli vi riconosce un'immagine di sé stesso, sotto il carico del suo servizio episcopale: "Un animale da tiro sono davanti a te, per te, e proprio così io sono vicino a te". Aveva scelto la vita dell'uomo di studio e Dio lo aveva destinato a fare l'"animale da tiro", il bravo bue che tira il carro di Dio in questo mondo. Quante volte è insorto contro tutte le inezie che si trovava caricate addosso e che gli impedivano il grande lavoro che sentiva come la sua vocazione più profonda. Ma proprio qui il salmo lo aiuta a uscire da tutta l'amarezza: sì, è vero, son divenuto un animale da tiro, una bestia da soma, un bue, ma proprio in questo modo io ti sono vicino, ti servo, tu mi hai nella mano. Come l'animale da tiro è il più vicino al contadino e compie per lui il suo lavoro, così anch'egli, proprio in questo umile servizio, è vicinissimo a Dio, è tutto nella sua mano, è fino in fondo un suo strumento...
...L' orso con il carico, che sostituì il cavallo, o più probabilmente il mulo di san Corbiniano, divenendo – contro la sua volontà – il suo animale da soma, non era e non è un'immagine di quel che deve essere e di quel che sono? "Sono divenuto per te come una bestia da soma e proprio così io sono in tutto e per sempre vicino a te".
Che cosa potrei raccontare di più e di più preciso sui miei anni come vescovo? Di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà all' orso . Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della Città Eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so che anche per me vale: «Sono divenuto la tua bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te».